Il ragazzino, chiamato Victor, fu condotto a Parigi e affidato a Itard che dirigeva l’Istituto dei sordomuti. Per lui fu una grande occasione e l’inizio di uno studio appassionante. Se ne occupò a fondo e raccontò tutta la vicenda in un libro del 1801, De l’éducation d’un homme sauvage, resoconto accurato dei tentativi intrapresi per risvegliare l’infelice ragazzo, cosa che gli riuscì solo in minima parte. Victor morirà nel 1828. Itard si spense dieci anni dopo tra «le filiali cure» del suo allievo Séguin81.
Nel 1899 il libro di Itard si trova ancora nelle librerie parigine. Maria l’acquista trovandovi molte risposte a dubbi suoi e dei colleghi romani: i bambini “minorati mentali” sono rieducabili e molto si può fare per loro, a partire da una sistematica attenzione ai loro sensi, porte d’ingresso alla consapevolezza di sé e alla comprensione del mondo. In seguito, lavorando sulla scia dei due medici francesi, la Montessori sentirà sempre per loro un forte debito di gratitudine. E molti anni dopo, nell’esaminare lo sviluppo del linguaggio, riprenderà le osservazioni di Itard su Victor.
Tornata a Roma, inizia le sue sperimentazioni. In base alle indicazioni contenute nei testi di Itard e di Séguin fa costruire “un ricchissimo materiale didattico”, lo stesso che non aveva potuto vedere in uso in nessun istituto (tutt’al più esposto in vetrine a mo’ di museo), “un mezzo meraviglioso in mano di chi sapeva usarlo”. Alla fine di dicembre dello stesso anno una cinquantina di bambini vengono trasferiti dal manicomio romano all’Istituto medico-pedagogico aperto dalla Lega al numero 50 di via dei Volsci, nel quartiere di San Lorenzo. Qui viene organizzata una classe e Maria comincia il suo nuovo lavoro.
Rimasi due anni a preparare, con l’aiuto di colleghi, i maestri di Roma ai metodi speciali di osservazione e di educazione dei fanciulli frenastenici […], ma ciò che più importa, dopo essere stata a Londra e a Parigi a studiare praticamente l’educazione dei deficienti, mi misi a insegnare io stessa ai bambini e a dirigere l’opera delle educatrici. Più che una maestra elementare, senza turni di sorta ero presente o insegnavo direttamente ai bambini dalle otto di mattina alle sette di sera: questi due anni di pratica sono il mio primo e vero titolo in fatto di pedagogia82.
Di giorno sta con i bambini, la sera torna a essere la studiosa che prende nota, classifica e raggruppa le osservazioni realizzate. Finalmente, dopo tanti sforzi dall’esito incerto, una sorta di miracolo: uno dei bambini ritardati supera l’esame di scuola elementare83 con maggiore facilità e voti migliori rispetto ai bambini normali; poi un altro e un altro ancora84. Più tardi in molti si chiederanno se fossero “veri” deficienti: può anche darsi che fossero semplicemente “tardivi”, che il loro ritardo fosse, cioè, meno grave, ma in ogni caso erano considerati non recuperabili perché lenti, incapaci di attenzione continua, gravati da pesanti difficoltà di apprendimento, aggravate da condizioni ambientali assolutamente sfavorevoli. Anche la relazione personale che Maria stabiliva con ciascuno di loro – oggi sappiamo quanto questo elemento sia importante – può avere contribuito a quel prodigioso risultato. Bollea ha dichiarato:
In quei due anni di lavoro intenso lei acquista il suo vero titolo di pedagogista guadagnato sul campo. Ciascuno di noi possiede una tendenza speciale, una vocazione latente e per lei fu questa, di insegnare ai bambini e agli adulti, al punto che si iscrisse a filosofia, pur senza laurearsi. Séguin nel 1846 aveva scritto: «Questo è un metodo in cui il processo educativo utilizza i fenomeni fisiologici e psichici che in futuro saranno la base per l’educazione non solo dei bambini “idioti”, ma anche dei normali» e lei, dopo l’esperienza di via dei Volsci, approfondirà proprio questo punto. Costruì e usò tutto il materiale di Séguin, vi aggiunse anche suoi materiali per la scrittura e la lettura di cui andava fiera, ma al tempo stesso scoprì che sì, il mezzo serve, ma è l’apporto dell’adulto il fatto decisivo, il suo darsi, creando un rapporto empatico, come insegno anch’io ai miei specializzandi85.
Visti gli esiti straordinari, superiori a ogni aspettativa, e constatato il loro ripetersi anche altrove seguendo la stessa metodologia86, i responsabili della Lega con il sostegno del ministro dell’Istruzione Baccelli si preoccupano di diffondere maggiormente le nuove conoscenze acquisite. Nell’aprile del 1900 avviano a Roma, sotto la direzione di Bonfigli, la Scuola Magistrale Ortofrenica – ulteriore risposta all’immobilismo del Governo – allo scopo di preparare i futuri maestri dei frenastenici. Maria, già incaricata di svolgere lezioni di pedagogia speciale nelle tre scuole normali di Roma (gli istituti magistrali di allora), la gestirà insieme a Montesano per due anni o poco più. I corsi principali sui temi della fisiologia, della psicologia e sulla conoscenza delle apparecchiature allora considerate necessarie per le anamnesi sono svolti da loro, mentre altri li aiutavano gratuitamente in corsi di musica, di linguaggio e di ginnastica. La sede si trova in un edificio già appartenuto a una congregazione religiosa femminile in via Cavallini, poco lontano dalla centralissima piazza Cavour. Nel 1901-1902 vi insegneranno anche Sciamanna, Mingazzini (anatomista del cervello) e Giuseppe Sergi87.
Qui Maria avrà modo di ampliare le sue esperienze con gli allievi maestri grazie alla loro carica esplorativa, creativa e in certo senso spirituale. Intanto si va appassionando all’antropologia, vista allora come scienza che “misura” l’essere umano in ogni modo possibile. Attenta agli aspetti sociali, al tempo stesso questa giovane studiosa si applica con umiltà alla scoperta della ricchezza valoriale dei singoli bambini e all’ascolto delle loro domande nascoste. Nessuno prima di lei l’aveva fatto.