capitolo 13

In pratica, che cosa posso fare?

Proseguiamo la nostra analisi del rapporto tra le idee montessoriane e le nuove tecnologie passando in rassegna che cosa potrebbe servire a voi insegnanti, oltre alla teoria dei capitoli precedenti, per diventare più abili con le tecnologie e usarle a scuola a vostro vantaggio. Affinché non rimangano delle idee teoriche, in questo capitolo propongo una collezione di esempi di possibili attività che si basano su una qualche tecnologia.


Noterete subito che tutte le mie proposte partono con il piede sbagliato, se si vogliono adottare in una scuola Montessori, perché in questi ipotetici esempi è l’insegnante che sceglie per i bambini. A maggior ragione, come già dicevo, qui serve la vostra sensibilità ed esperienza di insegnanti per adattare i miei spunti trasformandoli in senso montessoriano in modo che possano diventare occasioni di libera scelta e di crescita per il bambino.

13.1 Quali risorse per l’insegnante?

Sui siti americani per insegnanti non manca quasi mai la pagina “Le [numero] tecnologie che ogni insegnante deve conoscere”, dove il numero di solito è compreso tra cinque e cinquanta e il contenuto riguarda sempre le scuole secondarie tradizionali. Sarebbe comunque utile anche per voi conoscere almeno i seguenti strumenti software che possono aiutarvi nei lavori di preparazione e studio (nella sezione 14.3 il come e dove procurarseli):

  • Google Search (o altri motori di ricerca), Wikipedia: esplorazione, consultazione.
  • Libre Office (o Microsoft Office): scrittura e creazione di presentazioni.
  • Google Drive: scrittura di documenti condivisi.
  • CmapTool, Xmind, FreeMind: mappe mentali e mappe concettuali.
  • Dropbox: condivisione di file e immagini.
  • Slideshare: condivisione di presentazioni.
  • YouTube: condivisione (e creazione) di filmati.
  • Skype, WhatsApp: comunicazione.
  • GIMP, Fotor, Instagram: manipolazione di immagini.

A parte Microsoft Office che è commerciale e inserito nell’elenco per completezza, tutti gli altri strumenti sono gratuiti. La possibilità di accedere ad applicazioni di alta qualità senza sborsare nulla ci apre uno spiraglio su un mondo popolato da gente che si dedica al loro sviluppo in autonomia, perché vuole mostrare la sua maestria nel creare qualcosa per uno scopo preciso e perché sia utilizzata da molti. Questa comunità di sviluppatori condensa la propria filosofia d’azione in una frase che purtroppo perde un po’ quando viene tradotta: “Free software. Free as in free speech, not as in free beer!”, che in italiano suona come: “Software libero. Libero come la libertà di parola, non come una birra gratuita!”. L’obiettivo non è la gratuità, ma la libertà di espressione, scelta, correzione e modifica. Immagino che abbiate notato un certo parallelismo fra le motivazioni di chi sviluppa software libero e quelle dei bambini in una scuola Montessori. Anche lì il bambino sceglie in autonomia, risponde a un’esigenza interna di maestria e non fa le cose “per finta” ma per uno scopo.

Per procurarvi software libero potete visitare per esempio SourceForge, dove molti sviluppatori mettono a disposizione le loro creazioni, o cercare su AlternativeTo un sostituto per uno strumento commerciale che già conoscete203, oppure potete andare alla fine del testo, dove ho raccolto alcuni collegamenti ad applicazioni utili.


Parlando di applicazioni, a mio avviso gli insegnanti montessoriani potrebbero imparare molto analizzando la struttura e la leggibilità dei loro album tecnici oppure mettendo alla prova la capacità di attirare l’attenzione delle slide di una loro presentazione. Vedete, qui non è in ballo solo la conoscenza dello strumento informatico, che alla fine è solo un mezzo, ma si deve conoscere anche qualcosa di tipografia e di comunicazione visiva per creare un lavoro ben fatto ed efficace.


Più che una conoscenza operativa dei programmi, o di un generico “imparare a usare il computer”, credo che sia molto più utile provare a crearsi un modello mentale di come funziona la tecnologia, riflettendo su come la usiamo. Per esempio, quanti di voi scrivono l’indirizzo web in Google invece che nella barra degli indirizzi del browser? Così facendo è come cercare sull’elenco telefonico un numero che già si conosce al posto di usarlo per fare la chiamata. Avrete forse sentito la storia della nonnina inglese di 86 anni che aveva digitato su Google: “Per favore, tradurresti questi numeri romani MCMXCVIII grazie”. Quando le hanno chiesto il perché di quella formula lei ha risposto candidamente: “Ho pensato che se una persona è educata, magari dall’altra parte rispondono prima”204. Tenero e comprensibile nel suo caso, ma in generale ci fa capire che non sappiamo come funziona un motore di ricerca. Questo è solo uno degli esempi che mostra come noi adulti, con frequenza, usiamo la tecnologia senza conoscerla e senza la curiosità di voler capire come funziona.

Ora, qui non possiamo affrontare in profondità questo tema per non allontanarci troppo dalla ricerca di ciò che può servire alla crescita dei nostri abitanti del futuro. Credo, però, che ognuno possa osservare molti esempi di presentazioni o di documenti con occhio critico e, mettendosi nei panni di chi deve leggerli e soprattutto provando e riprovando, possa acquisire la competenza necessaria. Oppure può provare a domandarsi come potrebbe funzionare la tecnologia informatica che sta utilizzando. Si rallenta certamente il lavoro, ma si allena la curiosità. Gli insegnanti, poi, potrebbero farsi promotori di incontri di aggiornamento che, assieme ad argomenti più strettamente scolastici o metodologici, coprano questi temi con sessioni anche pratiche. Non sprechiamo però tempo prezioso ad apprendere nei dettagli come usare queste tecnologie. Voi insegnanti dovete capirle, non necessariamente esserne dei guru. Se qualche cosa non vi è chiara, chiedete ai vostri studenti, sono convinto che saranno felici di aiutarvi.


Veniamo ora alle proposte di attività tecnologiche che coinvolgono le persone più importanti della scuola: i bambini.

13.2 La classica “ricerca”

“Vorrei far fare ai ragazzi una ricerca sul Ghepardo Chiassoso dell’Anatolia205 facendo loro utilizzare le capacità di Google e le immense collezioni d’informazioni disponibili in rete”.


Una maestra Montessori americana racconta:

Questo è quello che faccio: io uso il computer per il suo scopo previsto – per raccogliere, analizzare, sintetizzare e condividere le informazioni – cioè se uno studente vuole fare qualche ricerca a volte facciamo una ricerca su Google solo dopo aver visto se possiamo trovare qualcosa nella nostra enciclopedia di classe. Spesso cerco immagini nell’enciclopedia dei bambini. Cerchiamo foto di cose che stiamo esplorando. Internet e il computer sono presentati in una lezione, come un altro strumento di ricerca. Questo è quello che è: uno strumento con uno scopo che deve essere rispettato come tutti gli altri materiali nella stanza206.

Un buon suggerimento, che proverei a espandere nei seguenti passi:

  1. Definire che cosa si vuol sapere creando una mappa mentale o una mappa concettuale207 dell’argomento di ricerca, registrando tutto quello che si sa già e quanto trovato sui libri. Se poi si crea la mappa su un grande foglio steso a terra, diventa anche un’attività motoria per tutti i bambini.
  2. Trovare le domande da porre attraverso l’analisi della mappa cercando i “buchi di conoscenza”, ciò che non si conosce e quindi si deve cercare. Potrebbe anche darsi che il lavoro di ricerca termini qui, se già conosciamo tutto ciò che ci interessa. È questo forse il passo più importante di tutta l’attività, perché i motori di ricerca ci fanno diventare efficienti ma vuoti, perché non ci aiutano a formulare domande significative.
  3. Sottometterle al motore di ricerca che può essere Google, magari provando a utilizzare tutte le sue funzionalità, anche quelle di solito ignorate208, un qualsiasi altro motore di ricerca o direttamente Wikipedia. Scopriremo che differenti motori di ricerca e Wikipedia in lingue differenti portano a risultati spesso divergenti e a volte addirittura in contraddizione tra loro209. Non c’è che dire, potrebbe essere una bella lezione di spirito critico.
  4. Districarsi tra le risposte imparando a riconoscere quelle rilevanti e quelle che rimandano a sorgenti affidabili prima di utilizzarle per chiudere i “buchi di conoscenza” ancora presenti nella mappa. Può succedere che le risposte diano luogo ad altre domande cui non avevamo pensato (“Ho scoperto che quest’animale vive in Anatolia. Dov’è l’Anatolia? Aspetta, fammi usare Google Earth”).
  5. Condividere quanto trovato creando un resoconto testuale dei risultati della ricerca oppure una presentazione. Così si impara a collaborare nella stesura di un testo (lo insegnava già Don Milani) e a condividere i risultati del lavoro. Nello scrivere non scordiamoci che oggi più che mai la gente vuole le informazioni in contesto, vuole conoscere il luogo, il tempo e chi è implicato in un certo evento; in altri termini vuole ascoltare delle storie, non un elenco di aridi fatti. Così la semplice ricerca si espande e può trasformarsi in uno stimolo per parlare di comunicazione e di scrittura efficace.

13.3 Il lavoro multimediale

“Vorrei preparare un qualcosa di multimediale con i miei allievi, non so… un film, un giornale, o addirittura un sito web”.

Ci sono vari lavori cui ispirarsi e, soprattutto, da valutare con occhio critico. Un primo esempio è il progetto PodClass di Como210, che mostra come lasciare ai bambini e ragazzi la realizzazione della storia, per poi aiutarli a utilizzare delle apparecchiature professionali per la produzione del lavoro finale.


Invece, alla scuola Montessori di via Milazzo a Milano, hanno realizzato un lavoro complesso che si è dimostrato più difficile del previsto. Il racconto che mi hanno fatto della loro esperienza ci può dare qualche spunto per valutare se imbarcarsi in un’attività del genere:

Un paio d’anni fa abbiamo scelto alla scuola primaria la modalità “film” con la partecipazione di alcuni genitori a vario titolo occupati nella regia o nella fotografia. Il nostro obiettivo era trasmettere entusiasmo per la lingua inglese e far partecipare tutti nella recitazione e alla stesura del testo e delle battute, divisi per classi e guidati dall’insegnante. La presentazione del lavoro era alla fine dell’anno. Apparecchiatura: una telecamera Sony dozzinale. Il montaggio, come puoi immaginare, era in mano ai tecnici e all’insegnante. L’idea di creare un giornale con i contenuti del film era nata dai bambini stessi perché interpretavano redattori e giornalisti, quindi era bello farlo sul serio e a modo loro. L’impresa è comunque titanica perché prende a tutti la mano (scenografie, luci, tempi montaggio, assenze dei bambini, confronti con i genitori, costi non previsti, tempi di realizzazione…).

Un altro esempio interessante è il filmato “Mani oltre lo schermo” con i bambini del nido, uno dei lavori finali per il Corso Montessori 0-3 di Brescia del 2015. L’autrice della tesi “Dal bambino spettatore al bambino protagonista: il metodo Montessori negli audiovisivi” ricorda:

Ho applicato la tecnica audiovisiva del “videoattivo” nel modo più montessoriano possibile, realizzando con questi bambini un piccolo cortometraggio, molto semplice, rispettando il più possibile tutte le caratteristiche di un lavoro Montessori, dalla preparazione dell’ambiente a quella del materiale, dall’attenzione verso la libertà di scelta al ruolo dell’educatrice e così via… Protagonista del cortometraggio: la mano! È stato un lavoro faticoso, ma allo stesso tempo arricchente ed entusiasmante.

Per i ragazzi più grandi si potrebbe invece cominciare a parlare di Media Education, che svela i meccanismi che stanno dietro ai media. Lo ha fatto Lidia Rubio Arteaga nella sua tesi di laurea211, applicando poi quanto analizzato nella preparazione e produzione di un video che racconta la vita dei ragazzi di alcune famiglie che hanno scelto di vivere in un “condominio solidale”. In questo caso il fine dell’attività non era il film in quanto tale, ma il raccontare una storia, la loro storia.


Su questa linea una proposta differente potrebbe essere un’attività di Citizen Reporter, per raccontare una storia, fare la cronaca di un qualche avvenimento o indagare un fatto locale. Per far questo, oltre allo scrivere, serve usare la videocamera, scattare foto anche col cellulare e localizzare con il GPS. Credo sia un’attività più semplice da realizzare rispetto al produrre un intero film. La parte più difficile in questo caso è definire come rendere fruibile il risultato. Potrebbe essere una pagina web, un articolo per un giornale del posto, oppure – perché no? – una voce di Wikipedia.

13.4 Un tablet alla Casa dei Bambini

“Possibile non sia mai stato introdotto il computer in una Casa dei Bambini?”

È stato fatto nel 2002 da Patrizia Enzi, formatrice dell’ONM e i risultati della sua esperienza sono stati pubblicati in Vita dell’Infanzia nel 2005212. Racconta Patrizia:

Quest’attività è iniziata con lo studio delle varie parti del PC, poi gli stessi bambini si sono accorti che quando iniziavano a usarlo non si rendevano conto del passare del tempo rendendo così difficile l’uso da parte degli altri. Loro stessi hanno proposto la soluzione: usare un timer da cucina. Il programma utilizzato è stato solo Paint attraverso una tavoletta grafica. Alla fine dei quindici minuti stabiliti con il timer, chiudevano il lavoro e lo mettevano in una cartella con il loro nome come se fosse il cassetto dove conservavano i lavori finiti o da finire.

Questa sperimentazione non contraddice le conclusioni del quarto capitolo, anche se la tecnologia è stata introdotta ben prima dei sei anni, perché è stata fatta in una maniera molto controllata e in un periodo in cui non erano ancora diffuse le interfacce grafiche touch (ricordiamoci che l’iPhone è del 2007).


L’attività come tale forse oggi non sarebbe più stimolante e utile per i bambini. Invece le lezioni che possiamo ricavare da questo esperimento sono d’interesse generale:

  • È stata fatta una lezione introduttiva come per qualsiasi altro materiale.
  • La maestra si è fidata della soluzione proposta dai bambini.
  • La tecnologia è stata utilizzata per un compito ben preciso.
  • L’interfaccia, rappresentata dalla tavoletta grafica, rispecchiava fedelmente il disegnare con una matita sulla carta.

Più che introdurre i tablet alla Casa dei Bambini, con le interfacce utenti touch sempre più pervasive, chissà se oggi proporre un corso di speed typing per insegnare a scrivere sulla tastiera con tutte e dieci le dita non possa trasformarsi in un’esotica novità per i bambini. Lo sarebbe sicuramente il poter smontare con le proprie mani un tablet o un computer per vedere com’è fatto dentro.

13.5 Gli “amici di penna” elettronici

“Vorrei usare la tecnologia di comunicazione per presentare la nostra scuola a un’altra e così far conoscere una realtà differente ai miei allievi”.


È un’ottima idea, specialmente se la collochiamo nell’ambito dell’Educazione Cosmica. Un incontro e uno scambio che non siano quindi una semplice chiacchierata, ma un momento di connessione tra esseri umani, geografie e culture diverse. Affinché la comunicazione divenga occasione di crescita bisogna pianificarla seguendo alcuni passi concreti:

  1. Chiarire lo scopo della comunicazione. Far conoscere la scuola? Parlare una lingua straniera? Conoscere un’altra cultura? Potrebbe addirittura trasformarsi in un gioco di apprendimento interattivo in cui le due scuole usano una serie di domande “sì/no” per indovinare le rispettive posizioni geografiche213.
  2. Trovare la scuola corrispondente. Una scuola che condivida il progetto e il modo di attuarlo, non necessariamente un’altra scuola Montessori.
  3. Preparare gli allievi. L’attività non deve trasformarsi in un pretesto per fare confusione o in una lezione in cui sono le insegnanti a guidare l’incontro. Sono i ragazzi che devono decidere una scaletta di argomenti da proporre e una lista di domande che vogliono porre.
  4. Mettere in piedi la parte tecnica. La scelta più semplice è usare Skype con un microfono e degli altoparlanti amplificati, provando in anticipo la webcam e collocandola in modo che si vedano tutti i partecipanti e, non ultimo, tenendo conto di eventuali fusi orari. Attenzione! La premessa perché tutto funzioni è che l’infrastruttura di rete permetta una connessione stabile a velocità adeguata. Sicuramente le insegnanti dovranno fare prima un collegamento di prova quando non sono presenti i ragazzi.
  5. Il momento della comunicazione. Lo devono guidare i ragazzi e deve avere un limite di durata (se vogliono continuare, si può pianificare un contatto successivo).
  6. Riassumere. Ricapitolare con i ragazzi l’esperienza fatta e raccogliere i punti che più li hanno colpiti. Preparare una presentazione per chi non ha partecipato (gli assenti o altri allievi).
  7. Ringraziare l’altra scuola. Magari con una lettera cartacea, una foto o qualcosa che rimanga.


Con questa proposta non si esauriscono le possibili attività di comunicazione. Per esempio si può chiedere a un genitore di presentare un argomento da specialista oppure far vedere il suo posto di lavoro via Skype.


La familiarità con i programmi di comunicazione può portare interessanti benefici anche agli insegnanti che potrebbero, per esempio, scambiarsi esperienze oppure organizzare incontri di ripetizione e approfondimento per questa via. Al contrario, un intero corso di formazione Montessori via Skype mi lascia parecchio dubbioso, perché lo strumento riduce i possibili canali di comunicazione e, soprattutto, impedisce il fondamentale esercizio pratico condiviso tra i corsisti.

13.6 Il mondo e la geografia

“E la geografia? Potrei usare la tecnologia per ridare lustro e interesse a questa materia?”

Secondo solo all’immaginazione, il computer è un mezzo bellissimo per trascendere i limiti dello spazio e del tempo. I ragazzi possono visitare luoghi remoti tramite Google Earth, leggere su Wikipedia di Paesi che mai visiteranno oppure ammirare tesori architettonici leggendo le tante pagine web di promozione turistica che si trovano in rete. Ne può venir fuori un’attività interessante e informativa, ma forse un po’ troppo passiva. Per creare un’attività più montessoriana si potrebbe abbinare la conoscenza dei luoghi con il contatto diretto con abitanti o coetanei del posto, perlomeno attraverso strumenti di comunicazione remota, come ho proposto nella sezione precedente. La lettura di romanzi di viaggio potrebbe invece fornire lo spunto per esplorare in Google Earth i luoghi descritti nell’opera e, in un certo senso, per calarsi nei panni dei protagonisti. Anche porre i ragazzi nel ruolo di autore di un racconto di questo tipo potrebbe essere interessante: creano un itinerario sulle mappe e raccontano ai compagni che cosa hanno visto virtualmente o perché hanno scelto di passare per quei posti. Altro che noioso “compito in classe” di geografia!


Potremmo anche farci ispirare dalle proposte dell’Educazione Cosmica che, sia chiaro, non è una materia, ma un modo di riflettere sul filo che tiene unita l’umanità, l’universo e tutte le specie viventi. Questo filo si può rendere visibile su una mappa? Si possono localizzare i luoghi naturali a rischio e capire che cosa li minaccia? Possiamo vedere dove si originano prodotti di cui i bambini vanno ghiotti (banane, cacao, noccioline…) e le popolazioni che li coltivano?


Infine, invece di usufruirne solamente, si può pensare di costruire qualcosa per gli altri anche nel campo della geografia e delle mappe topografiche. Ne parla un lavoro214 che presenta l’esperienza di un MiniMapathon, in altre parole la creazione collaborativa di mappe a scopo umanitario. Questa attività è stata realizzata da 250 studenti di quarta e quinta della scuola primaria. Il compito dei ragazzi era inserire in una mappa gli edifici presenti in foto aeree di un’area dove operava un’organizzazione umanitaria. Attività simili sono coordinate da Missing Maps215 che, come dice il nome stesso, si occupa della creazione di mappe laddove queste non esistono, in particolare nelle aree ritenute più vulnerabili, in quanto esposte a epidemie, crisi umanitarie, disastri naturali e altri fattori di rischio.

13.7 I videogiochi

I videogiochi a scuola, ma siamo matti?

Forse non del tutto. È molto improbabile che li vedremo mai in una scuola Montessori, ma, se ci pensate, che differenze ci sono tra usare un videogioco e quello che si fa in queste aule? I videogiochi sono interattivi, partecipativi e si svolgono in un ambiente protetto, dove i giocatori vanno al loro ritmo. Alcuni di questi addirittura permettono di creare qualcosa, come Minecraft e SimCity, che, ricordiamo, è stato ideato da Will Wright, un ex-montessoriano.


Nel valutare l’idea dei videogiochi a scuola, iniziamo col non demonizzarli per partito preso. È la strada più facile, ma così si ignorano le conclusioni di studi seri sull’argomento. Per fare un esempio, Daphné Bavelier dell’Università di Ginevra216 ha analizzato i videogiochi d’azione, mostrando come questi migliorino la plasticità cerebrale e come la violenza che generano dipenda da ben altro che il gioco217.


Invece i giochi “educativi” mi sembra trasmettano il messaggio che, se non si indora la pillola, certe cose da imparare non si imparano e che la materia fa così schifo ed è così inutile che bisogna metterci il gioco per farla accettare. Quasi quasi è più educativo Minecraft. Di solito questi giochi si limitano alla trasposizione di un libro di testo o di un eserciziario, quando potrebbero puntare a un obiettivo più alto, come ad esempio far amare la matematica invece di limitarsi a insegnare le tabelline.


Una visione interessante del ruolo che potrebbero svolgere i giochi elettronici in ambito scolastico è quella di James Paul Gee della University of Arizona, che è convinto che gli studenti, in ultima analisi, abbiano bisogno di capire come si risolvono i problemi e di imparare a essere creativi:

Quello che sostengo non è l’imparare con i giochi, ma la necessità di un apprendimento in cui i discenti mettono in pratica le loro competenze risolvendo problemi. Oggi le nostre scuole si concentrano su fatti e informazioni e non sulla soluzione di problemi. Così, molti dei nostri studenti effettivamente non lo sanno fare, anche quando superano i test su fatti e informazioni218.

Problemi che non si pongono nella scuola Montessori, in cui ogni materiale fornisce sempre nuovi problemi da risolvere.


Michael Levine, direttore esecutivo del “Joan Ganz Cooney Center” di New York, ha analizzato centinaia di applicazioni di alfabetizzazione per bambini in una serie di rapporti ed è giunto alla conclusione che

il mercato delle applicazioni è un selvaggio West digitale. La maggior parte delle applicazioni etichettate come educative non fornisce alcun orientamento basato sulla ricerca. […] Meno del 10% delle applicazioni che abbiamo analizzato aveva una qualche prova di efficacia dichiarata [nelle descrizioni dello store].

Ci sono invece videogiochi che la gente non pensa neppure di classificare come educativi: per esempio Papers Please, dove il giocatore interpreta il ruolo di un burocrate all’epoca della Guerra Fredda, oppure Oregon Trail, dove viaggia insieme ai pionieri diretti a ovest. I loro creatori conoscevano una verità fondamentale frequentemente dimenticata nei giochi educativi di oggi: l’esperienza che è possibile far vivere a un giocatore è estremamente potente. Il gioco non ti forza a memorizzare fatti, non ti valuta sulle banalità. Riguarda assolutamente l’esperienza, trasmettendo una comprensione non trascurabile del disagio affrontato da chi ha percorso la pista dell’Oregon, o dell’ansia che provava un cittadino di Berlino Est, attraverso il semplice mettere il giocatore in quel ruolo219. Questo non è insegnare, è educare, anche se il gioco non è etichettato così.

Infine ci sono i giochi e i programmi di simulazione. Giochi famosi, come Assassin’s Creed o Civilization, permettono di studiare periodi storici e avvenimenti che hanno segnato un’epoca, oppure il già citato Celestia che rende possibile simulare un viaggio nel sistema solare e altri che rendono possibile riprodurre fenomeni ed eventi che non si potrebbero esplorare in nessun’altra maniera. Del resto è quello che fanno gli utenti del CSCS per indagare processi fisici impossibili da studiare in laboratorio: li simulano con programmi di calcolo che approssimano e riproducono i fenomeni sotto studio. Dal suo peculiare punto di vista Tom Wujec, mente dell’Autodesk220, sintetizza così l’importanza di questo tipo di apprendimento:

Le simulazioni sono una forma di visualizzazione dei problemi e degli ostacoli che bisogna aggirare sul piano del reale. Consentono di non fare errori e allo stesso tempo aprono nuove frontiere nella progettazione.

Ricaviamo altri spunti interessanti quando ampliamo i nostri orizzonti dai videogiochi al gioco in generale. “Il gioco è apprendimento senza punizione”, sostiene Mickey Sarquis, direttrice di Terrific Science, “e i giocattoli sono il modo migliore per avvicinarsi alla scienza”221. Certo, la prima affermazione è qualcosa che non ci tocca direttamente perché nel Montessori non c’è nulla di più alieno di premi e punizioni. È però vero che

qualsiasi argomento, non importa di che livello di difficoltà, quando cessa di essere occasione per il mero esercizio scolastico e diventa un’occasione di stimolo per il cervello, allora è certamente anche un gioco. Un gioco che ci divertiamo a fare, una sorta di ostacolo volontario che proviamo piacere a superare222.

Un esempio concreto viene niente meno che da Mario M. Montessori in un simpatico documento intitolato Quelle orribili matematiche223 dove racconta di bambini totalmente immersi nel calcolare le differenze tra potenze successive dei numeri interi, un lavoro per nulla banale e scelto da loro in autonomia.

I giochi non devono per forza essere basati sul computer. In Texas due insegnanti di scuola media hanno creato Historia, un gioco di strategia e simulazione su carta in cui gli studenti dovevano risolvere problemi storicamente accurati o prendere decisioni al momento giusto224. Raccontano:

Ogni volta che abbiamo usato giochi per l’apprendimento, l’atmosfera in classe è diventata elettrica e i nostri studenti sono stati catturati dallo studio della storia.

Ho trovato interessanti le osservazioni di studenti e insegnanti nel video che accompagna l’articolo, perché molte ricordano da vicino quello che si può vedere in una scuola Montessori. Non c’è che dire, anche loro hanno riscoperto idee che conosciamo bene, nate più di cento anni fa.

13.8 Creare una mini Wikipedia

Non vorrei solo far usare loro Wikipedia, vorrei che imparassero in maniera più attiva.

Anche la nascita di Wikipedia è stata contagiata dalle idee montessoriane. Il suo fondatore, Jimmy Wales, in un’intervista del 2005, descrive la scuola della sua infanzia come

un’educazione influenzata dalla filosofia Montessori”, dove “ho speso un sacco di ore a sfogliare le enciclopedie Britannica e Libro del Mondo225.

Se volete che i ragazzi usino Wikipedia in maniera intelligente, insegnate loro non tanto a leggerla, ma a scrivere le voci stesse. Così imparano l’etica della scrittura e come ci si sente a essere spietatamente corretti e modificati nel giro di poche ore. Gli argomenti su cui dare un contributo non mancano: le tradizioni locali, i giochi dei nonni, un piatto o dolce tipico della zona, per esempio.


Per superare la difficoltà tecnica di aprire un account su Wikipedia e aggiungere i testi, si può crearne una locale usando una Wiki226 oppure, come alternativa “low tech”, preparando il muro delle parole, come avevano fatto alla scuola di mio figlio dove, in un cartellone appeso al muro, raccoglievano le parole che non conoscevano incontrate in qualche testo per poi andarle a cercare nel dizionario o su un’enciclopedia.


La creazione e condivisione della conoscenza si può estendere a dismisura. Per esempio nelle scuole superiori, invece di trasporre il libro dalla carta al mezzo elettronico senza modifiche, si può incoraggiare la creazione di libri di testo vivi, costruiti da allievi e insegnanti227.

13.9 Imparare a programmare

Vorrei che i miei ragazzi utilizzassero il computer in maniera più attiva, per costruire qualcosa…

Fin dal 1960, Seymour Papert228, che aveva lavorato con Jean Piaget, sosteneva che tutti i bambini avrebbero dovuto imparare a programmare i computer per poterli usare in maniera più attiva. Riassumeva così il suo pensiero: “È il bambino che programma il computer e non il computer che programma il bambino”. Insomma, la programmazione come antidoto a tanti problemi creati dalle tecnologie.


Nelle nostre idee preconcette siamo convinti che imparare a programmare sia un’attività che si consuma nel sedersi dinnanzi a un computer e, con un voluminoso manuale accanto, memorizzare sintassi e regole controllando scrupolosamente dettagli e possibili errori. Per fortuna non è l’unico modo, perché oggi si può imparare a programmare con strumenti pratici e visuali che rendono la programmazione simile a un gioco e avvicinabile anche dai bambini. Esistono già tante proposte: Kodu229, un linguaggio per costruire videogiochi, Scratch e Blockly230 linguaggi più generali e infine LOGO231, il patriarca, con la sua tartaruga da far muovere sullo schermo. Si possono addirittura creare programmi senza computer, come propone la guida per il docente del progetto Smart Coding232, che presenta un’attività in cui tutto il gruppo di ragazzi dà a un compagno bendato i comandi necessari per recuperare un oggetto seguendo un percorso predeterminato. In fondo, un programma che cos’è se non un insieme di istruzioni elementari?


Una grande risorsa per chi pensa che la programmazione possa essere un’attività interessante e formativa per i bambini sono i CoderDojo233, delle “palestre” dove bambini, ragazzi e volontari giocano e collaborano per imparare a scrivere programmi. Un adulto spiega il gioco, cioè le regole per creare i programmi, dopo di che i bambini lavorano alla creazione di ciò che vogliono. L’intenzione dietro a questi strumenti e attività non è solo quella di imparare a programmare il computer, ma imparare a pensare con metodo, a capire la logica che sta alla base della programmazione, a cooperare e a condividere quanto creato.

13.10 La robotica

Sì, va bene programmare, ma a parte qualcosa sullo schermo è tutto molto astratto. Vorrei invece far fare qualcosa con le mani, qualcosa che si muova e che i bambini possano toccare…

Un robot è semplicemente un manufatto meccanico comandato da un computer e non deve essere per forza come lo descrive la fantascienza. Costruire e far funzionare un robot ha bisogno di un ampio ventaglio di attività: progettare, montare il robot, programmare… attività che si fanno assieme, cooperando. Il vantaggio rispetto a una piattaforma di pura programmazione è che si interagisce con un oggetto tangibile, che “fa” qualcosa. Di solito i progetti di robotica nelle scuole non si limitano a trasmettere i fondamenti di questa materia, ma insegnano attraverso l’utilizzo della robotica. Vista in questa luce, la robotica presenta molti punti di contatto con le idee montessoriane: l’importanza dell’ambiente, la maestra come collegamento tra l’ambiente e il bambino, l’agire autonomo, l’importanza dell’errore come punto di partenza, le “astrazioni materializzate” e così via. Non stupisce quindi che in un articolo messo a disposizione dalla rete Robocup Italia si citino assieme il linguaggio LOGO e Montessori234. Non dimentichiamo che l’inventore di questo linguaggio e la mente dietro a LEGO MINDSTORMS è il già citato Seymour Papert che, oltre a essere un matematico e un informatico era anche un pedagogista.


Passando alle esperienze pratiche, in una scuola Montessori ho visto utilizzare Bee-Bot235, equivalente tangibile della tartaruga del linguaggio LOGO. L’avevano programmata a muoversi su un tabellone di lettere per formare delle parole. Il linguaggio è molto semplice, ma non banale. Bisogna programmare la direzione, la distanza da percorrere e quante ripetizioni sono necessarie. Non parliamo poi delle scuole Montessori americane in cui la robotica sembra essere già diventata una delle proposte standard236.


Ritornando alle scuole tradizionali, possiamo farci ispirare da una di Viareggio, dove hanno creato delle attività basate sul robottino mBot e il software di controllo mBlock237, da altre238 che hanno invece utilizzato Scribbler, un robot di struttura più essenziale, oppure passiamo alle attività proposte dal progetto Robotica in classe239. Oltre a questi esperimenti, anche giochi come il già citato LEGO MINDSTORMS o il più moderno LEGO WeDo240 permettono di avvicinarsi alla robotica con poca difficoltà. Merita una menzione a parte il robot KIBO241 perché si rivolge sia a bambini con una mentalità tecnica sia a quelli più inclini ad attività artistiche, non ha bisogno di un computer per controllarlo e, anzi, utilizza dei blocchetti fisici per comporre i programmi che il robot andrà a eseguire.


Qualora si volesse introdurre un’attività di robotica nella propria scuola, per ricevere una guida professionale, ci si può rivolgere ad associazioni come la Scuola di Robotica242, che gestisce una rete composta da un centinaio di scuole di vario ordine e grado che collaborano sulla piattaforma Robot@Scuola.

13.11 “Internet è per sempre” e altre avvertenze

Le insegnanti devono essere delle guide, lo sappiamo, tanto che Maria Montessori le chiamava “direttrici”, termine poi caduto in disuso perché facilmente frainteso, e oggi definite “registe”. Anche riguardo alla tecnologia, quindi, devono guidare i bambini loro affidati. Qui ho elencato, in maniera inevitabilmente incompleta e sintetica, alcuni argomenti che in questo loro ruolo dovrebbero tener presenti:

  1. Perché si dice che “internet è per sempre”? Perché una volta messo qualche cosa in rete su un sito pubblico non è più sotto il nostro controllo.
  2. Attenzione ad aprire gli allegati di una mail! Virus e schifezze del genere sono dietro l’angolo. Di solito basta pensare prima di aprire un allegato, rispondere a una mail o cliccare su un link che mi offrono (non sono mai stato allo Zoo di Zurigo, perché dovrei guardare la ricevuta di pagamento che mi mandano? Perché dovrei leggere la mail in tedesco che mi manda un mio amico che parla solo italiano?).
  3. Condivisione e privacy. Mandare in giro le foto del compagno di classe non è la cosa più intelligente da fare e i video su YouTube sono visti da chiunque. Nulla poi mi assicura che anche le persone più fidate non siano tentate di far vedere ad altri quanto ricevuto.
  4. I problemi di autostima, il far dipendere il proprio valore dal numero di follower o like che ricevo. “Rilassati che essere famosi su Facebook è come essere ricchi a Monopoli”, frase saggia di chissà chi.
  5. Conosciamo e applichiamo la netiquette, che sono le norme di comportamento, espressione, buona educazione e attenzione agli aspetti di diversità culturale che ci si aspetta vengano usate nelle interazioni online e virtuali. Per esempio, non si scrive una mail tutta in maiuscolo perché equivale a urlare.
  6. Prepararsi ai disastri: backup e salvataggio dei dati. La competenza digitale si vede in questo, non in quante volte al minuto si prende in mano lo smartphone.
  7. Facebook non è il web! È un bel giardino chiuso in cui è il tuo lavoro a far guadagnare Zukerberg. “Sempre più spesso ci sono insegnanti e studenti che parlano su Facebook di questioni legate alla scuola e noi non lo vogliamo […] Il modello commerciale delle reti sociali non è compatibile con la missione educativa delle scuole pubbliche”. Ben detto, Ministero dell’Istruzione tedesco!
  8. A proposito di giardini chiusi, ormai gran parte degli utenti non ha neppure coscienza di poter installare cose diverse da quelle che propina lo store di turno. Non sanno che è possibile andare a cercare un’applicazione su un sito internet, scaricarla e installarla, men che meno hanno idea di come farlo. Dove è finita la libertà?


Di proposito non ho approfondito queste problematiche per due motivi: primo, sono trattate in maniera esauriente in pubblicazioni e libri come quello di Mura e Diamantini citato nel prossimo capitolo; secondo, m’interessa più il lato positivo del rapporto tra tecnologia e crescita della persona che l’elencarne solo i pericoli.

La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
Mario Valle
Un’integrazione possibile?Un’analisi fresca e attuale dell’impatto delle nuove tecnologie (PC, tablet, videogiochi) nell’ambiente scolastico, da una prospettiva montessoriana. Il pensiero comune sostiene che il mondo Montessori disdegni le nuove tecnologie e che non ne ammetta l’uso nelle scuole o in famiglia. Ma non è così: Montessori stessa credeva che l’introduzione di “ausili meccanici” sarebbe diventata una necessità nelle scuole del futuro.Come comportarsi allora?Mario Valle nel suo libro La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie affronta la questione da un punto di vista particolare: esperto di super computer (è impiegato al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico di Lugano) e affascinato dall’approccio Montessori, mostra come le tecnologie possano essere utilizzate nelle scuole.Il risultato è un libro interessantissimo, che è insieme un’ottima esposizione del pensiero di Maria Montessori e un’utile guida pratica per insegnanti curiosi e desiderosi di introdurre in classe (con “spirito montessoriano”) le nuove tecnologie. Credo […] che l’introduzione di ausili meccanici diventerà una necessità generale nelle scuole del futuro. […] Vorrei, però, sottolineare che questi ausili meccanici non sono sufficienti per realizzare la totalità dell’educazione.Maria Montessori, Introduction on the Use of Mechanical Aids L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.