prima parte

Incontrare Maria Montessori

Alcuni “sguardi” su una donna, celebre ma in parte misteriosa: emancipazionista, scienziata, molto concreta nelle sue realizzazioni, ironica ed esigente, geniale nell’osservare e subito “disseminatrice” famosa delle proprie idee, ma anche medico e madre… attraverso testimonianze, inediti, documenti…

Maria Montessori: chi era?

di Grazia Honegger Fresco


Mai come nell’ultimo ventennio in cui in Italia la sua effigie è apparsa su un francobollo prima, poi sulla moneta da 200 lire, infine sulle 1000 lire di carta, la Montessori è stata ignorata nel suo Paese d’origine, considerata “superata”, ora identificata con un modello inattuabile di scuola a fronte della marea montante di lezioni programmate con le continue verifiche, di rotazioni e di scelta mistificata delle attività, della socializzazione imposta e della competizione a oltranza.


Il suo nome evoca tuttora idee vaghe e pregiudizi, tipo: “materiali troppo strutturati”, “libertà senza limiti”, “troppe regole”, “negazione della socializzazione o della fantasia”…

Innumerevoli volte è stata definita pedagogista, etichetta che lei, medico e neuropsichiatra infantile1 , allieva di Giuseppe Sergi e di Ezio Sciamanna, respingeva.


In effetti, definirla educatrice è riduttivo. Diceva: “Non siamo persone che ‘insegniamo’”. Lei stessa scrisse nel ’37: “Non ho foggiato un metodo di educazione (…) giacché è la psicologia del bambino, la vita della sua anima che ha dettato passo passo tutto ciò che si potrebbe chiamare prassi pedagogica e metodo di educazione”2 . E nell’ultimo suo libro3 : “Se si abolisse non solo il nome, ma anche il concetto comune di ‘metodo’ per sostituirvi un’altra indicazione, se parlassimo di ‘un aiuto’ affinché la personalità umana possa conquistare la sua indipendenza, di un mezzo per liberarla dall’oppressione dei pregiudizi antichi sull’educazione (…)”. Curioso che proprio la pedagogia sia il settore di ricerca che l’ha meno ascoltata, che ne ha respinto in blocco le proposte, salvo poi imitarne malamente i materiali o taluni aspetti marginali. “Scienziata interessata all’antropologia, scrittrice dotata d’una straordinaria sensibilità, ha messo il suo sapere al servizio di una penetrante osservazione del bambino. La sua indipendenza di spirito le ha permesso di vedere lontano e la sua opera, pur tenendo conto dell’epoca in cui è stata scritta, dovrebbe essere letta, riletta e meditata da tutti gli educatori4 .


Fin dal principio, come scienziata appunto, aveva posto l’accento sull’importanza dell’osservazione quale strumento-base per l’educatore, con una precisione nuova, insolita per i suoi tempi; sull’ambiente, come “maestro” indiretto per il bambino; sulla mano, quale “organo dell’intelligenza”.


Troppo rigida per alcuni, troppo libertaria per altri; ignorata da destra per le sue simpatie positiviste e le proteste pubbliche per i diritti delle donne e dei minori, per la sua autonomia di pensiero – denunciando e demolendo gli autoritarismi dell’adulto, qualunque matrice avessero – considerata pericolosamente innovatrice da alcuni settori della Chiesa; svalutata pesantemente da sinistra come “cattolica”, “spiritualista” o addirittura filofascista.


Si è saputa difendere, ma non ha avuto una vita facile e non si è affatto arricchita. Certamente in molti Paesi ha ricevuto accoglienze e aiuti.


Persino il suo passato di scienziata, con i superficialismi correnti, è stato a volte messo in discussione. Su quest’ultimo punto basterebbe reperire in qualche grande biblioteca le sue prime opere dall’anno di laurea 1896 al 1907, concernenti ricerche nei settori della psichiatria, della batteriologia (era stata anche allieva di Angelo Celli, direttore dell’Istituto di Igiene), in antropologia umana con Sergi, scienza in cui prende, nel 1904, la docenza e che poi trasformerà in strumento pedagogico: conoscere l’essere umano, anche nei particolari corporei, anatomia e fisiologia incluse, non per fare diagnosi, ma per poterne aiutare lo sviluppo; dare “basi biologiche alla pedagogia”, considerando anche l’ambiente e la storia dell’individuo: “Questa nostra Antropologia è il lavoro”5  .

Davanti a sé aveva un futuro importante come psichiatra e, avendo esercitato anche come ufficiale sanitario e come medico ospedaliero, aveva acquisito una conoscenza piuttosto ampia degli stati fisiologici e patologici, quando il suo interesse cominciò a localizzarsi sui ragazzini “idioti” ricoverati con gli adulti a “S. Maria della Pietà” a Monte Mario, il manicomio di Roma. Per occuparsene seriamente e conoscere quanto si faceva all’estero, non esitò a recarsi per un lungo viaggio di studio a Londra e a Parigi, scelta, anche questa, del tutto insolita allora per una donna.


Da questo suo lavoro con i “deficienti” o “frenastenici”, come si definivano allora, partì per una vera e propria campagna nazionale appoggiata da Clodomiro Bonfigli, psichiatra e deputato, da Guido Baccelli, medico e ministro dell’istruzione, affinché si capisse che il problema di questi bambini così poco protetti era di natura pedagogica prima ancora che medica e quanto fosse urgente preparare in modo nuovo i maestri.

Di qui la creazione – nel 1900 – della Scuola Magistrale Ortofrenica, voluta e diretta da Bonfigli come espressione concreta della “Lega nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti” (1898-1899) in cui la Montessori insegnò ai futuri maestri “speciali” accanto allo psichiatra e collega Giuseppe Ferruccio Montesano. Di famiglia ebraica originaria di Potenza, Montesano (1868-1951) si era laureato anche lui a Roma, lavorando prima con Celli, poi con Sciamanna6 . Collaborava con la Montessori, in contemporanea, anche nell’Istituto medico-pedagogico di Roma, nel quale vennero trasferiti i bambini, prima rinchiusi nel manicomio di Monte Mario: fu l’inizio di un lavoro pedagogico e rieducativo del tutto nuovo.


Giovanni Bollea, grande estimatore della Montessori e al tempo stesso affettuoso allievo di Montesano, racconta nell’intervista già ricordata come tra il 1896 e il 1901 si fosse formata quella che lui definisce “la Scuola Psichiatrica Romana” un forte ‘quadriumvirato’ intellettuale – Montessori, Montesano, Bonfigli e Sante de Sanctis – che lavorava unito per una nuova organizzazione clinica, assistenziale ed educativa dei bambini cosiddetti deficienti”. La classe dell’Istituto Medico-Pedagogico da lei avviato e nella quale cominciò a sperimentare, anche otto, nove ore al giorno consecutive, con una cinquantina di bambini di età scolare7 era, sempre secondo Bollea, in via dei Volsci, probabilmente al n. 50.


Una creatività, la sua, che lega questa esperienza all’altra dei bambini piccoli sani in via dei Marsi e con la mia, decenni più tardi, in via dei Sabelli8. Sempre il quartiere di S. Lorenzo, dunque! Entrambi nel tempo, lei ed io – mi piace di pensare – tormentati su come agire di fronte al bambino che soffre e ti guarda con occhi spalancati che chiedono: come mi aiuti?”. Quando li condusse all’esame finale con grande successo, al pari dei “normali”, il risultato parve quasi uno scandalo e invitava a riflettere sullo spreco di infanzia.


Il forte legame intellettuale e di lavoro tra Maria Montessori e Montesano si trasformò poi in un rapporto d’amore, da cui nacque nel marzo 1898 il figlio Mario. La loro relazione non ebbe seguito9 ; tuttavia li troviamo ancora affiancati al II convegno di pedagogia di Napoli del 1901, dove lei presenta le Norme per una classificazione dei deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione. La sua relazione e, insieme, quelle di Montesano e di de Sanctis “sono i primi lavori scientifici e, per così dire, sperimentali sui frenastenici10 .

Lasciata la Scuola Ortofrenica nel 1903 per ragioni forse intuibili, ma mai ben definite, la Montessori continuò a insegnare antropologia pedagogica e igiene al Regio Istituto Superiore di Magistero Femminile11 . Fin qui la psichiatra (ha trentatré anni), è già nota ma non ancora famosa: lo sarà nel giro di pochissimi anni.

Dopo il 1907

Era la fine dell’anno 1906 (…) quando fui invitata dall’ing. Edoardo Talamo, direttore generale dell’Istituto Romano di Beni Stabili in Roma, a voler assumere l’organizzazione di scuole infantili dentro la casa. La genialissima idea del Talamo era di raccogliere i piccoli figli degli inquilini del casamento, dai tre ai sette anni, sotto la direzione di una maestra che coabitasse nel casamento stesso. La prima scuola avrebbe dovuto fondarsi in un grande casamento popolare del Quartiere di S. Lorenzo contenente circa mille persone (…). Questa scuola speciale fu battezzata dalla signora Olga Lodi, comune amica del Talamo e mia, col nome gentile di ‘Casa dei Bambini’ …


Questo l’inizio di un nuovo percorso, da lei descritto agli inizi de Il Metodo; una curiosità scientifica molto precisa nei confronti dei bambini – piccoli – sani, dall’altro un interesse sociale non casuale.

Di fronte all’entusiasmo sollevato dalle sue scoperte, difese sempre e in primo luogo la qualità del lavoro, fondato su una nuova relazione tra adulto e bambino, esigendo dai maestri che operavano nelle scuole Montessori una formazione permanente, un rigore di pensiero e di comportamento, invitandoli a lavorare con “umiltà” accanto ai bambini, a ripetere i corsi, a partecipare ai grandi congressi internazionali12 che dal ’21 al ’51 permisero confronti, riflessioni, aggiornamenti.


Del resto non si può intendere pienamente la Montessori se non si tiene conto che per la prima volta una voce di donna risuonava con tanta forza nel campo dell’educazione – fino ad allora solo gli uomini sembravano avere voce in capitolo – una donna che era anche scienziata, medico e, non ultimo, madre13 .


Si è spesso scritto di lei che “aveva inventato un metodo”, ma non è esatto: attraverso l’osservazione aveva “scoperto” nei bambini una realtà diversa, quella stessa che Pestalozzi e pochi altri prima di lui avevano appena intravisto. E scoprire significa vedere qualcosa che esiste.


Tra il 1907 e il 1913 l’eco di questa esperienza diviene vastissima con la collaborazione vivace e appassionata di tanti, al punto da dare origine a un vasto movimento di opinione e di esperienza. Nel ’7 si trova di fronte a fenomeni inaspettati di comportamento infantile e già nel ’9 è in grado di mettere in piedi il primo corso che ha subito rilevanza internazionale. Tra le allieve di allora, che per prime si fecero cinghia di trasmissione del suo pensiero, ricordiamo Anna Maria Maccheroni, Adele Costa Gnocchi, la ticinese Teresa Bontempi, le sorelle Maria e Giovanna Fancello14 . Altri amici importanti saranno poi Claude e Francesca Claremont in Inghilterra, Anne George in America, Rosy Joosten in Olanda, Lili Roubiczek ed Elise Herbatschek a Vienna, Julia Fausek a San Pietroburgo, la Cromwell e i Bernard – marito e moglie – a Parigi; Elizabeth Burchard-Bèlavàry a Budapest. Primo fra tutti il figlio Mario divenuto nel tempo il suo principale collaboratore.


Parte importante nella diffusione delle sue prime scoperte ebbero donne con cui lei aveva operato nel corso delle lotte emancipazioniste, intellettuali come la giornalista Olga Lodi già ricordata o aristocratiche come Alice Hallgarten15 , le sorelle Giacinta Martini Marescotti e Teresa Boncompagni Marescotti, Lavinia Taverna Sr., Etta De Viti De Marco16 . Ad esse si aggiunsero, dopo il 1907, le sorelle Guerrieri Gonzaga – Maria, sposata all’onorevole Clemente Maraini, divenne una delle sue più care amiche e sostenitrici – e Sofia, sposata a Piero Bertolini, senatore e due volte Ministro della “Real Casa”.

Fu da queste e da altre signore della borghesia e dell’aristocrazia, aperte a nuove visioni di educazione per l’infanzia, che la Montessori ricevette un importante aiuto morale e materiale che certamente la sostenne nel forte e deciso cambiamento di vita e di lavoro.


L’elenco, quanto mai incompleto, rischia di far torto a tanti che generosamente operarono e che sono tuttora testimoni importanti di esperienze antiche e sempre rinnovabili come, in Italia, Adele Costa Gnocchi, Maria Antonietta Paolini, Flaminia Guidi, Maria Teresa Marchetti, Giuliana Sorge o, nella tragica Bucarest, Ilie Sulea Firu (altri ne incontreremo via via nel testo).


L’americana Nancy Rambush l’ha definita ambiziosa e accentratrice, in quanto avrebbe considerato il metodo come “interamente suo”, “sua personale proprietà”17 .

Non v’è dubbio che tenesse lontani o addirittura sconfessasse coloro che improvvisavano conoscenze o che cedevano a compromessi, dando ai bambini una sorta di libertà condizionata, non rinunziando ad esempio all’uso dei premi e delle lodi. Tuttavia era pronta ad affidare la diffusione del lavoro agli allievi e alle allieve più fidate che avevano lavorato a lungo con i bambini e che mostravano di aver capito a fondo il nucleo portante della “scoperta dell’infanzia”.


Per come la ricordiamo e per le testimonianze raccolte, diciamo piuttosto che era ben consapevole di ciò che aveva visto. Guardava ai fenomeni e al comportamento degli individui con l’occhio scientifico, attento ai particolari, non diversamente dall’atteggiamento del biologo o del medico che dentro di sé non aveva mai smesso di essere.


“La Dottoressa osserva i bambini come Fabre [celebre entomologo] studia gli insetti” diceva di lei Samuel McClure che ne organizzò la prima visita negli Stati Uniti.


Nel corso della sua vita lottò strenuamente perché nelle scuole non si alterassero quelli che lei considerava i cardini del nuovo lavoro educativo:

  • la cura dell’ambiente;
  • la libera scelta delle attività;
  • le età mescolate nella scuola (3-6 anni; 6-12; 12-15…);
  • il principio di seguire il bambino – piuttosto che precederlo con programmi e gruppi prestabiliti – e di offrire risposte secondo i bisogni individuali, anziché stimolarlo di continuo in direzioni volute dagli adulti.

Lei che era stata particolarmente acuta nell’osservazione clinica, agli adulti raccomandava in primo luogo l’osservazione come guida fondamentale negli interventi, principio spesso più accettato acriticamente che realmente compreso dai suoi allievi.


Rigore, non rigidità: questo voleva e aveva ben ragione di pretenderlo. Ormai per esperienza sappiamo come sia facile che il materiale diventi mezzo didattico in mano agli adulti, invece di essere strumento liberante usato dai bambini; quanto rapidamente si cada in compromessi con la scuola tradizionale e con i programmi ministeriali che riportano nelle classi le divisioni per età, il giudizio e il confronto, la separazione tra fare e capire, l’intellettualizzazione forzata, la passività dei bambini e dei ragazzi, la ripetizione indotta, l’impedimento a forme spontanee di collaborazione.


Non capire a fondo questi errori – facendoli passare per mezzi “educativi” – e sostenere che lei avrebbe messo al centro di tutto il materiale e non il bambino, significa affossare quanto c’è di liberatorio e di creativo nel cosiddetto metodo, che si oppone alla violenza sistematica adottata dalle istituzioni e spesso anche dalla famiglia fin dalla nascita, sia pure in forme sottili e mascherate.

La Casa dei Bambini, un inizio

La prima Casa in via dei Marsi 58 era stata dunque aperta perché l’ingegner Talamo, responsabile delle nuove costruzioni dei “Beni Stabili” con aiuole e praticelli interni, era preoccupato che orde di piccolini, abbandonati a se stessi nei nuovissimi casamenti, distruggessero e sporcassero. Qualcuno doveva occuparsi di loro. Gli asili allora erano pressoché inesistenti: di qui la bella idea (che poi fece scuola) di aprire a piano-terra un luogo per loro, all’interno del vasto edificio.

Una stanza e subito la Montessori pensò a tavolini e a seggioline su misura, leggeri e facilmente trasportabili dai bambini stessi. Vi portò gli oggetti dei suoi precedenti esperimenti educativi e affidò i piccoli a una giovane maestra, Candida Nuccitelli – pare fosse la figlia del custode del casamento – che non aveva il compito di insegnare, ma di osservare quello che i bambini facevano quando lei stessa non fosse stata presente18 . Il fatto che la maestra risiedesse nello stesso stabile in cui, ogni mattina, apriva ai bambini la “loro” Casa, era, secondo la Montessori, elemento assai importante19 .


Un laboratorio sperimentale per guardare la realtà senza preconcetti, questo lei voleva: l’intuizione che i bambini siano diversi da come comunemente si vedono, l’aveva già. Come scienziata era interessata a verificare se le ipotesi fossero giuste.


L’inaugurazione ufficiale avvenne il 6 gennaio 1907. Presto i “Beni Stabili” ne avrebbero aperto altre sedici, sempre a S. Lorenzo20 . L’Istituto Case Popolari – alla periferia di Prati e al Trionfale – seguì più tardi l’esempio, come si vede ancora all’esterno del fabbricato di via Ruggero di Laurìa.


È ovvio che, davanti ai successi non comuni raggiunti da quei bambini poverissimi, le classi abbienti volessero impossessarsi del segreto di tanta scuola: ben presto si aprirono Case dei Bambini per interessamento di personaggi dell’aristocrazia o dell’alta borghesia, come quella di via Famagosta a Prati di Castello21 o presso l’ambasciata inglese in corso d’Italia (si mescolavano le età ma molto meno i livelli sociali). In quella assai vasta del Convento delle Suore Francescane di via Giusti a Roma nel 1912-1913 vennero ospitate le orfane del terremoto di MessIn genere però le Case erano piccole, raccolte, più adatte alle dimensioni dei giovanissimi ospiti. Nel giro di pochi anni si diffusero, nella città che si andava espandendo, in altri quartieri popolari, ad esempio al Testaccio22 , in via Banchi Nuovi 13, al Portico d’Ottavia in via S. Angelo in Pescheria o in via della Catena, nella zona del mercato del pesce (oggi non più esistente).


Poi vennero a decine le Case dei Bambini per i piccoli dei contadini più poveri, aperte nell’Agro Pontino o nel Meridione anche dall’ANIMI.


A poco a poco – e soprattutto nel secondo dopoguerra – la situazione si capovolse: aumentarono le scuole private a pagamento, tanto che si cominciò a dire che le scuole Montessori erano solo per ricchi e di ricchi, accusa che lei respingeva, non dimenticando di aver cominciato davvero con poco in un quartiere dove “la gente per bene passa solo dopo morta”23 . (Il Verano, il primo grande cimitero di Roma, è vicinissimo a S. Lorenzo).


La terza Casa, in ordine di tempo, venne aperta a Milano nel 1908, all’interno di un grande edificio popolare: le case operaie di via Solari edificate dalla Società Umanitaria (che fece costruire il materiale nella sua “Casa del Lavoro”). Per il primo anno venne diretta da Anna Maria Maccheroni, che in un suo affettuoso libretto di ricordi24 ne dà la pianta, aggiungendo che era simile a quella di Roma a San Lorenzo.


A Milano il piccolo appartamento era non a pianoterra, ma al piano rialzato, all’interno di un casamento con centoquindici famiglie: si apriva direttamente su un giardinetto, munito di fontanella, visibile ancora oggi a destra della porta25 .

Il rispetto del bambino, del grande compito di autocostruzione che inconsciamente porta a compimento, fu dunque subito al centro di questa vasta rete di realizzazioni che andarono di pari passo ai primi affollatissimi corsi per educatrici, venute ben presto dalle regioni più disparate. Parve un miracolo – ma anche uno scandalo – il fatto che i bambini si concentrassero con tale intensità, che restassero quieti e impegnati a lungo, che scoprissero senza fatica il leggere e lo scrivere già prima dei sei anni. A fronte dei fenomeni clamorosi, Maria Montessori metteva di continuo in evidenza la rigorosa prudenza negli interventi e la grande fiducia nelle forze originarie di ogni bambino.

“Chiedere il consenso al bambino”


Nell’educazione non possono essere date indicazioni esatte, ma solo guide direttive. Ad esempio il fatto che l’adulto deve rispettare il bambino, il suo io e il ritmo con cui si va costruendo. Ogniqualvolta l’adulto agisce verso il bambino senza il suo consenso, ne abbassa l’Io o gli impedisce di fare ciò che pensa.


Che l’adulto, ogni volta che chiede qualcosa al bambino, domandi il suo consenso, è fondamentale. Non voglio dire che si deve chiedere al bambino il permesso. Non si dirà: “Bambino, permetti che ti dica …”, ma si tratta di non fargli violenza. Se si vuole condurre a spasso un bambino che ancora non parla, quale permesso gli si può chiedere? Non si tratta dunque di questo, ma di prenderlo rispettosamente, con delicatezza, dirgli qualche parola: il bambino allora ha il tempo di sentire, come un invito, e il suo Io si metterà in azione in tal senso.

Se vogliamo dargli qualcosa, non diamogliela in mano, ma mettiamogliela vicino, aspettando che il suo Io l’accolga e che la prenda da sé. In questo modo aiutiamo il bambino a sentire se stesso, ad avere fiducia nelle sue possibilità di azione…


(Maria Montessori, dalla VII conferenza al XV corso internazionale di Roma, 1931)

La dimensione internazionale

La Case dei Bambini che negli anni ’30 avevano raggiunto in Italia quasi una diffusione capillare26 , nel ’34 vennero chiuse o trasformate in scuole materne agazziane: è il motivo per cui la Montessori lasciò definitivamente l’Italia e si stabilì in Spagna27 , a Barcellona per la precisione, paese che le era caro sia per le molte esperienze là realizzate, sia perché ci viveva la famiglia del figlio28 .


Gli spostamenti le erano comunque familiari da anni: quattro volte ha già attraversato l’Atlantico per gli Stati Uniti o per l’Argentina, per tenere seminari, importanti corsi nazionali e internazionali, nonché gli affollatissimi congressi: i primi a Calais nel ’21 e ad Helsinki nel ’25, entrambi in collaborazione con la NEF (New Education Fellowship29 ); poi Helsingor nel ’29, dove fonda l’Associazione Montessori Internazionale (AMI). Nel ’32 Nizza, dove comincia a parlare di “Educazione e pace”. Il congresso del ’33 doveva aver luogo in Germania, ma dal gennaio Hitler è al potere: si terrà ad Amsterdam; Roma nel 1934, cui sarà presente anche Piaget30 e ancora: Oxford nel ’36; Copenaghen nel ’37, dedicato specificatamente alla pace; Edinburgh nel ’38. Dopo l’India e la seconda guerra mondiale, San Remo nel ’49 e Londra nel ’51.


Ci piace immaginarla – nelle parentesi di tanto lavoro – viaggiatrice instancabile e forse divertita, curiosa di tutto, come la ricorda la nipote Renilde nell’intervista che chiude il presente volume.


Malgrado l’inevitabile rinuncia a operare in Italia, la Montessori è stata spesso accusata di una certa simpatia per il fascismo, storia del tutto priva di fondamento. Certo, dopo il 1922, l’anno tragico della “marcia su Roma”, aveva continuato a lavorare nel suo paese e con passione, mantenendo i contatti – in continua espansione – con il mondo internazionale.


A Mussolini questo dava fastidio, ma corrispondevano alle sue ambizioni nazionaliste la fama di lei e, al tempo stesso, la possibilità di una scolarizzazione precoce. Bambini che scrivevano e leggevano in anticipo e senza fatica: dell’aspetto più clamoroso dell’esperienza Montessori, a lui che era stato anche maestro, non poteva certo sfuggire la portata innovativa.


Quindi favorì la diffusione delle Case, soprattutto in zone poverissime come l’Agro Pontino, senza troppo approfondire la vera natura del metodo che aveva preso a proteggere, salvo poi chiudere classi e scuole pubbliche dopo il ’34. È vero che Mussolini era stato nominato presidente onorario dell’Opera Montessori – fondata nell’aprile del ’24 con decreto reale e posta sotto il patronato della regina Margherita – con il filosofo Giovanni Gentile quale presidente effettivo31 , ma si trattava di un compromesso formale che non toccava il lavoro con i bambini sul quale la Montessori non accettava accomodamenti di sorta.


Un’altra esperienza importante di quegli anni, favorita da Gentile, era stata l’apertura della “Regia Scuola di Metodo Montessori”, scuola pubblica per la preparazione delle maestre di Casa dei Bambini. Funzionò solo per otto anni, dal ’28 al ’36, quando venne chiusa32 , ma non soppressa e questo ne permise dopo il ’45 la riapertura.


Il decennio nero per l’Italia, cominciato con l’assassinio di Matteotti nel giugno del ’24, si concluse per lei33 nel ’33-’34. Erano stati anni caratterizzati anche dagli attacchi dell’influente pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, legato al regime e deciso oppositore della Montessori. Aveva dichiarato che il “metodo” era ben poco italiano, toccando un tasto cui i fascisti erano assai sensibili e aveva accusato la Montessori di aver rubacchiato qua e là alle sorelle Agazzi34 idee e suggerimenti concreti, come ad esempio le proposte di cura della persona e di cura dell’ambiente, la cosiddetta “vita pratica”.


Basta leggere in merito gli scritti montessoriani e metterli a confronto con le pagine di Rosa Agazzi sullo stesso tema per rendersi conto della profonda differenza di impostazione35 . D’altro canto, in un’Italia povera e contadina quale era il paese in quegli anni, la pulizia e l’acquisizione di abitudini igieniche dovevano stare egualmente a cuore all’intelligente maestra di Mompiano come alla dottoressa romana. Una polemica fomentata da Lombardo Radice che quest’ultima comunque si limitò a ignorare.


Sui motivi per i quali abbia accettato agli inizi l’ingombrante protezione del fascismo, non ci sono documenti disponibili. Si possono solo fare congetture: aveva sperato nel cambiamento e in una maggiore affermazione della sua opera? Si era illusa di poter convincere? Un’ingenuità comunque pagata cara da una donna che voleva mantenere la propria indipendenza e che nel suo paese non era stata accettata nemmeno dal mondo accademico laico.


In quegli anni Montessori continuava, in giro per il mondo, come s’è detto, il suo impegno di sempre: la formazione dei maestri, mai esaurito o esauribile. Più che ai numeri di un probabile successo, era attenta alla qualità del lavoro e al ripetersi in ognuna di queste esperienze, del fenomeno della “normalizzazione”: i bambini che mutano il loro comportamento, si calmano, scoprono il piacere di scegliere e di agire, di aiutare spontaneamente un amico, di affrontare le difficoltà in modo positivo …


Come se la “fame psichica” soddisfatta, gli interessi trovati, la capacità di concentrarsi fossero altrettante “medicine indirette” per il benessere della persona, a prescindere dalla ricchezza o dalla povertà, dalla casa di lusso o dalla capanna di paglia, osservazione di cui avrà l’ennesima, clamorosa conferma in India.


Di fronte a tale visione, al sentimento grandioso di questo compito di cui ha intessuto tutta la sua esistenza, non ha alcun desiderio di compromesso: fa la sua proposta e resta in tollerante attesa che l’altro capisca. Se questo non avviene, va altrove, per doloroso che sia…


Tra scienza e religione

Compromesso impossibile, dunque, lo stesso che in fondo aveva vissuto con la gerarchia cattolica e che le verrà rimproverato dalle sinistre nel secondo dopoguerra. Insofferente ai legami, ha il sentimento di lavorare per i bambini di ogni popolo del pianeta (“La mia patria è una stella che si chiama Terra”) e concretizzerà tale sentimento nel progetto di “educazione cosmica” per bambini e ragazzi dai 6 ai 12 anni.


Cattolica per educazione familiare, è laica per vocazione e per preparazione scientifica. Quello che si sa con certezza, in coerenza con il suo progetto educativo, è che si proponeva costantemente di dare ai bambini risposte legate al loro ambiente di vita. Non fa la missionaria, non pretende di cambiare le idee o di far proseliti: rispetta ciò che essi assorbono dai loro genitori nel loro luogo di vita.


Nella cattolicissima Spagna la sua allieva Anna Maria Maccheroni, molto religiosa, a partire dal 1915 la spinge a cercare risposte per i piccoli che respirano un’aria profondamente cristiana; nell’Olanda e nell’Inghilterra protestanti mette l’accento sulle possibili aspirazioni “spirituali” della persona umana, non necessariamente legate a un credo religioso, così come trova accoglienze significative in Francia, paese laico per eccellenza o in India dove la spiritualità e la ricerca della perfezione assumono contorni assai elevati, ma lontanissimi dal costume europeo.


Non a caso nei congressi Montessori si incontravano persone delle etnie e religioni più diverse, con possibilità di ascolto reciproco e livelli di tolleranza, all’epoca difficilmente riscontrabili altrove.


Mettere al centro il bambino, “osservarlo nel suo vero mondo”, come diceva il poeta Tagore, suo ammirato contemporaneo: ecco il denominatore comune che univa persone lontane per costume, linguaggi, modo di pensare e che ancora oggi si riscontra negli incontri internazionali organizzati intorno alle sue proposte formative.

All’VIII Congresso di San Remo furono particolarmente efficaci le testimonianze di due rappresentanti di Ceylon (oggi Sri Lanka): Joyce Goonesekera – che illustrò come la via Montessori aiuti a percorrere il meglio possibile i sentieri di Budda e come tale sostegno consenta, a chi lo desideri, di raggiungere più facilmente livelli di perfezione spirituale – e Lina Wikramaratne che raccontò come nelle scuole Montessori del suo paese convivessero bambini di lingue e religioni molto diverse, “in piena armonia, pronti ad aiutarsi scambievolmente”36 .


Ha scritto molti anni addietro Lamberto Borghi, uno dei più attenti pedagogisti italiani del nostro tempo37 , che “nel suo spirito scienza e religione cercavano una sintesi”: in effetti i due elementi permangono nei suoi testi, contraddittori ed evidenti, anche se il primo, sotto parole colloquiali e accessibili a chiunque, ha certamente la prevalenza, come traspare dalle sue opere. Se Il Metodo appare scritto con chiarezza logica e grande forza persuasiva – non a caso ebbe diffusione clamorosa e un enorme impatto sul cambiamento pedagogico internazionale, almeno fino agli anni ’3038 I bambini viventi nella Chiesa, che è del ’22, appare, più che un atto di fede, un racconto di eventi pedagogici, una descrizione dei possibili comportamenti infantili, come se il suo occhio disincantato non le permettesse di vedere più di quanto i piccoli manifestassero.


Ancora una volta lei sta ai fatti e osserva che un atto spirituale come la preghiera, reso concreto dalla liturgia, è, per i bambini, azione, scoperta, partecipazione. (Ben diversa è l’intima, profonda convinzione – questa sì quasi religiosa – che esprime quando parla del neonato, ad esempio nel Segreto dell’infanzia del 1938).

Non è un caso del resto che nella revisione de Il Metodo, avvenuta oltre dieci anni dopo le esperienze di Barcellona e in un clima totalmente diverso – quello dell’India – dica che esse non sono da riproporre ovunque come evento religioso in quanto si riferiscono “soltanto all’educazione religiosa cattolica, in cui è possibile fare la preparazione attiva per mezzo di movimenti e di oggetti, cioè di esercizi ‘materiali’, mentre questo non può farsi con altre religioni del tutto astratte (…) Questi tentativi pratici non possono essere propagati” (p. 326 de La scoperta). È come se, dopo Kodaikanal, vedesse la questione con un occhio ancor più distaccato. Non disconosce il lavoro fatto allora, ma non vuole legare la sua proposta per i bambini ad alcuna fede o ideologia. Tuttavia la interessa un’educazione religiosa, propria dell’ambiente in cui i bambini vivono, e vorrebbe che, come altre esperienze, potessero viverla da protagonisti attivi e non subirla.

Vocaboli come “mistico” e “misticismo” sono stati spesso applicati alle parole di Maria Montessori. Jerome S. Bruner ha scritto di lei che era “uno strano miscuglio di misticismo e pragmatismo”39 . Se si dà ai termini il loro corretto significato, non c’è misticismo nei suoi libri, se mai, ogni tanto, vena poetica, enfasi.


Ci sono sì paragoni con la Bibbia, ma lei se ne serviva per far capire meglio ciò che intendeva dire. Sulea Firu, di sicuro atteggiamento laico, ne era convinto: “La gente è abituata al linguaggio evangelico e quindi può intuire meglio; del resto lei aveva una religiosità di fondo che le veniva dai genitori. Però non dava valore alla predestinazione e negava il peccato originale: basta leggere i suoi libri per rendersene conto. Per questo è entrata in conflitto anche con la Chiesa”.


Dice ancora Sulea Firu:

“Un papa ha benedetto la sua opera, un altro l’ha definita ‘povera filosofa’40. Quando paragona i Re Magi che portano oro, incenso e mirra, all’adulto che, avendo capito il bambino, gli offre un ambiente preparato e materiali che soddisfano la sua fame esplorativa, in effetti desacralizza, ma al tempo stesso mette in valore il piccolo bambino. La bellezza di questo lavoro Montessori è – potremmo dire – la sua atemporalità, nel senso che non fissa regole una volta per tutte e non ha dogmi, perché l’educatore deve osservare i bambini, quelli reali che ha intorno a sé e su di essi basarsi per aiutarli nel modo migliore.

Questo è l’essenziale, come lei lo ha indicato a chi vuole capire. In ogni città o paesello ci saranno altri bambini, egualmente concreti ed è alle loro necessità vitali che si deve rispondere. Non possiamo aiutare tutti in un identico modo prestabilito. Per l’osservatore ancora inesperto rispondere ai bisogni di ciascuno, dando la libera scelta non è facile e d’altro canto la costruzione individuale che ogni bambino a poco a poco realizza non avviene secondo un piano cosciente. Ogni giorno è diverso. Chissà come arrivano da casa questo o quel bambino: uno non ha dormito bene, l’altro non ha mangiato abbastanza o i suoi genitori hanno litigato… Ogni giorno è un bambino nuovo e io maestro mi devo prima di tutto adeguare al suo stato emotivo…”

Va qui ricordato che le esperienze catalane di Maccheroni vennero riprese come punto di partenza da un’altra allieva di Montessori, Adele Costa Gnocchi, a metà anni Cinquanta, quando – insieme alla biblista Sofia Cavalletti (1916-2011) e a Gianna Gobbi (1919-2002) esperta maestra Montessori – cercò nuove strade di religiosità cristiana che non partissero dal Crocifisso, né fossero riservate ai ragazzini della seconda infanzia. Ne derivarono così la Catechesi del Buon Pastore, la creazione degli atrium per le parrocchie e poi per le scuole e un vivace materiale molto concreto di studio, anche con l’aiuto grafico della pittrice Maria Clotilde Cocchini. Approvata dalle Autorità ecclesiastiche (cattoliche) e coordinata da Francesca Cocchini, oggi docente di Storia del Cristianesimo all’Università di Roma, tale Catechesi è conosciuta in varie regioni del mondo, apprezzata anche dai greci ortodossi come da altri gruppi cristiani41 .

Riconoscere la dignità dell’essere umano, a tutte le età

Un ultimo aspetto dell’impegno di Maria Montessori da ricordare è la sua presa di posizione contro i premi e i castighi. Ne scrive con forza nel suo libro del 1909, tema che ai giorni nostri è stato ripreso con altrettanta energia solo dalla psicologa Alice Miller nei confronti della pedagogia nera che tortura fisicamente e della pedagogia bianca, melliflua, mascherata, ma non meno pericolosa (“Lo faccio per il tuo bene”).


Agli inizi del secolo l’atto correttivo è sempre accompagnato da aggressioni fisiche (con le mani; con i piedi, con la bacchetta, con la cintura, con il mestolo) o da tragiche esclusioni (lo stanzino buio, il collegio) o, ancora, da premi vistosi (medaglie, coccarde, affettuosità vietate alle “pecore nere”). Si perpetua così il detto biblico: “Se ami tuo figlio, puniscilo”.


La letteratura di fine ’800 è ricca di esempi tragici, per non parlare di testi psicoanalitici, fra cui il celebre caso del “Presidente Schroeber” studiato da Freud (1903-1910).


La Montessori denuncia tali comportamenti come diseducativi, distruttivi, non necessari e parla di libertà come la condizione (biologica, lei dice) per “il più favorevole sviluppo della personalità”.


Dunque, rivoluzionaria anche in questo.

E oggi, che le punizioni corporali – almeno da noi – sono proibite per legge, abbiamo davvero smesso di umiliare, ferire, disconoscere la dignità dei bambini?

Metodo “superato”?

Si è detto che Montessori, ben decisa a costruire la pace, non fosse poi così “pacifica”. Lo testimonia anche la nipote Renilde (vedi ottava parte). Esigeva molto da chi lavorava con lei, ma soprattutto non accettava che si stravolgessero le modalità di lavoro con i bambini. Per questo ha dovuto lottare non poco, ignorando l’accusa che le veniva fatta di “puerocentrismo”, legato “all’utopia di un mondo migliore”, comune del resto nel panorama delle scuole nuove. Se molte di queste oggi hanno fatto il loro tempo e sono dimenticate, non si può dire lo stesso del modello Montessori, che alle soglie del 2000 è in continua espansione. Perché, potremmo chiederci.


Se un metodo è stato costruito su una solida base scientifica, quale lo stesso Piaget ha riconosciuto a la méthode Montessori42 , allora non si tratta di invenzione artificiale escogitata a tavolino, ma di scienza e quindi non può essere considerato “sorpassato”, quanto piuttosto sviluppato secondo la stessa rigorosa indagine.

Il settore che nel corso degli anni ha maggiormente approfondito l’ampio progetto di formazione umana delineato dalla Montessori, è quello che si riferisce ai primi tre anni di vita e che verrà illustrato nella II parte. L’aver verificato che i criteri generali nell’approccio con i bambini sono attuabili – e con grandi risultati perfino con i neonati, come lei aveva intuito – con i bambini dei dodici/ventiquattro mesi o con gli adolescenti, è riprova della vitalità del lavoro educativo da lei progettato.


Si è altrettanto certi, con tante esperienze europee e americane, dalle elementari alle medie superiori, che la libertà entro regole e spazi definiti, la valorizzazione di ogni diversità possibile (età, sesso, religione, etnia…) e l’autoverifica sono i criteri portanti di una formazione realmente democratica, aperta al nuovo, protettrice di ogni pensiero divergente. Lo si è verificato non solo nelle classi elementari Montessori, ma più ancora nelle Secondarie, inesistenti da noi, ma numerose in altri paesi.


Accanto a questo si assiste purtroppo, almeno in Italia, a una decadenza generalizzata del lavoro educativo, perfino nelle Case dei Bambini oppresse dalle ideologie correnti, dalle mode, dagli obblighi ministeriali del nostro sistema scolastico. Questo testo vuole essere anche un richiamo, un appello, un invito a tornare alle origini.

Montessori: perché no?
Montessori: perché no?
Grazia Honegger Fresco
Una pedagogia per la crescita.Che cosa ne è oggi della proposta di Maria Montessori in Italia e nel mondo? Un testo fondamentale, corretto, ampliato e riproposto a distanza di anni, per chiunque si interessi alla vita e alle opere di Maria Montessori. Montessori: perché no? è un testo fondamentale per chiunque si interessi alla vita e alle opere della celebre pedagogista. Sull’onda del recente rinnovato interesse per la figura e il pensiero di Maria Montessori, il testo, già edito da Franco Angeli in 7 edizioni ed esaurito da anni, è stato curato da Grazia Honegger Fresco, corretto e ampliato con uno scritto della stessa Montessori relativo all’Educazione Cosmica e uno sull’apprendimento della nostra lingua per adulti migranti. Il bambino che ha sentito fortemente l’amore all’ambiente e agli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo. La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.Maria Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.