di Jeannette Toulemonde

Montessori in famiglia:
e se si cominciasse dai genitori?162

La prima e più tragica scuola di violenza che il bambino frequenta è la lotta tra sé e l’adulto. Un bambino trattato con ironia, con durezza e in modo rigido può resistere, rivoltarsi, diventare aggressivo oppure fuggire, rifugiarsi nella bugia, nelle fantasie, nell’ipocrisia.


Certo, la violenza in famiglia può essere dovuta anche a situazioni economiche e sociali: disoccupazione, casa priva di spazio, quartiere rumoroso, ma ci sono circostanze di cui siamo direttamente responsabili come la violenza “dolce” che non è meno dannosa per il bambino: si può essere molto violenti, anche senza alzare mai la voce.


Tutti conosciamo adulti dalla voce garbata, che non picchiano, ma il cui potere è ancora peggiore della brutalità palese. Il tono delle riprovazioni, che fa sempre sentire i bambini come “colpevoli”, è talvolta più distruttivo della cosiddetta “buona sculacciata”: è un guaio se non ce ne rendiamo conto.

C’è anche il ricatto: “Se fai questo, ti darò quest’altro”. “Fa’ quello che ti chiedo, se vuoi che ti voglia bene”. “Se non fai come ti dico…”. Si porta il bambino a credere che sarà amato soltanto se è bravo a scuola, se suona bene lo strumento, se è un bravo sportivo… La violenza è tutta nel peso che gli carichiamo sulle spalle. Invece l’amore non deve essere meritato: si dà senza condizioni, senza esigere niente indietro.


Ricordo che, quando facevo qualche sciocchezza, se volevo poi una coccola, mio padre mi diceva: “Sei stata troppo cattiva, non ti voglio più bene”. Dato che non diceva mai di volermi bene, ero convinta che non mi amasse affatto.

E c’è la violenza sessuale: se si rispetta un bambino, non si può non sapere che il suo corpo appartiene solo a lui, il quale – essendo piccolo e in balia dei grandi – non sa di avere il diritto di dire “no”.


L’adulto che è tentato da questo genere di relazioni dovrebbe trovare una persona attenta che lo aiuti a uscire da tale situazione personale e a trattare i bambini come persone libere che non gli appartengono.


Perché alcuni genitori sono violenti?

La ragione principale è che la violenza (erroneamente identificata con l’autorità) è considerata normale. Si dice:

“Niente di meglio che una buona sculacciata” (Buona per chi?).

“Ai bambini non bisogna dar retta” (Valgono così poco?).

“Se non obbedisci, vedrai che cosa ti succede” (Più la minaccia è indeterminata, più diventa pesante).


Quando nasce un figlio, il più delle volte senza la minima preparazione, si adotta il modello corrente: punire, minacciare, spaventare, schiaffeggiare, prendere in giro, disprezzare, impedire di agire, di toccare, di parlare. (Perfino il neonato viene punito se piange a lungo, se vuole succhiare: è cattivo e capriccioso “fin dalla nascita” o chiede qualcosa che non sappiamo comprendere o non vogliamo dare?). Di solito non ci sentiamo autorizzati a far soffrire, a ingiuriare, a umiliare altri adulti, mentre con i bambini tutto sembra lecito … Che cosa ci autorizza a farlo, senza porci neppure il minimo dubbio? Il fatto che sono più piccoli di noi? Che sono deboli?


Tutti noi, che vorremmo avere figli educati, obbedienti, pensiamo di non avere altri mezzi che questi. Ce ne sono altri, viceversa, come vedremo oltre.

A volte si aggredisce chi non c’entra per nulla

Accade che si diventa violenti, perché si è immagazzinata (altrove) una buona dose di ferite e di rabbia che non hanno (mai) potuto manifestarsi.

“Io picchio mio figlio e lo sgrido quando sono infuriata con il mio datore di lavoro”.


“Stiamo per divorziare, i bambini sentono il nostro nervosismo, la nostra aggressività e forse si sentono responsabili”.


Non sarebbe meglio sfogarsi su un cuscino? (Metodo semplicistico, ma efficace).

Il passato mal digerito torna alla mente come un modello

Da bambini siamo forse stati picchiati, puniti, trattati con autorità esagerata o anche con “dolce” violenza. Non si aveva nemmeno il diritto di lamentarsi, di piangere e di mostrarsi arrabbiati, perché altrimenti si era doppiamente puniti o accusati di “far soffrire la mamma”.


Nemmeno ci rendevamo conto che questa situazione non era giusta, normale, perché non ne conoscevamo un’altra. Ci consideravamo cattivi solo perché ce lo dicevano i genitori che amavamo. Non sapevamo, da bambini, di provare anche noi collera e odio, sentimenti poi sprofondati nella nostra psiche163 .


Divenuti adulti, quei sentimenti sono sempre là e riemergono come modelli appresi nell’infanzia. Questa collera e questo odio spingono uomini e donne a distruggersi o a distruggere i loro stessi figli anche se li amano, a distruggere altri bambini o adulti e perfino un popolo intero. Un esempio fra i tanti: Adolf Hitler è stato un bambino disprezzato, ridicolizzato, punito e picchiato in una famiglia rigida e razzista, così come lo era stato suo padre, che ha riprodotto tale “metodo” con il figlio (Alice Miller164 ).

Nei giornali spesso si legge di bambini violati, brutalizzati, bruciati, chiusi nello stanzino buio. I genitori che li maltrattano sono stati, a loro volta, vittime e riproducono gesti e parole, senza nemmeno rendersi conto di ripetere ciò che hanno subito nella lontana infanzia.


Non serve chiuderli in carcere: occorrerebbe una terapia personale o di gruppo, un sostegno psicologico per aiutarli a scoprire che cosa hanno provato nell’infanzia e trovare finalmente pace.

Per fortuna oggi se ne comincia a parlare. Come dice Alice Miller:

“quando si educa un bambino, gli si insegna a educare. Quando gli si fa la morale, gli si insegna a far la morale. Quando lo si spaventa, gli si insegna a diffidare. Quando lo si rimprovera, gli si insegna a rimproverare. Quando lo si umilia, gli si insegna a umiliare. Quando si uccide la sua interiorità, gli si insegna a uccidere. Non avrà poi che da scegliere se uccidere se stesso o qualcuno oppure entrambi.”

A volte, quando da adulti si scopre tutta la sofferenza della propria infanzia, anziché imitarla, la si respinge e si è tentati di fare esattamente il contrario di quello che hanno fatto i propri genitori: si lascia correre su tutto oppure si decide al posto del figlio nell’intento di risparmiargli ogni ostacolo e difficoltà. Ma anche questo non fa crescere, anzi è un’altra forma di violenza, che impedisce al bambino di costruirsi con equilibrio e solidità.

Si può educare in un altro modo?

Ci sono situazioni in cui bambini che hanno assunto atteggiamenti violenti assimilati dalla famiglia o che, al contrario, appaiono rassegnati, bugiardi, passivi, cambiano a poco a poco il loro comportamento, quando trovano adulti non violenti, che offrono loro attività molteplici, interessanti, in un ambiente centrato sull’amore per gli altri (come ad esempio una scuola Montessori, attuata senza compromessi).


Allora perché anche la famiglia non può diventare un ambiente caldo e arricchente?

Prima chiave: Sviluppare il proprio amore di genitore

Cambiare è possibile, ma non succede per magia o per un quarto d’ora soltanto. Per risultati durevoli è necessario conoscersi meglio, capire le influenze che vengono dalla propria infanzia per liberarsene e diventare davvero se stessi.


Imparando a conoscersi, ripercorrendo la propria storia infantile, si possono scoprire insospettate ricchezze interne, per esempio che si è capaci di amare, di essere pazienti e comprensivi.


Si può scoprire quanto c’è di bello, di unico nel proprio bambino e questa scoperta diventa più forte della voglia di dominarlo o di picchiarlo. Si può curare il male tramite il bene e farlo, il più possibile, in coppia.


Ci si può aiutare con letture ben scelte, tramite incontri con altri genitori che abbiano lo stesso desiderio di cambiamento. Può anche essere l’occasione di un seminario basato sulla psicologia infantile o sul mestiere di genitore oppure di una terapia di gruppo o di coppia o individuale.


Bene, se il signore o la signora hanno deciso di non picchiare più i loro bambini, non per questo smetteranno di colpo e per sempre. Non si perdono facilmente le proprie abitudini. Tuttavia è meno grave di quanto non si possa credere. I bambini sono molto comprensivi quando un adulto dice loro: “Ho sbagliato, non volevo”. Che i genitori abbiano sempre ragione, è ormai fuori moda, no? Mettiamoci dunque in un’altra mentalità, cercando nuovi mezzi e il resto a poco a poco verrà da sé.

“La pace non potrà nascere che grazie ai bambini. Se nei loro confronti pratichiamo una ‘politica di disarmo’, faremo un buon lavoro per l’avvenire”

(Maria Montessori).


Seconda chiave: Il rispetto dei bisogni di ciascuno

Adulti o bambini, tutti abbiamo bisogno di rispetto. Ogni morale tradizionale, come i comandamenti delle grandi religioni, incita a rispettare i propri genitori, i maestri, le persone anziane. Dice molto meno che è necessario rispettare i bambini.


Ogni bambino che nasce possiede in sé tutto quello che gli occorre per diventare un essere umano perfetto o quasi … se potrà vivere in un ambiente che glielo consentirà.


Questa immensa promessa non è forse da rispettare? Quale genitore non vorrebbe dare a suo figlio tutte le opportunità?


Dobbiamo allora conoscere da vicino i bisogni del bambino, in parte diversi da quelli dell’adulto. Proviamo a indicarli sommariamente, nell’ottica di Maria Montessori.


Nel corso della gestazione il feto ha bisogno che la madre sia serena, calma, accogliente. La famiglia, le persone intorno possono aiutare la futura madre in tal senso.


La nascita è in primo luogo un evento umano: di rado diventa problema per il quale occorra essere pronti a intervenire. La diffusa medicalizzazione del nostro tempo ne fa, fin troppo di frequente, un evento patologico. Il neonato ha bisogno di essere accolto con umanità e tenerezza, con gesti delicati, con attenzione alla sua sensibilità sensoriale; non essere separato dalla madre, trovare subito il seno ed essere liberamente allattato: questo significa dargli amore. Il benessere e l’equilibrio dell’intera sua vita possono dipendere da tali risposte.


Poi il bambino cresce, a grandi tappe, diverse le une dalle altre, come un bruco che diventa crisalide e poi farfalla: in ciascuna di esse manifesta bisogni diversi, che chiedono risposte attente, considerando inoltre che ogni bambino è differente dagli altri.

  • da 0 a 5-6 anni: vuole essere amato e amare, sentirsi al sicuro, protetto, ma anche esplorare, agire in modo indipendente nell’ambiente di casa, servirsi dei cinque sensi e delle sue mani per conoscere, vivere in mezzo agli altri e non solo con i bambini di pari età. Concentrazione e libera scelta sono importantissime fin d’ora.
  • da 6 a 12 anni: la sua stessa crescita lo spinge a uscire dal nido familiare verso un più vasto mondo (e tanto più, per quanta maggiore sicurezza ha raggiunto nella prima infanzia). Vuole scoprire come funziona il mondo degli adulti, quali sono i suoi valori, la storia del mondo e la propria, come gli uomini vivono e quali leggi li regolano. La capacità di scelta si evolve verso le amicizie o verso particolari interessi culturali e ambientali. Vuole costruire ed esplorare a più ampio raggio.
  • la pubertà: il ragazzo, se è stato rispettato nei suoi primi dieci anni, si sente forte, ma alle soglie dell’adolescenza ridiventa fragile con un nuovo bisogno di protezione. L’esigenza di dignità e di intimità cresce ancora, come quella di prendere iniziative in modo responsabile (scelta a un livello più evoluto). Vuole sperimentare la propria indipendenza, ma al tempo stesso cerca nuovi adulti su cui contare e dai quali sentirsi valorizzato. Vuole isolarsi dai familiari con il sostegno di compagni con cui confrontarsi e intendersi. Scopre l’amore e questo lo eccita, lo turba.

Fin troppo sinteticamente abbiamo indicato le differenze nei passaggi tra le varie fasi dello sviluppo, ma ci sono anche esigenze comuni a tutte le età dell’esistenza:

  • bisogno di vita personale: avere un proprio spazio, sentire che le proprie idee, i propri sentimenti, sono rispettati dagli altri e con discrezione. Si possono rispettare le idee di un altro, anche se sono diverse dalle nostre (e dirglielo); avere i propri valori e viverli, senza far prediche agli altri. Basta manifestarli tramite il proprio modo di essere e, se sono accettabili, diventeranno “contagiosi”,
  • bisogno di sentirsi al sicuro: la paura non fa crescere. Un animale spaventato diventa violento o troppo sottomesso. Per gli umani è la stessa cosa,
  • bisogno di realizzare le proprie esperienze, senza essere criticati né ridicolizzati se si sbaglia.

È il modo migliore per imparare e la via più sicura per l’indipendenza.

Il piccolo vuole mangiare o vestirsi da solo. Il bambino di sei anni o l’adolescente vogliono scegliere i propri amici. (Saranno capaci di capire da soli se vanno bene o no? Probabilmente sì. Non diffidiamo “per principio”).


Il ragazzino di nove anni che vuole riparare un oggetto, intende farlo a modo suo, dopo prove e tentativi. Una bimbetta di quattro anni un giorno ha osservato: “Bisogna sbagliare tante volte per saperlo fare”.


Certamente i genitori devono vigilare per ragioni di sicurezza, ma non bloccare a priori. Il bambino non può essere responsabile di tutto, ma non diventa capace di guidare se stesso se non si sente stimato. Riesce solo se sente la fiducia degli altri: la parola chiave per l’autonomia è “fiducia”.

  • bisogno di essere preso sul serio, dato che il bambino, l’adolescente compiono un lavoro serio, il più importante: costruire un essere umano completo;
  • bisogno di essere ascoltati per poter esprimere ciò che si sente e che si pensa;
  • bisogno di essere stimato senza lodi eccessive. C’è sempre qualcosa da stimare in una persona ed è questo che va messo in valore;
  • bisogno di uno spirito di famiglia collaborante, non competitivo, dove il più forte, invece di trionfare grazie alla propria forza e farsene un vanto, aiuti il più debole; dove ciascuno, adulto o bambino, rispetti i bisogni degli altri e sia ascoltato nei propri.

Terza chiave: la fiducia
Una delle più penose esperienze che ci possa capitare è il disprezzo. Anche nelle situazioni più disastrose c’è qualcosa di valido da mettere in luce, da valorizzare (ad esempio, una piccola azione attuata con destrezza, un gesto preciso che ha salvato…).

Tutti abbiamo il ricordo cocente (o più d’uno) di quando ci sono state negate stima e fiducia.


(“Di sicuro farai un pasticcio”; “Prima o poi combinerai un guaio”; “Sei un buono a nulla” …).


La conseguenza è, spesso, la perdita della fiducia in se stessi, il dubbio di non riuscire mai che impedisce la crescita e la capacità di affermarsi e quindi un fallimento reale. Diverse possono essere le reazioni che un bambino o un adolescente oppongono a un ambiente nel quale non si sentono stimati:

  • lo scoraggiamento (“A che serve, se nessuno mi crede?”);
  • il lavoro accanito per provare che si esiste e che si è degni di stima (È un fine ideale o solo una ragione di sopravvivenza?);
  • il dubbio eterno su se stessi, difficilmente superabile;
  • la rivolta: si sbatte la porta in senso fisico o figurato, si tentano le fughe e anche il suicidio che talvolta riesce (anche se questa non è l’unica causa di suicidio fra gli adolescenti);
  • la fuga dalla realtà nell’immaginario, nella droga, nell’alcool o in altri veleni, negli eccessi sessuali;
  • la fiducia data al primo che passa, adulto o compagno, solo perché sembra offrire la stima negata in famiglia;
  • la rottura del dialogo (“A che serve parlare, se tanto non mi ascoltano, non mi capiscono?”).

Quarta chiave: la parola
Quasi tutte le difficoltà familiari vengono dal fatto che non si parla, oppure si parla, ma non ci si ascolta realmente, non ci si capisce. Questo può verificarsi tra genitori, tra un genitore e un figlio, da un bambino verso un adulto, tra fratelli. C’è un linguaggio che non funziona e un altro che non manipola e funziona.

Si sa come accade: abbiamo scelto un coniuge, sono nati i figli, ma nella… scatola non c’erano le “istruzioni per l’uso”. Leggete di Thomas Gordon Genitori efficaci che ha già aiutato moltissime famiglie ad essere non violente. Il linguaggio, a seconda di come viene utilizzato, può essere estremamente violento o, al contrario, può evitare e prevenire la violenza.

Quinta chiave: obbedire alla propria crescita

Uno dei motivi che spinge i genitori ad agire in modo violento è la questione dell’obbedienza.


Un bambino di due o tre anni talvolta è capace di obbedire, ma non sempre. Perché possa obbedire, occorre che l’indicazione o la proibizione date dall’adulto vadano nel senso della sua crescita. Se gli si ordina qualcosa che non è ancora capace di fare (ad esempio a due anni allacciarsi le scarpe), non si può parlare di disobbedienza. Un altro esempio: un bambino di questa età non è “egoista” se non dà a un altro un oggetto che è suo e al quale è affezionato. Proprio non può ancora farlo. Occorre che abbia sviluppato la propria volontà agendo in prima persona e facendo il più liberamente possibile le proprie scoperte, prima di essere capace di condividere.


Che cosa domandiamo ai nostri bambini: obbedire o sottomettersi? Se esigiamo sottomissione, rischiamo di farne dei sottomessi a vita, ora a noi, poi al loro compagno se è un autoritario, poi al proprio datore di lavoro, allo Stato, tanto più se totalitario e ingiusto, all’invasore…


Se preferiamo che siano sottomessi, non ci resta che addestrarli a forza di promesse, ricompense, sgridate e minacce, punizioni e percosse, privazioni. Ma perché li vogliamo addestrare? Per farne animali sapienti? Perché soddisfino i “nostri” scopi?


L’obbedienza attiva è tutt’altra cosa e d’altronde ci sono situazioni in cui essa è necessaria.


Maria Montessori distingue tre gradi nell’obbedienza dei bambini, ma lei parla di obbedienza che va in accordo con lo sviluppo e che, da parte dell’adulto, presume conoscenza dei bisogni infantili tipici di ogni fase.


Al primo livello il bambino può obbedire, ma non sempre. Non si tratta di cattiva volontà: è che non può fare di meglio.


Al secondo grado, è capace di obbedire sempre, a se stesso prima di tutto: obbedisce a ciò che gli ordina la propria crescita. In tal modo sviluppa la volontà, lo spirito di iniziativa e di colpo diventa capace di aderire alla volontà di un altro. L’adulto ne è felice e in genere si accontenta, non sapendo che esiste un livello superiore di obbedienza.

Al terzo grado il bambino accetta liberamente l’autorità di una persona di cui senta la forza, non nel senso di forza fisica o di misura corporea, ma come persona di riferimento per la propria crescita. In qualche modo ne avverte la superiorità morale e quindi “diventa impaziente e ansioso di obbedire”. Capisce che ciò che l’adulto si aspetta da lui, lo fa crescere. Ovviamente il maestro dovrà essere una guida equilibrata e vigile per non abusare mai della pronta risposta del bambino. È capo, ha scritto Maria Montessori, non chi ha grande autorità, ma chi ha un senso di grande responsabilità165 .

Bisogna quindi distinguere ciò che mette in risalto la nostra autorevolezza e ciò che invece afferma il nostro potere: questa è la differenza in gioco, non l’obbedire e il disobbedire.


L’obbedienza non è una virtù, né un vizio. Contano la maniera di obbedire e le ragioni per le quali si obbedisce.

Come utilizzare le cinque chiavi nella vita quotidiana

Ordini e proibizioni: non si tratta di lasciar fare ai bambini qualunque cosa. Le regole occorrono e ci sono circostanze in cui l’adulto deve comandare o proibire. Ma deve farlo il meno possibile e sempre nel senso di crescita del bambino.


Tuttavia, se si è ordinato o proibito qualcosa, è necessario andare fino in fondo su ciò che si è detto, soprattutto quando il bambino è piccolo. “Lascio correre per questa volta”, è la scelta peggiore, perché il bambino non sa più che cosa può o non può fare.


Se si è decisi a tener duro, si è anche meno tentati di dare troppi ordini o proibizioni, perché i bambini e gli adolescenti possono essere assai tenaci e metterci in seria difficoltà per mantenere le regole fino alla fine.


Beninteso, deve trattarsi di un ordine o di un’interdizione giusti, ma se ci accorgiamo di aver sbagliato, non è una vergogna ammetterlo. Non perché si è adulti, si ha sempre ragione!


Litigi: quando in famiglia arrivano i figli, prima o poi le dispute sono inevitabili; questo però non significa che per tutta la vita ci siano malintesi. Fratelli che hanno tanto litigato da piccoli, da grandi diventano inseparabili. Sono i genitori che non sopportano i litigi. Occorre intervenire? Dare loro fiducia significa permettere che regolino da soli le discussioni e trovino essi stessi le soluzioni. Anche qui Gordon ci viene in aiuto: piuttosto che fare i giudici (o i giustizieri), quando l’apice del litigio è passato, è molto più utile ascoltare l’uno o l’altro dei belligeranti (più che l’aggredito, l’aggressore, perché è questi di solito il più infelice) e aiutarlo a esprimere il sentimento che l’ha condotto al litigio.


In una situazione meno tesa è più facile aiutare i litiganti a risolvere il problema in modo che in seguito non sia più necessario battersi per trovare soluzioni in cui non ci siano vincitori, né vinti.


Se poi desideriamo impedire le aggressioni (“In questa famiglia non si danno schiaffi né pugni”) dovremo prima riflettere se siamo capaci di rispettare e di far rispettare tale legge in modo nonviolento.


Punizioni: molte persone pensano che sia impossibile educare un bambino senza punirlo. È un’idea talmente radicata nei nostri costumi che ci pare del tutto naturale. Ma chiediamoci: voglio essere il suo padrone o preferisco che diventi padrone di se stesso? Se voglio ottenere tutto da lui con punizioni continue, lo rendo dipendente, non certo libero. Deve essere addestrato a cercare la sottomissione fuori di sé o è preferibile che scopra come sottostare alla propria legge, quella di un essere umano in crescita, lasciandogli il tempo di scoprire la capacità di autovalutarsi, di formarsi un proprio giudizio sugli eventi?


D’altronde se il genitore vive coerentemente i propri valori, i figli se ne nutrono nel modo più naturale, senza bisogno di alcuna pressione. Adulti che sono stati educati a colpi di ricompense e di punizioni sono sempre alla ricerca di persone o di movimenti che impongano loro leggi e regole di vita. Questo forse spiega il successo delle sette e dei regimi totalitari.


Altri, che da bambini avevano un carattere più vigoroso e si comportavano in modo ribelle, anche da adulti sono sempre all’opposizione, imbevuti di visioni negative.


Le vere conseguenze dei propri atti: ecco che cosa può essere messo al posto delle punizioni.


Il bambino ha perduto un oggetto? Deve impiegare del tempo a cercarlo.

Ha rovesciato dell’acqua in terra? La spugna è là per asciugare ed è lui che lo farà con la massima precisione possibile, non come punizione, ma come conseguenza ovvia (Ma come glielo proponiamo perché sia effettivamente così?).


Anche noi adulti non ci facciamo pregare per riparare ai nostri errori.

La conseguenza di un atto può essere anche la soddisfazione di essere riuscito o la delusione per essersi sbagliati. Questi sentimenti, provenienti dalla nostra esperienza, non sono forse più utili per la formazione di un essere umano di imposizioni esterne?


Le ricompense sottolineano invece l’approvazione dell’adulto e hanno lo scopo di spingere il bambino a ripetere azioni giudicate buone (dunque a metterlo in posizione dipendente). Ma, una volta ancora, chi è il miglior giudice, quello esterno o quello interno? E quale significato ha la ricompensa per l’adulto che la elargisce?


Per il bambino essa è già nel fatto di essere riuscito, di essere soddisfatto, mentre – promettendo una ricompensa – lo si abitua ad agire per ricevere un premio, un complimento.


Ci sono bambini che, divenuti adulti, continuano ad essere alla ricerca di approvazione esterna: non trovano piacere sufficiente nel lavorare bene, perché esso è stato distrutto nell’infanzia dalle continue ricompense.


Un bel voto, una decorazione, un dono in denaro come una sgridata, l’essere esclusi o l’andare in prigione fanno talmente parte della nostra vita quotidiana che li consideriamo ovvi e non li mettiamo nemmeno in discussione. Riusciamo forse a immaginare una società che non abbia bisogno di sanzioni? Ci sembra impossibile. Eppure ci sono strade alternative. Una madre di molti figli racconta: “Quando i nostri ragazzi vengono a dirci che hanno avuto un buon voto in classe, noi non diciamo: ‘Bravo, Bene’, ma semplicemente: ‘Come devi essere contento’ o, se invece si tratta di una sconfitta: ‘Ti sentirai triste, deluso’”.


La televisione: la violenza in Tv non è dovuta solo alle immagini e al sonoro che le accompagna, ma anche al posto che la tele ha assunto nelle nostre vite (dipendenza, isolamento, tempo rubato alle relazioni umane e familiari).


Bambini, adolescenti, adulti, tutti siamo manipolati dalla Tv. È provato che la sua violenza è contagiosa. Inoltre il solo fatto di guardarla a lungo rende passivi e questo è contrario ai bisogni dell’essere umano e dei bambini in particolare.


Rimedi? Limitare le ore di ascolto, prevedere e scegliere ciò che vale la pena di vedere, guardare insieme con occhio critico, parlarne in seguito, smontare i programmi per diminuirne l’influenza (quanto c’è di artificioso, di finto…), confrontarli con i nostri valori familiari.


In breve: rifiutarsi di farsi inghiottire dal mostro. Alcune famiglie preferiscono tener spento il video (o chiuderlo in un armadio), guadagnando così molto tempo per occupazioni stimolanti e per stare insieme. Molti non lo comprano nemmeno.


La competizione: che cosa è più importante: avere un voto alto o sapere? Ovunque vada, il bambino si trova tra i piedi il sistema vinci-perdi: a casa (chi si veste più in fretta?), a scuola (chi legge o scrive meglio?), nelle gare televisive, negli sport, nei giochi a tavolino… Tutta la società è costruita così. Dunque, avremmo ancora la pretesa di ottenere dai figli azioni “gratuite”?


Sembra di non poter fare diversamente.

Però chiediamoci: che tipo di cittadini prepariamo quando li obblighiamo a relazioni nelle quali devono sempre vincere e imporsi sugli altri e dove la violenza dei desideri diventa legge?

In conclusione

Un’intera generazione di uomini e di donne che si nutrisse di desiderio di pace, almeno nel proprio ambiente familiare, potrebbe essere capace di ricostruire il mondo. Istituzioni, situazioni e perfino Stati, attualmente ingombri di vecchie idee di lotta e di guerra, non sono immutabili. Utopia? Progetti di cui non si potranno vedere i risultati che in un futuro troppo lontano per riguardarci? Può darsi.


Un uomo anziano molto saggio, al quale un interlocutore obiettava che gli alberi che aveva intenzione di seminare avrebbero impiegato trent’anni a crescere rispose: “E allora? Piantiamoli oggi stesso”166 .

La pace? Per l’avvenire, d’accordo, ma allora cominciamo subito.

Montessori: perché no?
Montessori: perché no?
Grazia Honegger Fresco
Una pedagogia per la crescita.Che cosa ne è oggi della proposta di Maria Montessori in Italia e nel mondo? Un testo fondamentale, corretto, ampliato e riproposto a distanza di anni, per chiunque si interessi alla vita e alle opere di Maria Montessori. Montessori: perché no? è un testo fondamentale per chiunque si interessi alla vita e alle opere della celebre pedagogista. Sull’onda del recente rinnovato interesse per la figura e il pensiero di Maria Montessori, il testo, già edito da Franco Angeli in 7 edizioni ed esaurito da anni, è stato curato da Grazia Honegger Fresco, corretto e ampliato con uno scritto della stessa Montessori relativo all’Educazione Cosmica e uno sull’apprendimento della nostra lingua per adulti migranti. Il bambino che ha sentito fortemente l’amore all’ambiente e agli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo. La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.Maria Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.