capitolo 4

Un’età per la tecnologia

Da un rapido sguardo al mondo della scuola, sembra che vi si debba introdurre la tecnologia più moderna a ogni costo. Ci mette in guardia da tale frenesia il pedagogista Daniele Novara esortandoci invece a

ragionare in termini pedagogici e in termini di apprendimento. Ossia ancora una volta non tanto e non semplicemente chiederci qual è l’ultima moda, ma cosa possiamo fare per aiutare le nuove generazioni a imparare adeguatamente29.

Siamo d’accordo che scegliere la tecnologia prima di pensare in che modo migliorare il curriculum scolastico sia miope, ma sul fatto che la si debba introdurre nella scuola ci sono pochi dubbi. Semmai ci fosse bisogno di una conferma, torniamo al brano già citato – era il 1947 – in cui Maria Montessori scriveva:

Credo tuttavia che l’introduzione di ausili meccanici diventerà una necessità generale nelle scuole del futuro.

Con lei non dobbiamo considerare gli “ausili meccanici” solo un mezzo per potenziare l’apprendimento, come chiede Daniele Novara, ma dobbiamo analizzarli e studiarli innanzitutto perché i bambini oggi sono sommersi dalla tecnologia nella loro vita extrascolastica e la scuola non deve rinunciare al suo scopo formativo e di guida anche in quest’àmbito.

Ma quando introdurle?

In linea generale prenderei in considerazione la tecnologia a scuola non prima dei 6-8 anni. Maria Montessori sosteneva con molta chiarezza che i primi sei anni di vita sono il momento in cui i bambini esplorano il mondo che li circonda sviluppando una comprensione del loro ambiente attraverso esperienze concrete, sporcandosi le mani, con oggetti reali e utilizzando i sensi per interiorizzarle creando così le basi dell’intelligenza30. Perché non solo l’intelligenza, ma l’intera sua personalità dipende dalle esperienze vissute e Maria Montessori ci tiene a ricordarlo appena dopo aver parlato di tecnologie nella scuola:

Il bambino impara attraverso la sua attività e se gli viene data la possibilità di imparare attivamente sviluppa il suo carattere e la sua personalità.

Maria Montessori, Introduction on the Use of Mechanical Aids, p. 7

È in questi anni e soprattutto nei “mille giorni che contano”, i primi tre anni di vita, che si gettano i presupposti della personalità, per cui qualsiasi cosa riduca l’attività concreta del bambino, non ne aiuta lo sviluppo. Ad esempio, che cosa imparerà del mondo un bambino in passeggino che, invece di guardarsi attorno, ha il viso incollato a uno smartphone?


Più in dettaglio, che cosa succede in questi primi sei anni? Fino ai 3-4 anni il bambino usa, appunto, gli oggetti che ha attorno per conoscere il mondo in rapporto a se stesso e solo più tardi rielaborerà con l’immaginazione le proprie esperienze. Ne consegue che fino a 4-5 anni a volte non riesce a distinguere la realtà dalla fantasia. Poi conquisterà poco alla volta la capacità di differenziare questi due piani acquisendo una sempre maggiore capacità di astrazione. In questa fase è aiutato dalla potenza dell’immaginazione e dalla progressiva capacità di ragionamento, dai materiali montessoriani che “materializzano le astrazioni” e dal suo bisogno di esplorare che si manifesta come una vera e propria fame intellettuale. Questa fase terminerà solo verso i 5-6 anni quando avrà sviluppato in modo completo il senso di realtà. Invece dai sei ai dodici anni il bambino vuole uscire da questo mondo, vuole esplorare ambiti fisici, intellettuali, relazionali e spirituali che vanno oltre la sua dimensione concreta. È il periodo in cui il bambino organizza il piano speculativo dello spirito umano, ossia acquisisce la capacità di ragionare su concetti astratti e di riconoscere le sue costruzioni mentali come separate dal reale31.

Intorno ai sei anni c’è quindi il passaggio dal piano sensoriale e concreto al piano dell’astrazione e questo, a mio avviso, è il vero spartiacque per l’introduzione della tecnologia, soprattutto informatica, nella vita del bambino. Il motivo, pensiamoci bene, è che i computer, i tablet e gli smartphone ci presentano un’“immagine sotto vetro” di oggetti virtuali con cui possiamo avere un’interazione solo mediata. Certo, le interfacce touch riducono i filtri (mouse e tastiera) fra l’agente e gli oggetti su cui agisce, ma comunque questi rimangono un’astrazione dietro a uno schermo che blocca ogni altro canale cognitivo. Presenta lo stesso identico problema la televisione, esasperato dal fatto che permette sì di scoprire mondi lontani – spesso finti – ma con cui non si può nemmeno interagire.


È vero che non tutta la tecnologia si presenta in questo modo, basta considerare quella legata al suono. Tuttavia anche qui c’è un filtro tra l’oggetto (il suono) e l’agente (il bambino) che ne altera la percezione, ed è la limitata gamma di frequenze audio emesse, per esempio, da un telefonino in confronto con quelle percepite dal vivo. Non solo, anche in questo caso lo strumento tecnologico rimuove molti canali di comunicazione sensoriale. Lo capiamo osservando una persona che legge ad alta voce un racconto offrendo, oltre alla percezione uditiva, stimoli visivi e cinestetici che mancano ascoltando una lettura registrata. Perfino noi adulti non metteremmo sullo stesso piano un concerto dal vivo e una sua registrazione, per quanto perfetta.

Un altro esempio di contrasto reale-virtuale ce lo offre una foto pescata sul web32, dove si vede una bambina di due-tre anni che, mentre sta parlando con i nonni attraverso Skype, offre loro da bere. Scena tenera, ma che insinua il dubbio che la piccola faccia fatica a distinguerne la presenza reale da quella virtuale. Con questo esempio non voglio giudicare la bontà di un rapporto via Skype, voglio solo porre l’accento sul fatto che la bambina svilupperà in modo completo il senso di realtà molto più tardi, per cui dobbiamo aiutarla a capire che i nonni sono lì solo con la loro immagine sullo schermo.


Ci dovremmo allora stupire dei filmati di bambini molto piccoli che usano il tablet33? No, perché “il bambino è dotato di poteri sconosciuti, che possono guidare a un avvenire luminoso”34. Detto in termini moderni, il cervello dei bambini piccoli è enormemente più plastico del nostro, per cui non fanno quasi nessuno sforzo ad adattarsi alle nuove situazioni. Sperimentano perché la loro “missione” è apprendere e fare esperienza. Sono veri e propri “scienziati nella culla”, come li chiama la studiosa dello sviluppo infantile Alison Gopnik35 e come tali, se diamo loro un qualsiasi gadget tecnologico, troveranno il modo di utilizzarlo in men che non si dica. Attenzione però a non fare confusione, perché questo comportamento dimostra solo che il bambino è capace di un apprendimento associativo (cerco-clicco-guardo/sento) che non ha nulla a che fare con l’intelligenza, né con il suo potenziamento36. Per i bambini piccoli, poi, i gesti contano più dei nomi, per cui un oggetto che funziona con dei gesti è irresistibile. Non serve quindi introdurre la tecnologia a scuola – o addirittura al Nido! – perché “imparino a usarla”.

La plasticità cerebrale è tuttora presente dopo i 6-8 anni e in più, nell’adattarsi alle nuove situazioni come quelle derivanti dall’uso di apparati tecnologici, il ragazzino non avrà i blocchi o le paure che abbiamo noi. Paure da adulti che nascono da esperienze che lui non ha ancora vissuto, come ad esempio quella di cancellare tutto nel computer premendo il tasto sbagliato. Per questo esplorerà con entusiasmo il nuovo mondo che sta di là dello schermo riuscendo a situare correttamente i due piani della realtà e dell’astrazione. A quest’età si sono ormai stabilizzate le strutture cognitive create con il movimento e l’uso delle mani, per cui l’insegnante potrà concentrare i suoi sforzi sul guidarlo all’utilizzo delle tecnologie.


Un altro vincolo ai tempi di introduzione della tecnologia nella vita del bambino ha origine nel suo processo di crescita sociale37. Innanzitutto spazziamo via un’incomprensione. Chi critica l’approccio Montessori spesso lo accusa di creare dei solitari. Giudizio sbagliato perché si limita a considerare una sola fase del processo di crescita sociale del bambino. È vero, nei riguardi dei materiali di sviluppo si parla di individualizzazione, intesa come lavoro personale, perché la ripetizione spontanea, la concentrazione e l’astrazione non possono che essere individuali.

Consideriamo invece l’intero percorso di sviluppo del bambino. Da zero a 6-7 anni il bambino tende sempre più ad agire con gli altri, prima in coppia per poi arrivare a un vero e proprio lavoro in gruppo con 3-4 compagni verso i 9-10 anni. Arrivando alla scuola media il processo di crescita spontaneo della coesione sociale è un punto d’arrivo e il lavoro a gruppi molto più ampi “perché socializzi”, come a qualsiasi età, è inefficace e inutile. Nei riguardi della tecnologia a quest’età tutto cambia, non solo perché questa è parte integrante del mondo dei ragazzi e un mezzo importante di apprendimento, ma perché per loro il computer non è più una scatola, bensì una porta, non è uno strumento, ma un compagno. C’è quindi una buona corrispondenza tra le offerte della tecnologia e i bisogni del ragazzo. Invece, tecnologie che isolano, come vedremo nel capitolo 5.7, interferiscono con questi processi sociali nelle età precedenti, specialmente quando il bambino, prima dei sei anni, inizia a cercare un compagno di lavoro.

4.1 Le incredibili abilità dei bambini

Semmai dovessimo convincerci di queste meravigliose capacità dell’infanzia, ci vengono in aiuto i bambini di uno sperduto villaggio etiope che in cinque mesi sono riusciti a usare e a modificare i computer portatili forniti dal progetto One Laptop Per Child38 senza istruzione:

Abbiamo lasciato le scatole nel villaggio. Chiuse. Chiuse con il nastro adesivo. Nessuna istruzione, nessun essere umano. Ho pensato: i bambini potranno giocare con le scatole! Nel giro di quattro minuti, un ragazzo non solo ha aperto la scatola, ma ha trovato l’interruttore di accensione. Non aveva mai visto un interruttore di accensione. Lo ha acceso. Entro cinque giorni, stavano utilizzando 47 applicazioni per bambino al giorno.
Entro due settimane, cantavano nel villaggio la canzone dell’ABC in inglese. Entro cinque mesi, avevano violato Android. Qualche idiota nella nostra organizzazione o nel Media Lab aveva disabilitato la fotocamera! Hanno capito che aveva una fotocamera e hanno modificato Android.39

Incredibile, vero? L’aneddoto conferma come ai bambini non servano istruzioni per utilizzare gli strumenti tecnologici. Provano e riprovano fino a ottenere un risultato che li soddisfi, a New York come a Nairobi. Del resto avete mai visto un ragazzino leggere il manuale d’istruzione di un videogioco? Invece troppi genitori sono convinti di avere dei fenomeni come figli e alimentano l’utilizzo di tablet e smartphone per mostrare la superiorità dei bimbi – o possibilmente la propria – dimenticandosi che questi strumenti sono stati studiati apposta per essere facilmente utilizzabili da chiunque.


L’esempio mostra anche la necessità di adattare con intelligenza le considerazioni che stiamo facendo qui quando veniamo a contatto con situazioni sociali molto differenti da quelle usuali nel nostro mondo. Noi abbiamo figli e allievi immersi fin troppo nella tecnologia, mentre i bambini etiopi protagonisti dell’aneddoto non avevano altra possibilità di conoscere e utilizzare un computer al di fuori di quelli forniti da One Laptop Per Child.

4.2 Ricapitolando

  1. Lasciar perdere la tecnologia fino ai sei, otto anni, almeno a scuola. I bambini devono aver acquisito la capacità di astrazione prima di accedervi.
  2. Far fare esperienze concrete, dopo è troppo tardi. È inutile ricordare che le esperienze davanti a uno schermo non sono concrete.
  3. Non bisogna stupirsi o lasciarsi fuorviare dalle incredibili capacità dei bambini piccoli.
  4. Non ci si deve sentire inferiore a chi, in altre scuole, ha introdotto precocemente la tecnologia perché dalla vostra parte ci sono le serie basi scientifiche che dettano il come e il quando farlo.
  5. Perdonatemi l’ovvietà: osservate, osservate e ancora osservate. I passaggi tra le varie fasi di sviluppo non avvengono per tutti allo stesso momento e gli effetti della tecnologia fuori dalla scuola non sono uguali per ogni bambino.

La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
Mario Valle
Un’integrazione possibile?Un’analisi fresca e attuale dell’impatto delle nuove tecnologie (PC, tablet, videogiochi) nell’ambiente scolastico, da una prospettiva montessoriana. Il pensiero comune sostiene che il mondo Montessori disdegni le nuove tecnologie e che non ne ammetta l’uso nelle scuole o in famiglia. Ma non è così: Montessori stessa credeva che l’introduzione di “ausili meccanici” sarebbe diventata una necessità nelle scuole del futuro.Come comportarsi allora?Mario Valle nel suo libro La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie affronta la questione da un punto di vista particolare: esperto di super computer (è impiegato al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico di Lugano) e affascinato dall’approccio Montessori, mostra come le tecnologie possano essere utilizzate nelle scuole.Il risultato è un libro interessantissimo, che è insieme un’ottima esposizione del pensiero di Maria Montessori e un’utile guida pratica per insegnanti curiosi e desiderosi di introdurre in classe (con “spirito montessoriano”) le nuove tecnologie. Credo […] che l’introduzione di ausili meccanici diventerà una necessità generale nelle scuole del futuro. […] Vorrei, però, sottolineare che questi ausili meccanici non sono sufficienti per realizzare la totalità dell’educazione.Maria Montessori, Introduction on the Use of Mechanical Aids L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.