capitolo 2

Ricordi d’infanzia e di famiglia

Il 1870 è un anno di forti cambiamenti in tutto il mondo: in Europa infuria la guerra franco-prussiana che porterà alla caduta di Napoleone III e alla restaurazione della repubblica in Francia; in Austria e in Inghilterra si approvano leggi per la laicizzazione dello Stato, nel primo caso con l’introduzione del matrimonio civile, nel secondo con la nascita delle scuole comunali dalle quali è bandita qualsiasi istruzione religiosa; negli Stati Uniti il Congresso approva il XV emendamento in base al quale il diritto di voto non può essere inibito da motivi di razza o di colore della pelle. Per quanto riguarda il nostro paese, le truppe italiane entrano a Roma attraverso la breccia di Porta Pia ponendo fine al potere temporale dei papi. Pio ix, l’ultimo papa-re, non oppone resistenza militare, lascia il Quirinale e si rifugia in Vaticano. Il 2 ottobre con un plebiscito la città è proclamata capitale.


Nel 1870 le Marche – la regione in cui ha inizio la nostra storia – fanno parte del Regno d’Italia già da una decina d’anni, ma i grandi eventi politici lambiscono appena la vita delle tranquille località di provincia come Chiaravalle, cittadina a pochi chilometri da Ancona. Qui, il 31 agosto di quell’anno, nasce la prima e unica figlia di Renilde Stoppani e Alessandro Montessori. Tre giorni dopo verrà battezzata nella chiesa di Santa Maria in Castagnola – la semplice, armoniosa abbazia risalente al dodicesimo secolo – con i nomi di Maria Tecla Artemisia, gli ultimi due ereditati dalle nonne.

È il padre stesso a raccontarlo nelle scarne «notizie sulla nascita e sviluppo fisico e intellettuale» della figlia da lui scritte molti anni dopo. Sono semplici fogli vergati con una grafia nitida, inclinata, come si usava allora7. Da lui sappiamo che, malgrado un travaglio lungo e sofferto, assistito dall’«allevatrice e altre donne conoscenti», la neonata ha un «aspetto di robustezza e salute».


Alessandro, nativo di Ferrara, aveva potuto studiare in tempi di arretratezza e di povertà inimmaginabili, diventando prima impiegato di concetto nelle saline di Comacchio, poi ispettore nel settore dei tabacchi per conto del ministero delle Finanze del nuovo stato unitario. In anni giovanili aveva preso parte alle campagne risorgimentali, esperienza che aveva segnato il suo pensiero e il suo stile di vita. A metà degli anni Sessanta venne inviato a Chiaravalle con mansioni di sovrintendenza. Nella zona agricola circostante, oltre a olivi, vite, grano, si coltivava tabacco e c’era una o forse più fabbriche che operavano nella raccolta, essiccazione delle foglie e preparazione dei prodotti da fumo. È in questa cittadina che Alessandro – baffi neri ed espressione risoluta, come ce lo mostra un vecchio dagherrotipo – incontra Renilde Stoppani, originaria di Monsanvito8, paesino a cinque chilometri da Chiaravalle, dove il padre di lei, Raffaele, possedeva probabilmente alcuni terreni.


Vivace, graziosa, di media cultura – pregio raro nelle donne di ambiente contadino – appassionata lettrice, Renilde ha in comune con il marito una certa osservanza cattolica e, al tempo stesso, quella sintonia con gli ideali risorgimentali che giò denotava una discreta autonomia di pensiero. Insieme formeranno una famiglia modesta ma decorosa non priva di aspirazioni culturali.

Una parentela improbabile

Renilde aveva un cognome importante, lo stesso del celebre abate Antonio Stoppani, uno dei più brillanti studiosi dell’epoca, oggi considerato il padre della geologia italiana: paleontologo, conoscitore delle Alpi (fu tra i fondatori del CAI), in particolare del territorio brianzolo e lecchese. Nato a Lecco il 15 agosto 1824, Stoppani entrò nell’Istituto della Carità, la congregazione religiosa fondata da Antonio Rosmini, e divenne prete nel 1848. Tale scelta non gli impedì di partecipare insieme a altri chierici, a pochi mesi dall’ordinazione, alle Cinque Giornate di Milano. In quell’occasione progettò palloni gonfiati di aria calda, di fatto piccole mongolfiere che, lanciate dalla città, attraversavano le linee nemiche portando notizie dell’insurrezione alle campagne lombarde e incitando la popolazione rurale a sollevarsi. Nel 1861 era già docente all’Università di Pavia e al Politecnico di Milano. Per nove anni, dal 1883 fino alla morte – sopraggiunta nel giorno di Capodanno del 1891– fu direttore del Museo civico di Storia naturale del capoluogo lombardo, ospitato nei locali di Palazzo Dugnani, uno storico edificio situato al centro dei giardini pubblici di corso Venezia. Scrisse moltissimo: opere scientifiche (rielaborazioni dei corsi di geologia che teneva nelle università, quattro volumi di paleontologia scritti in francese per diffondere anche all’estero i suoi studi) e vari testi divulgativi. Tra questi il più noto è senz’altro Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia (1876) che evocava nel titolo la suggestiva espressione usata da Dante e da Petrarca. Il libro, destinato ai giovani, ebbe un immediato successo e gli guadagnò una grande notorietà che valicò i ristretti circuiti scientifici, rendendo popolare il suo nome nelle famiglie e nelle scuole. Profondamente religioso, Stoppani sostenne le ragioni di una ricerca libera e affrancata da precomprensioni confessionali, i cui esiti non minacciavano la credibilità delle Sacre Scritture nell’ordine spirituale che loro competeva. Nacquero, così Il dogma e le scienze positive (1882), Gli intransigenti del 1886 e il denso Sulla Cosmogonia mosaica, uscito nel 1887 con regolare imprimatur. Non cita le teorie darwiniane, decisamente troppo distanti dal suo orizzonte di senso, ma nei suoi libri ricorrono i nomi di Galileo, Newton, Cuvier, non certo graditi agli accigliati custodi dell’ortodossia cattolica.

L’equilibrio dimostrato nell’affrontare la spinosa questione del rapporto tra scienza e fede gli valse la stima di Leone xiii che nel marzo 1879 lo ricevette in udienza privata per ringraziarlo dei volumi di cui l’abate gli aveva fatto omaggio. In quell’occasione il Pontefice gli donò una medaglia d’oro commemorativa del suo pontificato9 e gli confidò di aver letto con particolare interesse La purezza del mare e dell’atmosfera fin dai primordi del mondo animato10, opera giudicata “una delle più belle […] che uscirono dalla magica penna di Antonio Stoppani”11. È un testo del 1875, tuttora godibilissimo che contempera abilmente rigore scientifico e attitudine divulgativa e formula ipotesi che la scienza moderna ha compiutamente dimostrato. Questo libro affascinerà Maria Montessori, come si legge nella sua Antropologia pedagogica. Ne riprenderà taluni concetti in Dall’infanzia all’adolescenza e in Come educare il potenziale umano (entrambi usciti in Italia solo nel 1970) che presentano innovative proposte didattiche per introdurre i ragazzi della seconda infanzia a una visione globale (cosmica) del pianeta. Descrive le forze distruttive e costruttive che lo attraversano e insieme il ruolo della biosfera, il compito di ciascuna specie vegetale e animale a partire dalla loro struttura corporea, la capacità di adattamento agli ambienti più diversi, la cura della prole e le catene alimentari per il mantenimento dell’equilibrio generale.


Spesso si afferma che l’abate Stoppani fosse zio di Renilde o magari un parente meno prossimo, ma è cosa dubbia data la sua nascita a Lecco. A prescindere dalle coordinate geografiche, è difficile credere che di tale legame non si sia conservato alcun oggettivabile riscontro. Già circa trent’anni addietro il sociologo Nedo Fanelli, allora direttore del Centro Studi Maria Montessori di Chiaravalle, si era impegnato in un’approfondita indagine sulla famiglia d’origine dell’illustre marchigiana12, senza approdare ad alcun risultato dirimente. C’è poi chi invece continua a dar credito a questa ipotesi, riferendosi senz’altro a lui come a uno zio materno della scienziata13 sulla scorta di una discutibile interpretazione di quanto affermato dalla stessa Montessori. Durante il Convegno delle Donne Italiane tenutosi a Milano nel 1908, la scienziata, rivolgendosi a un folto uditorio, menzionò uno zio”… che “quando cercavo di spiegargli l’opera sublime dello spontaneo sviluppo dell’uomo, mi diceva: Non mi raccontare di queste cose, perché mi sento d’impazzire”. È poco credibile, però, che un uomo di scienza come Stoppani avesse bisogno di essere illuminato dalla nipote su argomenti che dovevano essergli assai più familiari e che per essi mostrasse un tale fervoroso entusiasmo. In ogni caso non esiste prova di un incontro tra l’abate e la giovane Maria.

La famiglia paterna

Grazie al manoscritto di Alessandro e ai suoi «ricordi uditi in gioventù» possiamo ricostruire una sorta di albero genealogico che risale ai primi del Settecento. Quattro fratelli Montessori, forse nativi di Correggio, provincia di Reggio Emilia – «un ecclesiastico, un militare e due borghesi» – erano titolari a Ferrara di un appalto per la fabbricazione di tabacchi. Dei loro nomi Alessandro ricorda solo quello di Domenico, nato a Modena ma «capostipite del ramo di Ferrara»: il suo bisnonno. Il contratto per la fabbrica era stato stipulato sotto il pontificato di Clemente xiii, dunque tra il 1758 e il 1769. Domenico, amministratore avventato dei beni di famiglia, era morto all’improvviso, lasciando in gravi difficoltà economiche i suoi figli che vennero però aiutati dagli zii. A Giovanni, unico nome della seconda generazione ricordato, in quanto nonno dello scrivente, fu assegnato intorno al 1810 un impiego nella fabbrica ferrarese dei tabacchi. Sposatosi con Artemisia Verdolini, mise al mondo due figli, entrambi nati a Modena: Giulio Cesare ed Ercole Nicolò o Nicola (1796-1874). Quest’ultimo, dopo la morte della prima moglie, si risposò con Teresa Donati e con lei andò a vivere a Bologna. Saranno i nonni Nicola e Teresa i due sàntoli al battesimo di Maria. I figli di Nicola, entrambi di Ferrara, sono Giovanni (avrà tre figli, due femmine e un maschio, Tito, sposato a una donna malata e sterile) e Alessandro, che avrà una sola figlia, Maria. Il ramo di Ferrara finisce dunque qui. Assolutamente inventate, quindi, le “nobili origini” di cui qualcuno parla14. L’elenco di Alessandro si conclude con la frase: «Maria Montessori nata a Chiaravalle nel 1870, nubile. Dottore in Medicina e Chirurgia e Prof. di Scienze Naturali».


Le notizie sull’infanzia della figlia sono egualmente scarne, anche se raccolte fin dalla nascita. A ogni compleanno il padre annota l’altezza: ottantotto centimetri a tre anni; un metro e nove centimetri a cinque; uno e cinquantotto a sedici. Intorno ai sette mesi dice “mamma” e “papà”, a undici cammina da sola; tra i sedici e i diciannove sa spiegare ciò che vuole e conosce «una quantità di nomi di persone, animali e oggetti». A due anni ha già messo venti denti. Uno sviluppo del tutto nella norma: una bambina sana con genitori vigili e “moderni”, come dimostra quest’altra annotazione:


Il 30 aprile 1871 nella sala del corpo di guardia della Guardia Nazionale di Chiaravalle le fu inoculato il vajolo dal chirurgo Dott. Arcangeli Adriano, estraendo il pus da una vitella che a tale effetto alcuni giorni avanti era stata innestata. Otto giorni dopo il vajolo si manifestò vigorosamente in ambo le braccia15.
Nel febbraio del 1873 Alessandro viene trasferito a Firenze dove si trattiene con la famiglia circa due anni. Di questo soggiorno toscano il padre non racconta nulla, salvo che il primo ottobre Maria «cominciò a frequentare la scuola» (non dice quale): i genitori temevano che «pel suo carattere vivace e indipendente» non si sarebbe abituata, mentre la bambina dimostrò capacità di adattamento. Il 2 novembre del 1875 la famiglia trasloca di nuovo, da Firenze a Roma, perché il padre ha ottenuto un impiego più prestigioso e la bambina viene iscritta alla scuola preparatoria comunale di Rione Ponte, non lontano da Campo de’ Fiori. Dal primo marzo 1876 Maria entra in un’altra scuola comunale in via San Nicolò da Tolentino, nei pressi di piazza Barberini, dunque in tutt’altro quartiere. È facile immaginare che i Montessori fossero andati ad abitare da quelle parti. È il padre che accenna a questo cambiamento. Può anche darsi che avessero deciso il trasloco in una zona meno popolare della città e che proprio questo fatto avesse determinato la scelta della nuova scuola.

Un’infanzia serena e protetta

Che bambina sarà stata Maria Montessori? Potremmo forse immaginarla – anche in base all’affermazione paterna sopra citata – come una ragazzina di quelle che a Roma vengono chiamate “peperine”: vivace, curiosa, avida di sapere. Il percorso degli studi elementari, tuttavia, non sembra molto brillante, anche a causa di qualche transitorio problema di salute e di una lunga rosolia. A scuola però va volentieri e si lega affettuosamente alle compagne. Comincia a studiare il francese e il pianoforte, ma li abbandona presto. Intorno ai dieci, undici anni – è sempre Alessandro a raccontarlo – lo studio comincia ad appassionarla, ostacolata a volte da forti emicranie serali. Nel maggio del 1884 diventa «donna, senza soffrire gravi disturbi».


Tra le carte del Fondo Giuliana Sorge sono stati trovati alcuni fogli protocollo – quattordici pagine ricoperte da una scrittura assai fitta – che Maria scrisse tra il 1904 e il 1907, nei quali sottopone a un’analisi decisamente impietosa i sentimenti, i desideri e le delusioni che animarono il suo animo di ragazza. Si sofferma sulla sua grande passione per l’arte drammatica mostrata fin da piccola:


Il mio gioco era il teatro. Se mi accadeva di veder recitare, io imitavo con grande vivezza: mi investivo delle parti fino a impallidire o a singhiozzare e piangere recitando cose fantastiche. Inventavo piccole commedie, improvvisavo argomenti; raffazzonavo vestiari e scene. A scuola non studiavo affatto: lo studio non mi interessava in nessuna sua branca. Non studiavo mai la lezione e poco stavo attenta alle maestre organizzando in tempo di lezioni dei giochi, delle commedie. Non mi interessava passare alle classi superiori.


Grazie alla sua immaginazione eccelleva nei componimenti e riusciva a nascondere le sue lacune, per esempio in grammatica o in matematica.


Non capivo le operazioni aritmetiche e per molto tempo ho scritto i risultati mettendo cifre fantastiche, le prime che mi venivano in mente. Scrivevo bene ma “a orecchio” e sapevo leggere bene: leggevo con anima tale che facevo piangere gli altri e spesso la maestra riuniva più classi per sentirmi. Se c’era da recitare qualche cosa, bastava una prova ed ero pronta a meraviglia.

Maria chiede al padre di poter frequentare una scuola di declamazione per signorine: egli accetta e «si sacrifica» – suscitando in lei molta gratitudine – perché ve l’accompagna «tutte le sere, persino nei giorni di festa»16. Gli insegnanti della scuola si complimentano con lei.


Cominciarono a sedurmi, facendomi vedere che avrei avuto un grandioso avvenire di gloria nel teatro. Ma io pure lo sentivo: ero nata per quello e quella era la mia passione. A 12 anni avevo fatto tali progressi che ero pronta per il debutto in teatro in una prima parte. Intorno a me i maestri erano ansiosi, le compagne di scuola ammirate: ero il centro dei loro affetti […]. Questa complessa seduzione di esortazioni e di successi ebbe sull’anima mia un effetto strano: fu un momento solo e vidi che realmente andavo incontro a una gloria, a patto che mi fossi tolta alla seduzione del teatro.


Così da un giorno all’altro rinunzia a tutto, alle amicizie, ai vecchi sogni e si dà «agli studi severi», a cominciare dall’aritmetica. Lei stessa riconosce come sua


caratteristica la capacità di abbandonare improvvisamente le cose alle quali sembravo più unita – per le quali avevo compiuto sacrifici anche eroici […], addii repentini, fughe improvvise, mutamenti istantanei, vere rotture complete, fatali distruzioni che nessuno e nulla poteva rimediare […] era come sospesa ogni mia comunicazione con gli altri umani, fossero le persone più strette di famiglia, le più care […]. Ma perché io agisco così – così da farmi nemici, da farmi detestare, mentre tutti tendono a corrermi incontro, ad amarmi e io sento così profondo e sconfinato amore da poter abbracciare tutta l’umanità?


Nel febbraio del 1884 si apre a Roma una scuola governativa femminile, la Regia Scuola Tecnica “Michelangelo Buonarroti”: Maria è tra le prime dieci alunne a entrarvi, appassionandosi, sembra, soprattutto alle lettere. La frequenta fino al 1886 quando ottiene, con una votazione di 137 su 16017, «la licenza e il premio di primo grado».

In un altro dei suoi rari scritti autobiografici, da lei intitolato “La Storia”18 si legge:


Giovinetta verso i 14 anni, [andai] in una scuola secondaria maschile, appunto perché per le donne non c’erano altre vie aperte che quelle dell’educazione che non mi attraevano. Così, arrampicandomi per vie incerte, iniziai i miei studi di matematica, con l’intenzione primitiva di diventare un ingegnere, poi un naturalista e infine mi fissai sugli studi di medicina.


Giunta ai sedici anni «avrebbe desiderato – annota il padre – entrare nella scuola superiore di magistero femminile per perfezionarsi nella letteratura», ma in base alle normative vigenti vi possono accedere solo le ragazze provenienti dalla cosiddetta scuola normale o quelle che superano una specifica prova di ammissione. È costretta a ripiegare sull’«Istituto Tecnico Maschile “Pietro [sic] da Vinci”»19 che frequenta dal 1886 al 1890.

I buoni risultati ottenuti incoraggiano Maria a proseguire gli studi e a immatricolarsi nell’autunno successivo al corso di laurea in Scienze naturali della facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali. È assai probabile che tale scelta fosse già ordinata ai progetti futuri della giovane universitaria cui doveva essere nota la corrispondenza del piano di studi del biennio con quello di Medicina e il fatto che altre donne prima di lei avevano compiuto il passaggio dall’una all’altra facoltà. Infatti, conseguito il diploma di licenza in questo indirizzo, nel 1892 chiede e ottiene l’iscrizione a Medicina e Chirurgia.


Sugli anni giovanili non sappiamo molto altro a eccezione di qualche dettaglio sulla sua vita sentimentale. Il padre accenna a un giovane studente più grande di Maria che frequenta il suo stesso istituto e comincia a interessarsi a lei «seguendola da lontano». Dopo un certo tempo si presenta ai Montessori manifestando serie intenzioni di matrimonio che avrebbero potuto concretizzarsi «al termine prossimo degli studi e dopo l’anno di volontariato militare». Gli è consentito di frequentare la loro casa una volta la settimana, di domenica. Al termine dell’anno scolastico Maria viene promossa, mentre il giovane, rimandato in una materia, torna al suo paese, nel Sud Italia, per chiedere il consenso della famiglia al fidanzamento. Sua madre, tuttavia, ritiene che sia troppo presto per un simile impegno, con dispiacere di Renilde cui il giovane piace, ma con sollievo di Alessandro che, pur riconoscendogli buone qualità, era preoccupato per il suo carattere «troppo cupo e malinconico […] troppo dissimile dal carattere vivace ed espansivo della ragazza». Un tale contrasto non può far presagire «un connubio felice fra esseri tanto differenti. Fuoco al profeta!» conclude Alessandro. La storia finisce qui senza lasciare tracce. Ma lei, Maria, che cosa avrà sentito o provato? In quegli anni, il parere di una figlia, persino in una famiglia aperta e attenta come la sua, era del tutto secondario. D’altronde la prospettiva degli studi doveva apparirle allettante, ricca di incognite e di sorprese: il tempo dell’amore è per lei ancora lontano.

Maria Montessori, una storia attuale
Maria Montessori, una storia attuale
Grazia Honegger Fresco
La vita, il pensiero, le testimonianze.Una biografia giunta alla terza edizione che accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. Maria Montessori fu certo una donna straordinaria, in grado di sucitare gli entusiasmi più accesi e le condanne più ostili.Ancora oggi il suo pensiero e le sue scoperte provocano reazioni contrastanti. La biografia Maria Montessori, una storia attuale esamina tutte le fasi della sua vita: dai primi anni della formazione, contraddistinti dal fatto di essere una delle prime donne medico in Italia, alla vicenda infelice della maternità celata. Dalle battaglie femministe, che radicano in lei una nuova sensibilità di giustizia sociale, alla dedizione verso i bambini meno fortunati, fino alla sua rivoluzionaria idea pedagogica, fondata sulla promozione delle competenze e della libertà del bambino, dall’infanzia all’adolescenza. Questa terza edizione di Grazia Honegger Fresco accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. “Maria Montessori, una storia attuale” è la migliore biografia di Maria Montessori che conosco, certo in Italia, ma forse anche nel mondo, assolutamente dello stesso valore di quella storica di Rita Kramer. Grazia Honegger Fresco è una montessoriana nel cuore e nell’anima, dotata di una profonda conoscenza della vita e dell’opera di Maria Montessori, e il suo libro non è una scialba riproposizione di notizie già note, né un’agiografia. L’Autrice ha fatto ricerche molto approfondite in Italia e all’estero, consultando documenti originali e privati di Maria Montessori e della sua famiglia, e ascoltando coloro che hanno conosciuto Maria intimamente. Il risultato è questo capolavoro del tutto originale.Carolina Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.