capitolo 19

Alcuni scritti di Maria Montessori

Si propongono a seguire alcuni brevi testi montessoriani poco noti. Il primo è un brano tratto dal quinto capitolo dell’Antropologia Pedagogica445, il secondo, il terzo sono conferenze che, durante i corsi nazionali e internazionali tenuti dalla Dottoressa, venivano stenografate e distribuite agli allievi. Il quarto è costituito da appunti vergati nel 1947 per Adele Costa Gnocchi quali linee-guida all’osservazione e alle cure del neonato. Queste idee sono state alle origini della Scuola AIM e del CNM di Roma. Dal Fondo “Giuliana Sorge” abbiamo selezionato la 18° Conferenza del XV Corso internazionale (Roma, gennaio-giugno 1930) e la 10° Conferenza del XVI Corso internazionale, (Roma, gennaio-giugno 1931). Tali testi conservano la freschezza e il tono originale, ma anche le inevitabili ripetizioni del parlato rispetto allo scritto.

Il sesto e il settimo testo sono due lettere inviate a Giuliana Sorge, una delle sue collaboratrici più strette. Nella prima esprime alcune riflessioni in merito alla possibile assegnazione del Nobel; nella seconda espone una sua lunga riflessione sul tema dell’esattezza indottale dalle difficoltà personali insorte dopo un’operazione a un occhio.


Per rendere più scorrevole la lettura si è preferito omettere alcune parti, pur nel più scrupoloso rispetto del senso originario. I titoli sono nostri.


A conclusione degli scritti di Maria, uno di suo figlio Mario, che risale al 1960, riguardo all’organizzazione dei corsi.

1 - La mano (1910)

[…] della mano gli scienziati hanno fatto oggetto di accurate considerazioni e dalla loro indagine risulta veramente come nella mano esistano caratteristiche individuali interessanti e, fino a un certo punto, anche rivelazioni del carattere.


Una parola scritta, una stretta di mano possono essere documento di studio individuale. La grafologia, per esempio, è collegata alla funzionalità ed ai caratteri della mano. Gina Lombroso ha fatto di recente studi sul significato della stretta di mano in rapporto al carattere: le persone orgogliose, quando danno la mano, sembra che vogliano scostare; l’avaro porge appena la punta delle dita; i timidi sembra che diano a palpare la loro mano fredda e umida; le persone leali fanno sentire tutta intiera la mano che palpa e stringe.

Nel gesto abbiamo l’impressione individuale del linguaggio. Cosicché tanto nella testa la creatrice come nella sua serva ubbidiente la mano – l’uomo rivela se stesso. “La main c’est le geste; le geste c’est la parole visible; la parole c’est l’âme; l’âme est l’homme; l’âme de l’homme est dans la main446.


Inoltre possiamo giudicare dalla mano se l’uomo è atto o no al lavoro ed è al lavoro che la mano deve la sua importanza umana; le prime tracce di umanità sulla terra non sono avanzi scheletrici, ma avanzi di lavoro, la pietra scheggiata. Tutta la storia dell’evoluzione sociale si potrebbe chiamare “storia della mano”.


Dire che la mano è serva dell’intelligenza è esprimere in modo troppo ristretto l’idea del vero; perché l’intelligenza si è nutrita e svolta dai [evoluta grazie ai] prodotti della mano, a poco a poco che l’opera di questa trasformava l’ambiente. Quindi la storia del nostro sviluppo intellettuale, come quella della nostra civiltà, si basano sull’opera creatrice che svolsero parallelamente la testa e la mano.


Anche negli asili infantili si fa cantare l’inno alla mano, che è l’inno al lavoro e al progresso: “la nostra mano a tutto è buona”.


Tutti gli atti solenni della vita vogliono il contributo e la sanzione della mano: si giura con la mano; il matrimonio si celebra unendo le mani degli sposi; per manifestare sentimenti d’amicizia o stabilire un patto, si stringe la mano.


La mano, nel linguaggio, diviene spesso un simbolo usato in molte frasi espressive che hanno significato sociale e morale: “Bada che non cada su di te la mano di Dio”; “Pilato se ne è lavato le mani”; “Mettersi nelle mani di qualcuno”; “Avere le mani bucate”; “Stare con le mani in mano” o “con le mani alla cintola”; “Una mano lava l’altra”; “Avere le mani in pasta”; “Mettere mano a qualche cosa”; “Dare un’ultima mano”; “Parlare con il cuore in mano”; “Toccare con mano”, ecc.


Questo significato alto e simbolico dato alla mano risale ai tempi biblici. Dice Salomone: “O Signore, tu hai messo nella mano destra la lunghezza dei giorni dell’uomo, nella sinistra le sue ricchezze e i suoi onori”447. E Mosè: “I comandamenti che io oggi vi dò, dovranno essere scolpiti nel vostro cuore. Voi li leggerete segnati nelle vostre mani”448.

2 - La preparazione dell’ambiente (1931)

L’ambiente che dobbiamo preparare è la base di tutto. Si tratta di costruire un ambiente per piccoli bambini, come l’adulto si costruisce la propria casa, non per faticare o per istruirsi, ma per viverci nel miglior modo possibile, limitando uno spazio intorno a sé. La casa infatti risponde a due bisogni: proteggersi dal resto del mondo insieme ad altre persone che si sentono vicine e riunire in questo luogo chiuso oggetti che facilitino la vita, che rispondano ai bisogni fisici come a quelli spirituali. Tanto più deve esserci qualcosa di simile per il bambino, che chiede il massimo di protezione dal mondo esterno e che è, insieme, l’essere umano veramente spirituale. E invece il bambino nei luoghi degli adulti si trova quasi sempre come un extrasociale perché niente è preparato per lui. Due esigenze esigono il contrario:

  1. trovare motivi di attività [a lui corrispondenti];
  2. avere un luogo calmo, pacifico dove agire secondo il proprio ritmo senza essere disturbati dal ritmo dell’adulto.


Quando si dice ambiente si intende anzitutto un edificio, poi le suppellettili e gli oggetti, che l’adulto si procura per rendersi piacevole la vita. È molto strano che noi adulti accumuliamo per le nostre esigenze un numero enorme di oggetti, mentre al bambino quasi non ne diamo. Ha ben poco di adatto, tanto meno esistono case fatte per i bambini, a meno che non si vogliano considerare tali le scuole. Queste però, riunendo bambini a centinaia o a migliaia, assumono l’aspetto di caserme, ospedali, carceri dove si rinchiudono insieme molti adulti per motivi diversi. Le scuole, queste case immense, sono come i grandi stabilimenti per gli adulti, tanto che vedendole ci si chiede se siano caserme oppure ospedali o forse scuole.


I bambini invece avrebbero bisogno di case proporzionate a loro e ben riconoscibili, al punto che, andando in giro, non sorgesse alcun dubbio [circa la loro destinazione]: quello è il luogo in cui c’è umanità al primo stadio, lo stadio costruttivo dell’essere umano. Potrebbero anche avere dentro duecento o trecento bambini, ma questo non dovrebbe impedire che le proporzioni delle varie parti fossero adattate a loro. Per esempio tutto dovrebbe essere più basso, finestre piccole, davanzali e scale a gradini bassi. Anche tutte le maniglie, i campanelli, [gli interruttori, i rubinetti] dovrebbero essere posti in basso, di modo che a prima vista risulterebbe che non è un luogo per adulti e ciò rivelerebbe il fatto che una parte dell’umanità è riconosciuta nei suoi diritti e che la società ha messo intelligenza e potere costruttivo anche a servizio del bambino. Allo stesso modo devono essere proporzionati gli oggetti. Mobilio e motivi di attività dovrebbero essere studiati minuziosamente, proporzionati perché il bambino possa utilizzarli direttamente. In famiglia trova da sé occasioni per agire, a maggior ragione qui. Dunque un ambiente di vita, semplice e complesso insieme, con tanti elementi diversissimi che proteggano le condizioni fisiche e quelle psichiche, […] dando ai bambini l’opportunità di scegliere liberamente. Quando scelgono, è l’Io che si muove e tutto l’ambiente si presenta come mezzo di sviluppo, come luogo che contiene un numero necessario e sufficiente di motivi di attività.


Il moto è alla base di tutto: non il muoversi secondo il comando del maestro, ma quello che dà all’Io motore la libertà di esplicarsi. Quando si dice “piccolo mobilio” [sedie e tavoli leggeri] esso deve essere in proporzione non solo al corpo del bambino, ma anche alla sua forza muscolare: gli oggetti avere un peso tale che possa trasportarli ovunque. Inoltre il loro uso deve essere direttamente comprensibile al grado mentale del bambino – di una semplicità corrispondente ai suoi bisogni – e ogni oggetto costituire un mezzo esterno per attivare le energie profonde dell’individuo. Se quando vuole aprire una credenza o tirare un cassetto, lo sportello è duro e il cassetto pesante, l’impulso a compiere un atto per lui importante si disperde nello sforzo inutile: l’oggetto diventa un ostacolo e l’impulso ad agire si esaurisce rapidamente.


Viceversa gli oggetti devono corrispondere al bambino in modo che per loro mezzo possa agire indipendentemente dall’aiuto, dal consiglio, dalla guida, dalla correzione: l’oggetto deve emanciparlo dall’adulto in tutti i sensi. Per questo abbiamo messo a disposizione oggetti fragili o che possano insudiciarsi facilmente, al rovescio di quanto si fa di solito. Si cerca sempre di dare oggetti indistruttibili e colori che possano nascondere le macchie. Noi invece preferiamo aiutarlo a vedere da sé i possibili sbagli, tanto da renderlo vigile, indipendente e sicuro nelle proprie azioni: di questo ha grandissimo bisogno per il suo sviluppo. Se l’adulto agisce sempre in vece del bambino, se interviene di continuo, se lo aiuta quando non è necessario, il piccolo si sviluppa come un parassita che si attacca a un altro essere più forte che lo guida e lo sostiene. Quindi la sua indipendenza è compromessa: crescerà come un’appendice della vita di un altro. La volontà, l’attenzione, la cura in ogni atto che rappresentano il lavoro dell’intelligenza e un perfezionamento delle azioni – lavorio di “incarnazione” dell’individuo – non possono avvenire se di mezzo c’è sempre l’adulto che dice al bambino come agire.


Quando invece il bambino agisce da solo e di propria iniziativa, sta attento a non rompere gli oggetti e in questa attenzione modera i movimenti, li perfeziona. Se vede una macchia scura, cerca di pulirla e di non farne un’altra. Si dirà che il piccolo bambino non ha un tale interesse e invece è proprio il contrario: ha in sé un potente impulso a perfezionarsi, a fare bene, ma deve poter trovare aiuto in oggetti adatti. Gli piace conservarli integri, vederli in ordine e puliti. Noi abbiamo notato tali cose e per questo abbiamo creato un ambiente ricco di motivi a servizio delle sue energie.


Nessuno crederebbe un tale interesse alla conservazione degli oggetti, eppure il bambino è talmente sensibile ad essa che quasi cade nella disperazione e nel dolore profondo se rompe un oggetto, come se si trattasse di un disastro. Se qualcosa crolla, come ad esempio la casetta costruita in giardino per le galline, è disperato. Un bicchiere che si rompe dà un’impressione così strana ai bambini come se fosse rotto loro il cuore. Per tutte le cose che si distruggono sentono un’emozione dolorosa come per l’individuo che soffre o per l’animale che muore. È un sentimento fine e impetuoso insieme che, se si lascia al bambino la possibilità di manifestarlo, esplode in modo impressionante e inaspettato [con pianti che è necessario consolare].


Poiché questi fatti rappresentano la denuncia dell’ambiente ai gesti imperfetti, il bambino, che tende per proprio conto a perfezionarli, adopera gli oggetti come controllo dell’errore. Ma il controllo sarebbe inutile se egli non avesse in sé l’istinto a perfezionarsi. Correggendosi sviluppa sentimenti che hanno bisogno di una porta aperta per manifestarsi. L’adulto deve essere accurato nel mantenere la fragilità delle cose senza intervenire o fare drammi. Lasciamo che gli oggetti parlino. Rompesse anche dieci bicchieri non importerebbe niente, ben più grave sarebbe se diventasse dipendente dall’aiuto dell’adulto. D’altra parte l’istinto di conservazione degli oggetti lo aiuta a regolare i propri gesti e le rotture sono assai rare.


Dell’ambiente dobbiamo anche considerare i fattori di sviluppo spirituale. Con questa parola non vogliamo restare in un campo misterioso: intendiamo lo sviluppo di tutta la personalità, dell’Io; i mezzi esterni, il controllo degli errori, l’impulso a perfezionarsi concorrono tutti a uno sforzo di organizzazione interiore. Se curiamo le luci, la disposizione, i colori, le dimensioni stesse dell’ambiente creando una specie di armonia tra l’Io e lo spazio preparato, tutto l’insieme crea un senso di calma, di segreto benessere. Difficile dire “a che cosa attribuirlo”, eppure è reale nel senso che vi si vive bene, tranquilli più che altrove.


Se l’ambiente fosse ad esempio troppo grande, sarebbe più difficile raccogliere le forze dell’individuo: la calma, la naturale disciplina, quella serenità meravigliosa nei nostri bambini non si sono manifestate dove c’era una stanza troppo vasta. Ma anche uno spazio troppo limitato è di grave impedimento. C’è un rapporto tra tutti questi elementi: il bambino con le sue reazioni può esserci di guida.


Pensiamo anche all’ordine degli oggetti, in modo che ciascuno di essi abbia sempre un suo posto stabile, riconoscibile. Non basta preparare oggetti piccoli, proporzionati alle forze del bambino perché possa trasportarli. Occorre che egli stesso possa rimetterli nello stesso posto da cui li ha tolti. Il fatto di ritrovare sempre le cose al loro posto è di importanza fondamentale, soprattutto per i più piccoli. Si è sempre pensato che questo non avesse valore per loro e invece si è osservato che perfino i bambini di uno o due anni hanno un bisogno profondo di ordine. Non è uno stimolo a ragionare o a diventare ordinati, ma una necessità profonda dell’organizzazione della personalità.


Occorre anche che gli oggetti, posti in un determinato ordine, siano in numero limitato, quantità che possiamo definire sulla guida del bambino. Quando si arriva a comprenderlo, le sue necessità ci appaiono chiare. Se ci sono oggetti superflui, ce ne accorgiamo perché il bambino non li guarda o non li usa mai. Chi li toglie, arreca al bambino un maggiore benessere, un contributo delicato che risponde a precise esigenze.


L’ambiente è come uno specchio di vita anche per noi che abbiamo bisogno di conoscere tutti i nostri oggetti per sentirci riposati nella nostra casa, così come ci sentiamo tranquilli tra persone che ci sono familiari e proviamo un certo disagio in mezzo a estranei. Chi vive in case immense con grandi quantità di mobilio che non ha mai realmente osservato, spesso si sente tremendamente solo: la vita è più vivace e produttiva quando possediamo giusto quello che ci è necessario e che conosciamo, al punto che ogni cosa superflua non rischi di indebolire e di disperdere le nostre forze.


Nell’ambiente del piccolo bambino non ci sia niente di chiuso, di scuro, di misterioso: tutto deve essere sincero, limpido, senza segreti che possano preoccupare o intimidire, ostacolando l’espansione di ciascuno. Il bambino non ha la forza di abbattere gli ostacoli: non ci deve essere alcuna porta in cui non possa entrare [o che lo ponga nella condizioni di non sapere che cosa ci sia dietro di essa] o un cassetto alla sua altezza con cose che non possa vedere e toccare.


Facciamo in modo che facilmente apra egli stesso finestre, porte, sportelli; mettiamo il minor numero possibile di porte e di divisori da terra al soffitto. Meglio adottare divisori bassi che consentano maggiore visibilità e respiro. Lo spazio aperto fa uscire le forze interiori. Nelle scuole più recenti abbiamo evitato chiusure complete, adottando piuttosto tende o mobili bassi [piccole scansie, fioriere] perché, se la mente per il raccoglimento esige spazi circoscritti, lo spirito ha invece bisogno di non sentire limiti.

[Il fatto che le classi dei bambini siano in comunicazione tra loro e tutto sia aperto e apribile è un altro carattere fondamentale dell’ambiente: un bambino che lavora, ogni tanto guarda attorno a sé, sa quello che c’è al di là e sa anche che può andarci liberamente; vede aperture rassicuranti attraverso le quali sa di poter passare e tornare e quindi vive una condizione di grande calma che è di per un fattore spirituale.]

3 - Servire non il bambino, ma il suo sviluppo (1931)

L’adulto nella scuola e nella famiglia, quando si occupa del bambino piccolo, [si sente in obbligo di] servirlo. Difatti che cosa potrebbe fare quel neonato, quel bambino di pochi mesi che non può muoversi, né stare in piedi e che – come tutti diciamo – è tanto debole? Dobbiamo servirlo, servire la sua debolezza, come se fosse un uomo paralizzato. Quando cresce e diventa forte, questo non è più necessario, eppure si continua a farlo: infatti viene corretto, istruito, guidato a ogni passo.


Noi diamo alla parola “servire” un altro significato: servire le energie organizzative della vita infantile, quelle più nascoste e non la parte visibile – la sua debolezza e piccolezza – servire [nel senso di assecondare] la forza creatrice presente nel bambino: dapprima non si vede, poi a poco a poco si organizza e diventa sempre più evidente agli occhi della madre, della maestra.


[Nei tempi passati] un bravo servitore era colui che rendeva facile la vita al suo signore, preparandogli tutto l’occorrente, senza servilismi né prendersi confidenze.


Così l’adulto che ha capito come servire le energie vitali del bambino: prepara per lui un ambiente su misura, cerca le risposte giuste ai suoi desideri e rispetta profondamente il suo corpo, i suoi gesti, la sua grazia. Tutti pensiamo che sia ovvio prendere [in braccio] un bambino piccolo, toccarlo, maneggiarlo. Chi si sente in colpa quando dice al bambino di sedersi e al tempo stesso lo tocca sulle spalle o lo spinge dalla testa? E chi si fa scrupolo di accarezzarlo solo perché è grazioso? Non parliamo del bacio, combattuto come un nemico: se l’igiene non avesse detto su questo la sua parola, la diremmo noi in modo ancora più energico, perché niente può offendere di più la dignità della persona di una confidenza non richiesta, né desiderata.


Si ha così poca considerazione del bambino che ci si crede in dovere di accarezzarlo e che sia suo dovere lasciarsi accarezzare e baciare. Una persona entra e dice: «Bel bambino, dammi un bacio», il piccolo si ritrae, ma la madre interviene: «Su, non essere sgarbato, non fare il timido».


Se una persona sconosciuta entrasse – bella o ripugnante, poco importa – e baciasse la madre, lei si sentirebbe offesa e reagirebbe sdegnata. E il bambino non ha lo stesso diritto, non deve avere una sua dignità e il riconoscimento di essa, in modo da venir rispettato? Ogni volta che il bambino mostra tenerezza e affetto all’avvicinarsi dell’adulto, questi gli corrisponderà con effusione ma senza insistere, senza prevaricare, mai dimenticando la distanza necessaria. Il rispetto che l’adulto deve al bambino, alla sua personalità come al suo corpo, va visto sia in senso quasi mistico – lo spirito che si va incarnando attraverso le esperienze – sia in senso fisico: rispondere con misura e non prendere mai l’iniziativa. E la maestra che cosa fa al bambino con le sue mani? Quante volte le usa impropriamente per affermare un ulteriore potere sul piccolo? Per rendersi conto di quanto spesso si cade in tale errore e per evitarlo in futuro, l’adulto dovrebbe segnare su un taccuino ogni volta che gli accade di sottolineare una frase di invito o di richiesta (“Mettiti a sedere”, “Vieni con me”, “Vai là”…) con un’azione sul corpo del bambino, spingendolo (anche gentilmente) o toccandolo.


Un altro passo nel giusto concetto di “servire” è quello di non intervenire, non interrompere quando il bambino agisce. Trattenersi dall’intervento diretto quando si vede il piccolo sbagliare è un altro passo difficile, tanto più che di solito le maestre sono allenate proprio al contrario, a condurre sempre il bambino, a interromperlo per correggerlo. Il bambino dal canto suo agisce con lentezza, senza prefiggersi un obiettivo e quindi è facile che l’adulto, impaziente, lo interrompa per sollecitarlo.


Immaginiamo un anziano che non possa camminare e debba dipendere da qualcuno che lo porta fuori su una sedia a rotelle. Se questi è gentile e lo rispetta, appaga le sue richieste. «Fermiamoci un po’ qui perché mi piace» oppure «Vorrei tornare a casa» e l’altro lo accontenta. Se invece questi lo conducesse dove vuole lui senza ascoltarlo minimamente, l’anziano si sentirebbe deluso e molto infelice.


Ebbene, questa è la condizione del bambino, portato in giro senza che nessuno ascolti i suoi desideri. Non li manifesta? Sappiamo che non è vero, persino nel primo anno. Uscendo con il bambino vediamo come goda di un luogo piuttosto che di un altro. Bisognerebbe condurlo nei luoghi verso i quali mostra il suo ancora muto entusiasmo, (forse punta il suo piccolo indice, come a dire: «Voglio andare là»). Questo è un modo per servire le energie del bambino.


Invece chi lo conduce fuori, senza farlo camminare, infilato in quella specie di carrettini, si preoccupa che il sole possa danneggiargli gli occhi e quindi tira su la capote. Privato di ogni visuale, il piccolo a poco a poco si addormenta e l’adulto, tutto contento, pensa: «Che cosa bella, non si potrebbe desiderare di meglio: ha mangiato, è ben nutrito, è all’aria buona e ora dorme. È l’ideale per il suo sviluppo!». Ma come possono svilupparsi le energie creative del bambino che vengono dal fare spontaneo e da un continuo, appassionato osservare, se lo facciamo sempre dormire e speriamo che dorma il più possibile?


Molti pensano che il bambino non sia in grado di scegliere, ma in realtà vediamo che, già piccolissimo, sa dirigersi verso ciò che lo interessa; altri ritengono che si debbano studiare le ragioni per cui sceglie proprio quelle cose, interpretarle per poter decidere che cosa sia opportuno dargli […]. Io stessa ho fatto cose del genere nella prima epoca, anch’io ero tra le persone che dicevano: «Studiamo il bambino, misuriamolo, troviamo che cosa fa, come sente», poi ho visto che ciò non porta alcun vantaggio pratico nell’educazione.


L’idea chiarissima e davvero utile è invece questa: far sì che il bambino possa spontaneamente scegliere le sue occupazioni, che vi permanga su più che può, che cambi occupazione quando crede, mentre il “servitore” – non suo, ma delle sue energie che è la maestra – tiene tutto in ordine, pronto ad accorrere se chiamato, a rispondere se cercato, pur restando al di fuori delle sue azioni, mettendosi di lato, senza mai interromperlo. Questo è un segreto di notevole progresso, di liberazione dello spirito infantile, troppo semplice per quelli che hanno la mente complicata dalle ubbie del passato o che, semplicemente, non possono rinunziare a comandare di continuo il bambino. È il concetto stesso di libertà: [realizzando questa modalità nelle nostre scuole] il bambino ha rivelato il suo modo di progredire nello sviluppo dal proprio interno; ci ha insegnato sue possibilità che non si erano mai manifestate e che dunque non conoscevamo.


Se una maestra interviene di continuo a dirigere il bambino, la personalità di lui si adatta, non si svolge liberamente perché è sempre influenzata da quella dell’adulto. Fino a che questi non comprende l’importanza del non intervento sulla personalità in via di sviluppo, essa rimane nascosta e non può rivelarsi.


In questo primo piano di costruzione agli inizi della vita è indispensabile al bambino poter fare da sé la maggior parte delle azioni che riguardano la sua persona: lo rivela protestando vivamente se qualcuno lo aiuta. Questo si è notato ad esempio a proposito del volersi vestire da solo: dapprima piange se aiutato, ma poi, vestitosi da sé, sia pure in modo imperfetto, accetta senza più protestare l’aiuto dell’adulto, come se, avendo già provato a vestirsi da solo, abbia soddisfatto un bisogno profondo e questo lo abbia messo in grado di accettare l’aiuto. Lo stesso fenomeno si è osservato in bambini del primo anno o quasi: vogliono mangiare da soli, ma non trovano bene la bocca e fanno cadere molto cibo; dopo varie prove sembrano soddisfatti e accettano senza proteste – a differenza di prima – che un adulto li imbocchi. Quindi l’adulto che ha capito il valore di questi assaggi di indipendenza, primo passo nell’espansione della persona, li favorisce: si mostra paziente e rimanda di poco il proprio intervento. Sa anche che il bambino a poco a poco perfeziona da sé il controllo dei movimenti.


Un altro fenomeno interessante è la concentrazione che il bambino manifesta nelle occupazioni da lui scelte spontaneamente, e corrispondenti al suo bisogno di attività, a patto di non venire interrotto. Il fenomeno della concentrazione ha guidato fin dal principio la costruzione di questo metodo (se può chiamarsi, questo, un metodo). La concentrazione avviene con un oggetto, un materiale, non su una persona. […] Un materiale interessa il bambino in quanto si presta a una certa attività, a un movimento, a uno spostamento di oggetti. La ripetizione dei gesti lo trattiene al punto da ricominciare sempre daccapo lo stesso movimento.

Ad esempio gli incastri solidi449 offrono un’ampia possibilità di lavorio interiore. Non ci interessa sapere quale esso sia. Ci basta constatare che con tali oggetti il bambino risolve a suo modo alcuni problemi: è un aspetto soddisfacente, ma anche questo del tutto secondario. L’essenziale è che non interveniamo [per non bloccare le sue operazioni]: il nostro giudizio e la realtà dell’azione che sta compiendo devono restare separati l’uno dall’altra ed è qui che la concentrazione si manifesta. È più che un’attenzione intensa: il bambino non si accorge di quanto avviene intorno a lui, anche con eventi rumorosi, ingresso di persone, musiche improvvise. Malgrado tutto ciò, il bambino persevera innumerevoli volte nella ripetizione dei gesti, profondamente assorto fino a che non ha esaurito il bisogno interiore.

I suoi sensi sono occupati e come sospesi, non c’è altro movimento che quello ed è curioso che non occorra silenzio nell’ambiente come sarebbe necessario a un adulto che voglia meditare. Basta solo lasciar libero il bambino di prendere l’oggetto che lo interessa e di occuparsene fuori del tempo e di ciò che gli accade intorno. Nessuna maestra può chiedere qualcosa di analogo e ottenerla: il fatto dipende dal tipo di occupazione e dalle condizioni favorevoli dell’ambiente. L’adulto deve solo cercare di non interromperlo, parlandogli o consigliandolo: sarebbe davvero una violenza […].


Se l’indipendenza è come un distacco progressivo dalla persona più forte che potrebbe sostituire o sopraffare il bambino, la concentrazione è un solidificarsi interno attorno a un centro unico di attrazione, con i sensi e il movimento uniti in tale complessa interiorità. Inutile tentare di interpretare l’accadimento: ciò che è più interessante è lo stato di appagamento che il bambino manifesta alla fine della concentrazione e il cambiamento progressivo verso la “normalizzazione” che si osserva per quanto più spesso e intensamente la concentrazione si manifesta.

4- Quel bambino neonato… (1947)

Quel bambino neonato che si riceve con tanta emozione è un cu- mulo misterioso di energie spirituali. Non si deve prendere solo come un corpo fragile: si deve sentire invece la maestà della possanza inconscia, che riesce a trasformarlo in uomo. Egli ha sofferto nel nascere; è passato a traverso pericoli di morte: si distacca dalla madre e si affaccia a un mondo sconosciuto; è come un paralizzato, inerte nelle nostre mani, non ha intelligenza per comprenderci, non ha linguaggio per esprimersi. E pure tra un anno camminerà tra due anni parlerà e riconoscerà tutte le cose che lo circondano e lo vedremo sorridere e amare.


Chi è che lo conduce a formare sapientemente un uomo? Per quali vie vi arriva? Quali leggi lo governano? E che dobbiamo fare per lui – per aiutarlo nelle difficoltà che deve incontrare – e per prevenire quei mali che potrebbero deformare, diminuire psichicamente l’uomo che è potenzialmente in lui? Il neonato umano, si deve aiutare soprattutto nello sviluppo delle sue potenzialità latenti: che partendo dall’inconscio creativo, realizzano la coscienza dell’uomo. Non è dunque solo un corpo da conservare in vita e da curare nei bisogni della salute fisica.


L’aspettativa del bambino umano comporta delle preparazioni complete, fisiche e spirituali: perché è un uomo potenzialmente – lo è già alla nascita e prima della nascita. E se il corpo delicato muove alla tenerezza – l’altra parte sua, l’inconscio che ancora non si manifesta, è quella che deve richiamare più alti sentimenti – sentimenti di fede in quello che non c’è – di dedizione spirituale verso ciò che non apparisce: ma che pure forma l’essenza stessa dell’uomo, lo scopo del suo pellegrinaggio sulla terra. È l’anima umana e non solo un corpo vivente – che deve richiamare le nostre cure.


5 - A proposito del Nobel (1948 o inizio ’49)

Cara Giuliana, sto meglio e faccio qualche lezione, però senza usci- re di casa. Penso e penso. Penso molto a te. Sarei contenta se a S. Remo venissero a qualche conclusione, perché lo considero l’unico luogo possibile, almeno per me.


Sto aspettando, non ho nessuna notizia e pure è settembre.


Tu mi dicevi di darti quelle idee che ti accennai sul Premio Nobel. Benché non creda che l’Italia possa decidersi a fare questo passo – lo dico a te – come teoria.

Un P(remio) N(obel) indicherebbe un riconoscimento che la pace non si può ottenere meglio che a traverso l’educazione scientifica del bambino – a traverso lo sforzo di proteggere la natura creatrice dell’uomo e di aiutare la espansione dei suoi poteri: poteri soprattutto di equilibrio, d’orientamento – e di adattamento al fatto che l’umanità è tutta unita. E per salvarla è necessario tracciare nelle coscienze queste vie unitive, come fu materialmente necessario costruire strade sulla superficie della Terra. Le strade non vennero per il desiderio di averle, ma vennero con il lavoro di costruirle. Bisogna costruire le vie della coscienza umana verso un fine comune (Certo dirai: io sono via ecc.450). E quell’affermazione cristiana “io sono via” indica un cammino da percorrere, non una strada fatta.

L’idea non è facile a comunicare: cioè che è necessario avviare – l’umanità – considerando l’uomo fin dalla nascita. Ma un P(remio) N(obel) darebbe un’enorme spinta a questa comprensione e indicherebbe il bambino come una realtà – un potere a cui è necessario ricorrere per una preparazione.


Subito l’attenzione sarebbe richiamata sulla questione. Si vorrebbe sapere che cosa si è fatto – e quanto c’è da fare, con la cooperazione di tutti. Sarebbe un riconoscimento del bambino questo sarebbe non il riconoscimento dei meriti di una persona. Ma il risveglio verso un fatto universale di orientamento verso la pace. Un incoraggiamento a organizzare gli studi sul bambino – sotto questo nuovo punto di vista. Noi dipendiamo dal bambino, tutta la nostra personalità viene da lui ecc. ecc. Di più – sarebbe per chi può capirlo – una realizzazione cristiana, perché la supernatura del bambino guida al Regno dei Cieli e primo cittadino di quel regno – rimase solo nella lettera del Vangelo – senza penetrare lo spirito, la coscienza dei cristiani.


Vedi come Gandhi soffre malgrado il potere pacificante della sua vita ammirabile e straordinaria. È che egli si rivolge all’adulto. Se si fosse rivolto ai bambini avrebbe trasformato gli indiani che ora si stanno ammazzando. E non si vede il rimedio! Gandhi dice che si vergogna e vuol morire: ma come trasformare musulmani barbuti e guerrieri accaniti? Qui è la questione. Tua M.

6 - L’esattezza, base dell’educazione (1950)

Cara Giuliana, dovendo esercitarmi a scrivere e non potendo scrivere libri, che abbia almeno il conforto di rivolgermi verso un cuore amico, quasi illudendomi di parlare con qualcuno. Rimango qui inerte nel mio studio, mentre non c’è il sole nostro, ma sempre buio e pioggia. La mia compagnia è una radio che mi hanno regalato a Natale e che tengo sul tavolino. Non so ancora trovare una piena rassegnazione al fatale sbaglio commesso. Compro occhiali su occhiali, ma il fatto è questo: posso usare un solo occhio, mentre l’altro disturba tanto che bisogno abolirlo. Non c’è rimedio a questo e passo da un occhio all’altro: uno meravigliosamente brillante che vede al di là della natura, ma in un punto solo. E allora devo orientarlo come un telescopio che cerchi le stelle. L’altro buono, usuale col suo adattamento naturale può vedere indifferentemente tutto nell’ambiente.


Quell’uomo celebre, perché non me l’ha detto, [perché] non mi ha avvertito che sarei rimasta praticamente come prima, che si trattava di un’operazione grave che nessuno oggi fa più, mentre aspettando qualche mese, forse un anno, togliere la cateratta sarebbe stata un’operazione banale e comune che ogni oculista può fare facilmente? Io avrei avuto ancora tempo per scrivere, per finire l’opera mia. Non c’è dubbio che il mio cervello, già esaurito per fatica mentale e fisica, fu colpito in un modo che non posso più pensare e lavorare come prima.

Provai acutamente il desiderio di riposarmi in qualche luogo allegro, col clima nostro, con qualche compagnia affettuosa e lì riprendere energia. Ma questa solitudine in una stanza da cui vedo altre case di faccia, dove le persone cui sono abituata non ci sono… Mi è sembrato di essere abbandonata dal mondo, di sopportare una condanna, un castigo! Ho avuto fame e sete di consolazione, di compagnia e di compianto. Dalla radio sentivo solo le notizie della guerra minacciante451. Anche Mario il giovane [Mario jr] col quale avrei avuto piacere di parlare di argomenti di psicologia è lontano. Renilde non vive in casa ed è immersa negli studi per il prossimo esame, mi fa visita ogni settimana. Marilena è qui, ma sempre attorno ai [suoi] bambini perché non mi disturbino e si occupa della casa, del telefono, dell’ufficio, dell’AMI, della gente che viene a chiedere informazioni. La posta del mattino è l’aspettativa e la speranza, attesa come l’attende il soldato in trincea. Adesso ho dall’Italia l’abbonamento a qualche giornale che mi divaga un poco. Il prossimo [recente] passato in Italia mi dà un’acuta nostalgia.

Aspettando con tranquilla rassegnazione, mi esercito intanto a scrivere e poterlo fare ora così bene, come faccio con te, mi apre un po’ il cuore alla speranza. Andrà sempre meglio, sì, lo credo.


Intanto sto pensando a questa esperienza che mi ha rivelato tante cose. Mi ha illustrato certi punti del metodo.


Sì, confrontando un occhio che non vede con uno che vede. Così è con la mente. L’occhio che non vede, come il mio prima di essere mutilato, pure vedeva. Vedeva le forme, i colori, ma non vedeva i contorni. Uno scritto non poteva leggerlo, perché i dettagli delle lettere stampate erano cose confuse: la scrittura era un’ombra. Ebbene, l’occhio che vedeva confusamente era un occhio che in realtà non vedeva. Non vedeva i dettagli che delimitavano esattamente tutte le cose. Mancava l’esattezza della visione, non la luminosità e l’impressione delle cose.


Ora il punto principale del nostro metodo è l’esattezza. Quando proponiamo di toccare esattamente i contorni di un incastro geometrico, quando seguiamo col dito i contorni di una lettera smerigliata o presentiamo come camminare sul filo, quando determiniamo il silenzio con l’esatto controllo di tutti i movimenti, noi facciamo ciò che fa l’occhio sano: rilevare i contorni esatti, la particolarità delle cose. Questo è importante. Allora, a un tratto, è come se la coscienza vedesse: così comincia a concentrarsi. Così si interessa e continua a esercitarsi con interesse crescente, con passione. E la persona infantile sente gioia, la gioia di vedere con l’anima.


Prima non vedeva. La mente era come un occhio ricoperto da una cateratta ancora immatura. Quel vedere a impressioni vaghe era il principio della cecità. Cosa grave. Noi diamo proprio la vista (la coscienza) all’anima: il vedere corrisponde a rilevare esattamente i dettagli. È così. È inutile discutere sull’esattezza come principio di educazione nei bambini; c’è un fatto chiaro: o vedere o non vedere. Quando gli occhi vedono, possono vedere tutto, liberamente.


Non c’è bisogno della guida come per il cieco. Viene la libertà. E tutto comincia a svolgersi con interesse. Tutto allora può trattenere, dare l’intima soddisfazione nel vivere, nell’assorbire il mondo. È così noi diamo il primo aiuto alla vita dell’anima, un aiuto essenziale. Questo per me adesso è chiarissimo. Si era dimenticato di dare al bambino l’esattezza. Non si capisce l’importanza di questo dettaglio che è il centro di tutto. È di là che vengono la gioia, la laboriosità, il perfezionamento, la libertà.


Difficile spiegarlo, ma il confronto con l’occhio che vede bene soltanto quando rileva i contorni dettagliati e non vede quando è colpito solo da luminosità e immagini confuse, dà un’idea immediatamente chiara.


Non è per rendere le persone esatte nell’agire consueto, legate ai dettagli invece che all’insieme, ma per rendere la mente capace di distinguere, senza di che si resta ciechi, si cresce ciechi.


Quando si trascurano quei dettagli di esattezza (che dettero nel principio [del nostro lavoro] un così brillante successo), viene un decadimento nei risultati della nostra educazione, anche se grandi idee ne adornano la teoria. Bisogna riprendere quel primitivo procedimento come base per vedere, non come legame all’attività dei vedenti.


Non è schiavitù (come alcuni nostri critici dicono) assumere quei movimenti precisi, ma è anzi stabilire la possibilità di essere liberi.


È una cura: infatti vediamo le anime normalizzarsi ed è allora che proseguono con sicurezza.


Ora dobbiamo considerare l’esattezza come via che porta alla concentrazione (attiva).


La ripetizione (spontanea) dell’esercizio è la forma della concentrazione penetrante: ci vuole un oggetto maneggevole per il bambino su cui esercitarla e l’oggetto determinato interessa certi “istinti costruttivi”. L’oggetto deve essere semplice e chiaro e l’esercizio in sé breve, appunto perché si deve poter ripetere, senza scopo da raggiungere esternamente, senza la preoccupazione di riuscire in determinata un’esecuzione. La complicazione dell’atto, la preoccupazione di imparare sarebbero ostacoli contro tale fenomeno concentrativo di ripetizione. Saper eseguire esattamente un lavoro complesso non sarebbe esattamente la stessa cosa, perché avrebbe scopi esterni e ciò appunto impedirebbe la concentrazione. L’anima infantile che “vede” è [quella] che ha destato tante meraviglie!


Se daremo un corso per maestre, insieme, insisteremo su questo.


Speriamo, cara Giuliana! Bisogna aver coraggio e sentire che siamo strumenti per un’opera grande, chiara e sicura.


Mille saluti affettuosi, tua M.

Come organizzare i Corsi Montessori

(Una nota di Mario M.Montessori, 1960 circa)


È desiderabile che il Corso si svolga prevalentemente nel periodo delle vacanze scolastiche, quando si può lavorare in continuità e con l’intensità necessaria, con il vantaggio di conoscere in profondità i motivi della specializzazione Montessori.


È anche da segnalare il fatto che i maestri, nel periodo in cui è sospeso il loro lavoro, sono maggiormente disponibili a una serena e obiettiva critica dell’organizzazione scolastica nella quale hanno fino ad allora operato e quindi più in grado di muoversi in altra direzione.


Inutile aggiungere che un Corso Montessori richiede molto spazio: una sala per le lezioni teoriche, una palestra trasformata per ospitare le esercitazioni tecniche generali; aule per studi ed elaborazioni particolari [anche di piccolo gruppo], quali la grammatica, la geometria, la biologia, ecc. Tale disponibilità si può ottenere soltanto in una scuola nel periodo delle lunghe vacanze. Per questi motivi si ritiene preferibile il periodo estivo che consta generalmente di tre mesi (grosso modo dal 20 giugno al 20 settembre).


Qualora si ritenesse necessario o comunque desiderabile un periodo di sei mesi, si dovrebbe mantenere quanto sopra indicato valido [ma svolto in due parti]: alla fine dei primi tre mesi potrebbero aver luogo le prove tecniche d’esame sui materiali e i riassunti delle lezioni teoriche quotidiane (il loro scopo è di condurre i maestri a ripensare e a rielaborare quanto è stato loro presentato, con vantaggio dell’approfondimento e della loro capacità di espressione).


Nel successivo trimestre si dovranno completare i lavori personali già avviati sotto la guida del direttore del Corso e/o dei suoi assistenti: l’album tecnico con disegni fatti a mano – anche molto semplici – come ulteriore lavoro di analisi, riassunto di almeno due libri di Maria Montessori, riassunto di due o più opere scientifiche ad esempio sul comportamento animale o vegetale, su aspetti di storia e geografia o altro, scelto e concordato con i docenti.


Lavori di elaborazione, riguardanti anche lo studio dell’ambiente e vari aspetti della matematica e della geometria, possono essere eseguiti anche in piccolo gruppo. (Per esempio: tabelloni con lo studio del quadrato – come da materiale in ferro; nomenclature di biologia, cartine mute e parlate di contrasti geografici [a contrasto] come monti e fiumi, isole e penisole ecc.


Tutti questi lavori dovranno essere redatti con cura e dimostrare la capacità acquisita di trasfondere un argomento culturale in “materiale di studio” per bambini 3-6 o per ragazzini 6-12, tale da illuminare e accendere ulteriori interessi per loro ricerche.


L’esattezza e la buona presentazione delle composizioni saranno oggetto di valutazione circa l’abilità del singolo o del gruppo che l’avrà eseguito.


Durante il secondo trimestre il rapporto diretto con il direttore sarà saltuario e potrà essere anche per corrispondenza.


Gli allievi tornati nelle loro sedi saranno richiamati a tempo debito nel luogo del Corso per la presentazione degli elaborati sopra descritti e per la prova scritta finale di esame.


È molto opportuno poter disporre di una buona scuola Montessori (Casa dei Bambini ed Elementare) dove poter svolgere osservazioni tali da comprendere le differenze dell’ambiente da noi proposto.


Si sa che questo è purtroppo assai raro, ma gli allievi non dovranno perdere occasione di visitare scuole Montessori suggerite dal direttore del Corso, che avrà cura di accompagnarli per illustrare la loro singolarità.


Quando il corso comprende maestri di grado preparatorio e di elementari è bene che siano riuniti insieme durante le lezioni teoriche, mentre saranno separati con i diversi materiali durante le esercitazioni. È bene che le maestre di grado preparatorio non perdano occasione di conoscere almeno teoricamente quegli elementi di cultura che, pur essendo relativi ai bambini 6-12 a. possono risultare validi per accrescere le proprie conoscenze. Altrettanto è necessario che le maestre elementari conoscano il più possibile le leggi di sviluppo e le modalità psicologiche e di comportamento tipiche dei bambini 0-3 e 3-6.

Durante le sedute di esercitazione e le lezioni teoriche a loro dedicate, le maestre saranno educate a perfezionare l’esattezza dei loro atti, ad analizzare con cura i vari passaggi delle presentazioni, a conoscere in modo approfondito ogni materiale e la relativa preparazione dell’ambiente.


[Sarà necessario preparare] per i 3-6 gli oggetti per “la vita pratica”, il materiale sensoriale, la preparazione al linguaggio scritto, ricche e varie nomenclature, prime scatole grammaticali, primo e secondo pia-no della psico-aritmetica, incastri della botanica e della geografia, attività del filo, del silenzio, movimento su musica.


Per la scuola elementare: si tratterà di conoscere bene a fondo i materiali di aritmetica e di geometria più avanzati, le analisi del linguaggio più complesse con i simboli, le scatole grammaticali, i comandi e le letture interpretate, lo studio delle singole funzioni del linguaggio e le modalità corrette per affrontare le altre materie culturali (storia, geografia, biologia, con attenzione agli ambienti di vita e parti delle scienze fisiche, utili alla comprensione dei fenomeni).


Nulla dovrà essere trascurato per suscitare e perfezionare l’attitudine al delicato rispetto per la vita di ogni singolo bambino.

Roma, 1960

Mario M. Montessori

Maria Montessori, una storia attuale
Maria Montessori, una storia attuale
Grazia Honegger Fresco
La vita, il pensiero, le testimonianze.Una biografia giunta alla terza edizione che accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. Maria Montessori fu certo una donna straordinaria, in grado di sucitare gli entusiasmi più accesi e le condanne più ostili.Ancora oggi il suo pensiero e le sue scoperte provocano reazioni contrastanti. La biografia Maria Montessori, una storia attuale esamina tutte le fasi della sua vita: dai primi anni della formazione, contraddistinti dal fatto di essere una delle prime donne medico in Italia, alla vicenda infelice della maternità celata. Dalle battaglie femministe, che radicano in lei una nuova sensibilità di giustizia sociale, alla dedizione verso i bambini meno fortunati, fino alla sua rivoluzionaria idea pedagogica, fondata sulla promozione delle competenze e della libertà del bambino, dall’infanzia all’adolescenza. Questa terza edizione di Grazia Honegger Fresco accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. “Maria Montessori, una storia attuale” è la migliore biografia di Maria Montessori che conosco, certo in Italia, ma forse anche nel mondo, assolutamente dello stesso valore di quella storica di Rita Kramer. Grazia Honegger Fresco è una montessoriana nel cuore e nell’anima, dotata di una profonda conoscenza della vita e dell’opera di Maria Montessori, e il suo libro non è una scialba riproposizione di notizie già note, né un’agiografia. L’Autrice ha fatto ricerche molto approfondite in Italia e all’estero, consultando documenti originali e privati di Maria Montessori e della sua famiglia, e ascoltando coloro che hanno conosciuto Maria intimamente. Il risultato è questo capolavoro del tutto originale.Carolina Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.