capitolo 8

Che cosa serve ai ragazzi
per affrontare il futuro?

La grande paura dei genitori è che i loro figli rimangano indietro, per cui pretendono una scuola “moderna” a base di massicce dosi di nozioni e di tecnologia fin dai primi anni, senza pensare che:

Gli analfabeti del ventunesimo secolo non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere, ma quelli che non saranno in grado di imparare, disimparare e imparare di nuovo.

Alvin Toffler, Lo choc del futuro, 1971

Per acquisire le capacità di cui parla Toffler bisogna concentrarsi su cosa è veramente importante per affrontare il futuro e smetterla di considerare già i primi anni di scuola come un luogo di preparazione a una carriera lavorativa o come una scuola di formazione professionale. Per questo ci sarà tempo più tardi, quando le basi della personalità saranno al loro posto.


A ben guardare, i bambini hanno già le abilità che servono per affrontare le sfide del domani: immaginazione, curiosità, perseveranza, coraggio, adattabilità e passione. Ovvio dedurre che sono proprio gli adulti e la scuola che frenano e distruggono questi poteri, nella loro ricerca costante del controllo sul bambino. Se si riuscisse invece a mettere questi di nuovo al centro del lavoro educativo, come fa per una parte del percorso la scuola Montessori, avremmo risolto buona parte dei problemi di cui stiamo discutendo.


Per capire che tipo di caratteristiche possano servire in un ambiente avanzato, in una piccola fetta di futuro, ho provato a elencare quello che vedo nei miei colleghi del CSCS e quello che cerchiamo nelle persone che vogliono venirci a lavorare. Ammetto che è un campione piuttosto piccolo e peculiare, ma può essere un assaggio di quelle capacità che la scuola e l’educazione dovrebbero fornire. Innanzitutto non sono circondato da geni o furiosi matematici, ma da persone normali provenienti da svariate culture – arriviamo da più di quindici nazioni differenti – che:

  • Hanno sempre voglia d’imparare e non pretendono di conoscere già tutto (tra l’altro lavoriamo con scienziati che rappresentano i più diversi campi del sapere ed è impensabile essere esperti in tutti).
  • Sanno dove e come trovare le informazioni di cui hanno bisogno.
  • Sono capaci di navigare mentalmente architetture complesse.
  • Sanno non solo scrivere programmi utilizzando gli strumenti adeguati, ma ancor prima sanno immaginare nella propria testa il software che andranno a creare.
  • Si pongono domande (il problem posing, il definire il problema, viene prima del problem solving, specialmente in quei problemi in cui la soluzione si intravvede solo dopo averli esplorati, come succede spesso nel supercalcolo).
  • Non si fermano alla prima risposta quando vogliono risolvere un problema (con la forza bruta si può superare quasi ogni difficoltà, ma le risorse sono limitate).
  • Interagiscono, collaborano e contribuiscono alle comunità di utenti con cui operano.

Andy Hunt, anche lui sviluppatore software, in un suo libro164 riduce addirittura a due le competenze necessarie: capacità di comunicazione e capacità di apprendimento e di pensiero. È da notare che le competenze importanti, almeno nel mondo dell’informatica, troppe volte sono quelle che come educatori o come genitori tendiamo a ignorare. Per esempio, ciò che al lavoro chiamiamo collaborazione e condivisione, a scuola è stigmatizzato come “copiare”.


Per non limitarmi al mio ambito professionale, sono andato a leggermi il progetto europeo DIGCOMP165, che ha sviluppato un quadro concettuale per comprendere e sviluppare le competenze digitali in Europa, competenze più ampie di una generica conoscenza delle tecnologie. Il progetto ha individuato cinque aree critiche:

  1. Informazione: saper identificare, localizzare, recuperare, conservare, organizzare e analizzare le informazioni digitali, giudicando la loro importanza e il loro scopo.
  2. Comunicazione: saper comunicare in ambienti digitali, condividere risorse attraverso strumenti online, collegarsi con gli altri e collaborare utilizzando mezzi digitali, interagire e partecipare a comunità e reti mostrando sensibilità interculturale.
  3. Creazione di contenuti: saper creare e modificare nuovi contenuti (dall’elaborazione testi, alle immagini, ai video); integrare e rielaborare conoscenze e contenuti precedenti; produrre espressioni creative, media e programmazione; trattare e applicare i diritti di proprietà intellettuale e le licenze.
  4. Sicurezza: conoscere i metodi per la protezione personale, la protezione dei dati, la protezione dell’identità digitale, le misure di sicurezza per un uso sicuro e sostenibile della tecnologia.
  5. Problem solving: identificare i bisogni, prendere decisioni informate su quali siano gli strumenti digitali più appropriati in base allo scopo o necessità, risolvere problemi concettuali attraverso mezzi digitali, utilizzare creativamente le tecnologie, risolvere problemi tecnici, aggiornare le proprie e altrui competenze.


Sono passato poi a un altro studio sullo stesso tema: The Learning Curve166, pubblicato da Pearson come parte di un ampio programma di analisi teso a comprendere meglio ciò che la scuola dovrebbe fornire. In sintesi il rapporto considera le seguenti competenze come fondamentali:

  1. Leadership.
  2. Alfabetizzazione digitale.
  3. Comunicazione.
  4. Intelligenza emozionale.
  5. Imprenditorialità.
  6. Cittadinanza globale.
  7. Problem solving.
  8. Lavoro di team.

A differenza del progetto DIGCOMP, questo rapporto distingue l’alfabetizzazione digitale dal problem solving e aggiunge alle competenze leadership e imprenditorialità. È, però, molto più importante di questo elenco ciò che lo studio condensa nelle conclusioni:

Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che lettura di base, scrittura e aritmetica non sono sufficienti. L’importanza delle competenze non cognitive del 21° secolo – in senso lato come abilità importanti per l’interazione sociale – è pronunciata.
Assicurarsi che alle persone vengono insegnate le competenze giuste all’inizio della loro infanzia è molto più efficace che cercare di migliorare le competenze in età adulta per chi è stato espulso dal sistema scolastico.
Ci sono poche prove che la tecnologia da sola aiuti effettivamente le persone a sviluppare nuove competenze.

Anche la versione più recente del report,167 focalizzata sull’apprendimento negli adulti, ribadisce che:

Poco è possibile senza le basi. Una forte formazione iniziale è un prerequisito per un efficace apprendimento degli adulti. I sistemi d’istruzione che insegnano presto ai bambini come imparare preparano gli studenti a un apprendimento più efficace nel corso della vita – in parte instillando loro il desiderio d’imparare. Per i paesi sviluppati e in via di sviluppo, il miglior percorso verso una buona educazione degli adulti è l’investimento in una buona formazione iniziale.
La tecnologia è utile nel favorire l’apprendimento degli adulti, ma non è una panacea. La tecnologia mobile e internet sono in grado di rimuovere alcuni ostacoli alla formazione delle competenze negli adulti, in particolare nel mondo in via di sviluppo. Queste e altre tecnologie facilitano l’accesso delle persone alla formazione, ma ci sono poche prove che il loro uso aiuti le persone a sviluppare competenze.

Insomma, insegnare ad apprendere già dai primi anni del percorso formativo è più importante che introdurvi della tecnologia. Più avanti, al momento giusto, per Bret Victor è importante educare i ragazzi a pensare in maniera indipendente da una tecnologia sempre mutevole:

Claude Shannon ha formulato la teoria dell’informazione nel 1948. Il telegrafo era ancora in uso, anche se la rete telefonica analogica era la tecnologia di comunicazione dominante e radio e televisione erano media consolidati. Non solo la teoria dell’informazione era alla base di ognuna di queste tecnologie, ma ha reso possibili tutte le tecnologie di comunicazione che sono venute dopo, compreso tutto quanto è digitale, tutto quanto è wireless e tutto quanto abbiamo nel nostro mondo di oggi.

Tutte le tecnologie usate nel vecchio sistema telefonico – i cavi elettronici a lunga distanza, i ripetitori analogici, le centrali di commutazione e tutti gli altri brillanti prodotti dell’ingegno umano – non hanno più importanza. Invece, la teoria dell’informazione è ancora rilevante e continuerà a esserlo, perché è un modo di pensare potente, generale, indipendente dalla tecnologia.

In questo momento, oggi, non possiamo vedere quale sarà la tecnologia più importante fra cento anni. Non la possiamo assolutamente vedere. Ma qualunque cosa sia, la gente dovrà pensarla. E possiamo, in questo momento, oggi, preparare potenti modi di pensare per queste persone.168

Non riusciremo a prevedere quale sarà la tecnologia più importante in un prossimo futuro, ma qualunque cosa sia, verrà creata dai nostri ragazzi e noi possiamo aiutarli – oggi – educandoli a pensare.

Infine, come educatori, prima di decidere che cosa dare ai ragazzi per affrontare le sfide del futuro, dobbiamo stabilire che cosa vogliamo che diventino, almeno nei riguardi della tecnologia. Scelta che si riduce in definitiva a determinare se ci interessa far crescere degli schiaccia-bottoni che usano la tecnologia senza conoscerla, o degli individui che sanno scegliere a ragion veduta anche in campo tecnologico. Purtroppo la società italiana sembra andare nella prima direzione perché, come rivela l’indagine “Tech Habits 2016” della Samsung,

l’88% degli italiani usa termini legati alla tecnologia pur non avendo minimamente idea di ciò di cui si sta parlando169.

8.1 Ricapitolando

  1. Puntiamo sui princìpi più che sulle tecnologie, sulle competenze non cognitive più che su quello che pensiamo sia necessario per lavorare nel futuro.
  2. Più che cercare di prevedere il futuro, sarebbe meglio preparare una persona completa, non uno schiaccia-bottoni.
  3. I bambini hanno già le capacità necessarie per affrontare il futuro. Non cancelliamogliele a scuola, e soprattutto non sprechiamo il periodo formativo che abbiamo a disposizione, un periodo simile non si ripresenterà.
  4. Nei primi anni un’educazione a misura di bambino che insegni a pensare e ad amare lo studio è più importante che riversare una massiccia dose di nozioni e di conoscenze operative nella testa dei bambini. Bambini che sappiamo non essere un vaso vuoto da riempire o una tabula rasa da scrivere.

La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
Mario Valle
Un’integrazione possibile?Un’analisi fresca e attuale dell’impatto delle nuove tecnologie (PC, tablet, videogiochi) nell’ambiente scolastico, da una prospettiva montessoriana. Il pensiero comune sostiene che il mondo Montessori disdegni le nuove tecnologie e che non ne ammetta l’uso nelle scuole o in famiglia. Ma non è così: Montessori stessa credeva che l’introduzione di “ausili meccanici” sarebbe diventata una necessità nelle scuole del futuro.Come comportarsi allora?Mario Valle nel suo libro La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie affronta la questione da un punto di vista particolare: esperto di super computer (è impiegato al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico di Lugano) e affascinato dall’approccio Montessori, mostra come le tecnologie possano essere utilizzate nelle scuole.Il risultato è un libro interessantissimo, che è insieme un’ottima esposizione del pensiero di Maria Montessori e un’utile guida pratica per insegnanti curiosi e desiderosi di introdurre in classe (con “spirito montessoriano”) le nuove tecnologie. Credo […] che l’introduzione di ausili meccanici diventerà una necessità generale nelle scuole del futuro. […] Vorrei, però, sottolineare che questi ausili meccanici non sono sufficienti per realizzare la totalità dell’educazione.Maria Montessori, Introduction on the Use of Mechanical Aids L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.