Le nuove Case dei Bambini e le prime elementari a Roma e a Napoli
Il 1916 era stato l’anno in cui ne L’Autoeducazione nelle scuole elementari Maria aveva fatto conoscere i primi risultati relativi alle sperimentazioni condotte con bambini dai sei ai dieci anni. Si era reso necessario, ovviamente, ampliare i materiali didattici – ora chiamati “test sistematici” – e le discipline oggetto di studio: lingua, storia, geografia, aritmetica, geometria, musica e altro ancora. Nella Prefazione all’opera esprime la sua gratitudine nei confronti di Anna Fedeli e di Anna Maria Maccheroni per i sacrifici che hanno compiuto e dà un’idea sommaria dei livelli già raggiunti dal suo lavoro sperimentale212. Le prime classi elementari erano state avviate già sul finire degli anni Dieci. A Roma la prima in assoluto era stata addirittura in casa sua, in via Principessa Clotilde, con pochi bambini tra i quali Carlo e Gemma, i due figli dell’amica Maraini. Cresciuto il numero dei piccoli allievi, la scuola viene spostata in via Monte Zebio, 35.
La Regina offrirà un generoso contributo in denaro per l’apertura anche a Roma delle prime scuole municipali organizzate secondo il Metodo Montessori, così come era avvenuto a Napoli nel ’19.
Nel capoluogo partenopeo sei Case dei Bambini funzionavano in vari punti della città, sostenute dalla “Società Amici del Metodo Montessori” e dirette da Maria Fancello213. Tra le maestre che vi operavano si segnalano Lina Egidi e Lucia Fancello, forse parente di Maria.
Un’altra scuola, la “Carducci” in zona S. Giovanni, venne appositamente costruita a Roma. Qui l’insegnante è Lina Olivero. Anche qui si ottiene un grande successo si per ciò che attiene alle nozioni apprese, sia per la maturazione osservata nei bambini. Margot Waltuch214 ha ricordato che questa scuola aveva la forma di una stella a quattro raggi in ciascuno dei quali erano situate quattro aule, tutte comunicanti tra loro. Avevano soffitti bassi, finestre ad altezza di bambino, porte che si aprivano direttamente su uno spazio verde all’esterno in modo da offrire la massima continuità tra lo spazio interno e quello esterno. Per uscire c’erano solo tre scalini bassi. Si trattava di una struttura ideale per una scuola Montessori. Fu demolita nel ’38 per lasciare spazio a un edificio scolastico in uno stile a metà tra umbertino e fascista, quello che conserva ancora oggi la scuola di via La Spezia, 29.
All’estero vari allievi già da tempo hanno cominciato a impegnarsi con fedeltà e intelligenza. Al corso di Amsterdam del 1924, per esempio, si fa notare una giovane ungherese, Erzsébet Burchard-Bélavary che la Montessori chiama affettuosamente “Elisabetta d’Ungheria”. Dopo un’esperienza di due anni nella scuola di Vienna con Lili Roubiczec, Erzsébet aprirà a Budapest una Casa dei Bambini, per poi fondare, l’anno successivo, una scuola elementare. Nel 1936 organizzerà un corso per maestri di bambini dai tre ai dieci anni e agli esami finali riuscirà addirittura o ottenere che presenzi la Dottoressa. Determinata e coraggiosa, la Burchard-Bélavary porterà avanti il suo impegno con grandi e piccoli diffondendo quanto ha appreso, malgrado le difficili condizioni politiche del suo paese dopo il secondo conflitto mondiale.
Molte sono in tutto il mondo le storie come questa. Uomini e donne che, mossi da esemplare passione, si sacrificano in difesa dei diritti dell’infanzia. Circondata da allievi volenterosi e sensibili, Maria trova sempre aiuto in quelle antiche alunne che ormai sono le amiche che le stanno vicine e che tengono a debita distanza i curiosi e gli importuni che puntualmente la assediano. «Un muro impenetrabile si ergeva contro tutti costoro», ha testimoniato Sulea Firu, «costituito in modo particolare da quella formica attivissima che era Lina Olivero».
Sono ancora gli allievi più cari – se ne trovano accenni in varie lettere – che pensano di regalarle un’auto per alleviarle in parte la fatica degli spostamenti. L’idea rallegra anche il figlio, appassionato di automobili, all’epoca un lusso, ma non sappiamo se sia mai stata attuata.
Gli anni si succedono e il passaggio tra i cinquanta e i sessant’anni è alquanto penoso per lei: in Italia farà ritorno solo tredici anni più tardi. Resta instancabile nel trasmettere ciò che ha appreso da ormai numerosissime esperienze e cioè che i bambini possono essere collaborativi, responsabili e dunque «persone di pace» se educati in una scuola nonviolenta215. Tale pensiero sembra raggiungere in lei un grado sempre maggiore di definizione e lo ripropone continuamente in quegli anni, gli anni Trenta, in cui sull’Europa incombono nuove minacce.
Mantiene un sorriso garbatamente ironico che esprime, insieme a uno sguardo intenso e luminoso, la freschezza di una mente che non si stanca di indagare, anzi di scandagliare, i fondali del mondo che ha intorno a sé. Maria ha modi semplici, familiari, ma la voce è decisa, talvolta imperiosa, a tratti inaspettatamente dura, come di persona che su certi temi non ammette repliche. Il suo tono diventa, però, musicale e suadente durante le conferenze. Le foto d’epoca immortalano la passione intellettuale che la anima e che non l’abbandonerà nemmeno nei suoi ultimi giorni. Anche chi non conosce l’italiano la segue incantato.