Capitolo 6

Tra rinunciare e ricominciare,
le lotte femministe

L’intervallo di tempo compreso tra il 1896 e il 1910, anno di pubblicazione dell’Antropologia Pedagogica, è assai intenso: Maria mostra appieno le sue versatili capacità intellettuali: oltre alla professione medica, all’impegno con i bambini e all’attività di formazione dei maestri viaggia, tiene conferenze davanti a folte platee e si dedica a un’assidua produzione scientifica: dapprima, nel corso del 1897, pubblica svariati studi inediti e relazioni di argomento medico sulla «Rivista quindicinale di Psicologia, Psichiatria, Neuropatologia», di cui Sante De Sanctis è redattore capo; poi tra il 1898 e il 1903 la sua attenzione si sposta sui «fanciulli infelici».


Dopo aver scoperto Séguin, visita numerosi istituti italiani per proporre il nuovo metodo – a Genova, Reggio Emilia, Torino, Vercurago in Lombardia – sollecitando l’istituzione di comitati locali della Lega e tessendo tutta una rete di relazioni che si traducono in altrettante fonti di informazioni utili alla ricerca.


Giovanni Bollea, nell’intervista già citata, ricordava con rammarico un carteggio tra Montessori e Montesano, ricevuto dal suo maestro e purtroppo andato smarrito o trafugato, dal quale emergeva l’avvilimento da cui Maria veniva talvolta assalita durante questi viaggi (allorché sperimentava quanto fosse difficile convincere i suoi interlocutori delle nuove possibilità riabilitative dei bambini con difficoltà) e, per contro, le parole incoraggianti di Montesano che le raccomandava di non abbattersi perché «chi semina raccoglie». È ancora Bollea a ricordare


il forte quadrumvirato intellettuale (formato da Montessori, Montesano, Bonfigli, De Sanctis), [è] alle origini della scuola romana di neuropsichiatria infantile, ma anche [l’elemento di] continuità tra il laboratorio scolastico di rue Pigalle e quello di via dei Volsci. C’è un filo che unisce questa all’esperienza di via dei Marsi e in seguito a via dei Sabelli, sede dell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile. Sempre il quartiere di San Lorenzo, dunque!

In parallelo, e almeno fino al 1907, Maria scrive relazioni, proclami, riflessioni sulla “questione femminile”, soprattutto per il quotidiano romano «La Vita». A questa attività pubblicistica si aggiungono, dal 1903 al 1910, pubblicazioni su temi di antropologia e dal 1907 al 1909 i primi scritti sulle Case dei Bambini88. Divulgatrice efficace, è fermamente convinta che solo dalla scienza possano derivare miglioramenti nei diversi settori della vita civile. Non condivide l’idea dell’inevitabilità del destino infelice, espressa da alcuni positivisti lombrosiani, e richiama a ogni occasione la possibilità concreta di educare gli individui e di recuperarne così la dignità.


Nelle pagine dell’Antropologia Pedagogica contesta vivacemente la teoria formulata da Lombroso circa la pretesa inferiorità del cervello della donna, imputabile a una sorta di arresto nella fase di sviluppo. Nella prima Casa dei Bambini del 1907 attuerà l’idea dell’antropologo siciliano Giuseppe Sergi di realizzare una Carta biografica per ogni bambino con i dati antropometrici e le relative annotazioni sul suo sviluppo.


L’azione pedagogica sostenuta dalla ricerca è anche la via per l’educazione morale dei frenastenici. La filantropia è importante, come l’aiuto affettivo e caritatevole, ma fondamentale è soprattutto il sostegno delle conoscenze mediche, da divulgare anche tra gli educatori.


Ritorna costantemente nei suoi contributi l’invito rivolto alle donne impegnarsi concretamente, al fine di rendere popolare la scienza e sradicare il monopolio maschile su di essa. Il suo è

un “femminismo scientifico”, uno dei tasselli più originali nell’ampio mosaico del femminismo italiano; sollecitare le donne all’indipendenza economica, a un’identità intellettuale nonché alla fine del monopolio scientifico maschile era il contributo particolare e specifico, non l’unico, che Maria Montessori dava alla causa femminista. Senz’altro era quello che aveva radici profonde, e anche dolorose, nella sua esperienza professionale e di vita89.

Successi e delusioni

Per Maria questo non è solo un periodo denso di importanti osservazioni sperimentali e di grandi soddisfazioni professionali: dopo la rottura con Montesano si vede costretta a rinunziare anche alla Scuola Ortofrenica, essendole divenuto difficile continuare a collaborare con l’ex-compagno. Probabilmente per le stesse ragioni interrompe ogni rapporto con la Clinica Psichiatrica e con l’impegno pedagogico. Il suo nuovo referente, Giuseppe Sergi, acuto e colto docente universitario, già sostenitore della Lega, l’aiuta ad approfondire l’antropologia pedagogica, nuova scienza che allargherà i suoi orizzonti.


Dalle ricerche di storiche attente come Annarita Buttafuoco si possono trarre notizie che aiutano a far luce su alcuni tratti del suo carattere. Con i bambini deficienti ha lavorato generosamente, con scarsissimo guadagno personale, salvo il riconoscimento delle sue competenze e la stima di maestri e colleghi. A trent’anni è già molto nota sia per le sue riconosciute competenze mediche, sia per la sua partecipazione alle nuove battaglie civili a sostegno di una coscienza laica e per la tutela dei diritti dei ragazzi soggetti alla disumana pratica del lavoro minorile. Tuttavia, in una fase tanto complessa e delicata della crescita professionale, taglia con coraggio e a testa alta legami importanti, senza preoccuparsi troppo di quel che sarà in futuro e dei disagi che dovrà affrontare anche sotto il profilo economico. Maria continua a vivere riservandosi la libertà di cambiare di colpo la propria strada: un atteggiamento che non può non far pensare alle lontane esperienze dei dodici anni, quando aveva sentito di dovere «obbedienza alla sua stella interiore»90.


Del resto in tutta la sua vita, anche all’apice della celebrità, dovrà far fronte a situazioni di ristrettezza, trovandosi a volte costretta ad accettare l’aiuto di amici generosi. Non ha uno stipendio fisso nemmeno negli anni del suo insegnamento universitario, se non per brevi periodi, al punto che nel dicembre del 1899 Bonfigli chiede a Baccelli di venire incontro alla sua situazione, essendo Maria «completamente a carico del padre, il quale ha una tenue pensione ed è anche molto vecchio». E Baccelli, superando resistenze e ostilità, le assegna nel gennaio del 1900 la cattedra di Igiene e Antropologia all’Istituto superiore di Magistero femminile91. Eppure, come vedremo, lei rinunzierà anche a questo incarico per la nuova strada aperta dalle Case dei Bambini a San Lorenzo.


Tale condotta è esclusivamente frutto del suo spirito inquieto, che preferisce cambiare per inseguire nuove vie che paiono profilarsi o, almeno in questo caso, è imposto da scelte impellenti? Di sicuro nell’autunno del 1901 lascia la Lega e la Scuola Ortofrenica della quale Montesano diverrà presidente.


L’ultimo impegno pubblico in rappresentanza della Scuola (dove aveva sempre insegnato a titolo gratuito) è, nella primavera di quell’anno, la partecipazione al II Congresso pedagogico nazionale di Napoli che era stato rinviato a causa dell’uccisione di Umberto i avvenuta a Monza il 28 luglio 1900. La sua relazione, intitolata Norme per una classificazione dei deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione, viene pubblicata nel 1902: sul frontespizio dell’opuscolo figura ancora come «Direttrice della Scuola Normale pe’ deficienti in Roma»92.


Il testo è interessante. Maria muove alcune critiche all’indirizzo di Séguin; pur giudicando «valido il metodo, fondato su molti anni di pratica fatta da un medico alienista, quanto di più scientifico ci sia oggi nella pedagogia»93, non condivide il gran rilievo dato all’educazione intellettuale a scapito del sentimento (che Séguin vede strettamente connesso con le «sensazioni organiche») e dell’educazione morale94.

Disapprova inoltre l’uso di metodi coercitivi e di atteggiamenti severi per “normalizzare” il bambino “apatico” o per domare l’“iperattivo” (già allora si usava questo termine). È una relazione dotta, rivolta a un pubblico di specialisti, ma l’approccio tecnico non compromette l’immediatezza della comunicazione. Dimostrando una sicura padronanza della letteratura scientifica sull’argomento Maria cita autori, traccia schemi per definire i soggetti che considera educabili rispetto ai non educabili, sottolinea anche le «infinite varietà» dei tipi di deficienti, le quali esigono


che l’educazione [sia] fatta singolarmente per ognuno», raccomandando per le scuole costruzioni a piccoli padiglioni con «larghi spazi di terreno coltivabile intorno, in modo che ogni ragazzo abbia la sua zolla, veda crescere ciò che semina, ne raccolga l’opera del lavoro suo e della natura, al fine di trasformare l’istinto perverso di distruzione in quello sano dell’attività umana creatrice.


Si potrà sostenere che la sua prospettiva fosse del tutto illusoria, ma era certamente permeata da un profondo rispetto per ogni bambino malato, in un’ottica di aiuto non repressivo.

La rinuncia alla Scuola Ortofrenica non sembra essere stata indolore se in una bozza di lettera del 1903 Maria lamenta che anche il semplice ricordo di lei e della sua attività è stato bandito da quel luogo:

In quella scuola è proibito pronunciare il mio nome… hanno distrutto tutto quanto poteva ricordarmi, perfino fatto a pezzi o bruciato gli strumenti che io avevo fatto fabbricare per l’educazione dei bambini, con tanto entusiasmo d’amore95.

Accenna, inoltre, alle mortificanti ingiustizie di cui è vittima:

Dopo sette anni che ero dottore, dopo essere passata a traverso facili trionfi, dopo aver fondato due istituzioni nelle quali fui un momento regina… tornai umile studente in III corso di Università…

Sembra che il ministero non volesse ammetterla al terzo anno di Filosofia, malgrado i suoi titoli precedenti e il lavoro svolto, per cavilli burocratici o per invidie maschili: nella commissione incaricata di valutare la sua idoneità «uno diceva che non mi credeva colta abbastanza per ammettermi all’esame, un altro metteva scuse che come donna ne sapevo già troppo e mi contentassi…»96. In fondo allo scritto emerge esplicita la richiesta di aiuto:

Lei sa che oggi io devo chiedere non per me – ma per il mio lavoro. Devo acquistare autorità nella Scuola di Magistero, diventando professore straordinario, per entrare nel Consiglio dei Professori, dal quale oggi sono esclusa per la pochezza della mia carica: e ne ho diritto, avendo già insegnato quattro anni, mentre ne basterebbero tre; e devo avere dal Ministero la somma che mi occorre per continuare i miei studi – non come favore, ma come giusto compenso a quanto feci nella Scuola dei deficienti in servizio dell’istruzione pubblica.

Riuscirà nel suo intento approdando come docente al Magistero; al tempo stesso aspira alla cattedra di Antropologia per la quale ha fatto richiesta fin dal settembre 1902 e frequenta le lezioni di filosofia di Antonio Labriola97 come semplice studentessa98. Non è difficile immaginare quanto tutto ciò possa essere stato per lei, sia in rapporto ai successi precedentemente ottenuti, sia alle difficoltà del momento presente.

L’antropologia, nuovo campo di indagine

Nel febbraio del 1903 la Società romana di Antropologia l’accoglie come socia onoraria, prima ancora che abbia ottenuto la docenza, tanto che Luigi Credaro, suo docente di Pedagogia, le propone di tenere una conferenza agli studenti di filosofia, suoi colleghi di corso, che verrà pubblicata da Vallardi in un opuscolo dal titolo L’antropologia pedagogica. Dedicata a Credaro, è una sintesi ampiamente documentata delle conclusioni cui la Montessori è giunta in base a sue precedenti ricerche ed esperienze: la relazione tra ghiandole a secrezione interna e sviluppo fisico, tra metabolismo cellulare ed emozioni, tra struttura corporea e capacità mentali. È evidente lo stretto rapporto tra soma e psiche, all’interno di una visione laica e articolata dell’essere umano che si oppone ai soliti dualismi metafisici. Sullo sfondo le nuove urgenti lotte che la medicina deve sostenere

«contro nuovi nemici dalle dimensioni infinitesimali: i microbi o contro le esilissime spade del rostro della zanzara malarica»99, ma anche contro l’astrattezza di certa psicologia: «Una parte non può essere il tutto: e i pedagogisti debbono educare tutto l’uomo»100.

In parallelo segue il corso di psicologia sperimentale tenuto da De Sanctis e quelli di antropometria e di antropologia zoologica con l’intento di ampliare al massimo le proprie conoscenze. Conseguirà il titolo di libera docenza in Antropologia – anche stavolta non senza avversità di vario genere101 – nel giugno del 1904, anno in cui appaiono su autorevoli riviste scientifiche due ricerche personali condotte in questo ambito. La prima Sui caratteri antropometrici in relazione alle gerarchie intellettuali dei fanciulli nelle scuole. Ricerche di antropologia pedagogica;102 la seconda sull’Influenza delle condizioni di famiglia sul livello intellettuale degli scolari. Ricerche d’igiene e antropologia pedagogiche in rapporto con l’educazione.103


Il lavoro assegnatole come tesi finale dalla Commissione esaminatrice, di complessa attuazione per il suo carattere sperimentale, verrà pubblicato solo nell’anno successivo dalla Società romana di Antropologia con il titolo Caratteri fisici delle giovani donne del Lazio (desunti dall’osservazione di 200 soggetti).104

Anche in questo nuovo campo di ricerca Maria profonde come sempre tutto il suo impegno, seria e precisa com’è, offrendo apporti originali così come aveva fatto per l’elaborazione del metodo Itard-Séguin. Nei primi due studi citati rigetta il ricorso alle misurazioni del diametro del cranio e del peso del cervello – come criterio precipuo da cui secondo alcuni doveva scaturire ogni valutazione sul piano psichico, – convinta che occorra tenere in conto una più ampia serie di dati fisiologici e osservare a fondo la struttura del corpo infantile (su tale punto prenderà in seguito le distanze da Sergi). Ritiene però altrettanto indispensabile indagare sulle condizioni di vita e sulle abitudini igieniche familiari, tutte informazioni complementari la cui raccolta – come verifica nel corso delle sue indagini – suscita forti opposizioni da parte delle famiglie più agiate.

Il lavoro sulle donne del Lazio, che prevedeva esami e confronti con misurazione di corpi nudi, le costa una fatica ancora maggiore per il «pregiudizio dell’ignoranza», come lei stessa racconta nelle prime pagine del testo.

Su dieci donne che incontravo, interrogavo ed esortavo a lasciarsi studiare, è molto se una o due si persuadevano a cedere al mio invito

a causa dell’estrema diffidenza e arretratezza dei paesi e delle campagne intorno a Roma, da cui quasi tutte le giovani provenivano e che

la civiltà cosmopolita della Capitale sembra ignorare: un gregge o meglio una mandra di uomini spinti al lavoro come bestie da soma, guidati da sorveglianti a cavallo armati di un pungolo o di una frusta, con cui “sollecitano” al lavoro l’operaio denutrito e malarico […] così come sono abituati a fare con le mandre delle famose bufale romane105.

E più avanti scrive:

Gente che vive abitualmente nelle grotte come all’epoca preneolitica […], le “ciociarine” [erano] donne nomadi, analfabete… Quante volte ho dovuto lasciare a mezzo le misure di una donna perché mi compariva dinanzi un uomo torvo a interrogarmi in modo minaccioso. Medico… perché cercavo le donne belle, giovani e sane? No. Fattucchiera, strega, incettatrice per i postriboli, spia delle carceri, fabbricatrice di cartoline illustrate – ecco ciò che a volta a volta divenivo innanzi ai loro occhi106.

Quel lavoro era durato quattro mesi, e l’aveva costretta a trascorrere anche sei o sette ore al giorno nei reparti ospedalieri solo per riuscire a esaminare una o due ragazze. Non sarebbe riuscita nel suo intento senza l’aiuto dei primari e delle suore dell’ospedale “San Giovanni” (dove aveva studiato e lavorato come medico interno), di conoscenti e delle religiose del Ricreatorio femminile di Trastevere, sue allieve al Magistero. La tesi (ottantasei pagine di cui le ultime tre di bibliografia) era arricchita da tabelle, grafici, carte geografiche relative al Lazio “moderno”, fotografie di donne e persino di preparati al microscopio.


In base alle sue misurazioni Maria arriva a determinare due fenotipi principali di donne laziali: la dolicocefala, bruna, piccola e snella, e la brachicefala, bionda, alta e massiccia.


Questa ricerca la condurrà poi a occuparsi dei bambini delle scuole di Roma. Nello studio L’importanza della etnologia regionale nell’antropologia pedagogica107, offerto in onore dello psichiatra e antropologo modenese Enrico Morselli, invita i maestri ad appassionarsi all’etnologia regionale, per conoscere più a fondo gli allievi della propria terra. Scrive:

Io non so perché se si studiano con tanta minuzia la geografia regionale, la storia di successione delle dominazioni politiche, la fauna e la flora a scopi agricoli, non si debba studiare l’uomo, nella [propria] regione.108
Il condizionamento esercitato dal luogo di crescita sulla complessione fisica, e le possibili «differenze di adattamento patologiche, degenerative o sociali», le difficili condizioni di vita e la povertà di linguaggio caratteristica di certe zone meno progredite sono tutti elementi che, secondo lei, dovrebbero entrare a far parte dei criteri di valutazione di chi ha «la missione di educare, cioè di incivilire».

Le lezioni al Magistero

La formazione dei maestri è da tempo una parte importante del suo impegno di docente e di donna consapevole. Al Magistero femminile, istituzione chiusa e formale, situata allora a piazza Esedra accanto alle Terme di Diocleziano109, le sue lezioni portano una ventata di novità, tanto che il numero di studentesse che si presentano all’esame al termine del suo corso è insolitamente alto. Da documenti dell’Archivio Centrale dello Stato risulta che «l’insegnamento dell’antropologia veniva affrontato come complemento di scienza positiva alla pedagogia» atto ad aiutare le future maestre a riconoscere «gli allievi deboli, bisognosi di una speciale igiene pedagogica»110.


Finalmente ha la garanzia di una decorosa retribuzione mensile e la possibilità di far conoscere sia quelle idee di “femminismo scientifico” che tanto le stanno a cuore, sia i nuovi interrogativi circa «la relazione tra sviluppo cerebrale, condizioni sociali e rendimento nei bambini delle classi elementari».


Intanto, nel 1903, era stata invitata a inaugurare il secondo corso estivo di pedagogia scientifica, organizzato a Crevalcore, in provincia di Bologna, da Ugo Pizzoli111. Convinto che il positivismo abbia «destato nelle scienze educative un salutare risveglio», questo semplice medico aveva avviato fin dal 1899 nel piccolo centro romagnolo un “Laboratorio di Pedagogia Scientifica”, il primo gabinetto di antropologia pedagogica in Italia divenuto sede, dall’estate del 1902, del primo corso di pedagogia scientifica rivolto ai maestri delle scuole elementari. La proposta era stata accolta con entusiasmo da insegnanti di tutto il Paese. Maria, che apprezza il collega e le sue iniziative (lo citerà più volte negli scritti di quegli anni), accetta l’invito: sa di poter dare ai partecipanti un contributo originale, certa di aver assimilato la lezione di maestri di pensiero. Estrosa nei suoi interventi, è in grado di offrire nuovi stimoli – la relazione è un vero successo112 – e così riceve l’incarico di supervisionare le esercitazioni pratiche. A Crevalcore tornerà anche l’anno seguente per tenere quattro relazioni, dalle quali traspare in maniera sempre più netta e definitiva la sua adesione a un femminismo attivo, vicino alle tesi socialiste. I suoi interventi verranno poi pubblicati a più riprese nel corso del 1904, anche se in forma sintetica, dalla rivista di educazione anarchica «L’Università popolare»113.

Le lotte per il diritto di voto

Nel frattempo Maria continua ad approfondire i temi del femminismo: il 18 maggio del 1902 aveva svolto nel salone dell’Associazione della Stampa un’apprezzata conferenza su La via e l’orizzonte del femminismo114, in cui parlava del riconoscimento di diritti ancora da venire e identificava nell’educazione la strada maestra per raggiungere l’obiettivo di una maggiore consapevolezza da parte delle donne. In quella sede aveva sottolineato i dannosi effetti del progresso industriale sulla vita familiare: esso aveva accresciuto i pesi che gravavano sulle spalle delle donne le quali, se non si impegnano socialmente, rischiano di cadere nella «posizione umiliante di parassita o di bambola» o di naufragare «nella degenerazione morale» tipica dei nei romanzi di Bourget. Aggiungeva, inoltre, che «alla nuova missione della donna socialmente lavoratrice non sono preparate». Eppure, con la «conquista dell’indipendenza economica la donna non solo sarà libera nella scelta dell’uomo, ma diverrà anche la vera compagna di lui, la collaboratrice, l’amica, la sorella sociale». Un commento redazionale a fine articolo annotava che la conferenza si era svolta

il 18 maggio alle ore 6 pomeridiane, ora e momento in cui, in tutto il mondo – Europa, America, Africa del Sud, Indie e Giappone – le donne, dietro parola d’ordine, si uniscono tutti gli anni in assemblea per festeggiare il femminismo. È l’anniversario della Conferenza per la Pace a L’Aja (Den Haag), giorno scelto dalle donne (come il 1° maggio degli operai), quasi ad annunziare la loro nuova missione tra gli uomini.115

Nel 1903 il deputato repubblicano Roberto Mirabelli avanza la proposta di includere le donne nel suffragio universale116. Beatrice Sacchi, insegnante di matematica, figlia di patrioti risorgimentali, presenta a Mantova sua città natale, la richiesta di essere iscritta nelle liste elettorali che viene accolta nel febbraio del 1906 e che più tardi verrà cancellata dalla Commissione elettorale provinciale117. L’esempio è seguito nello stesso anno da due donne molto note e impegnate: la giurista Teresa Labriola, figlia di Antonio, e Maria Montessori. Ed è proprio quest’ultima ad animare la nuova associazione “Società Pensiero e Azione”. Lo stesso nome in quei giorni e del tutto autonomamente è scelto da un gruppo di cattoliche milanesi, desiderose di ottenere il voto. Dunque un’idea trasversale di affermazione e di cambiamento anima le donne.


Quando un deputato ventila l’ipotesi che il voto venga concesso solo alle donne colte e professionalmente impegnate, a Roma Giacinta Marescotti insorge: sul quotidiano «La Vita» del 20 febbraio 1906 appare un suo articolo, nel quale ribadisce che il riconoscimento della parità elettorale per tutte le donne resta l’obiettivo di tutta la lotta. Lo stesso giornale pubblica pochi giorni dopo un proclama lanciato da “Pensiero e Azione”, scritto e firmato dalla Montessori, che viene nottetempo «affisso quasi clandestinamente su tutti i muri di Roma»118 dalle sue allieve e che si diffonderà presto anche fuori dalla Capitale. Si susseguono nel frattempo conferenze, dibattiti e iniziative a carattere dimostrativo nell’intento di svegliare “tutte” le donne. È sempre lei il 26 febbraio 1906, dalle colonne de «La Vita», a ricordare alle compagne di lotta che su di loro grava la responsabilità di un’adeguata rappresentazione sociale del problema «poiché gli uomini hanno, è vero, su questo argomento l’opinione pratica e la logica, ma noi abbiamo i fatti, sentiti e la realtà della vita di mezza umanità dimenticata nel diritto delle genti, nascosta, oscurata dai fitti veli del pregiudizio». Malgrado questi appelli, critiche e sospetti intervengono a creare gravi dissensi tra le stesse militanti. L’associazione vive un periodo di contrasti interni: alcune socie – Montessori in testa – sono velatamente accusate di anticlericalismo, temuto come possibile causa di rottura con l’ala cattolica in un momento in cui l’unione appare essenziale. Nonostante la crisi che lo attraversa, nell’autunno del 1906 “Pensiero e Azione” è compatto nel protestare concordemente con gli altri gruppi contro le persecuzioni di cui è vittima in Spagna Francisco Ferrer, pacifista libertario e fondatore dell’“Escuela Moderna” di Barcellona.

Dalla Svezia una voce per i bambini

All’inizio del 1906, anticipando di ben tre anni la versione inglese, è uscito esce in Italia a cura per i tipi dell’editore Bocca di Torino il libro di Ellen Key Il secolo dei fanciulli, testo audace che farà scuola119 e che aiuterà a diffondere in tutta Europa le speranze aspirazioni delle donne e le ragioni della loro lotta. Maria ne resta particolarmente impressionata. In primavera le femministe del Comitato pro-suffragio femminile di “Pensiero e Azione” indirizzano una «Petizione delle donne italiane al Senato del Regno e alla Camera dei Deputati per il voto politico e amministrativo», Maria è tra le firmatarie. A sottoscrivere materialmente quel testo sono solo in ventisei tra intellettuali, nobildonne, imprenditrici e operaie, ma l’iniziativa trova immediata risonanza in altre città: da Milano a Gravina di Puglia, da Pavia a Firenze e in vari centri della Calabria e della Sardegna. A Napoli chiedono il certificato elettorale trecentocinquanta donne, ad Ancona cento. A poco a poco la protesta dilaga. Nel mese di maggio ad Ancona la commissione elettorale provinciale accoglie l’istanza presentata da dieci donne marchigiane per essere iscritte nelle liste elettorali. Sono tutte maestre, nove di Senigallia e una di Montemarciano. Nel luglio successivo l’immediato ricorso presentato dal procuratore del Re viene clamorosamente rigettato dalla corte di appello di Ancona presieduta dall’illustre giurista mantovano Ludovico Mortara, futuro ministro di Grazia e Giustizia120.


L’esultanza è, però, breve perché con una sentenza del 4 dicembre la Cassazione annulla il precedente pronunciamento.


Nonostante la delusione, a quattro giorni di distanza da quella seconda sentenza, dalle colonne de «La Vita», la Montessori firmava un articolo carico di fiducia e di ottimismo in cui inneggiava a quella che comunque considerava una vittoria. Rivolgendosi alla città che tante speranze aveva destato nel cuore delle donne italiane scriveva: «più che le tue mura, il tuo porto, la tua leggenda, potrà darti gloria il passo politico che tu hai saputo muovere con genio. Tu hai conquistato la donna e la storia»121. Nel febbraio successivo la “Petizione” viene discussa in Parlamento: tra le molte suffragiste presenti c’è anche Maria. I deputati non riescono a raggiungere un accordo e decidono di differire la decisione per un ulteriore approfondimento. Rinvio dopo rinvio, passano almeno tre anni prima che si ricominci a discuterne, nonostante la forte comunanza di intenti che affiora in questo periodo tra le cattoliche del Nord Italia – più indipendenti dalle posizioni della gerarchia ecclesiastica – e le socialiste del Centro Sud. È ancora una volta la giovane dottoressa a mettere in rilievo «le due anime del femminismo italiano» in un lungo articolo apparso su «La Vita» il 5 maggio del 1907, intitolato “Femminismo”. In esso Maria stigmatizza, tra l’altro, come emblematica della discriminazione sistematicamente attuata nei confronti delle donne la palude intellettuale del Magistero femminile romano, istituzione culturalmente asfittica e stantia e oppressa da una spessa coltre di moralismo perbenista, e il fatto che lo Stato non si preoccupi minimamente di trovare alloggi decorosi per le tante studentesse che arrivano persino «dai paesi irredenti»: di fatto si osteggia la crescita culturale delle donne.


Contro la sordità della maggioranza dei politici, decisi a non rinunciare ai privilegi maschili, il movimento femminista riuscirà a realizzare ben poco, pur con il sostegno dei magistrati e dei deputati meno conservatori.


Per di più la pretesa convergenza tra “le due anime” del movimento, quella cattolica e quella laica, verrà presto smentita dagli esiti del i Congresso nazionale delle donne italiane del 1908: in quella circostanza lo scontro più acceso si verifica sull’educazione religiosa impartita nelle scuole, problema che aveva alle spalle l’irrisolta questione della laicità dello Stato. Maria Montessori è presente, ma i suoi interventi riguardano soprattutto temi di medicina e di igiene. Prende la parola solo sul finire del congresso nell’ambito della sessione che affronta il profilo giuridico dei figli nati fuori del matrimonio, e il loro diritto già riconosciuto in altri Paesi europei di ricercare la paternità. Su questi temi però non interviene, forse perché toccano corde assai delicate del suo vissuto personale. Parla invece, tema nuovo e delicatissimo, di educazione sessuale. Il suo intervento, già citato, verrà pubblicato negli atti con il titolo La morale sessuale nell’educazione122. All’epoca Maria ormai famosa, come si è detto, sia come scienziata sia come militante femminista, gode di un’accresciuta notorietà per i nuovi esperimenti educativi da poco avviati a San Lorenzo. Grande è l’attesa per la sua relazione.

Bugie e doppia morale

Con la consueta abilità prende le mosse da lontano per affrontare gli argomenti che più le stanno a cuore: la doppia morale e la responsabilità delle donne nell’educazione dei figli maschi che troppo spesso, una volta divenuti adulti, degradano alcune donne per il loro piacere, e ne schiavizzano altre, negando loro autonomia e diritti pari ai propri. Tocca anche il tema delle bugie che si raccontano ai bambini sulla nascita:

Nei Paesi cattolici i fanciulli hanno una preghiera che inneggia alla maternità e fa ripetere alle labbra infantili: «Benedetto il frutto del tuo ventre». Non solo è rivelato il segreto, ma è ripetuto mattina e sera come la sublime poesia della purità. Dunque non è il fatto in sé che preoccupa. Esiste una tacita proibizione per la donna, sia pur madre, di impacciarsi [sic] in qualsiasi maniera della questione sessuale. E questa falsa purità è quella che forma la schiavitù morale.

Per la società del tempo dice cose nuovissime con lucido coraggio e con la forza della sua prorompente personalità. Tuttavia sui temi dei diritti civili e politici non torna a discutere. «Il suo silenzio a un appuntamento così importante», che rilancia «tutti i temi cari al suffragismo», induce a pensare che stesse vivendo una fase di ripensamento, se non di delusione, della sua appassionata militanza femminista123. O forse l’esperimento con i piccoli di San Lorenzo le fa intravedere nuove strade per cambiare la mentalità dei suoi simili: comincia a rendersi conto di essere alle soglie di un altro mutamento di pensieri e di vita.


Il percorso di Maria a favore delle donne è un aspetto della sua eclettica personalità, spesso trascurato, perché sostanzialmente ignorato dalla maggior parte dei suoi biografi124 e dai seguaci del suo metodo. È vero che il suo femminismo, specie sui impegnativi e controversi temi politici, può essere considerato di più modesta incidenza se confrontato con le agguerrite posizioni delle donne socialiste. Certo fu di durata limitata, interessando solo il periodo compreso tra il 1895 e il 1908. Eppure, anche in quella decina d’anni o poco più, Maria mise a disposizione degli ideali femministi le proprie risorse intellettuali e il suo impegno appassionato.


È dunque curioso che nel movimento pedagogico creatosi successivamente attorno al suo nome si sia a lungo taciuto questa fugace stagione femminista. Lei per prima vi non accennò mai, forse perché la giudicava di secondaria importanza rispetto alla sua missione educativa o perché preferiva non ricordare anni spesi in un sincero ma infruttuoso impegno. D’altronde raramente parlava di sé agli allievi.


Si può avanzare l’ipotesi che questo silenzio sia piuttosto da ricondurre a un tacito disegno di riscrivere in termini più convenzionali e borghesi il profilo biografico della scienziata e che esso abbia a che vedere con quell’ambigua aura melensa di cui la Montessori fu circonfusa, soprattutto a partire dagli anni Quaranta. Certamente non rappresentava in alcun modo la sua spiccata personalità umana e scientifica il lezioso vezzeggiativo di “Mammolina”, appellativo usato nell’infanzia dal maggiore dei nipoti maschi di Maria125 e poi adottato familiarmente dalla cerchia degli intimi, soprattutto americani. Lei stessa finirà per firmarsi così nelle lettere agli amici e agli allievi più vicini126. Quanto era rimasto dell’indole fiera e battagliera, dell’intrepido ardore degli anni giovanili, nella figura protettiva e rassicurante di questa donna ormai anziana che aveva lasciato che promettenti allievi si trasformassero gradualmente in docili figli spirituali?

Maria Montessori, una storia attuale
Maria Montessori, una storia attuale
Grazia Honegger Fresco
La vita, il pensiero, le testimonianze.Una biografia giunta alla terza edizione che accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. Maria Montessori fu certo una donna straordinaria, in grado di sucitare gli entusiasmi più accesi e le condanne più ostili.Ancora oggi il suo pensiero e le sue scoperte provocano reazioni contrastanti. La biografia Maria Montessori, una storia attuale esamina tutte le fasi della sua vita: dai primi anni della formazione, contraddistinti dal fatto di essere una delle prime donne medico in Italia, alla vicenda infelice della maternità celata. Dalle battaglie femministe, che radicano in lei una nuova sensibilità di giustizia sociale, alla dedizione verso i bambini meno fortunati, fino alla sua rivoluzionaria idea pedagogica, fondata sulla promozione delle competenze e della libertà del bambino, dall’infanzia all’adolescenza. Questa terza edizione di Grazia Honegger Fresco accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. “Maria Montessori, una storia attuale” è la migliore biografia di Maria Montessori che conosco, certo in Italia, ma forse anche nel mondo, assolutamente dello stesso valore di quella storica di Rita Kramer. Grazia Honegger Fresco è una montessoriana nel cuore e nell’anima, dotata di una profonda conoscenza della vita e dell’opera di Maria Montessori, e il suo libro non è una scialba riproposizione di notizie già note, né un’agiografia. L’Autrice ha fatto ricerche molto approfondite in Italia e all’estero, consultando documenti originali e privati di Maria Montessori e della sua famiglia, e ascoltando coloro che hanno conosciuto Maria intimamente. Il risultato è questo capolavoro del tutto originale.Carolina Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.