Come utilizzare le cinque chiavi nella vita quotidiana
Ordini e proibizioni: non si tratta di lasciar fare ai bambini qualunque cosa. Le regole occorrono e ci sono circostanze in cui l’adulto deve comandare o proibire. Ma deve farlo il meno possibile e sempre nel senso di crescita del bambino.
Tuttavia, se si è ordinato o proibito qualcosa, è necessario andare fino in fondo su ciò che si è detto, soprattutto quando il bambino è piccolo. “Lascio correre per questa volta”, è la scelta peggiore, perché il bambino non sa più che cosa può o non può fare.
Se si è decisi a tener duro, si è anche meno tentati di dare troppi ordini o proibizioni, perché i bambini e gli adolescenti possono essere assai tenaci e metterci in seria difficoltà per mantenere le regole fino alla fine.
Beninteso, deve trattarsi di un ordine o di un’interdizione giusti, ma se ci accorgiamo di aver sbagliato, non è una vergogna ammetterlo. Non perché si è adulti, si ha sempre ragione!
Litigi: quando in famiglia arrivano i figli, prima o poi le dispute sono inevitabili; questo però non significa che per tutta la vita ci siano malintesi. Fratelli che hanno tanto litigato da piccoli, da grandi diventano inseparabili. Sono i genitori che non sopportano i litigi. Occorre intervenire? Dare loro fiducia significa permettere che regolino da soli le discussioni e trovino essi stessi le soluzioni. Anche qui Gordon ci viene in aiuto: piuttosto che fare i giudici (o i giustizieri), quando l’apice del litigio è passato, è molto più utile ascoltare l’uno o l’altro dei belligeranti (più che l’aggredito, l’aggressore, perché è questi di solito il più infelice) e aiutarlo a esprimere il sentimento che l’ha condotto al litigio.
In una situazione meno tesa è più facile aiutare i litiganti a risolvere il problema in modo che in seguito non sia più necessario battersi per trovare soluzioni in cui non ci siano vincitori, né vinti.
Se poi desideriamo impedire le aggressioni (“In questa famiglia non si danno schiaffi né pugni”) dovremo prima riflettere se siamo capaci di rispettare e di far rispettare tale legge in modo nonviolento.
Punizioni: molte persone pensano che sia impossibile educare un bambino senza punirlo. È un’idea talmente radicata nei nostri costumi che ci pare del tutto naturale. Ma chiediamoci: voglio essere il suo padrone o preferisco che diventi padrone di se stesso? Se voglio ottenere tutto da lui con punizioni continue, lo rendo dipendente, non certo libero. Deve essere addestrato a cercare la sottomissione fuori di sé o è preferibile che scopra come sottostare alla propria legge, quella di un essere umano in crescita, lasciandogli il tempo di scoprire la capacità di autovalutarsi, di formarsi un proprio giudizio sugli eventi?
D’altronde se il genitore vive coerentemente i propri valori, i figli se ne nutrono nel modo più naturale, senza bisogno di alcuna pressione. Adulti che sono stati educati a colpi di ricompense e di punizioni sono sempre alla ricerca di persone o di movimenti che impongano loro leggi e regole di vita. Questo forse spiega il successo delle sette e dei regimi totalitari.
Altri, che da bambini avevano un carattere più vigoroso e si comportavano in modo ribelle, anche da adulti sono sempre all’opposizione, imbevuti di visioni negative.
Le vere conseguenze dei propri atti: ecco che cosa può essere messo al posto delle punizioni.
Il bambino ha perduto un oggetto? Deve impiegare del tempo a cercarlo.
Ha rovesciato dell’acqua in terra? La spugna è là per asciugare ed è lui che lo farà con la massima precisione possibile, non come punizione, ma come conseguenza ovvia (Ma come glielo proponiamo perché sia effettivamente così?).
Anche noi adulti non ci facciamo pregare per riparare ai nostri errori.
La conseguenza di un atto può essere anche la soddisfazione di essere riuscito o la delusione per essersi sbagliati. Questi sentimenti, provenienti dalla nostra esperienza, non sono forse più utili per la formazione di un essere umano di imposizioni esterne?
Le ricompense sottolineano invece l’approvazione dell’adulto e hanno lo scopo di spingere il bambino a ripetere azioni giudicate buone (dunque a metterlo in posizione dipendente). Ma, una volta ancora, chi è il miglior giudice, quello esterno o quello interno? E quale significato ha la ricompensa per l’adulto che la elargisce?
Per il bambino essa è già nel fatto di essere riuscito, di essere soddisfatto, mentre – promettendo una ricompensa – lo si abitua ad agire per ricevere un premio, un complimento.
Ci sono bambini che, divenuti adulti, continuano ad essere alla ricerca di approvazione esterna: non trovano piacere sufficiente nel lavorare bene, perché esso è stato distrutto nell’infanzia dalle continue ricompense.
Un bel voto, una decorazione, un dono in denaro come una sgridata, l’essere esclusi o l’andare in prigione fanno talmente parte della nostra vita quotidiana che li consideriamo ovvi e non li mettiamo nemmeno in discussione. Riusciamo forse a immaginare una società che non abbia bisogno di sanzioni? Ci sembra impossibile. Eppure ci sono strade alternative. Una madre di molti figli racconta: “Quando i nostri ragazzi vengono a dirci che hanno avuto un buon voto in classe, noi non diciamo: ‘Bravo, Bene’, ma semplicemente: ‘Come devi essere contento’ o, se invece si tratta di una sconfitta: ‘Ti sentirai triste, deluso’”.
La televisione: la violenza in Tv non è dovuta solo alle immagini e al sonoro che le accompagna, ma anche al posto che la tele ha assunto nelle nostre vite (dipendenza, isolamento, tempo rubato alle relazioni umane e familiari).
Bambini, adolescenti, adulti, tutti siamo manipolati dalla Tv. È provato che la sua violenza è contagiosa. Inoltre il solo fatto di guardarla a lungo rende passivi e questo è contrario ai bisogni dell’essere umano e dei bambini in particolare.
Rimedi? Limitare le ore di ascolto, prevedere e scegliere ciò che vale la pena di vedere, guardare insieme con occhio critico, parlarne in seguito, smontare i programmi per diminuirne l’influenza (quanto c’è di artificioso, di finto…), confrontarli con i nostri valori familiari.
In breve: rifiutarsi di farsi inghiottire dal mostro. Alcune famiglie preferiscono tener spento il video (o chiuderlo in un armadio), guadagnando così molto tempo per occupazioni stimolanti e per stare insieme. Molti non lo comprano nemmeno.
La competizione: che cosa è più importante: avere un voto alto o sapere? Ovunque vada, il bambino si trova tra i piedi il sistema vinci-perdi: a casa (chi si veste più in fretta?), a scuola (chi legge o scrive meglio?), nelle gare televisive, negli sport, nei giochi a tavolino… Tutta la società è costruita così. Dunque, avremmo ancora la pretesa di ottenere dai figli azioni “gratuite”?
Sembra di non poter fare diversamente.
Però chiediamoci: che tipo di cittadini prepariamo quando li obblighiamo a relazioni nelle quali devono sempre vincere e imporsi sugli altri e dove la violenza dei desideri diventa legge?