capitolo 12

Incontro-scontro con idealismo e fascismo

Affrontare la questione della posizione politica di Maria Montessori significa trovarsi di fronte a una matassa non facile da dipanare. La sua collocazione non è affatto scontata. Ad alcuni intellettuali di sinistra è apparsa una sorta di imprenditrice dell’educazione impegnata a estendere la fitta rete di scuole private che in tutto il mondo recavano il suo nome anche grazie al circuito di amicizie altolocate dalle quali otteneva generoso sostegno. A destra, invece, allora come adesso, la rinuncia all’esercizio dell’autorità e la centralità assunta dal principio dell’auto-educazione sono state guardate con sospetto, interpretate come le premesse di pericolosi rivolgimenti sociali e perfino come indizio di occulte suggestioni anarchiche. Inoltre, su un piano strettamente teoretico, l’importanza da lei attribuita all’approccio sperimentale e sensoriale non poteva trovare favorevole accoglienza presso gli esponenti dell’idealismo pedagogico che consideravano come vera pedagogia scientifica solo quella che pensava l’educazione e l’uomo in termini di spirito. Il modello montessoriano si scontrava inevitabilmente con una concezione della vita scolastica imperniata sul rapporto tra maestro e allievo, in cui la superiorità sovrastante del primo era fondata sul suo essere giunto a un più alto grado di maturità spirituale247.

“L’ingiustizia contro le donne e non la loro veste politica!”

In una lettera ai genitori, scritta durante il Congresso di Berlino del 1896, la giovane dottoressa aveva espresso chiaramente gli obiettivi delle sue battaglie senza prendere in considerazione la possibilità che esse potessero essere sostenute sul terreno – per lei del tutto estraneo – dell’azione politica. Ad alimentare la sua passione civile è la formazione scientifica che la induce a combattere per scardinare un complesso di convenzioni sociali frutto dell’ignoranza e dei pregiudizi. Più tardi, una volta individuata la specifica missione di cui si sente investita, ossia quella di superare «la secolarelotta” tra l’adulto e il bambino»248, ad essa dedicherà ogni sua energia accantonando ogni precedente rivendicazione.


Del resto non era donna incline alle speculazioni astratte, malgrado un generico interesse manifestato in età giovanile per gli studi di filosofia. Quando nel 1902 si iscrive alla facoltà di Filosofia in una lettera indirizzata al preside in cui chiede che, in ragione dei titoli già conseguiti, le sia concesso di sostenere soltanto gli esami dei corsi fondamentali, dichiara esplicitamente la sua intenzione di dedicarsi alla Pedagogia, quasi a chiarire che considera gli studi filosofici un mero complemento dei suoi interessi principali249. Tra le ragioni per le quali non conseguirà il titolo c’è forse anche la perdita di interesse per ciò che sta facendo, la constatazione della sua sostanziale estraneità al mondo al quale quelle discipline introducono. Possedeva un’insopprimibile attitudine alla concretezza, aliena da prospettive metafisiche come da compromessi, e quella generosità combattiva che la animava “la espose più d’una volta a valutazioni non sufficientemente meditate della reale situazione politica” in cui operava250. Era come se le condizioni politiche fossero state per lei una componente accessoria dell’esistenza quotidiana, qualcosa di estremamente fluido, marginale rispetto all’urgenza che motivava il suo impegno attivo in medicina prima e nel campo dell’educazione poi.


In principio Maria accetta l’appoggio di Mussolini, interessato a ri-solvere il problema dell’analfabetismo attraverso le Case dei Bambini e verisimilmente a beneficiare di riflesso del grande prestigio internazionale della Dottoressa. D’altro canto lei conta sull’approvazione del Duce per imprimere al movimento quell’atteso moto di rilancio in Italia in grado di assicurarne un definitivo consolidamento. Occorre tenere presente che a metà degli anni Venti – il momento in cui la Montessori entra in relazione con Mussolini – la scuola italiana, pubblica o confessionale che sia, dimostra una sostanziale indifferenza verso la sua proposta formativa. L’interesse e il consenso che altrove essa suscita – pur tra tante critiche e opposizioni – è nel nostro paese alquanto modesto e il dibattito sul suo valore resta confinato alla ristretta cerchia degli specialisti. Varie sono le ragioni di questo fenomeno e tra esse, sicuramente, una certa tendenza al conformismo e alla convenzionalità che da sempre ha connotato il nostro sistema scolastico.


Intanto le scuole montessoriane, rimaste ai margini di esso e sprovviste di mezzi economici sufficienti al loro mantenimento, erano costrette a chiudere definitivamente o, al più, a rassegnarsi a rivolgersi a una utenza estremamente elitaria. In una situazione tanto sconfortante la Montessori, che nel frattempo stava ottenendo importanti riconoscimenti in tutto il mondo, cerca, dunque, ogni mezzo per non lasciare che il suo vibrante appello al rinnovamento pedagogico resti inascoltato proprio nel paese dove il Metodo era nato e aveva visto il successo delle sue prime sperimentazioni.


Nei primi anni del regime non incontra ostacoli all’apertura di nuove scuole in tutta la penisola, né è in alcun modo limitata la sua libertà di tenere i suoi corsi all’estero tutte le volte in cui viene invitata. Sul resto, sulle discutibili coreografie di partito, sulla retorica nazionalista, sulle parate, sulle adunate oceaniche si può chiudere un occhio. “Queste cose non piacciono pure agli Inglesi”, si sarà chiesta?


E tuttavia ciò non basta a rispondere agli interrogativi che chi si occupa oggi della sua biografia e del suo pensiero legittimamente si pone. Ma come poté lei, la pedagogista che aveva fondato il suo sistema educativo sull’emancipazione da qualunque forma di arbitrio e di costrizione, avere accettato, anche se solo funzionalmente, la protezione e l’avallo di chi aveva manifestamente oppresso le libertà individuali e i diritti politici dei cittadini? Era forse convinta che il superiore interesse dei bambini richiedesse l’accettazione di un compromesso o era tanto ingenua da coltivare l’illusione che il fascismo, ideologicamente ancorato a una gerarchia valoriale antitetica alla sua, avrebbe nel tempo conosciuto una graduale evoluzione in senso democratico e libertario? Non è ipotesi da escludere, soprattutto in considerazione del fatto che parecchi intellettuali in quegli anni nutrivano fiducia nel potere di rigenerazione morale della società italiana, fornita, a loro modo di vedere, degli anticorpi necessari per arginare la svolta autoritaria che il Paese stava vivendo251. Certo, per una donna come lei, introdotta nei circoli più esclusivi della cultura italiana e straniera, non doveva essere difficile incontrare, in patria o all’estero, oppositori politici con i quali confrontarsi. Eppure di un qualche dissidio interiore, di una cauta presa di distanza rispetto a quanto le accadeva intorno, non c’è traccia.


Sarebbe vano invocare le sue frequenti assenze dall’Italia (come si è detto, risiede per lo più a Barcellona) o una sua completa estraneità al mondo della politica. In passato – e la sua militanza lo dimostra – ha ampiamente dimostrato di avere il coraggio di andare contro corrente e di saper prendere una posizione chiara, ferma e decisa contro tutte le forme di oppressione sociale. Molto più semplicemente è ragionevole ritenere che la Montessori fosse esclusivamente concentrata sul futuro della sua opera pedagogica e volesse far partire al più presto la “Regia Scuola di Metodo”, triennale e riservata alle future maestre, per la quale aveva ottenuto il sostegno della regina Margherita. Lasciava, così, che Giuliana Sorge, direttrice effettiva della Scuola sotto la sua supervisione, mantenesse rapporti privilegiati con Giovanni Gentile.


Nel 1924, però, il delitto Matteotti, di cui Mussolini si assume per intero la responsabilità morale nel noto discorso del 3 gennaio dell’anno successivo, mostra a tutti il vero volto della dittatura. In quello stesso anno a Milano si svolge un corso con le lodi del regime e la Società degli Amici del Metodo viene trasformata in ente morale, con il nome di Opera Nazionale Montessori252, con sedi a Napoli e a Roma: primo presidente effettivo Giovanni Gentile, presidente onorario Benito Mussolini253.


Quest’ambigua commistione, non facile da accettare per la sensibilità attuale, aveva, secondo Alessandro Marcucci254, alcuni risvolti positivi.

Il lavoro nelle mortifere paludi laziali

Si è detto come una decina d’anni addietro gli sforzi congiunti di Franchetti, Celli e Cena avevano dato vita all’ente “Scuole per i contadini” che vivevano in condizioni disumane nei latifondi dell’Agro romano infestati dalla malaria255. L’intento di questa benemerita iniziativa potrebbe essere compendiato nelle parole di Giovanni Cena secondo cui era la scuola a dover andare ai contadini e non viceversa. L’ente aveva avviato numerose classi destinate ad analfabeti adulti e venticinque asili rurali per i figli dei contadini. Tra gli intellettuali che avevano sostenuto il progetto vi era Maria Montessori. Degli asili aperti solo quattordici avevano potuto adottare la formula delle Case dei Bambini e ciò per mancanza di maestre preparate. Situate nei Colli Albani, a Nettuno, Isola del Liri, Scauri, Terracina, ma anche nella Marsica, si trovavano in edifici appositamente costruiti, piccoli ma funzionali, con spazi interni attentamente curati, impreziositi da decorazioni liberty eseguite da Duilio Cambellotti o da affreschi di Giacomo Balla. Lo stesso era avvenuto per le piccole scuole dell’ANIMI che arrivavano fino alla Calabria.


Quando andava a visitarle, Marcucci «restava ammirato dalla grazia spontanea, dalle gioconde attività, dalle abitudini di ordine, precisione e pulizia di quei bambini, figli tutti di poverissima gente, contadini, boscaioli, pastori»256. Un giorno condusse un alto funzionario ministeriale a vedere come funzionassero per dimostrargli che le scuole Montessori erano possibili anche in ambiente povero, malgrado il diffuso secondo il quale il Metodo non fosse applicabile se non in contesti agiati. Arrivati, videro «i bambini, seduti sulle panche del giardino, che attendevano da soli a nettare con la sabbia le loro posate e alcuni utensili di cucina. La loro maestra era ammalata a letto nel padiglione di abitazione, e dalla finestra seguiva il lavoro dei suoi alunni». Il visitatore andò via dispiaciuto perché, data la malattia della maestra, «non aveva potuto accertare niente del metodo montessoriano!».

Le ambiguità di Mussolini

Nei primi anni Venti il Duce favorì i progetti per il risanamento igienico-sanitario e sociale delle zone malariche. Tuttavia, contrariamente a quanto sarebbe stato logico aspettarsi, le piccole scuole che operavano in quelle zone, preesistenti alla Marcia su Roma o nate da iniziative non riconducibili al Partito, non ricevettero particolare incoraggiamento, sgradite al regime forse perché sfuggivano in qualche modo al suo controllo. Esse, tra l’altro, erano oggetto di speciale attenzione da parte della principessa Maria José che per il fascismo, si sa, non aveva alcuna simpatia.


Intanto, nel 1926, Mussolini fondava l’Opera Nazionale Balilla in parte allo scopo di sottrarre alla Chiesa le organizzazioni giovanili, in parte per educare per tempo ai miraggi del nazionalismo i piccoli e le piccole italiane con «la romanità invocata ogni momento», come ricorda Marcucci. Il motto «libro e moschetto, fascista perfetto» e tutto ciò che esso implicava e sottintendeva non poteva di certo essere compatibile con la sensibilità di Maria.


Finalmente nel ’28 comincia in viale Angelico 22 la Scuola di Metodo con annessa Casa dei Bambini. Nelle ore di tirocinio le allieve osservavano i bambini al lavoro dall’alto di una balconata per non disturbarli257. Dovette sembrarle un segnale positivo che la illuse di poter conservare una sua neutralità. Nel frattempo, però, cercava una strada per non cadere in una sorte di abbraccio mortale con il regime.


Scrive ancora Marcucci:

Nel ’26 la Dottoressa Montessori, dopo molti anni di assenza e di lavoro all’estero era tornata in Italia e aveva pubblicato una nuova edizione del Metodo. L’accoglienza che ebbe dal Capo del Governo fu quanto mai favorevole ed ella si mise subito all’opera, aprendo a Milano una Casa dei Bambini e un [secondo] corso riconosciuto dal Ministero della P.I. Allora non erano ancora divampate tutte le ire, anche di carattere politico, contro la Montessori; Ministri ed ex-Ministri, Direttori Generali presenti e futuri, alcuni dei quali divennero oppositori implacabili del montessorianismo [sic], tutti facevano corteo alla Dottoressa e le apparecchiavano un ritorno a dir poco trionfale. L’Ente [Scuole per i contadini] fece preparare alcune maestre secondo l’indirizzo montessoriano e non se ne pentì, anche quando altri metodi, in opposizione a quello, con altrettanto rumore di lodi e cerimonie, furono lanciati e quasi imposti negli Asili d’infanzia italiani.

Qui Marcucci si riferisce forse a Lombardo Radice e ai suoi seguaci. Sono i tempi in cui domina sul piano culturale l’idealismo di Croce e di Gentile, diversi, certo, ma entrambi promotori di un attacco frontale nei confronti dell’educazione scientifica e dunque dell’impostazione positivista che caratterizza anche il lavoro della Montessori. Nel 1924 era entrata in vigore la riforma voluta da Gentile per la scuola, confermata e rafforzata due anni dopo nei suoi principi dal nuovo ministro della Pubblica Istruzione, lo storico Pietro Fedele, succeduto ad Alessandro Casati, dimessosi per protesta contro il citato discorso pronunziato il 3 gennaio da Mussolini.


Finalmente nel 1926 ebbe inizio la bonifica dell’Agro Pontino per completare la quale sarebbero stati necessari dodici anni. Agli inizi del ’39, con la guerra alle porte, le scuole “rurali” non avevano più nulla di Montessori e quelle per i “guitti”258 che avevano portato decoro e senso di giustizia nei luoghi più sperduti, vennero abolite del tutto nel ’43.

Le accuse di Lombardo Radice

Nel 1923 il direttore generale per l’istruzione elementare Giuseppe Lombardo Radice, che negli anni Dieci si era mostrato entusiasta delle Case montessoriane e ancora nel 1923 aveva dichiarato esplicitamente di apprezzarle259, muove a Maria una serie di pesanti critiche: l’accusa di aver rubato idee a Rosa e a Carolina Agazzi, sostenendo che solo le due sorelle bresciane – a dire il vero alquanto modeste sul piano intellettuale260 – avevano elaborato un metodo veramente italiano. Un pretesto usato da chi, per ossequiare Mussolini, respinge a priori quanto sa di internazionalismo.


Al di là di tali poco limpidi ripensamenti, resta il fatto che il modello educativo al quale Lombardo Radice si ispirava, al pari di quello di Gentile, era il tema pedagogico principe del neoumanesimo tedesco, quello della Bildung, che propugnava una formazione in grado di pacificare, armonizzandoli, istinto e ragione con un forte richiamo all’archetipo greco considerato per eccellenza il paradigma del superamento concretamente realizzato di tale dicotomia.


Si ha quasi l’impressione che il sostegno formalmente accordato al movimento montessoriano sia da parte del Governo un mero espediente per mantenere un blando legame con la scienziata, utile, oltretutto, ad accreditare di fronte all’opinione pubblica internazionale l’immagine di un’Italia moderna e tollerante. Nei fatti, però, si vuole svuotare la pedagogia della Montessori del suo significato più profondo, disinnescandone le micce più dirompenti.


Sulla scia di Lombardo Radice arrivano altri virulenti attacchi. La Montessori viene definita «abile ammaliatrice», «camuffatrice», perfino «affarista». A tal proposito va precisato che le royalties che le provenivano dai libri e dai materiali costituivano le uniche risorse economiche su cui lei e il figlio potevano contare. Mario viveva ancora a casa della madre insieme alla moglie e ai quattro figli e il denaro veniva impiegato, oltre che per il loro sostentamento, per finanziare i viaggi, l’organizzazione dei corsi e dei congressi e mantenere l’impressionante corrispondenza261.


Come sua abitudine Maria decide di non alimentare la polemica: lascia cadere le accuse nel vuoto, quasi non la riguardassero, ma gradualmente i rapporti con il potere fascista, tenuto a prudente distanza, cominciano a deteriorarsi. Terminati i corsi internazionali svolti a Roma nel 1930 e nel 1931 e le conferenze all’estero, soprattutto quella di Ginevra sulla pace che ha risonanza internazionale, l’equivoco di fondo tra i due opposti inconciliabili si chiarisce del tutto: nel 1934 arriva l’ordine di chiusura di tutte le scuole Montessori, sia per adulti che per bambini, fatta eccezione di poche piccole classi che sopravvivranno in una condizione di semiclandestinità262. Quelle rurali, sostenute dall’ANIMI, vengono rapidamente trasformate in agazziane e si espandono, avvantaggiandosi del campo lasciato libero dalla Montessori ormai fuori d’Italia. Particolare curioso è che, malgrado le Agazzi, pur provenienti da una formazione cattolica, abbiano scelto di muoversi su posizioni non confessionali al pari del loro maestro Pietro Pasquali263, la loro proposta educativa venne ben presto adottata da centinaia di scuole materne gestite da ordini religiosi264. La ragione è in realtà semplice. Contro l’impostazione scientifica della Casa dei Bambini, che non si pone più come mera estensione del focolare domestico e si basa su una attenzione all’individualità dei bambini e alla conquista della loro indipendenza, l’asilo agazziano è ancora «concepito come una famiglia ben ordinata in cui c’è un’autorità, quella dell’insegnante che favorisce lo sviluppo di tutte le capacità del bambino»265.


L’uscita della III edizione de Il Metodo nel 1926 offre a Lombardo Radice l’occasione di innescare un’altra polemica accusando la Montessori di aver eliminato la dedica “Alla cara memoria di Alice Franchetti presente nelle precedenti ristampe. Il fatto è un po’ misterioso soprattutto perché, accanto a copie del volume che la riportano, ne esistono altre con un inspiegabile taglio di forbici che elimina appunto la dedica.


È ormai chiaro comunque che gli intellettuali di apparato, quelli più organici al regime, hanno isolato la Montessori alla quale, nonostante la sua grande fama, guardano con malcelata sufficienza come all’ideatrice di una formula educativa alquanto bizzarra e scandalosamente priva di un robusto impianto filosofico a monte.


A queste critiche pensa certamente la Dottoressa quando nel 1947, di rientro in Italia, rilascia a dei giornalisti venuti a intervistarla al Grand Hotel di Roma dove alloggia le seguenti dichiarazioni:

Il mio non è un metodo educativo, ma una sorta di rivelazione. Vede, io non ho mai studiato pedagogia. [I fascisti] abolirono le mie scuole, perché basate su un’idea di internazionalità e io rifiutavo d’insegnare la guerra, così partii e me ne andai in Spagna. Per me c’è sempre libertà [queste parole in italiano nell’originale]. Faccio come credo. Non voglio essere vista come un’accesa antifascista, la politica non m’interessa, d’altronde loro sono del tutto in errore. Noi dobbiamo costruire un mondo nuovo, con un taglio nuovo e una nuova stoffa e non l’arlecchinata con stracci e sete che si vede oggi.266

Una dichiarazione insolita, non si sa neppure quanto fedelmente riportata, ma il cui genuino senso è chiarissimo a prescindere dalla sua eventuale riformulazione lessicale: ogni innaturale sovrastruttura ideologica che si tenta di imporre al bambino, e quindi all’uomo, per quanto possa accompagnarsi a un effimero successo, è destinata ad apparire per quello che realmente è, ossia null’altro che una goffa parodia che ha sconciato un’ottima stoffa naturale con un taglio artificioso e malriuscito.


Sicuramente le si potrebbe rimproverare di aver compreso e denunziato troppo tardi la natura violenta e mistificatrice del regime resa ancor più grottesca dal suo apparato coreografico e farsesco. Tuttavia in Europa molti autorevoli intellettuali e capi di Stato avevano osannato Mussolini come uomo portatore del nuovo.


Sorprendentemente lo stesso Pio XI non aveva esitato ad affermare che per risolvere in modo equo e definitivo il pluridecennale contrasto tra Chiesa e Stato «ci voleva un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale»267. Appena due anni più tardi, questo stesso Pontefice, reagendo al brusco scioglimento di tutte le associazioni giovanili non dipendenti direttamente dal Partito Nazionale Fascista e dall’Opera Nazionale Balilla disposto dal Ministero degli Interni, avrebbe levato la voce contro il tentativo «di monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima fanciullezza fino all’età adulta, a tutto ed esclusivo vantaggio di un partito, di un regime, sulla base di una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana non meno in pieno contrasto coi diritti naturali della famiglia che coi diritti soprannaturali della Chiesa»268. Gli artefici del nuovo corso – rincarava il Papa – avevano offerto «la chiarissima rivelazione della assoluta incompetenza e della completa ignoranza delle materie in questione», e «gli ultimi avvenimenti», concludeva «devono aver aperto a tutti gli occhi»269.


Ciò non basta, naturalmente, a giustificare il fatto che Maria lo abbia fatto tardi, ma dimostra come non si discostasse da un diffuso modo di sentire dei suoi tempi. Resta il fatto comunque che Mussolini, capace di piegare tutti ai suoi fini, non riuscirà, né con le lusinghe, né con le minacce, ad addomesticarla, anche se ne chiuderà le scuole, vieterà la pubblicazione dei suoi libri e farà spiare dall’OVRA lei e il figlio.

1934, i Montessori lasciano l’Italia

Gli anni dal ’24 al ’34, in parte trascorsi a Roma270, erano stati densi di lavoro per i Montessori: due importanti corsi internazionali, la Scuola di Metodo e altre esperienze positive in giro per l’Europa che richiederebbero maggiore approfondimento271.


È tipico dell’indole di Maria il fatto di continuare il più possibile per la propria strada fino al punto di rottura, quindi voltare le spalle e andare altrove, verso una situazione più favorevole. Lo farà più volte nei momenti difficili della sua vita. Se nel ’24, indifferente alle condizioni politiche dell’ambiente in cui vive, dimostra eccessiva fiducia nei risultati raggiunti, dieci anni dopo si trova davanti all’irreparabile. Sa che può fare ancora tanto e nessun cambiamento le appare impossibile. Con decisione taglia i ponti per tornare a Barcellona, dove, in qualche modo, sente di essere a casa sua. La famiglia Montessori si stabilisce in una villetta circondata da un giardino nell’elegante Calle Ganduxer 22. Nella capitale catalana l’ha preceduta un’altra delle sue allieve più fedeli, Maria Antonietta Paolini detta “Pao”272 che, su sua richiesta, ha organizzato in un’altra parte del villino una minuscola Casa dei Bambini. Grazie alla ritrovata serenità Maria riprende la collaborazione con l’editore Araluce di Calle de Las Cortes 392, che ha diffuso le traduzioni spagnole di molti dei suoi testi e che la attendeva per promuovere nuovi lanci. Dopo El Método de la Pedagogía cientifíca, aplicado a la educación de la infancia en las Case dei Bambini, del 1915, divenuto subito un best seller, il Manual práctico del Método Montessori nello stesso anno, La Auto-Educación en la escuela elemental nel 1930, La Santa Misa vivida por lo niños, nel 1932, l’Antropologia pedagógica, nel ’33, escono proprio nel ’34 due nuovi volumi dedicati ai ragazzi della seconda infanzia che aspettano da tre anni di vedere la luce, la Psico Aritmética e la Psico Geométria, e altri due, Cuaderno de dibujo Montessorie Paz y educación.


Nel 1936, per ordine del ministro De Vecchi, anche la “Regia Scuola di Metodo Montessori” viene chiusa. Giuliana Sorge viene addirittura arrestata. Racconterà in seguito:

Nel ’36 venni arrestata come antifascista; chiusa la scuola, volevo tornare a Milano, ma mi proibirono di lasciare Roma. La dottoressa scrisse una lettera di protesta, ma non servì a nulla, malgrado avessi da anni buoni rapporti personali con Gentile.273

Era il prevedibile epilogo degli ultimi difficili anni. La “Cultura fascista” era diventata materia obbligatoria nel programma scolastico delle scuole superiori e veniva a insegnarla una certa Olga Prini Belsito che poi si scoprì essere una spia dell’OVRA.

Purtroppo anche la vita tranquilla e operosa di Barcellona sta per interrompersi. Maria sta lavorando alla stesura della Psicogrammatica274, quando la Spagna è travolta dalla sanguinosa guerra civile che la costringe ad abbandonare il Paese. Ancora una volta è arrivato il momento del distacco da opere, luoghi e amici, metafora di una vita inquieta ed errabonda. Mario è come sempre al fianco della madre. Lui resta alla fine la sua sola patria275.

Maria Montessori, una storia attuale
Maria Montessori, una storia attuale
Grazia Honegger Fresco
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