CAPITOLO III

La strategia del catastrofismo

Vaccini “mutanti”

Non è cambiato solo il mio sguardo. Nel tempo è variato anche il fenomeno osservato, ossia le vaccinazioni, e questo cambiamento mi ha confermato nella convinzione che la strada intrapresa dalla politica sanitaria negli ultimi decenni abbia molto a che fare con le ragioni della politica e dell’economia, ma non altrettanto con quelle della sanità pubblica.


Le vaccinazioni, infatti, in principio erano rivolte verso malattie che potevano costituire un episodio grave nella vita di ciascun individuo (il vaiolo, la difterite, il tetano, la poliomielite). In un secondo tempo si sono rivolte verso malattie minori (il morbillo, la parotite, la rosolia, la varicella), per arrivare a malattie provocate da germi che rappresentano il substrato naturale nel quale siamo immersi da sempre, che sono cresciuti insieme a noi, che mutano e si modificano insieme a noi, in una sorta di co-evoluzione (pneumococco, emofilo, meningococco, virus influenzale, rotavirus, papillomavirus).


Mi accade di osservare la gente mentre compra il cibo al supermercato e penso a come sia contraddittorio il modo in cui giudichiamo ciò che è salubre per il nostro cibo e ciò che è salubre per il nostro corpo.


Se chiedessi a qualcuno che spinge il carrello della spesa come vorrebbe che fossero i prodotti che sta comprando, probabilmente mi risponderebbe: “il più possibile sani e naturali”. Ciò significa una carne senza ormoni o senza farmaci di qualsiasi tipo, polli e pesci senza antibiotici, ortaggi e frutta non irradiati per favorirne la conservazione. È su questo aspetto, del resto, che ci illude la pubblicità: uno degli aggettivi più usati, e abusati, per vendere prodotti alimentari è l’aggettivo “naturale” collegato all’idea di “sano”. E del resto, chi di noi mangerebbe volentieri la carne, il latte, le uova di animali cui fossero stati somministrati molti farmaci?


Ma quando si viene al corpo umano, le nostre esigenze di naturalità connessa all’idea di salute quasi scompaiono. Anzi, diciamolo pure, ne abbiamo una discreta diffidenza. Ai primi sintomi di influenza o di raffreddore il ricorso al farmaco dà una grande sicurezza.


Il nostro rapporto con germi e batteri fa parte di una storia più che millenaria. È grazie ad esso che la specie umana si è immunizzata, ha sviluppato meccanismi di difesa dell’organismo in modo naturale, ossia abituandolo a superare condizioni di malattia che, pur non presentando seri rischi per la salute, costituiscono delle utili palestre per il sistema immunitario. In questo senso, è del tutto naturale essere colpiti dall’influenza e dover stare a letto, così com’è altrettanto naturale avere il raffreddore. Naturale non significa piacevole, e neppure poco fastidioso, né che non dobbiamo essere tenuti sotto controllo medico e adottare tutte le misure preventive utili, dal lavarsi le mani al curare l’igiene ambientale. Significa soltanto che, per sviluppare le difese naturali, bisogna che queste difese siano messe alla prova secondo procedure che la natura ha sviluppato in noi in milioni di anni: cioè che la malattia faccia il suo corso. Se uso delle scorciatoie, e mi vaccino, posso forse ottenere qualche risultato nell’immediato, cioè posso vincere una battaglia, ma non è detto che io vinca la guerra, ossia che il mio sistema immunitario sappia poi rispondere a sfide ben più significative, in quanto abituato a una immunità artificiale data da una vaccinazione di massa che supera abbondantemente i limiti dettati dalla necessità di prevenire malattie gravi. Il costo dell’immunità artificiale può tradursi nell’aumento delle malattie allergiche e delle patologie autoimmuni, nell’alterazione dei fattori di protezione dalle malattie degenerative.


L’abuso di farmaci e vaccini determina poi un cambiamento profondo di prospettiva nella visione della nostra salute fisica. La malattia, fino a quando si presenta nelle sue forme più comuni e tipiche, ha una propria funzione nel ciclo esistenziale di un organismo. Quest’ultimo è un’entità naturale, funziona con regole messe a punto in un tempo lunghissimo, e non con quelle del nostro calendario settimanale degli impegni di lavoro o di studio. Ci affideremmo per un viaggio in aereo a un pilota che avesse fatto solo simulazioni di volo? Forse, per uno spostamento breve. Ma per una traversata transatlantica, come è la vita umana, preferiremmo un pilota collaudato. Poiché affido la difesa della mia salute all’esercito dei miei anticorpi, non basta che questi si addestrino con delle semplici esercitazioni, nel caso specifico con dei vaccini antinfluenzali. Per svilupparsi in modo efficace essi devono anche affrontare lo scontro in campo aperto, il che è esattamente lo scopo per cui li ha programmati la natura, soprattutto quando il sistema immunitario appartenga a individui giovani e quando lo scontro consista nel combattere una semplice influenza.

Oroscopi influenzali

Ma, obietterà qualcuno, proprio qui sta il punto: da qualche anno a questa parte l’influenza non è più una cosa semplice. Si è complicata, è diventata qualcosa il cui avvicinamento viene seguito dai telegiornali come la traiettoria di un ciclone: ne viene registrato il passaggio da un continente all’altro per prevenirne gli effetti devastanti, facendo passare la popolazione dallo stato di preallarme allo stato di allarme reale.


Il fatto è che stampa, telegiornali e web diffondono in un batter d’occhio notizie che sono frutto di una mediazione tra le conoscenze scientifiche e tecniche, che solo gli specialisti possiedono, e la necessità di propagarle al grande pubblico.


Questo passaggio dal tecnicismo a un linguaggio comprensibile a tutti è delicatissimo, perché per alterare la verità basta dirne mezza, non è necessario inventare. Inoltre, nella comunicazione scientifica il rapporto è sempre squilibrato a favore di chi conosce di più, perché la persona che riceve l’informazione è praticamente disarmata di fronte a ciò che le viene detto. Uno strumento di verifica, tuttavia, chi ascolta lo possiede, e consiste nell’accertare se quanto detto dall’informatore scientifico corrisponda con i fatti reali, soprattutto quando l’informatore scientifico mostri una certezza assoluta in quello che va affermando. Quindi, se quello che viene propagandato si scontra ripetutamente con i dati di fatto, ma altrettanto spesso favorisce enormi interessi commerciali, l’ascoltatore può decidere se non convenga stare a sentire anche altre voci, sempre al fine di verificare se siano più adatte di altre ad interpretare la realtà che lui stesso osserva.


Pochi di noi sarebbero in grado di discutere sul modo in cui l’anticiclone delle Azzorre condiziona il tempo del nostro Paese, ma tutti saremmo in grado di osservare con quanta frequenza il meteo tenda a preannunciare uragani che poi non si verificano.


Viceversa, sul fronte sanitario, negli ultimi anni è stato un continuo susseguirsi di preannunciate catastrofi planetarie dovute all’influenza, dopo le quali abbiamo constatato che oltre il 99% della popolazione mondiale era sopravvissuta. Ogni anno, infatti, muoiono nel mondo per influenza, o per le sue complicanze, mezzo milione di persone, pari a circa lo 0,007 della popolazione del pianeta, ma in siti web di larga divulgazione il dato viene fornito sotto altra forma, e suona molto allarmante. Ad esempio, si dichiara che l’influenza miete nella sola Italia novemila vittime, confidando evidentemente sulla scarsa propensione per la matematica dei lettori, in quanto il numero equivale allo 0,015 dell’intera popolazione italiana1.


Anziché passare in rassegna dozzine di articoli comparsi sotto varia forma e che mostrano evidenti contraddizioni, omissioni, o reticenze nell’illustrare la natura e i possibili effetti di una delle tante influenze succedutesi negli ultimi anni, credo possa essere di qualche interesse fissare l’attenzione su uno di questi. Il motivo della scelta è che il testo di cui intendo parlare illustra molto bene la pericolosa confusione, in tempi recenti, tra scienza e divulgazione scientifica, come pure tra ricerca pura e ricerca indirizzata a fini commerciali. Quest’ultima non ha nulla di sconveniente in sé, a condizione che non diventi lo strumento per determinare la politica sanitaria dei vari Paesi.


Nel 2006 è uscito Influenza Report 2006, un rapporto sull’influenza, disponibile online e in formato cartaceo, scritto con il contributo di numerosi autori, ma curato da tre medici tedeschi: Bernd Sebastian Kamps, Wolfgang Preiser e Christian Hoffmann. Ciascuno di questi presenta un lungo e rispettabile curriculum scientifico. Christian Hoffmann nel 2006 lavorava presso l’Institut für Interdisziplinäre Medizin di Amburgo. Wolfgang Preiser, dopo aver condotto i suoi studi in Germania e Inghilterra, è divenuto docente di virologia alla Stellenbosch University in Sud Africa. Il primo fra loro, infine, il dottor Kamps, ha lavorato alla clinica universitaria di Bonn e Francoforte e successivamente si è trasferito prima a Cagliari, in Sardegna, e poi a Parigi. La sua attività preminente è quella di editorialista e organizzatore di archivi web di pubblicazioni mediche, nonché responsabile della casa editrice Flying Publisher che ugualmente cura pubblicazioni di divulgazione medica.


Il saggio del 2006 è costituito da una serie di analisi sui vari virus influenzali, ognuna delle quali fittamente punteggiata da frasi e giudizi che illustrano l’utilità dei vaccini antinfluenzali, il pericolo che le scorte in caso di pandemia, ossia di epidemia mondiale, non siano sufficienti o che, nel caso lo siano, non giungano in tempo ai centri di distribuzione, e così via. Ho provato a contare i punti delle 225 pagine in cui veniva affermata l’utilità della vaccinazione antinfluenzale, anche al fine di prepararsi alla pandemia, ma alla fine erano così numerosi che mi sono stancato di annotarli. Ai vaccini, del resto, è dedicata oltre la metà del testo.


Per dare un’idea del tono del saggio si vedano le parole poste quasi ad apertura del primo capitolo, firmato dallo stesso Sebastian Kamps e da un medico messicano, Gustavo Reyes-Terán, direttore nel suo Paese di un centro di ricerca sull’Aids dotato, a giudicare dalla pubblicità su internet, di cospicui finanziamenti; e questo in una nazione dove, com’è noto, le risorse scarseggiano. Ecco cosa scrivono Kamps e Reyes-Terán:


Nei seguenti paragrafi, daremo uno sguardo alle varie facce della guerra contro l’influenza: l’impatto globale e individuale della malattia, il virus in sé, e la gestione individuale e globale di ciò che un giorno potrebbe risultare una delle peggiori crisi sanitarie nella storia della medicina. La cosa più importante da ricordare quando si parla di influenza pandemica è che la sua forma grave ha ben poco in comune con l’influenza stagionale. L’influenza pandemica non è l’influenza comune. Mettetevelo in testa. Voi non dite che una tigre è un gatto.2

Con questi toni teatralmente drammatici e lontani da qualsiasi stile scientifico, contrasta in modo stridente, nella Prefazione, una singolare ammissione:


Il tempo e l’entità della prossima pandemia sono tutto tranne che certi, ma è saggio essere preparati.


All’incirca come dire: potrebbe in futuro scatenarsi una guerra, meglio fare scorte di viveri e acquistare più cibo possibile dai supermercati. Scientificamente scorretto, ma commercialmente utile. A lasciare esterrefatti è però il testo compresso, in caratteri debitamente piccoli, tra indirizzi web e numeri telefonici delle sedi di lavoro dei curatori, da un lato, e le informazioni editoriali dall’altro (casa editrice, luogo di edizione, ecc.). Vi si legge:


Dati i rapidi cambiamenti che intervengono nella scienza medica, nella prevenzione e nella politica sanitaria, inclusa la possibilità di un errore umano, questo sito può contenere delle inesattezze tecniche, tipografiche o altri errori.


Segue una lista di raccomandazioni che ugualmente invitano a verificare le modalità e l’opportunità di somministrazione dei farmaci consigliati nel testo, cioè vaccini e antivirali. E si specifica:


Le informazioni contenute qui sono fornite “come sono”, e senza garanzie di alcun tipo. Chi ha contribuito a questo sito, incluso gli editori di Flying Publisher, declinano ogni responsabilità per qualsiasi errore o omissione o per i risultati ottenuti in seguito all’applicazione delle informazioni qui contenute.


Importante: il presente volume ha proposito esclusivamente informativo e non intende dare consigli medici o servizi professionali.3


In altre parole, anche se il volume non fa che dare direttive su come preservare la propria salute tramite i vaccini antinfluenzali, gli autori invitano a leggerlo con lo stesso superiore distacco con cui si leggerebbe un oroscopo. Eppure, non so in quanti articoli divulgativi ho trovato citato il lavoro di Kamps, Hoffmann e Preiser, inclusa la voce influenza pandemic (pandemia influenzale) nella versione inglese di Wikipedia, la più popolare enciclopedia su internet.


Nel 2008 il dottor Kamps ha ripetuto lo strano esperimento di annunciare catastrofi. In quell’anno ha tenuto un seminario sui possibili sviluppi di una pandemia enfaticamente pubblicizzato sul sito dell’Università di Bir Zeit, una cittadina vicino a Ramallah. Dato che l’Università di Bir Zeit, per sua stessa dichiarazione, dipende molto dalle donazioni di “individui, allievi e organizzazioni basate in Palestina”, ci si può interrogare se per caso tra queste organizzazioni vi sia anche la Pharmaceutical Birzeit Company, che nel proprio sito web si definisce “il produttore leader di farmaci generici in Palestina. Con oltre 300 prodotti distribuiti attraverso 10 catene produttive e che coprono differenti campi terapeutici.”


Nel 2011 il dottor Preiser ha tenuto un seminario alla Stellenbosch University, poi pubblicato su web, e incentrato sempre sul rischio di una nuova pandemia. Benché il testo riporti dei dati piuttosto tranquillizzanti, la grafica, le immagini e i titoli inducono a una lettura, al solito, allarmistica.


Nel luglio 2006 è uscito anche il romanzo per ragazzi di Johnathan Rand dal titolo Pandemia, che disegna un possibile scenario di emergenza planetaria dovuta a una pandemia influenzale, ossia un’epidemia di dimensioni mondiali.


Ne ho letto qualche riassunto, incuriosito dal titolo più che altro per deformazione professionale. Ma più dettagliato era il riassunto, e meno capivo se lo scrittore Rand avesse tratto ispirazione dal saggio del dottor Kamps, o il dottor Kamps dal romanzo di Rand.

Pandemie, pandemoni, e molta confusione

Produrre un vaccino ha naturalmente un costo, e questo costo non è trascurabile. Esso però varia da vaccino a vaccino: è ovviamente più alto se devo ogni volta individuare dei virus specifici e diversi con cui comporlo, mentre è relativamente più contenuto se posso utilizzare su per giù sempre lo stesso ceppo virale, ossia il medesimo sierotipo.


È chiaro allora che, paradossalmente, costa di più in termini di ricerca produrre un vaccino antinfluenzale che non un vaccino contro il morbillo, in quanto il virus influenzale muta di anno in anno.


I virus influenzali sono 3 (tipo A, B, C) e sono capaci di modificare le loro proteine di superficie; queste mutazioni, oltre a conferire ai virus maggiore o minore aggressività, rendono inutilizzabile l’immunità presente nella popolazione che in passato ha subito l’infezione.


I cambiamenti possono avvenire secondo due meccanismi distinti:

  1. deriva antigenica (antigenic drift). I virus influenzali vanno incontro frequentemente a piccole variazioni della sequenza degli amminoacidi di uno o entrambi gli antigeni di superficie (emoagglutinina e neuraminidasi). La mutazione antigenica crea un nuovo ceppo virale che può diventare più aggressivo e diffondersi rapidamente tra la popolazione. Questo fenomeno riguarda sia i virus A, sia i B (ma negli A avviene in modo più marcato e frequente) ed è responsabile delle epidemie stagionali. Le varianti diventano irriconoscibili agli anticorpi presenti nelle persone che si sono già ammalate di influenza, così da renderle suscettibili all’infezione del nuovo ceppo;
  2. spostamento antigenico (antigenic shift). È un fenomeno che riguarda solo i virus influenzali di tipo A, che acquisiscono antigeni del tutto nuovi, ad esempio per riassortimento tra i ceppi aviari e i ceppi umani. Di conseguenza avremo la comparsa di un nuovo ceppo virale, con proteine di superficie diverse da quelle precedenti, con la conseguenza che tutte le persone possono essere vulnerabili. Gli shift antigenici sono dovuti o a riassortimenti tra virus umani e animali (aviari o suini) oppure alla trasmissione diretta di virus non-umani all’uomo.

Scegliere gli antigeni (ossia i sierotipi che devono stimolare una risposta immunitaria nel nostro organismo) presenti nel vaccino è una procedura delicata perché le risposte delle nostre difese immunitarie sono molto specifiche. Tutto è basato sulla previsione di quali saranno i virus in circolazione durante la stagione invernale. Se la previsione è corretta, il vaccino può proteggere dal virus in circolazione per l’anno in corso, ma se la previsione non è corretta l’efficacia diminuisce o si annulla addirittura perché occorre che ci sia una corrispondenza precisa tra i ceppi virali circolanti e quelli contenuti nel vaccino.


Il vaccino antinfluenzale trivalente contiene due tipi di virus A e un tipo di virus B, quello quadrivalente contiene un tipo B in più.

La vaccinazione antinfluenzale può essere poco efficiente per tre motivi principali:

  1. la predizione non corretta dei virus responsabili dell’epidemia stagionale, come avvenuto nella stagione 2017/2018 in cui il virus del tipo B/ Yamagata è stato il ceppo B maggiormente circolante ma non presente nel vaccino trivalente in uso4;
  2. la mutazione dei virus circolanti durante la stagione influenzale con perdita della somiglianza o “match” tra questi e quelli contenuti nel vaccino. Se i virus si trasformano e mutano l’efficacia vaccinale diminuisce, come accaduto nel 2014/2015 che ha registrato un’efficacia del 13%5;
  3. l’azione del substrato utilizzato per la produzione del vaccino, costituito, per la maggior parte dei vaccini antinfluenzali, dalle uova. Durante tale processo produttivo il virus del vaccino acquisisce dei cambiamenti nella emagglutinina che possono causare mutazioni antigeniche e determinare un decremento dell’efficacia vaccinale, stimata al 33% nella stagione 2017/20186.

È indubbio che l’influenza sia una patologia importante da prevenire per l’elevato numero di complicanze che può determinare negli anziani e nelle categorie a rischio. Ma non ci convince il ragionamento di chi sostiene che “L’efficacia del vaccino antinfluenzale quando non lo si pratica è sempre dello 0% mentre anche se il vaccino non è perfetto ed ha un’efficacia del 40%, questo valore è migliore dello 0% legato alla mancata vaccinazione”7.


In questi casi, tempo, ricerca e investimenti spesi dalle industrie produttrici sono vanificati, con probabili ricadute negative sulle prossime vendite.


Un meccanismo di questo genere rischia di ridurre in modo consistente i profitti del produttore. Le cose sarebbero molto più semplici se vi fosse un modo di garantire la vendita della più alta percentuale possibile di vaccini antinfluenzali tutti gli anni. Ciò ridurrebbe ampiamente i rischi di non coprire, con i ricavi, i costi fissi dovuti alla ricerca, alla produzione e all’immagazzinamento dei prodotti (che pone problemi ben più complessi di quanto non sia lo stoccaggio di altri generi di merci).


Se, per esempio, si riuscisse a far approvare una politica sanitaria che prevedesse, ogni anno, la vaccinazione contro l’influenza per tutte le fasce di popolazione, ciò costituirebbe un indubbio vantaggio economico.


Si può però rendere obbligatorie le vaccinazioni consigliate (antipneumococco, antirotavirus, antimeningococco, antipapillomavirus), ma come si può rendere obbligatorio il vaccino antinfluenzale? È un compito che costituirebbe una sfida per qualsiasi lobby dell’industria farmaceutica. Sempre che qualche santo non aiuti.


E qualche aiuto dalla sorte è effettivamente avvenuto. Al resto hanno provveduto le società farmaceutiche.

Una mano dal cielo

Nel dicembre 2003, a creare le condizioni adatte perché si potesse creare un allarme diffuso e una paura di pandemia, utile per incentivare il ricorso generalizzato a vaccini antinfluenzali, furono i volatili. Questi sono soggetti a un tipo di influenza, detta aviaria, che è causata dal virus H5N1 e che presenta un alto tasso di mortalità nei soggetti che la contraggono (circa il 50%). Quando nel 1923 il virus fece la sua prima, significativa comparsa al mercato dei polli di New York, colpiva esclusivamente i volatili. Come tutti i virus influenzali, però, è soggetto a continue mutazioni, e a partire dal 1997 se ne è osservata la capacità di trasmettersi all’uomo, a condizione che vi fosse contatto diretto con animali infetti o con le loro deiezioni. Nel corso del 2004 l’aviaria ha provocato stragi di pollame e anatre in Thailandia, Vietnam, Giappone, Corea del Sud e Cina. Non ci sono mai stati, però, casi di trasmissione del virus da persona a persona.


Nell’agosto 2004 gli scienziati cinesi rilevarono l’infezione da H5N1 anche nei maiali e ciò diffuse la preoccupazione di uno scambio di geni tra il virus aviario e ceppi virali dell’influenza umana, il che avrebbe reso la malattia trasmissibile dagli animali all’uomo. Sui mezzi di informazione scoppiò il pandemonio: divenne oggetto di un comunicato stampa ogni anitra o pollo trovato infetto sul territorio europeo.


L’allarme si ripeté negli anni successivi, e nel 2008, in occasione dell’ennesima replica di un’annunciata pandemia aviaria, ebbe l’onore delle cronache anche un gatto di un’isoletta del Baltico, deceduto dopo aver mangiato qualche volatile infetto. Della sua morte si occupò niente meno che la Commissione UE, in quanto poteva essere la prova che il virus si era modificato in modo tale da poter agire in modo letale anche sull’organismo dei mammiferi.


A Pisa, dove vivo, si dice con espressione popolare: “Meglio aver paura che toccarne”, ossia meglio essere inutilmente prevenuti contro un pericolo ed evitarlo, piuttosto che non temerlo ed esserne colpiti.


Però, dopo che quotidianamente i telegiornali ci bersagliarono con notizie che sembravano rafforzare, giorno dopo giorno, lo strisciante avanzare di un’epidemia mondiale, scoprimmo a posteriori che, secondo l’OMS, tra il 2003 e il marzo 2006 vi erano stati in tutto il mondo 184 casi di influenza aviaria, con un totale di 103 morti. Ciò equivale a dire che l’influenza di ogni genere e tipo uccide ogni anno, come ho già ricordato, lo 0,007% della popolazione mondiale, e che di questa percentuale a tre zeri solo lo 0,0068% era morta per influenza aviaria. Davvero troppo poco, direi, per parlare di pandemia.


Ma la divulgazione scientifica del genere di cui ho già discusso non si scoraggiò per questo, ben sapendo che una volta che diffondi la paura tra la gente, nessun ragionamento fondato sulla logica troverà più accoglienza. Anzi, chi insistesse a controbattere l’allarmismo con il ragionamento verrebbe preso per incompetente o per irresponsabile.


Nel frattempo continuavano a non registrarsi casi di trasmissione della malattia da uomo a uomo, ma solo da uccelli infetti e dai loro escrementi alle persone. Del resto, il virus aveva iniziato la sua corsa dagli allevamenti di volatili nell’Estremo Oriente, dove le condizioni igienico-sanitarie in questo genere di attività sono spesso disastrose. Non c’è da stupirsi, quindi, che persone a strettissimo contatto con polli e anatre in queste aree del pianeta finissero per restare contagiate dall’influenza aviaria.


Non esiste a tutt’oggi un vaccino contro l’aviaria. Il risultato, però, di continui annunci di “possibili”, “probabili”, “prevedibili” e “ipotizzabili” mutazioni del virus H5N1 fu un incremento significativo del numero di persone che decisero di farsi vaccinare non contro l’aviaria, il che non sarebbe stato possibile, ma contro l’influenza stagionale. Ecco il titolo principale di un quotidiano online dell’Umbria nell’ottobre 2008: “Inizia domani la campagna di vaccinazione antinfluenzale promossa dall’ASL 3. Utenti in aumento8. Nell’articolo si specifica che “rispetto all’anno precedente, il 2006, si è registrato un incremento di circa 1300 vaccinazioni che percentualmente corrispondono ad un incremento di circa 3 punti”.


In base a un’indagine condotta dall’Istituto di Virologia dell’Università di Milano, presentata a un convegno a San Marino sui sistemi sanitari e l’innovazione, nel 2006 si sarebbero vaccinate contro l’influenza 16,5 milioni contro i 12 milioni del 20059. Detto altrimenti: 4 milioni e mezzo di vaccini antinfluenzali in più, da un anno all’altro. Per inciso, nello stesso rapporto si trovava il dato curioso secondo cui solo un medico su quattro si era vaccinato, benché il 70% della categoria avesse consigliato la vaccinazione ai propri pazienti.


Nel novembre 2009 il sito internet del Corriere della Sera pubblicò un’intervista al prof. Fabrizio Pregliasco, dell’Istituto di Virologia di Milano, nella quale l’intervistato affermava l’utilità del vaccino antinfluenzale e al tempo stesso attenuava la propria affermazione, precisandone i limiti. Ma nella grafica della pagina, queste sfumature scomparivano, e un titolo a tutto campo recitava: “Il virus muta, ma il vaccino è efficace”.


Naturalmente i meccanismi di diffusione dell’allarme sociale vanno tenuti sempre ben oliati, altrimenti si rischia di cadere nella famosa favola di “al lupo, al lupo!”

Di conseguenza, nel settembre 2011 la nuova ondata di terrorismo mediatico nacque da una notizia: il dottor Ron Fouchier, dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, aveva annunciato ad una riunione a Malta dell’ESWI (European Scientific Working group on Influenza) – un comitato di esperti consulenti dell’OMS – che nel proprio laboratorio la sua équipe era riuscita a trasformare il virus H5N1 in uno ben più aggressivo con sole 5 trasformazioni genetiche10. Sarebbe come annunciare al mondo che un chimico, partendo da elementi a basso potenziale esplosivo, è riuscito a legarli assieme artificialmente ottenendo un esplosivo molto più efficace. La risposta che chiunque avrebbe dato al dottor Fouchier sarebbe stata quella di non perdere il suo tempo a dimostrare una cosa abbastanza ovvia, ossia che la moderna ricerca di laboratorio è in grado di aumentare a piacimento la pericolosità di un virus, e di evitare, possibilmente, di pubblicare nel dettaglio come si possa ottenere questo con l’H5N1, per impedire che a qualcuno venisse in mente di replicare l’esperimento, non a fini di ricerca ma di terrorismo biologico o simili. Ciò è esattamente quello che gli consigliò il National Science Advisory Board for Biosecurity, una commissione scientifica governativa americana che ha il compito di emettere pareri non vincolanti su cosa sia opportuno pubblicare e su cosa no, ai fini della sicurezza nazionale, soprattutto quando si tratti di risultati che non incidono sul progresso della ricerca scientifica. Più tardi, nel marzo 2012, lo stesso Fouchier riconobbe che il virus modificato non era poi così mortale come all’inizio si era pensato, e questa sua ritrattazione venne riportata niente meno che sul New York Times11.


Ma il gioco era fatto: quello che passò alla maggior parte della stampa, e su cui quest’ultima suonò il tamburo, fu che la pandemia era alle porte. Anzi, il parere dell’Advisory Board venne sbandierato dalla pseudodivulgazione medica quasi a suggerire che i governi stavano cercando di coprire una verità scottante per non creare panico. Una rivista online francese riportò nei soliti caratteri cubitali: “H5N1, mutato. Il virus mortale paralizza la comunità scientifica12.


Nel frattempo, l’industria del vaccino antinfluenzale, al pari di un produttore automobilistico, aveva creato un proprio largo e fiorente indotto. Con riferimento alla campagna vaccinale del 2011, riporto, a titolo di esempio, quanto ancora si legge nel sito di una delle tante aziende che hanno navigato, si direbbe, a gonfie vele grazie al continuo soffiare dei media sul fuoco della presunta pandemia di influenza killer:


Visti gli ottimi risultati ottenuti dalle aziende nostre clienti in seguito alle vaccinazioni antinfluenzali eseguite negli ultimi anni ai lavoratori, Vi proponiamo lo stesso servizio anche per il corrente anno. [...] Il costo riservato ai ns. clienti è di € 8,00 /cad. (vaccino) + € 3,00 (esecuzione) = € 11,00 + Iva. Per le vaccinazioni eseguite in azienda verrà calcolato un forfait di trasferta del professionista in rapporto alla distanza ed al numero di vaccinazioni fatte.13


È un testo pubblicitario-informativo che, confesso, ancora adesso mentre lo trascrivo mi suscita indignazione perché rivela, involontariamente, un modo quasi sinistro di intendere la salute delle persone, ossia come un business. Difatti mira a diminuire la capacità dell’individuo di tutelare in modo consapevole la propria salute, affidandone la gestione all’azienda per cui lavora. Insomma, una condizione che ricorda quella dei polli di batteria: loro pensino a produrre le uova, che alla loro salute ci pensa l’allevatore.

Maiali influenzati e opinione pubblica influenzabile

Il 17 novembre 2004, la rivista scientifica “Nature” così descriveva la politica sanitaria adottata dall’OMS contro l’influenza aviaria: “L’OMS richiede un aumento dei vaccini per prepararsi alla pandemia influenzale. I funzionari sottolineano la necessità di un’azione urgente14.


Sempre nel novembre 2004, il dottor Klaus Stohr, funzionario dell’OMS, affermava, non si capisce a quale scopo, che una variante del virus influenzale, l’H2N2, spedito per studio dagli USA a vari laboratori del mondo avrebbe potuto determinare un’epidemia con ben 4 milioni di morti, come quella del 1957. Nei comunicati stampa si metteva in evidenza che tali effetti devastanti sarebbero potuti accadere in quanto la popolazione nata dopo il 1968 non era immunizzata contro l’H2N2, mentre veniva messa in ombra l’affermazione dello stesso Klaus Stohr secondo il quale erano, di fatto, “minime le chance che qualcuno potesse essere contagiato”.


Abbiamo già visto, nei precedenti paragrafi, come a tutto questo catastrofismo sia sempre seguito, ogni anno, il nulla di fatto.


Non fosse altro che per il rischio di diminuire la propria credibilità a forza di pronostici infondati, l’esperienza degli anni 2004-2008 avrebbe dovuto suggerire all’OMS maggiore prudenza. Al contrario, la propensione di questa organizzazione a creare scompiglio, anziché a gestire l’informazione in modo responsabile, non accennò ad attenuarsi. E così dopo gli uccelli arrivarono i maiali. Ecco come fu.

Cronaca di una farsa: l’invasione del virus A/H1N1

Maria Adelaide Goutierrez era un’ispettrice di 39 anni, addetta al censimento casa per casa, nella cittadina messicana di Oaxaca. Dato il lavoro che svolgeva, veniva a contatto con centinaia di persone, in aree molto povere e depresse, e dalle condizioni igieniche assai precarie. Ricoverata l’8 aprile 2009 per una polmonite di un ceppo virale sconosciuto, morì cinque giorni più tardi. La cronaca mondiale diffuse la notizia della sua morte come quella della prima vittima di influenza suina.


In Messico, i grandi gruppi agroalimentari statunitensi hanno trasformato vaste aree, un tempo proprietà di piccoli e medi contadini, in immensi allevamenti di maiali. Proprio in una di queste aree, nella provincia di Veracruz, sei giorni prima della morte di Maria Adelaide, era stato colpito da febbre suina, accertata e diagnosticata, un bimbo di due anni. Il suo caso non fece però scalpore in quanto il bimbo guarì15. Già il 24 aprile, tuttavia, l’OMS era sul piede di guerra: l’A/H1N1 veniva dichiarato un virus altamente pericoloso, nato dalla combinazione tra due virus endemici dei suini con un virus umano e uno aviario.


Iniziarono a essere formulate le previsioni più nefaste sul numero di malati e di morti. In Inghilterra vennero allertati gli obitori affinché ampliassero la propria capienza16. A mettere in giro le notizie più allarmanti fu soprattutto l’Organizzazione Mondiale per la Sanità. Seguirono poi il Centro americano per il Controllo e la Prevenzione delle malattie (CDC), e quello europeo (ECDC), l’Istituto Superiore di Sanità in Italia, più un esercito di esperti dello stesso genere degli autori di Report Influenza 2006 di cui ho già parlato.


Noi pediatri, nel frattempo, impazzivamo a rispondere alle telefonate di genitori che ai primi sintomi di febbre di un bambino entravano nel panico, e se cercavi di tranquillizzarli ti ripetevano tutti i messaggi appresi dal bombardamento mediatico delle ultime settimane.


Unici rimedi in cui l’umanità potesse sperare, a quanto sembrava, erano i vaccini e gli antivirali. Tra questi ultimi in particolare il Tamiflu e il Relenza.


L’atmosfera di panico creatasi con l’aviaria spinse i governi a far scorta di questi due farmaci, e a sottoscrivere con le case farmaceutiche, per milioni di dosi di vaccino, dei “contratti dormienti”, ossia che sarebbero entrati in vigore non appena fosse stato dichiarato lo stato di pandemia.


Tuttavia, lo capisce chiunque: per dichiarare lo stato di pandemia ci vogliono molti, moltissimi morti e per giunta in tutto il mondo. Ciò era espressamente ribadito nella definizione originaria del termine “pandemia” formulata dall’OMS17. Poiché, dunque, fortunatamente i morti non c’erano, nella prima settimana di maggio 2009 l’OMS provvide a modificare la definizione di pandemia, e i contratti per i vaccini da dormienti divennero attivi. Credo sia stato il primo caso nella storia in cui la definizione di una singola parola abbia potuto tanto su un giro di affari così enorme.


La nuova, originalissima, definizione di pandemia varata dall’OMS suonava così: “Una epidemia di una malattia si verifica quando ci sono più casi rispetto al normale di questa malattia. Una pandemia è un’epidemia mondiale di una malattia. Una pandemia influenzale si può verificare quando appare un nuovo virus influenzale contro il quale la popolazione umana non ha alcuna immunità”. Scomparso ogni riferimento all’“enorme numero di morti” del testo originario, risultava praticamente impossibile distinguere una pandemia influenzale da un’epidemia di influenza stagionale. Ecco perché i contratti tra ditte farmaceutiche e i governi di tutto il mondo divennero automaticamente attivi. In Italia, ricorrendo al testo di un’ordinanza del Presidente del Consiglio del 2003, la n. 3275, il contratto di acquisto dei vaccini, che dovrebbe essere pubblico, ebbe l’obbligo di restare segreto, come prevede la procedura di emergenza, legata ancora una volta all’esistenza di una pandemia. Non solo, ma il Ministero dovette accollarsi tutti i rischi, e le eventuali perdite economiche, derivanti da danni causati dal vaccino, con la sola eccezione di quelli legati a difetti di fabbricazione. Data la procedura d’urgenza, inoltre, ci si poté astenere da qualsiasi valutazione tecnica sulla congruità dei prezzi. Insomma, per la Novartis, la società farmaceutica fornitrice, un vero terno al lotto; per il Ministero invece, peggio che un buco nell’acqua: direi piuttosto, alla luce degli eventi successivi, un tuffo dentro una piscina senza aver prima verificato che vi sia l’acqua.


L’Italia acquistò infatti ben 24 milioni di dosi di vaccino, regalando alla suddetta casa farmaceutica 184 milioni di euro, prelevati dalle tasche dei contribuenti italiani, anche se questi ultimi ebbero la “fortuna” che solo a 850.000 persone venne di fatto somministrato il vaccino. Gli inglesi furono più sfortunati: non solo il loro Ministero sperperò milioni, come il nostro, nell’acquisto dei vaccini, ma questi furono inoculati a milioni di persone. Nel 2010 l’Inghilterra aveva sulle braccia il corrispettivo, inutilizzato, di 1 miliardo di sterline in vaccini18.

Del resto, nessun Ministero della Sanità volle restare indietro nella corsa all’acquisto, per timore di dover pagare un conto politicamente salato se un giorno fosse stato accusato di avere lasciato il proprio Paese indifeso di fronte al contagio.


In questo panorama di follia generalizzata, l’unica eccezione fu il governo polacco, il cui Ministro della Salute, la signora Ewa Kopacz, non a caso un medico con 20 anni di pratica professionale alle spalle, asserì lapidariamente di fronte al Parlamento del proprio Paese: “I polacchi sanno distinguere la verità dalle balle con molta precisione. Sono anche in grado di distinguere una situazione oggettiva da una truffa”. Andò oltre, e senza complimenti spiattellò che “il contratto segreto che il Governo polacco avrebbe dovuto firmare con le aziende farmaceutiche aveva oltre 20 clausole che sovvertivano la legge19.


Nonostante luminose eccezioni come questa, in genere i politici, come chiunque altro che non svolga la professione medica (e a volte capita anche a chi la svolge), poco ci capiscono di malattie. È a questo che servono organi come l’OMS e tutti gli altri organismi che hanno la funzione di tutelare la nostra salute: a guidare e consigliare correttamente gli inesperti, non a frodarli. Ma questa volta non andò così, e da quanto avvenne, e da quanto in seguito si scoprì, speriamo si possano trarre preziosi insegnamenti per il futuro.


Ricordo, in quei giorni, di avere provato un senso di sgomento, non per il supposto pericolo influenzale, ma perché mi chiedevo chi e come avrebbe potuto fermare quella gigantesca macchina di frode, dato che i primi che si erano prestati a organizzarla erano proprio gli organismi preposti a tutelare la verità in materia di salute pubblica. Non avevo previsto che la macchina si sarebbe inceppata per opera dei suoi stessi creatori.


Ad un certo punto, infatti, il partito dei supervaccinatori contro l’influenza suina mise un piede in fallo: pretese che la classe medica, da vaccinatrice contro la suina, diventasse vaccinata. Di fronte a un’opinione pubblica allibita, i medici, fossero italiani, francesi o tedeschi, si ribellarono in massa. Sembravano scolaretti che non vogliono fare la puntura. E nella foga di spiegare il proprio rifiuto, cominciarono incredibilmente a parlare chiaro.


Nel sobrio e pacato Veneto, Domenico Crisarà, segretario padovano della Federazione Medici di Medicina Generale (FIMMG), spiegò la rivolta dei medici della sua regione dichiarando alla stampa che del vaccino contro la suina “non era chiaro il rapporto rischi-benefici”. Ribadiva poi che non c’era motivo di utilizzare un vaccino “non ancora completamente testato e che avrebbe dovuto proteggere da una patologia dieci volte meno virulenta dell’influenza stagionale”. Aggiungeva, infine, che il campo era aperto ad ogni ipotesi, “anche quella di un siero prodotto per speculazione economica20. Nel Veneto, il 60% degli ospedalieri e dei medici di famiglia rifiutarono in blocco di farsi vaccinare21.


L’ANSA del 9 settembre 2009 riportava che almeno un terzo dei medici francesi assumeva le stesse posizioni. Se qualcuno pensasse alle solite intemperanze dei popoli latini, negli stessi giorni, mentre la Germania si preparava a una campagna vaccinale che avrebbe dovuto coinvolgere 50 milioni di persone, Michael Kochen, presidente della Società Tedesca di Medicina Generale, sconsigliava il vaccino “perché il rischio di danni supera i benefici”, mentre il quotidiano economico “Handelsblatt” faceva un po’ di conti e concludeva che la presunta pandemia era “una benedizione di miliardi” per l’industria farmaceutica. Per la precisione avrebbe prodotto un fatturato aggiuntivo, sul piano mondiale, superiore agli 8 miliardi di dollari22.


Non si può che apprezzare la saggezza degli antichi: i Faraoni egizi, quando volevano accertarsi che un rimedio fosse benefico, o almeno innocuo, lo facevano assumere al medico che glielo aveva prescritto. È un metodo di verifica che può dimostrarsi, in particolari circostanze quali una presunta pandemia, ancora efficace.

Gli interpreti

Come ho già detto, in questa vergognosa rappresentazione teatrale che fu la pandemia di influenza suina, ogni interprete giocò un ruolo diverso da quello che per funzione istituzionale o sociale avrebbe dovuto avere.


Margaret Chan, eletta Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2006, ha al suo attivo una formazione quasi esclusivamente economica, e non medica, essendosi specializzata solo all’età di 38 anni nel campo dei metodi di gestione della salute pubblica. In materia di malattie virali ha tutto tranne che una preparazione specifica. Nella formulazione delle linee guida per fronteggiare un possibile pericolo di pandemia si affidò pertanto al comitato di esperti insediatosi all’OMS già nel 2004, in occasione della presunta emergenza dell’aviaria. Il comitato era il medesimo di fronte al quale il dottor Ron Fouchier aveva annunciato di aver prodotto, con sole cinque modificazioni genetiche dell’H5N1, un virus letale, salvo attenuare le proprie affermazioni nell’intervista al New York Times, come ho sopra riportato. Compito del Direttore Generale dell’OMS sarebbe stato quello di vagliare le nomine del suddetto comitato, e garantire che non vi sedessero persone con chiari conflitti di interesse rispetto al compito per cui erano state nominate, cioè quello di consigliare la politica sanitaria più soddisfacente per la salute pubblica, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione di carattere economico o politico.


I suddetti esperti, invece, erano tutt’altro che disinteressati: tra loro vi erano Frederick Hayden, Arnold Monto, Karl Nicholson, che avevano ricevuto finanziamenti e incarichi sia dalla Roche, produttrice di Tamiflu, sia dalla GlaxoSmithKline, produttrice di Relenza e di milioni di vaccini pandemici.


Sull’efficacia di questi farmaci parlerò nel paragrafo successivo, ora concentriamoci sulla parte assegnatagli da copione, ossia quella di rimedio di comprovata efficacia contro la suina. Ancora oggi, dopo lo scandalo che ne è seguito, su internet rimangono paginate intere di falsa informazione medica sulla bontà del farmaco. Eccone una: sul sito “La rubrica della chimica”, si legge23: “Tamiflu® – efficace contro il virus dell’influenza suina”, e come sottotitolo “L’influenza suina minaccia il mondo, ma il farmaco Tamiflu® agisce contro il virus. La sua produzione in grande scala è resa possibile dalla combinazione di tecniche genetiche e sintesi chimica”.


Il nostro Ministero, per l’acquisto di antivirali, aveva messo in programma una spesa pari all’incirca a 125 milioni di euro tra il 2004 e il 2009. Di questi, almeno la metà furono spesi. I contribuenti pagarono; la Roche, invece, incassò, con profitti che, globalmente presi, diventarono astronomici.


Naturalmente, anche prima della ribellione dei medici, c’era chi non aveva bevuto la storia della suina e degli antivirali, e lo diceva a lettere chiarissime, e per giunta su un quotidiano nazionale come il “Corriere della Sera”. L’unico problema è che a chi apparteneva alla ridottissima categoria dei giornalisti veri, quelli che ragionano e scrivono con la propria testa, un articolo da scoop veniva in quei giorni pubblicato in diciannovesima pagina. È il caso dell’ottimo pezzo che nel Corriere del 30 aprile 2009 denunciava sul Tamiflu: “Nelle farmacie a ruba il medicinale che la ricerca stroncò come inefficace24. Si tratta di un dettagliato resoconto di come due industrie farmaceutiche, la Roche e la GlaxoSmithKline, avessero messo a segno un colpo da maestri: rifilare al mondo degli antivirali (Tamiflu e Relenza) con caratteristiche sbagliate, in quanto poco efficaci, tanto che le due compagnie produttrici avevano cercato di sbarazzarsene, fino a quando, grazie alla collaborazione dell’OMS, non avevano trovato il modo di farne due vere galline dalle uova d’oro. Una storia che ricorda La stangata, trasferita però nell’ambito sanitario-farmaceutico. Ma, ripeto, il resoconto finì a pagina 19, e così tutti dormirono tranquilli.


In seguito il “Daily Mail” rivelerà che Sir Roy Anderson, uno scienziato che fu consulente per la politica sanitaria del governo inglese, aveva un incarico da 116.000 sterline l’anno presso la GlaxoSmithKline25.


Il mondo cominciò a prendere coscienza di essere stato vittima di uno spettacolo di illusionismo. L’ultimo commento sulla vicenda lo pronunciò nel 2010 Wolfgang Wodarg, Presidente della Commissione Sanità del Consiglio d’Europa:


Per poter promuovere i farmaci e i vaccini antinfluenzali, entrambi brevettati, le compagnie farmaceutiche hanno plagiato scienziati e agenzie ufficiali, responsabili degli standard della sanità pubblica, di modo che allarmassero i governi di tutto il mondo.


Hanno fatto in modo che venissero sperperate preziose risorse sanitarie per strategie di vaccinazione inefficienti e hanno inutilmente esposto milioni di persone in buona salute al rischio degli effetti collaterali sconosciuti di vaccini non sufficientemente testati.26


In quei giorni tirai un sospiro di sollievo: la commedia era definitivamente chiusa. Soltanto allora, mentre rincasavo dall’ambulatorio la sera e ripensavo ai bollettini medici della giornata, mi riusciva finalmente di sorridere degli aspetti comici di quell’immenso e triste psicodramma.

Tom Jefferson e la guerra di indipendenza (dalla paura, dai vaccini e dai farmaci inutili)

Se un giorno dovessimo scoprire che frutta e verdura non contribuiscono affatto a prevenire i tumori, nessuno si rammaricherebbe di averne mangiati più di quanto non avrebbe fatto, perché sono alimenti assolutamente innocui.


I vaccini e gli antivirali non sono altrettanto innocui, e dunque la pretesa di vaccinare in modo diffuso e indifferenziato tutte le fasce di popolazione, come l’allarme pandemia voleva indurre a fare, o l’uso altrettanto indiscriminato di antivirali, risultano un vero e proprio attentato alla salute pubblica.


Di conseguenza l’immensa beffa organizzata dalla complessa interazione tra multinazionali farmaceutiche, organi di informazione, organismi internazionali e mondo della politica, non può essere liquidata semplicemente come qualcosa che, al massimo, ha determinato una vaccinazione in più nella vita delle persone. Considerato che un vaccino può presentare effetti collaterali e reazioni avverse anche gravi, nel breve come nel lungo periodo, come spiegherò nella Parte II di questo libro, la domanda che ci si deve porre è se almeno praticare una vaccinazione antinfluenzale sia servito a qualcosa, per esempio a far evitare l’influenza al soggetto vaccinato. O se il Tamiflu e altri farmaci antinfluenzali, di cui gli Stati possiedono ormai scorte che non riescono a smaltire, possano davvero avere una qualche efficacia contro le complicanze dell’influenza.


I nomi, alle volte, segnano un destino. L’uomo cui spettò il compito di smascherare la truffa della Roche e della GlaxoSmithKline riguardo all’efficacia dei farmaci antinfluenzali porta il nome del principale estensore della Dichiarazione di Indipendenza americana. Il nostro Tom Jefferson, quello attuale, è membro della Cochrane Collaboration, un’iniziativa internazionale no-profit nata con lo scopo di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni concernenti l’efficacia e la sicurezza degli interventi in materia sanitaria.


Nel 2006, al tempo dell’aviaria, la Roche comunicò che il Tamiflu era efficace contro le complicanze dell’influenza: lo dimostravano gli studi del professor Kaiser, docente di virologia all’Università di Ginevra.


In un primo momento Tom Jefferson non dissentì da tali conclusioni. Ma nell’estate 2009, un pediatra giapponese, il dott. Kiji Hayashi, si accorse che dei dieci studi effettuati da Kaiser, solo due erano stati approvati per la pubblicazione. Inoltre, gli autori di questi studi, a parte Kaiser, erano tutti dipendenti della Roche. Jefferson ammise subito e senza reticenze il proprio errore e scrisse agli autori degli studi sul Tamiflu di fargli pervenire i dati originali completi, inclusi cioè quelli non pubblicati. Le risposte che gli pervennero furono imbarazzate e imbarazzanti: gli autori della ricerca non possedevano i dati, perché questi erano stati forniti loro dalla Roche, e non esisteva alcuno studio indipendente da cui poterli trarre. Era, in buona sostanza, un gatto che si mordeva la coda: gli articoli incriminati si limitavano a sostenere che, in base ai dati prodotti dalla Roche sulla bontà del farmaco della Roche, la Roche aveva prodotto un buon farmaco…!


Il ricercatore della Cochrane, pertanto, rivolse la domanda alla Roche stessa: era disposta a fornirgli i dati sull’efficacia del Tamiflu? La risposta fu: sì, lo era, ma a condizione che Jefferson firmasse un contratto di confidenzialità e segretezza, impegnandosi cioè a non rendere pubblico quanto avrebbe letto, e nemmeno a comunicare che un tale accordo tra lui e la Roche fosse mai esistito. Jefferson rinunciò ad ottenere i dati, ma rese pubbliche le condizioni cui avrebbe dovuto sottostare per averli.


Fu, chiaramente, la fine della gloriosa, e prefabbricata, carriera di un farmaco mediocre.


A Tom Jefferson tuttavia dobbiamo anche qualcosa di più che aver forato il pallone aerostatico del Tamiflu mentre volava alto nei cieli della pseudoinformazione scientifica. Gli dobbiamo la possibilità di fornire qualche risposta un po’ più chiara quando i genitori ci chiedono: “Ma, al di là dei rischi e degli effetti collaterali che comportano27, i vaccini antinfluenzali sono efficaci?”

L’importanza delle parole

Nicola ha la febbre” dice mia figlia “e vuole essere visitato dal nonno, puoi venire quando hai finito l’ambulatorio?”. Sono passate da poco le 20, ho appena chiuso la porta dello studio dove ho visitato una decina di bambini. Siamo in inverno, e tosse, raffreddore e febbre sono compagni di queste giornate fredde e con poco sole. Anche Nicola ha gli stessi sintomi. Lo visito e gioco un po’ con lui, poi mi sento esclamare: “Niente d’importante, è solo influenza!”. Mi rendo conto quasi subito di esserci cascato anch’io. Avrei dovuto dire che si tratta di una sindrome influenzale, e invece ho diagnosticato l’influenza.


Le parole, lo si è visto con la definizione di pandemia, sono importanti: un’influenza non è una sindrome influenzale. La prima è attribuibile a uno specifico virus, la seconda a una miriade di microrganismi, o a virus particolari, non gravi, ma che non sono quelli propri dell’influenza stagionale. Usare il termine “influenza” in tutti i casi di sindrome influenzale significa commettere una grossa inesattezza scientifica. È un errore non da poco, non casuale, non disinteressato, con importanti conseguenze pratiche: fa apparire l’influenza come l’unica causa delle sindromi influenzali. La conseguenza più evidente è la sovrastima sistematica del peso e dell’impatto dell’influenza. Tutte le statistiche ufficiali nazionali e internazionali, descrivono l’andamento “dell’influenza”, usando i dati delle sindromi influenzali, causate da tanti agenti diversi. Questo impedisce di conoscere la vera natura del fenomeno, come se tutto il resto (che è la maggior parte, l’85-90% delle altre cause) non interessasse.


È merito del lavoro di Tom Jefferson se oggi ne sappiamo qualcosa di più. La Cochrane Collaboration ha analizzato i dati di 274 studi sul vaccino antinfluenzale pubblicati negli ultimi 10 anni, che corrispondono a circa 4 milioni di osservazioni. In un campione di diecimila persone, in media 700 si ammalano ogni anno di sindrome influenzale. Di questi 700, solo 77 sono affetti da influenza, all’incirca 1 caso su 10. Anche altri studi stimano che solo il 10% delle malattie respiratorie invernali che colpiscono i bambini siano provocate dall’influenza28 e che sulle infezioni respiratorie che si verificano nel primo anno di vita il Rhinovirus sia il responsabile di gran lunga più rappresentato nelle infezioni delle alte e delle basse vie respiratorie, anche se il Virus Respiratorio Sinciziale è associato alle forme più gravi di infezioni delle vie aeree inferiori che richiedono ospedalizzazione29. Così dicasi nei casi di ricovero in ospedale, nei quali un ruolo preponderante è svolto da virus diversi da quello influenzale (respiratorio, sinciziale e parainfluenzale)30.


Insomma, l’influenza è una causa minoritaria di tutte le sindromi influenzali, e i vaccini non potranno avere altro che un impatto modesto o addirittura nullo, specialmente sulle complicanze, peraltro rare. Per citare le parole dello stesso Jefferson: “È evidente che un intervento di massa come la vaccinazione per colpire un agente relativamente raro come il virus influenzale, ha scarso senso31.

I vaccini antinfluenzali sono efficaci?32

I vaccini sono nuovi ogni anno: la ricetta resta la stessa, gli ingredienti cambiano. Scegliere gli antigeni (ossia i componenti del vaccino che devono stimolare una risposta immunitaria nel nostro organismo) è una procedura delicata perché le risposte delle nostre difese immunitarie sono molto specifiche. L’intera procedura è basata sulla previsione, quindi non possiamo verificare se davvero il vaccino previene i sintomi prima di registrarlo. Dobbiamo affidarci a simulazioni, da cui ricavare dei dati, detti “esiti surrogati”. Questi non misurano gli effetti reali del vaccino (detti “esiti di campo”) quali la diminuzione o la prevenzione dei sintomi, l’interruzione della trasmissione virale, la diminuzione delle complicanze e della mortalità. Essi rilevano soltanto le risposte anticorpali indotte dal vaccino in una serie di volontari, confrontate con quelle indotte in volontari cui è stato iniettato un placebo, ossia una sostanza priva di efficacia. Per essere certi che le caratteristiche dei due gruppi siano uguali, si assegnano i volontari all’uno e all’altro gruppo su base casuale (randomizzazione). Il trial randomizzato è considerato il metodo più affidabile per valutare l’efficacia di qualsiasi farmaco anche se di rado, a motivo della scarsa durata e delle piccole dimensioni, può rilevare effetti indesiderati rari, o quelli a lungo termine.


Nel caso dei vaccini antinfluenzali la debolezza del test sta nel fatto che risulta discutibile la relazione fra esito di campo ed esito surrogato. In pratica, nelle maggior parte degli studi l’efficacia del vaccino è determinata dalla sua capacità di produrre anticorpi nei soggetti immunizzati, non dal confronto della frequenza della malattia tra i vaccinati e i non vaccinati.


A questa situazione è stato però apportato un rimedio utile da parte della Cochrane Collaboration, sopra citata: effettuare una revisione di tutti gli studi eseguiti su vaccini che hanno usato tecnologie simili. Il loro esame dovrebbe darci un’idea della performance passata e futura. La revisione di tutti gli studi (274) condotti su tutte le età e i gruppi di popolazione che riportassero esiti di campo, e confrontassero la performance dei vaccini o con placebo o con nessun intervento, ha portato a queste conclusioni:


- nei bambini sotto i due anni i vaccini sono inefficaci;


- nei bambini più grandi e negli adolescenti i vaccini hanno una certa efficienza nel ridurre i sintomi dell’influenza;


- negli adulti sani abbreviano il ritorno al lavoro di mezza giornata in media;


- negli anziani ultra 65enni l’efficienza è risultata incerta, quando non addirittura assente.

Sono state descritte con chiarezza, inoltre, le tante inadeguatezze metodologiche degli studi fin qui eseguiti. Poco si sa della durata della protezione indotta nei bambini: è doveroso chiedersi quale potrebbe essere l’esito di un’immunizzazione di massa contro l’influenza fin dalla più tenera età. Sarebbe rischioso lasciarli sguarniti contro virus tanto mutevoli per i quali è invece necessario costruire nel tempo un ampio inventario di difese immunitarie.


Molto è stato scritto sull’importanza della vaccinazione dei bambini sani per ottenere un contenimento della morbilità dei contatti scolastici e familiari, per diminuire i costi sociali ed economici della malattia. Ma anche questa argomentazione è contestata, l’efficacia non è provata, ammesso che sia morale tentare di impedire a un bambino di ammalarsi una settimana per consentire ai familiari di non perdere qualche ora lavorativa. Anche l’azione protettiva del vaccino sulle otiti medie acute, argomento più volte portato a sostegno della vaccinazione, risulta quanto meno controversa. Le conclusioni negative sono riportate da uno studio clinico in doppio cieco, con placebo ai controlli, eseguito su bambini minori di 2 anni. Le cose si complicano negli anziani, nonostante la mole di studi eseguiti (70 che riportano osservazioni su 100 stagioni influenzali in continenti diversi lungo 50 anni). La ricerca dice, in sostanza, che sugli anziani l’efficienza del vaccino antinfluenzale è modesta: addirittura negli anziani che vivono nelle loro case (e quindi non sono molto malati o disabili) il classico vaccino trivalente non protegge dall’influenza e dalle semplici affezioni broncorespiratorie, e riesce ad abbassare non più del 30% i ricoveri per polmonite. Sugli anziani che vivono nelle case di riposo, invece, la copertura vaccinale parrebbe capace di ridurre le morti per influenza e polmoniti, ma solo fino al 42%. Dati ben al di sotto di quelli presi a riferimento dalle politiche vaccinali degli Stati, come quello italiano che parla di un’efficacia del vaccino fino al 90% nel contrastare l’influenza e del 70-90 nel ridurre le complicazioni e le morti. Il tasso di mortalità tra gli anziani nella stagione invernale non è cambiato dal 1989, quando solo il 15% degli statunitensi e canadesi over 65 anni veniva vaccinato, ai giorni d’oggi che vede in questa fetta di popolazione una copertura superiore al 65%.


La revisione Cochrane fa notare l’insufficiente valutazione degli effetti collaterali negli studi condotti: su 135, solo 17 studi li prendono in considerazione, con lacune ancora più gravi per la sicurezza dei bambini, specie più piccoli. La vaccinazione di massa potrebbe evidenziare reazioni ancora non conosciute, dal momento che i bambini sottoposti al farmaco sarebbero molto, molto più numerosi dei pochi arruolati negli studi clinici eseguiti. Anche il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie solleva il problema dei pochi dati esistenti riguardo ai possibili effetti avversi a lungo termine, collegati alla ripetizione annuale della vaccinazione.


Da studi effettuati su più di 21 milioni di persone, emerge come, per ogni milione di vaccinati, si verifichino da 1,6 a 10 casi in più di sindrome di Guillain-Barré.


La scienza è fatta di ipotesi che poi vengono accantonate sulla base di incertezze che poi partoriscono nuove ipotesi che a loro volta vengono alla fine anch’esse accantonate. Non ci credete? Ci vediamo tutti stasera per un bel po’ di salassi con sanguisughe di prima qualità. Inoltre, camminando per la strada, state attenti alla sporcizia e ai miasmi da essa sprigionantisi. Sono la causa della malaria, del colera e di quella strana condizione chiamata influenza. Anche se un mio amico sostiene che questa sia causata dalla congiunzione degli astri.33

Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - Seconda edizione
Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - Seconda edizione
Eugenio Serravalle
Immunizzarsi dalla paura, scegliere in libertà.A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, l’autore cerca di fare chiarezza su tale questione, analizzando i dati con chiarezza e linearità. I vaccini sono tutti uguali?Qual è la durata?Quale l’efficienza?Cosa si intende per immunità di gregge?È la stessa per tutte le malattie?A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, il dottor Eugenio Serravalle cerca di fare chiarezza, accompagnando il lettore nel labirinto di dati e termini tecnici con linearità.Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore è una lettura indispensabile per imparare ad applicare il senso critico ad argomenti sui quali ci troviamo spesso indifesi, come l’informazione medico-sanitaria diffusa da stampa e televisione. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.