3 - Servire non il bambino, ma il suo sviluppo (1931)
L’adulto nella scuola e nella famiglia, quando si occupa del bambino piccolo, [si sente in obbligo di] servirlo. Difatti che cosa potrebbe fare quel neonato, quel bambino di pochi mesi che non può muoversi, né stare in piedi e che – come tutti diciamo – è tanto debole? Dobbiamo servirlo, servire la sua debolezza, come se fosse un uomo paralizzato. Quando cresce e diventa forte, questo non è più necessario, eppure si continua a farlo: infatti viene corretto, istruito, guidato a ogni passo.
Noi diamo alla parola “servire” un altro significato: servire le energie organizzative della vita infantile, quelle più nascoste e non la parte visibile – la sua debolezza e piccolezza – servire [nel senso di assecondare] la forza creatrice presente nel bambino: dapprima non si vede, poi a poco a poco si organizza e diventa sempre più evidente agli occhi della madre, della maestra.
[Nei tempi passati] un bravo servitore era colui che rendeva facile la vita al suo signore, preparandogli tutto l’occorrente, senza servilismi né prendersi confidenze.
Così l’adulto che ha capito come servire le energie vitali del bambino: prepara per lui un ambiente su misura, cerca le risposte giuste ai suoi desideri e rispetta profondamente il suo corpo, i suoi gesti, la sua grazia. Tutti pensiamo che sia ovvio prendere [in braccio] un bambino piccolo, toccarlo, maneggiarlo. Chi si sente in colpa quando dice al bambino di sedersi e al tempo stesso lo tocca sulle spalle o lo spinge dalla testa? E chi si fa scrupolo di accarezzarlo solo perché è grazioso? Non parliamo del bacio, combattuto come un nemico: se l’igiene non avesse detto su questo la sua parola, la diremmo noi in modo ancora più energico, perché niente può offendere di più la dignità della persona di una confidenza non richiesta, né desiderata.
Si ha così poca considerazione del bambino che ci si crede in dovere di accarezzarlo e che sia suo dovere lasciarsi accarezzare e baciare. Una persona entra e dice: «Bel bambino, dammi un bacio», il piccolo si ritrae, ma la madre interviene: «Su, non essere sgarbato, non fare il timido».
Se una persona sconosciuta entrasse – bella o ripugnante, poco importa – e baciasse la madre, lei si sentirebbe offesa e reagirebbe sdegnata. E il bambino non ha lo stesso diritto, non deve avere una sua dignità e il riconoscimento di essa, in modo da venir rispettato? Ogni volta che il bambino mostra tenerezza e affetto all’avvicinarsi dell’adulto, questi gli corrisponderà con effusione ma senza insistere, senza prevaricare, mai dimenticando la distanza necessaria. Il rispetto che l’adulto deve al bambino, alla sua personalità come al suo corpo, va visto sia in senso quasi mistico – lo spirito che si va incarnando attraverso le esperienze – sia in senso fisico: rispondere con misura e non prendere mai l’iniziativa. E la maestra che cosa fa al bambino con le sue mani? Quante volte le usa impropriamente per affermare un ulteriore potere sul piccolo? Per rendersi conto di quanto spesso si cade in tale errore e per evitarlo in futuro, l’adulto dovrebbe segnare su un taccuino ogni volta che gli accade di sottolineare una frase di invito o di richiesta (“Mettiti a sedere”, “Vieni con me”, “Vai là”…) con un’azione sul corpo del bambino, spingendolo (anche gentilmente) o toccandolo.
Un altro passo nel giusto concetto di “servire” è quello di non intervenire, non interrompere quando il bambino agisce. Trattenersi dall’intervento diretto quando si vede il piccolo sbagliare è un altro passo difficile, tanto più che di solito le maestre sono allenate proprio al contrario, a condurre sempre il bambino, a interromperlo per correggerlo. Il bambino dal canto suo agisce con lentezza, senza prefiggersi un obiettivo e quindi è facile che l’adulto, impaziente, lo interrompa per sollecitarlo.
Immaginiamo un anziano che non possa camminare e debba dipendere da qualcuno che lo porta fuori su una sedia a rotelle. Se questi è gentile e lo rispetta, appaga le sue richieste. «Fermiamoci un po’ qui perché mi piace» oppure «Vorrei tornare a casa» e l’altro lo accontenta. Se invece questi lo conducesse dove vuole lui senza ascoltarlo minimamente, l’anziano si sentirebbe deluso e molto infelice.
Ebbene, questa è la condizione del bambino, portato in giro senza che nessuno ascolti i suoi desideri. Non li manifesta? Sappiamo che non è vero, persino nel primo anno. Uscendo con il bambino vediamo come goda di un luogo piuttosto che di un altro. Bisognerebbe condurlo nei luoghi verso i quali mostra il suo ancora muto entusiasmo, (forse punta il suo piccolo indice, come a dire: «Voglio andare là»). Questo è un modo per servire le energie del bambino.
Invece chi lo conduce fuori, senza farlo camminare, infilato in quella specie di carrettini, si preoccupa che il sole possa danneggiargli gli occhi e quindi tira su la capote. Privato di ogni visuale, il piccolo a poco a poco si addormenta e l’adulto, tutto contento, pensa: «Che cosa bella, non si potrebbe desiderare di meglio: ha mangiato, è ben nutrito, è all’aria buona e ora dorme. È l’ideale per il suo sviluppo!». Ma come possono svilupparsi le energie creative del bambino che vengono dal fare spontaneo e da un continuo, appassionato osservare, se lo facciamo sempre dormire e speriamo che dorma il più possibile?
Molti pensano che il bambino non sia in grado di scegliere, ma in realtà vediamo che, già piccolissimo, sa dirigersi verso ciò che lo interessa; altri ritengono che si debbano studiare le ragioni per cui sceglie proprio quelle cose, interpretarle per poter decidere che cosa sia opportuno dargli […]. Io stessa ho fatto cose del genere nella prima epoca, anch’io ero tra le persone che dicevano: «Studiamo il bambino, misuriamolo, troviamo che cosa fa, come sente», poi ho visto che ciò non porta alcun vantaggio pratico nell’educazione.
L’idea chiarissima e davvero utile è invece questa: far sì che il bambino possa spontaneamente scegliere le sue occupazioni, che vi permanga su più che può, che cambi occupazione quando crede, mentre il “servitore” – non suo, ma delle sue energie che è la maestra – tiene tutto in ordine, pronto ad accorrere se chiamato, a rispondere se cercato, pur restando al di fuori delle sue azioni, mettendosi di lato, senza mai interromperlo. Questo è un segreto di notevole progresso, di liberazione dello spirito infantile, troppo semplice per quelli che hanno la mente complicata dalle ubbie del passato o che, semplicemente, non possono rinunziare a comandare di continuo il bambino. È il concetto stesso di libertà: [realizzando questa modalità nelle nostre scuole] il bambino ha rivelato il suo modo di progredire nello sviluppo dal proprio interno; ci ha insegnato sue possibilità che non si erano mai manifestate e che dunque non conoscevamo.
Se una maestra interviene di continuo a dirigere il bambino, la personalità di lui si adatta, non si svolge liberamente perché è sempre influenzata da quella dell’adulto. Fino a che questi non comprende l’importanza del non intervento sulla personalità in via di sviluppo, essa rimane nascosta e non può rivelarsi.
In questo primo piano di costruzione agli inizi della vita è indispensabile al bambino poter fare da sé la maggior parte delle azioni che riguardano la sua persona: lo rivela protestando vivamente se qualcuno lo aiuta. Questo si è notato ad esempio a proposito del volersi vestire da solo: dapprima piange se aiutato, ma poi, vestitosi da sé, sia pure in modo imperfetto, accetta senza più protestare l’aiuto dell’adulto, come se, avendo già provato a vestirsi da solo, abbia soddisfatto un bisogno profondo e questo lo abbia messo in grado di accettare l’aiuto. Lo stesso fenomeno si è osservato in bambini del primo anno o quasi: vogliono mangiare da soli, ma non trovano bene la bocca e fanno cadere molto cibo; dopo varie prove sembrano soddisfatti e accettano senza proteste – a differenza di prima – che un adulto li imbocchi. Quindi l’adulto che ha capito il valore di questi assaggi di indipendenza, primo passo nell’espansione della persona, li favorisce: si mostra paziente e rimanda di poco il proprio intervento. Sa anche che il bambino a poco a poco perfeziona da sé il controllo dei movimenti.
Un altro fenomeno interessante è la concentrazione che il bambino manifesta nelle occupazioni da lui scelte spontaneamente, e corrispondenti al suo bisogno di attività, a patto di non venire interrotto. Il fenomeno della concentrazione ha guidato fin dal principio la costruzione di questo metodo (se può chiamarsi, questo, un metodo). La concentrazione avviene con un oggetto, un materiale, non su una persona. […] Un materiale interessa il bambino in quanto si presta a una certa attività, a un movimento, a uno spostamento di oggetti. La ripetizione dei gesti lo trattiene al punto da ricominciare sempre daccapo lo stesso movimento.