capitolo 3

Gli studi universitari

Maria, come si è detto, manifesta propensione per le materie letterarie e per la scrittura ma intraprende un corso di studi scientifici. Non proviene da un percorso di studi umanistici e pertanto la scelta della facoltà universitaria risulta necessariamente ristretta a quelle alle quali può avere accesso. Secondo un racconto dal sapore agiografico, rimasto però privo di conferme, la sua decisione di studiare medicina e le difficoltà avanzate dal ministro Guido Baccelli20 per la sua iscrizione in quanto donna avrebbe suscitato non pochi contrasti in famiglia.


È possibile che i genitori considerassero temeraria la scelta di questo corso di studi. Forse, come ogni padre del suo tempo, Alessandro aveva desiderato che la figlia avesse una buona istruzione, ma in vista di un futuro diverso, immaginato all’interno di un focolare domestico e consacrato ai lari familiari; oppure avrà giudicato inappropriato per una ragazza, per di più assai graziosa, un ambiente ancora rigorosamente maschile. Eppure non sembra avesse sollevato obiezioni quando, a sedici anni, aveva voluto frequentare il “Leonardo da Vinci”, anch’esso una scuola maschile. In quel caso il padre potrebbe aver assecondato la scelta di studi tecnici – anziché del liceo, magari considerato più difficile o costoso – con la speranza di poterla presto vedere inserita nel mondo del lavoro21.


Dalle note di Alessandro si apprende che anche l’iscrizione al Magistero femminile le era stata preclusa a motivo del suo diploma tecnico. La scelta del biennio di scienze fisiche e naturali era stata quindi in un certo senso obbligata. Iscriversi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia a quei tempi era consentito soltanto a coloro che avevano fatto studi classici, essendo ritenuta indispensabile la conoscenza del greco e del latino.


Nello specifico caso di Maria fu Baccelli a sanare l’irregolarità riconoscendo valida, dopo le iniziali titubanze, la licenza del biennio di scienze, così da consentirle l’iscrizione al terzo anno di Medicina con delibera del Senato Accademico del 21.I.1893. Il Ministero della Pubblica Istruzione ratificò la delibera il 9 febbraio dello stesso anno22. Agli inizi del percorso di studi gli esami erano in effetti gli stessi23: botanica, zoologia, fisica sperimentale, istologia, fisiologia generale, anatomia comparata, chimica organica. Maria li superò con una media del ventisette e completò gli studi sostenendo gli ultimi nell’anno accademico ’85-’86.


Le poche notizie certe, ridimensionando gli aspetti romanzati intorno alla sua figura di studentessa ostinata e ribelle le lotte femministe cominceranno qualche anno più tardi testimoniano comunque il suo crescente interesse per gli studi scientifici e medici, all’epoca più semplici rispetto a oggi, ma non meno impegnativi, specialmente riguardo alle esperienze di laboratorio o all’allenamento in semeiotica24. Neppure è da sottovalutare la difficile esperienza di ritrovarsi, unica donna, in mezzo a tanti uomini, professori e compagni di studi, in un’epoca puritana e formale. Una sfida, questa, tra le prime della sua vita, che Maria non esita a sostenere con notevole coraggio, malgrado il forte isolamento.

Del peso di tali emozioni ha lasciato lei stessa testimonianza in alcune lettere e in un piccolo quaderno di appunti datato maggio 1891 oggi custodito nell’Archivio M. Montessori presso l’AMI e già pubblicato anni addietro25. Dopo aver annotato il disagio provato durante le lezioni di anatomia, ascoltate «all’uscio» da dove però non sente nulla, racconta di essere andata dall’insegnante, il professor Giuliani, per chiedergli


un libro illustrato. Cominciò a spiegarmi su quel libro e sul più bello disse: «Lei qui non può capire niente. Le figure servono quando si è già studiato sul cadavere». Mi disse poi, non con quella gentilezza dell’altra volta, che s’io ho soggezione di certe cose, se non mi faccio coraggio e non dimentico d’essere donna, non farò nulla: «Che vada alle lezioni come gli altri, che stia alle spiegazioni sul cadavere». Sentii una grande disillusione: ero dunque caduta in disgrazia? Risposi: «È quasi ridicolo stare “appoggiata” agli studenti e seduta in mezzo alla platea dove scrivo sulle ginocchia […]. Dal momento che mi dice così, anderò [sic] a tutte le lezioni – una volta entrata dovrò pur rimanere a sentire ciò che il professore dice. Soffrirò molto, di più non potrò. Volevo evitarmi una sofferenza ma non importa […]. Forse, anzi certo; vincerò. Altrimenti capisco di dare troppo incomodo».

La risposta del professore è netta e incoraggiante:


Le cose alle quali accenna sono pregiudizi della società. Con la volontà che dice di avere, se ne sappia emancipare. Lo scopo pel quale ella sente e vede certe cose, è nobile: dunque si imporrà a chi la circonda e non le sarà mancato di rispetto. Del resto siamo fatti tutti eguali, questo si deve mettere in mente e sopra il cadavere lei è come gli altri. Quel cadavere non è più una persona – lo fu: ora diventa un oggetto, l’oggetto del nostro studio che ci serve per conoscere e soccorrere il vivo.


Così Giuliani, con il sigaro in bocca per attutire l’odore – per di più è una giornata calda – la conduce nella sala incisoria. Dopo la penosa esperienza, si lavano alla fontana prima con sapone ordinario, poi con saponette profumate.


Ci lavammo due volte. Nel condurmi alla fontana il professore mi passò un braccio intorno alla vita quasi per sostenermi o per farmi capire che non ero sola. Ma io, sospettosa, gentilmente mi divincolai senza offenderlo. C’era presente il servo. Lavandomi chiesi al professore, del quale finalmente riconoscevo la paterna bontà, dopo quanto tempo ci si abitua a mangiare il giorno che si è toccato un cadavere di quel genere. «Subito» mi rispose. Io sorrisi credendo che avesse detto una spiritosità.


Il professore, invece, manda il bidello a comprare alcune paste. «È bene che mangi subito, se no oggi non mangia più e la debolezza di stomaco le impedirà di mangiare anche domani» dice. Mentre sono in attesa nella grande sala incisoria, Giuliani le chiede se ha intenzione di dedicarsi all’ostetricia. «Gli risposi di sì, arrossendo tutta confusa. “Allora potrà stare nell’ospedale a suo agio perché ci sono le levatrici”. Io lo guardai: quando mi si parla di medicina, mi par di sognare – anche tutta la scena che era succeduta mi pareva un sogno».


Grata al professore che, «buon medico dell’anima», ha cancellato le brutte impressioni precedenti, torna a casa rinfrancata concludendo: «Non ero minimamente turbata. È una forza che mi viene miracolosamente».


Dalle righe di questa preziosa testimonianza – una delle pochissime che fanno luce sui suoi sentimenti reconditi – si coglie tutto il disagio di trovarsi con la fragilità dei vent’anni di fronte alla scabrosità della morte. Essa è avvertita non solo nell’abbandono delle convenzioni dettate da quel pudore che accompagna la relazione ordinaria tra individui, ma anche nella desacralizzazione del corpo, divenuto inerte oggetto di studio. In un ambiente estraneo, per certi versi a lei ostile, segnato da rapporti a tratti ruvidi, Maria impara a vincere il suo riserbo e a far prevalere la ferma volontà di superare le difficoltà, caratteristica questa che l’accompagnerà sempre.

Le prime donne medico

Che sia stata lei la prima donna medico in Italia – affermazione di frequente ripetuta – è inesatto. Di certo fu l’unica a Roma in quegli stessi anni. Nel maggio del 1893 alcuni giornali romani la notano confusa tra i tanti allievi intervenuti alle esequie del celebre fisiologo olandese Jacob Moleschott, docente prima a Torino e poi a Roma26. Ovviamente quella presenza appare un particolare curioso degno di essere riportato.


La prima donna a laurearsi in Medicina e Chirurgia dopo l’Unità d’Italia era stata, nel 1877, a Firenze, Ernestina Paper27; la seconda, Maria Farné Velleda l’anno successivo a Torino28. A Roma si laurearono Edvige Benigni nel 1890 e Marcellina Corio Viola nel 1894. Fino al 1896, anno di laurea della Montessori, le laureate in Italia in vari ambiti disciplinari furono in tutto sedici contro migliaia di uomini29.


Frattanto nel 1886 si era laureata a Napoli la russa Anna Kuliscioff, soprannominata la “dottora dei poveri”. Nata forse in Crimea, a Simferopoli, allieva e collaboratrice a Pavia del grande scienziato Camillo Golgi, Premio Nobel per la Medicina nel 1906, si specializzò in ginecologia e con la sua tesi diede un contributo determinante alla terapia della febbre puerperale. Coerente con la sua fede emancipazionista e socialista, tenne aperto per anni a Milano un ambulatorio gratuito per le donne.

Alla fine dell’Ottocento non mancano, anche all’estero, storie di affermazione professionale e accademica al femminile altrettanto significative. Nel 1892 la polacca Maria Skłodowska era entrata senza ostacoli a La Sorbona di Parigi per studiare fisica. Nata a Varsavia nel 1867, avrebbe incontrato nel 1894 il futuro marito Pierre Curie e realizzato con lui la scoperta del radio che nel 1903 fruttò alla coppia e al fisico Antoine Henri Becquerel il Premio Nobel per la fisica, da pochi anni istituito. Ne riceverà poi un secondo per la chimica nel 1911. La feconda collaborazione dei coniugi Curie si concluse tragicamente con la morte di Pierre, vittima nel 1906 di un incidente stradale. Quello stesso anno Marie gli succederà nella cattedra Fisica generale a La Sorbona. Sarà la prima donna chiamata a ricoprire un insegnamento in quell’ateneo.

Significativa è anche la vicenda della tedesca Anna Fraentzel. Figlia e nipote di due famosi clinici tedeschi, a causa delle ristrettezze economiche sopravvenute alla morte del padre non aveva potuto iscriversi alla Facoltà di Medicina di Berlino che pure avrebbe fortemente desiderato frequentare. Una zia materna, la scienziata e militante femminista Margarethe Traube, dopo essersi trasferita in Italia, si era laureata con lode in Scienze Naturali all’Università di Roma nel 1883 lavorando per la sua tesi nel Gabinetto di anatomia umana di Francesco Todaro. Allieva prediletta del fisiologo olandese Jacob Moleschott, pose la nipote in contatto con l’igienista e specialista di malattie tropicali Angelo Celli che assicurò alla giovane donna l’opportunità di diventare infermiera. Anna si trasferì, così, a Roma e in seguito, malgrado la differenza d’età, lo sposò. Introdotta dal marito nell’Istituto di Anatomia patologica dell’Ospedale Santo Spirito, lavorò con lui nel campo della profilassi contro la malaria30 e con Giovanni Cena e Sibilla Aleramo si adoperò per l’alfabetizzazione e dei pastori dell’Agro romano e dei poveri della Capitale. Dopo la morte di Celli, sopraggiunta nel 1914, ne continuerà l’opera e ne manterrà viva la memoria.


Come si vede, altre donne, prima di Maria, avevano avuto accesso alla professione medica combattendo una strenua battaglia per se stesse e per quante sarebbero venute in seguito. Nonostante ciò il dibattito sull’opportunità di una scelta che richiedeva un diretto contatto con il corpo umano e che da sempre era stata di esclusiva pertinenza maschile era tutt’altro che sopito.


In un’intervista concessa durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti e apparsa sul “The Globe” di New York il 3 dicembre 1913 la Montessori afferma di essersi addirittura rivolta a papa Leone XIII che le avrebbe detto essere la medicina un nobile ufficio per la donna, troncando in tal modo ogni altra pretestuosa opposizione negli ambienti cattolici31. Che le cose siano andate esattamente così, con buona pace della Dottoressa, è lecito avanzare qualche legittimo dubbio. Per non escludere del tutto che l’episodio contenga qualche fondamento storico si può ipotizzare che la giovane aspirante medico, avvilita dalle resistenze incontrate, abbia indirizzato al Pontefice una lettera ricevendone effettivamente attraverso la sua segreteria un parere favorevole e un incoraggiamento.


Comunque sia, Maria si dedica allo studio della medicina con serietà e metodo, interessandosi in particolare alle ricerche di laboratorio che la allenano alla massima precisione e a una attenta osservazione. Incontra docenti del calibro del neuropatologo Giovanni Mingazzini, dell’anatomopatologo Francesco Todaro, di Michele Giuliani, del già citato fisiologo Jacob Moleschott che attira l’attenzione degli studenti sulla pessima qualità di vita e di salute delle classi povere. E ancora Ettore Marchiafava, Giulio Bizzozero, il pediatra Luigi Concetti, il chirurgo Ettore Pasquali, lo psichiatra Bonfigli e, non ultimo, il futuro ministro Baccelli. Si tratta di docenti con seri interessi di medicina sociale che non mancheranno di lasciare un segno permanente nella formazione della Montessori32. Oltre ai corsi di batteriologia e microscopia, chimica, zootecnia, ingegneria sanitaria, segue quello di igiene sperimentale tenuto da Angelo Celli. Studia pediatria all’Ospedale dei Bambini, le malattie delle donne nei reparti femminili del “San Giovanni in Laterano” e quelle degli uomini a “Santo Spirito in Sassia”, due grandi ospedali attivi ancora oggi.

Il “Santo Spirito” era allora un grande complesso a pianta triangolare tra Borgo Santo Spirito e il Lungotevere in Sassia, sull’ansa del fiume dopo Castel Sant’Angelo. Dalla strada si poteva intravedere ancora nel 1950 una delle enormi corsie al piano terra con i malati avvolti nei loro camicioni. In mezzo a loro si muovevano svelte le suore “cappellone”, ovvero le Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, dai bianchi veli inamidati che svettavano tesi come ali aperte sopra la loro testa facendo contrasto con il lungo abito azzurro stretto in vita. Agli inizi di Borgo Santo Spirito, che ha sul lato sinistro la parte posteriore dell’ospedale, si trovava la cosiddetta “ruota” in legno, dove si potevano lasciare in modo anonimo i neonati illegittimi. La ruota c’è ancora.

Una studentessa piena di interessi

Sulle numerose difficoltà incontrate hanno la meglio l’impegno costante, la fede indefettibile e la brillante intelligenza di Maria. Al quarto anno ottiene un premio di mille lire dalla Fondazione Rolli per un lavoro in patologia generale33. Nel 1895 il padre registra nelle sue note che «in concorso con studenti di sesto anno e laureati ottiene il posto di “aggiunto di medicina”» degli ospedali, con il diritto di entrare nella Società Lancisiana «riservata ai professori e dottori degli ospedali di Roma».


Nel portare avanti la sua battaglia personale contro i pregiudizi maschili è sostenuta da un’evidente volontà di affermarsi e da doti di solidità, perseveranza, intuizione; il suo curriculum risulta eccellente soprattutto in materie che saranno alla base delle sue scelte successive: igiene, psichiatria, pediatria.


Nel tempo che precede la laurea i suoi impegni di studio si orientano sempre più verso ricerche di tipo sperimentale in laboratorio e di osservazione nelle desolate sale dell’ospedale psichiatrico provinciale di “Santa Maria della Pietà” a Monte Mario. L’ospedale è diretto da Clodomiro Bonfigli che nel 1894-95 è anche docente presso la Regia Clinica Psichiatrica dell’Università. Maria fa appena in tempo a seguirne le lezioni perché l’anno seguente, eletto deputato per il collegio di Camerino, Bonfigli rinuncia al lavoro in facoltà. Come molti altri illustri clinici che hanno compiuto la medesima scelta, egli agisce, più che per ambizione personale, con la speranza di porre un rimedio alla tragica situazione della sanità pubblica nell’Italia postunitaria. Da lui la giovane studentessa sente parlare di responsabilità sociale e di politiche mirate a risanare le condizioni di miseria in cui una larga fetta della popolazione è immersa, ma anche dei rapporti tra fattori sociali, alienazione ed educazione infantile. Si tratta di un tema che sta particolarmente a cuore caro a Bonfigli il quale, in pieno contrasto con Cesare Lombroso, riconosciuta autorità in quell’epoca, non considera la malattia mentale come una mera fatalità, ma come il possibile prodotto di un ambiente depresso sotto vari punti di vista. Al di là della plausibilità scientifica di tale posizione, importa cogliere i mutamenti di pensiero che rivelano la rapida diffusione di nuovi ideali di giustizia sociale.


Quando Bonfigli entra in Parlamento, Ezio Sciamanna lo sostituisce sulla cattedra di Clinica Psichiatrica; con lui Maria discuterà la tesi. Mentre la prepara, si appassiona alle lezioni di antropologia umana tenute da Giuseppe Sergi e intanto partecipa assieme ad alcuni colleghi di corso – Sante De Sanctis34 e Giuseppe Ferruccio Montesano35 – a ricerche sulle malattie mentali.


Tra i ricoverati del Manicomio di Roma, «per gentile concessione del signor Direttore e dei signori medici primari», la Montessori segue nove casi. Si tratta di uomini e donne affetti da «allucinazioni antagoniste»: talune sono di tipo uditivo, con voci rassicuranti che si alternano a voci minacciose; altre di tipo visivo, ma di carattere egualmente antagonistico (santi e diavoli, individui vestiti di nero e di bianco). In entrambi i tipi tali sintomi inducono, in modi diversi, comportamenti deliranti di persecuzione e stati confusionali di vario genere.


La tesi che discuterà il 10 luglio 1896 è a carattere marcatamente sperimentale: quasi cento pagine scritte a mano che portano il titolo di Contributo clinico allo studio delle allucinazioni a contenuto antagonistico e che De Sanctis includerà in una relazione presentata a Firenze nell’ottobre successivo al IX Congresso della Società Freniatrica. Maria non vi partecipa, dato l’ambiente rigorosamente maschile, ma il lavoro uscirà con i nomi di entrambi nel 1897.


Consegue infine il diploma con la votazione di 104 su 110 e ciò malgrado l’ottima tesi36. Subito dopo la laurea pubblica altre due comunicazioni scientifiche: una, sempre nel 1896, Sul significato dei cristalli del Leyden nell’asma bronchiale37; l’altra, intitolata Ricerche batteriologiche sul liquido cefalo-rachidiano dei dementi paralitici38, è del 1897 ed è preparata in collaborazione con Montesano con cui già da tempo lavora nell’Istituto di Igiene diretto da Celli.


Maria dimostra una grande abilità in laboratorio al punto che, come annotato nel manoscritto di Alessandro Montessori, «alcuni professori le consigliano di andare dal marzo 1897 a un corso di perfezionamento a Berlino con il prof. Roberto Koch»39. Proseguire gli studi con un docente di tale fama non è cosa da poco.

Molti anni prima nel 1876 per l’esattezza Alessandro era venuto a sapere che un certo Carlo Montessori di Modena aveva disposto nel suo testamento l’istituzione di un’opera di beneficenza «per l’educazione e istruzione dei figli di famiglie del suo stesso cognome, discendenti dal suo ramo». Pensando al futuro di Maria, aveva cercato informazioni in merito, ma poi temendo che gli chiedessero di metterla in un collegio – aveva rinunziato, non sopportando l’idea di separarsi dalla figlia. A distanza di vent’anni, di fronte alla proposta di un soggiorno di studio a Berlino, per il quale, ormai pensionato, non è in grado di fornire il supporto economico necessario, gli torna in mente quella possibilità. Compila così una richiesta di aiuto economico una tantum agli avvocati dell’opera istituita da Carlo Montessori, nella quale parla con orgoglio della figlia: «La fanciulla di allora si è fatta donna e donna non comune». Ne descrive il corso di studi fino alla laurea e alle recenti comunicazioni scientifiche e conclude riportando le notizie di carattere genealogico già ricordate nel capitolo precedente.


Il testo che ci è pervenuto è solo una bozza di lettera, una brutta copia. Non sappiamo se l’abbia mai inviata. In ogni caso, il progetto del soggiorno a Berlino non avrà seguito. Maria alla fine non intraprese la strada della ricerca batteriologica, ma l’altra, altrettanto complessa, dell’esplorazione della salute mentale, sia per l’interesse nato in lei dalle osservazioni in manicomio, sia per l’intesa intellettuale ormai stabilitasi con i suoi colleghi di lavoro.


Il documento è comunque interessante perché permette di cogliere le condizioni della famiglia e, al tempo stesso, la stima, l’ammirazione, l’affetto del padre nei confronti della figlia. Alessandro ha intuito che si schiude davanti alla figlia la possibilità di una carriera costellata di successi ed è disposto a mandarla in Germania, anche per un periodo non breve e addirittura prodigandosi per procurarle i mezzi necessari, pur di favorirne la crescita professionale.

Un’epoca di grandi maestri nella facoltà di medicina

Oltre al solido bagaglio di nozioni indispensabili per l’esercizio della sua attività medica, da tutti i docenti che ebbe modo di conoscere e di frequentare – e soprattutto da Giuseppe Sergi – Maria ricavò la concreta percezione dell’avvicinamento della medicina ai grandi temi sociali come conseguenza del pensiero positivista. In futuro la sorte dei più svantaggiati non sarebbe stata più passivamente subita come qualcosa di doloroso e immutabile, ma casomai affrontata come una poderosa sfida per la creazione di una società più equa e solidale. Malattie considerate endemiche e spesso mortali nell’infanzia, oltre al rachitismo, la pellagra e ai terribili eczemi, venivano adesso approcciate nella nuova prospettiva del risanamento igienico, così vivamente sostenuto da Angelo Celli che aveva fondato nel 1890 la Società di Igiene e Malattie Tropicali e a Trastevere “La Scarpetta”, un ambulatorio gratuito per insegnare le essenziali cure igieniche ai genitori più poveri. Sue assistenti volontarie erano giovani donne libere da impegni familiari e guidate da Anna Fraentzel. Sembra che tra loro abbia lavorato per un certo tempo anche la giovane Maria. La medicina sarebbe stata, dunque, per lei il superiore compimento di tante battaglie combattute per l’emancipazione della donna e in favore dei più piccoli e degli individui socialmente più deboli ed emarginati. In questo senso l’incontro con Sergi, che vedeva l’antropologia come una scienza tra natura e cultura, le fornirà un poderoso stimolo per ribaltare l’inveterato modello dell’adulto che domina il bambino e teorizzare, invece, una formula educativa che ponesse il primo al servizio di una sana crescita umana e spirituale del secondo.

Maria Montessori, una storia attuale
Maria Montessori, una storia attuale
Grazia Honegger Fresco
La vita, il pensiero, le testimonianze.Una biografia giunta alla terza edizione che accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. Maria Montessori fu certo una donna straordinaria, in grado di sucitare gli entusiasmi più accesi e le condanne più ostili.Ancora oggi il suo pensiero e le sue scoperte provocano reazioni contrastanti. La biografia Maria Montessori, una storia attuale esamina tutte le fasi della sua vita: dai primi anni della formazione, contraddistinti dal fatto di essere una delle prime donne medico in Italia, alla vicenda infelice della maternità celata. Dalle battaglie femministe, che radicano in lei una nuova sensibilità di giustizia sociale, alla dedizione verso i bambini meno fortunati, fino alla sua rivoluzionaria idea pedagogica, fondata sulla promozione delle competenze e della libertà del bambino, dall’infanzia all’adolescenza. Questa terza edizione di Grazia Honegger Fresco accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. “Maria Montessori, una storia attuale” è la migliore biografia di Maria Montessori che conosco, certo in Italia, ma forse anche nel mondo, assolutamente dello stesso valore di quella storica di Rita Kramer. Grazia Honegger Fresco è una montessoriana nel cuore e nell’anima, dotata di una profonda conoscenza della vita e dell’opera di Maria Montessori, e il suo libro non è una scialba riproposizione di notizie già note, né un’agiografia. L’Autrice ha fatto ricerche molto approfondite in Italia e all’estero, consultando documenti originali e privati di Maria Montessori e della sua famiglia, e ascoltando coloro che hanno conosciuto Maria intimamente. Il risultato è questo capolavoro del tutto originale.Carolina Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.