13.7 I videogiochi
I videogiochi a scuola, ma siamo matti?
Forse non del tutto. È molto improbabile che li vedremo mai in una scuola Montessori, ma, se ci pensate, che differenze ci sono tra usare un videogioco e quello che si fa in queste aule? I videogiochi sono interattivi, partecipativi e si svolgono in un ambiente protetto, dove i giocatori vanno al loro ritmo. Alcuni di questi addirittura permettono di creare qualcosa, come Minecraft e SimCity, che, ricordiamo, è stato ideato da Will Wright, un ex-montessoriano.
Nel valutare l’idea dei videogiochi a scuola, iniziamo col non demonizzarli per partito preso. È la strada più facile, ma così si ignorano le conclusioni di studi seri sull’argomento. Per fare un esempio, Daphné Bavelier dell’Università di Ginevra216 ha analizzato i videogiochi d’azione, mostrando come questi migliorino la plasticità cerebrale e come la violenza che generano dipenda da ben altro che il gioco217.
Invece i giochi “educativi” mi sembra trasmettano il messaggio che, se non si indora la pillola, certe cose da imparare non si imparano e che la materia fa così schifo ed è così inutile che bisogna metterci il gioco per farla accettare. Quasi quasi è più educativo Minecraft. Di solito questi giochi si limitano alla trasposizione di un libro di testo o di un eserciziario, quando potrebbero puntare a un obiettivo più alto, come ad esempio far amare la matematica invece di limitarsi a insegnare le tabelline.
Una visione interessante del ruolo che potrebbero svolgere i giochi elettronici in ambito scolastico è quella di James Paul Gee della University of Arizona, che è convinto che gli studenti, in ultima analisi, abbiano bisogno di capire come si risolvono i problemi e di imparare a essere creativi:
Quello che sostengo non è l’imparare con i giochi, ma la necessità di un apprendimento in cui i discenti mettono in pratica le loro competenze risolvendo problemi. Oggi le nostre scuole si concentrano su fatti e informazioni e non sulla soluzione di problemi. Così, molti dei nostri studenti effettivamente non lo sanno fare, anche quando superano i test su fatti e informazioni218.
Problemi che non si pongono nella scuola Montessori, in cui ogni materiale fornisce sempre nuovi problemi da risolvere.
Michael Levine, direttore esecutivo del “Joan Ganz Cooney Center” di New York, ha analizzato centinaia di applicazioni di alfabetizzazione per bambini in una serie di rapporti ed è giunto alla conclusione che
il mercato delle applicazioni è un selvaggio West digitale. La maggior parte delle applicazioni etichettate come educative non fornisce alcun orientamento basato sulla ricerca. […] Meno del 10% delle applicazioni che abbiamo analizzato aveva una qualche prova di efficacia dichiarata [nelle descrizioni dello store].
Ci sono invece videogiochi che la gente non pensa neppure di classificare come educativi: per esempio Papers Please, dove il giocatore interpreta il ruolo di un burocrate all’epoca della Guerra Fredda, oppure Oregon Trail, dove viaggia insieme ai pionieri diretti a ovest. I loro creatori conoscevano una verità fondamentale frequentemente dimenticata nei giochi educativi di oggi: l’esperienza che è possibile far vivere a un giocatore è estremamente potente. Il gioco non ti forza a memorizzare fatti, non ti valuta sulle banalità. Riguarda assolutamente l’esperienza, trasmettendo una comprensione non trascurabile del disagio affrontato da chi ha percorso la pista dell’Oregon, o dell’ansia che provava un cittadino di Berlino Est, attraverso il semplice mettere il giocatore in quel ruolo219. Questo non è insegnare, è educare, anche se il gioco non è etichettato così.