Le famiglie, soprattutto quelle di nuova immigrazione, non sempre sono bilingui, ma questo non è un problema: i loro bambini, giocando, vivendo con i coetanei, imparano subito la seconda lingua: l’importante è che non perdano la propria e che anzi questa sia messa in valore.
Il problema ovviamente non riguarda nel nostro tempo solo lo spagnolo: può essere il turco o l’arabo, l’italiano o il francese. Però, secondo la mia esperienza, nella scuola dei piccoli è meglio che, a questa età per non disorientare, le lingue da imparare anche per lettura e scrittura, siano solo due.
Il lavoro che ho sperimentato ormai da molti anni rientra in un programma previsto dalla scuola pubblica e creato appositamente per i bambini immigrati messicani che non parlano inglese: solo che nessuno aveva mai sperimentato quale vantaggio si ottenesse adottando Montessori piuttosto che i metodi tradizionali. L’importante è che gli educatori conoscano perfettamente entrambe le lingue. Questo dà loro una sicurezza di fondo che, come si sa, è per chiunque un bene inestimabile.
Montessori è una metodologia molto forte, organizzata, coerente, che comunica chiarezza ai bambini fin dai tre anni. I piccoli immigrati hanno pochissimi legami con la loro cultura di provenienza; anzi questa, spesso, è vista come “meno buona”, se non addirittura, per i familiari adulti, qualcosa di cui vergognarsi. È un’esperienza assai comune nelle situazioni di immigrazione.
Noi però non ce ne preoccupiamo. Il nostro lavoro consiste nell’organizzare la classe nel consueto modo Montessori che è organico e nitido in tutte le sue parti: si lascia che i bambini immigrati familiarizzino – alla pari con gli altri – con le attività, con gli oggetti. Nessuno mette loro fretta, nessuno esige rendiconti. Usiamo le stesse tecniche, gli stessi materiali. Ai bambini che posseggono già un loro linguaggio materno e sanno comunque esprimersi, parliamo direttamente nella nuova lingua, con tutta tranquillità e senza traduzioni.
Introduciamo nei normali scambi verbali le frasi del quotidiano: “Buon giorno!”; “Sei guarito?”; “Dammi la palla”. Si fanno commenti, si ascolta, si racconta, si svolgono attività motorie, si canta (E intanto i bambini parlano tra loro!).
Per tutte le attività e le esperienze lo schema del lavoro segue la struttura della lezione dei tre tempi:
- 1° tempo: l’adulto presenta (e il bambino ascolta, registra a suo modo parole a frasi);
- 2° tempo: il bambino riconosce (reagisce alla frase ma, per lungo tempo, risponde come può);
- 3° tempo: il bambino si esprime (comincia a rispondere; il fatto può avvenire anche dopo un anno o più, ma, quando lo fa, i suoni e le parole che dice sono già espressivi, carichi di vita, non meccanici!).
Questo significa che i bambini non diventano subito bilingui, ma che dapprima – aiutati dal fatto che la situazione di classe non è ansiogena – sviluppano una notevole sensibilità uditiva: grazie alle relazioni non conflittuali tra loro e con la maestra, valorizzati in ciò che fanno dalla libera scelta e dal loro stesso agire in prima persona, mettono le fondamenta al piacere di esprimersi in modo diverso rispetto all’ambiente in cui ora vivono.
Per loro è importante adoperare gli stessi materiali sensoriali con le relative brevi lezioni di linguaggio, sia nella prima che nella seconda lingua. È come se ricevessero una conferma importante a ciò che sperimentaInoltre in una Casa dei Bambini il piano culturale è pienamente appagato: ad esempio con tutte le attività di nomenclatura, con gli incastri geografici e le carte, mute e parlate, con il globo che porta i continenti in colore. Tutti questi sono aspetti della realtà, resi accessibili nel modo più semplice. Per loro scoprire che “questo è il Messico” e che lo spagnolo si parla in Cile, in Messico, in Argentina e in un altro paese lontano chiamato Spagna, è importante. Anche su questi elementi si innesta una comprensione che diventa via via una conoscenza più vasta.
Inoltre, in uno spazio riservato della classe, creo sempre un piccolo ambiente culturale, con le cose che i bambini portano da casa: un nastro, una ceramica, uno strumento musicale originario, un elemento decorativo o sensoriale. I bambini “indigeni” capiscono bene che si tratta di oggetti inusuali, appartenenti a un’altra cultura e questo valorizza i loro compagni immigrati. Oppure vengono le madri o le nonne e preparano cibi insoliti per tutti.
In ogni caso tutti i concetti nuovi, legati ad esempio al materiale sensoriale, vengono dati agli inizi nella loro prima lingua e solo quando sono bene acquisiti, se ne danno i termini esatti nella seconda, come un confronto. Anche il gioco è un buon tramite, ma soprattutto la musica e il canto sono preziosi. Con la musica si insegna tutto. A volte si manifestano pregiudizi culturali o razziali nella scuola, provenienti da talune famiglie o portati dai bambini più grandi che frequentano da poco. A questo punto Montessori diventa decisivo. Quando presentiamo i bisogni fondamentali degli essere umani come mangiare, dormire, coprirsi, ripararsi – attività che è alla base dell’educazione cosmica – ogni bambino capisce che tutti gli esseri umani hanno gli stessi bisogni e che popoli, che vivono in luoghi molti diversi tra loro, non possono che risolverli in modi diversi. Capiscono allora perfettamente e senza predica alcuna che nessuna cultura può essere considerata “migliore” di un’altra e che non sono certo queste le differenze che possono dividerci!
Sulla base di questo lavoro abbiamo fondato il Comité Hispano Montessori che ha ormai migliaia di aderenti e che diffonde Montessori negli Stati Uniti, in America Latina, nei Caraibi, in America Meridionale, ovunque ci siano situazioni di bilinguismo.