Si agitava, dunque, lo spettro di future tensioni prodotte dall’abbandono del tradizionale modello di educazione basato sulla disciplina, sullo spirito di sacrificio e sulla pacifica accettazione di un rigido impianto gerarchico posto a fondamento dell’ordine sociale. Erano questi, appunto, i valori inculcati a intere generazioni del ceto medio nei collegi della Compagnia di Gesù, la quale, non casualmente, era stata tra le prime voci critiche a levarsi contro il Metodo dalla tribuna della sua prestigiosa rivista379.
Di contro, subito dopo il suo arrivo in via Giusti, la Montessori aveva incassato il pubblico apprezzamento di p. Agostino Gemelli che alla reputazione di religioso esemplare univa le solide competenze dello scienziato. Egli aveva caldeggiato l’apertura di una Casa dei Bambini a Milano, si era attivamente adoperato perché ad assumerne la gestione fossero le F.M.M. e, infine, nell’aprile 1912, durante una conferenza tenuta nel capoluogo lombardo, aveva magnificato i «nuovi prodigi» del Metodo.
Questo endorsement aveva, però, provocato l’immediata reazione de «L’Unità Cattolica», e della «Sentinella Antimodernista», giornali integralisti considerati espressione ufficiosa del pensiero di Pio X, che dalle loro colonne avevano già avuto modo di attaccare duramente la scienziata380. Questa volta a essere chiamati in correità erano Gemelli e le Francescane Missionarie di Maria che si erano fatti garanti del sistema educativo montessoriano e ne avevano promosso la diffusione381. In maniera abbastanza esplicita la scienziata veniva accusata di modernismo382, biasimo in cui lo stesso Gemelli era incappato qualche anno prima in occasione della questione del polifilogenismo e della sua difesa delle idee posizioni evoluzioniste del gesuita austriaco p. Erich Wasmann. Quei fatti avevano allora prodotto un lungo e penoso strascico di polemiche.
È difficile non collegare alla viva preoccupazione di riaprire antiche e dolorose ferite il repentino inasprimento dei toni del frate, il quale in una lettera indirizzata nel settembre successivo a Marie de la Rédemption operava una vera e propria ritrattazione383. Affermava di avere solo tardivamente approfondito le premesse teoretiche della pedagogia montessoriana, di essersi con leggerezza fidato del giudizio di un suo collaboratore e di avere infine scoperto gli scritti della Dottoressa «insufficienti scientificamente e, oltre a ciò, dannosi per le persone di fede»384. Anticipava alla Generale la pubblicazione di un pamphlet di rilievi critici nei confronti del Metodo, temporaneamente differita per riguardo alla religiosa e ad alcune sue non meglio precisate considerazioni385. È plausibile che Marie de la Rédemption avesse espresso i suoi timori per il discredito che la Congregazione avrebbe subìto da una così clamorosa sconfessione e per l’imbarazzo che ulteriori polemiche avrebbero potuto crearle in Vaticano.
Intanto già durante il 1912 la Montessori non aveva prestato personalmente la sua opera nella scuola annessa al convento di S. Elena386, assorbita com’era dai crescenti impegni tra i quali il corso patrocinato dalla municipalità di Roma. Nel ’13 i contatti della scienziata con le Suore di via Giusti si allentano a tal punto che non viene ritenuto necessario informarla della chiusura dell’asilo sopraggiunta nel 1914, motivata con la requisizione dei locali per usi bellici. Le espressioni contenute in una lettera alla Generale non dissimulano i sentimenti di incredulità e di amarezza suscitati da quel gesto: «Quando sapemmo che l’Asilo di Via Giusti era chiuso, ci sentimmo colpite al cuore! Esso era il nostro appoggio e, in faccia al pubblico, il segno unico di pubblico amore e d’aperta approvazione della Chiesa […]. Quando sentimmo che senza una parola, senza un avviso era tutto scomparso, ci sentimmo smarrite»387. Ciò che queste parole esprimono è assai più del rincrescimento per un asilo chiuso, è il turbamento di un’intera comunità che vede la fine di un progetto in cui aveva fortemente creduto e che si sente di colpo privata della sua identità ecclesiale.