CAPITOLO VIII

I pericoli dell'obbedienza:
vaccini e forza armate

I pericoli dell’obbedienza

Nella stragrande maggioranza dei sistemi sociali, l’obbedienza è la virtù suprema, la disobbedienza il supremo peccato. Non intendo con questo riferirmi alla disobbedienza del “ribelle senza causa”, il quale disobbedisce perché non ha nulla per cui impegnarsi, se non il fatto di dire “no”. È questo un tipo di disobbedienza che è altrettanto cieca e impotente del suo contrario, l’obbedienza conformistica che è incapace di dire “no”. Intendo riferirmi invece all’uomo che è in grado di dire “no” perché è capace di affermazioni, che è in grado di disobbedire perché sa obbedire alla propria coscienza e ai principi che ha abbracciato. La disobbedienza, nell’accezione in cui qui si usa il termine, è un atto di affermazione della ragione e della volontà. Non è tanto un atteggiamento contro qualcosa, quanto un atteggiamento per qualcosa: per la capacità umana di vedere, di dire ciò che si vede, di rifiutare ciò che non si vede. Per farlo non occorre che l’uomo sia né aggressivo né ribelle: basta che tenga gli occhi aperti, che sia ben desto e desideroso di assumersi la responsabilità di aprire gli occhi a coloro i quali corrono il rischio di perire per il fatto di essere immersi nel dormiveglia.1


Fino ad alcuni anni fa avevo avuto esperienza dei problemi burocratici e giudiziari in cui erano incorsi quei genitori che avevano rifiutato di far vaccinare i figli. Non mi ero mai posto il problema di cosa sarebbe potuto accadere se ad opporre un rifiuto fosse stato un militare, che è tenuto all’obbedienza di fronte a un ordine che gli venga impartito da un’autorità superiore, inclusa quella sanitaria.


Tale obbedienza può spingersi ad accettare, su di sé, interventi sanitari dei quali si cominci a sospettare non l’inefficacia, ma la dannosità; nei quali una commissione parlamentare individui l’origine non della diffusione di allergie, ma di un’abnorme insorgenza di tumori tra militari molto giovani?

Luigi vai in prigione, e che ti serva da lezione

Quando, qualche anno fa, il mio aereo decollò per Cagliari con un ritardo di circa dieci ore, ero ben lontano dal pensare che quel viaggio potesse restarmi impresso per motivi del tutto diversi dal disagio sopportato. Arrivai nel cuore della notte, comprensibilmente non di ottimo umore. Più tardi, alla fine della mia conferenza, un signore dall’aspetto atletico mi avvicinò per chiedermi cosa sapessi dirgli degli effetti delle vaccinazioni sui militari. Lì per lì classificai la domanda tra i disguidi di quel viaggio: ero venuto a parlare delle vaccinazioni pediatriche, non dei problemi dell’esercito. Cercai con fatica nella memoria quel poco che avevo letto sull’argomento, e stetti ad ascoltarlo mentre in parte integrava quanto già sapevo, in parte mi aggiornava su recenti vicende, che aprivano un ordine di problemi nuovo e di estremo interesse.


Non ci misi molto a capire che avevo davanti uno di quei camminatori solitari che con caparbia resistenza, e indifferenti ai danni che devono subire per la loro ostinazione, aprono nuove strade nella difesa dei diritti civili. Quell’uomo era Luigi Sanna, maresciallo dell’Aereonautica militare che era stato messo sotto processo per non avere spinto la propria obbedienza fino al punto di accettare dei trattamenti medici potenzialmente letali per la vita propria e dei propri colleghi.


Questo particolare calvario di molti militari italiani ebbe inizio al tempo della prima guerra del Golfo, con l’intervento armato degli USA e l’appoggio di una coalizione internazionale, tra cui l’Italia, e successivamente durante la guerra nei Balcani, in Bosnia e Kosovo. Nei primi anni del 2000 l’Italia partecipò a quasi tutte le missioni militari in quest’area sotto la guida di vari organismi internazionali: dalla NATO all’ONU, all’Unione Europea. Di lì a poco cominciò ad evidenziarsi un fenomeno che prese il nome di “sindrome dei Balcani”: numerosi militari di ritorno dalla zona di missione avevano sviluppato in breve tempo forme di tumore, con un’elevata frequenza del linfoma di Hodgkin.


Venne istituita una commissione parlamentare e aperta un’inchiesta. Dapprima si sospettò che la causa fosse l’uranio impoverito, un materiale di scarto della produzione nucleare utilizzato nella costruzione di proiettili e ordigni che, quando esplodono, contaminano l’ambiente di polveri fortemente nocive alla salute, in parte perché radioattive, in parte perché consistenti di metalli pesanti che vengono così inalati o ingeriti. Si andò avanti circa dieci anni a discutere se l’uranio impoverito potesse aver causato la malattia e la morte dei militari italiani colpiti da tumore. Si tentò di spiegare la diversa incidenza di tumori tra le nostre truppe, rispetto ai contingenti militari di altri Paesi, facendo osservare che questi ultimi affrontavano le missioni meglio equipaggiati, e che lo Stato Maggiore americano, ad esempio, aveva già negli anni Settanta e Ottanta diramato direttive per ridurre gli effetti tossici dell’uranio impoverito sulla salute dei militari. Tra accuse e smentite, rivendicazioni dei familiari dei ragazzi morti e dinieghi tassativi del Ministero della Difesa, passarono circa dieci anni. Intanto i nostri militari continuavano ad ammalarsi e a morire.


Qualcosa, tuttavia, cominciò a non tornare nei numeri.


Nel 2007 il Ministro della Difesa, Arturo Parisi, riferì alla commissione parlamentare di inchiesta: “I militari che hanno contratto malattie tumorali, che risultano essere stati impiegati all’estero nel periodo 1996-2006 sono 255. Quelli che si sono ammalati pur non avendo partecipato a missioni internazionali sono 1.427”. Nel 2012 il Colonnello Biselli, dell’Osservatorio epidemiologico della Difesa, diede cifre raddoppiate: 698 malati erano stati inviati all’estero e 3.063 avevano lavorato in Italia, 479 erano deceduti.


In altre parole, ci si avvide che non era affatto necessario partecipare a una missione all’estero per rientrare nel numero abnorme di militari italiani che sviluppavano forme di tumore. Anzi, proprio all’inizio del 2013, la commissione parlamentare di inchiesta giunse definitivamente alla conclusione che l’incidenza di tumori tra i militari che non erano partiti per missioni all’estero era addirittura più alta.


Oltre un anno fa cominciò così a farsi strada una seconda ipotesi: l’insorgenza anomala di patologie tumorali sarebbe dovuta alle modalità con cui vengono praticate le vaccinazioni sui militari. Le procedure, sulla carta, sarebbero corrette, ma di fatto non rispettate: un numero troppo elevato di dosi verrebbero infatti praticate a intervalli di tempo eccessivamente ravvicinati, mandando in tilt il sistema immunitario dei soggetti sottoposti a interventi vaccinali così massicci.


Una prima inchiesta condotta da “Repubblica” su tale nesso causale portò a clamorose proteste e accuse di avere prestato orecchio esclusivamente alle tesi dei “fanatici dell’anti-vaccino”. Così venne interpellato dallo stesso quotidiano il professor Antonio Giordano, presidente dello Sbarro Institute, sul cui livello scientifico e sulla cui imparzialità nessuno poteva sollevare obiezioni. Alla precisa domanda: “Se venisse da lei un militare italiano che le chiedesse un consiglio sul fatto di doversi sottoporre a una decina di vaccinazioni in un mese, cosa gli risponderebbe?”, il professor Giordano rispose: “Gli spiegherei che tanto vale suicidarsi2.


Il professor Franco Nobile, oncologo e docente di Semeiotica a Siena, ha studiato per anni le patologie che hanno colpito i soldati italiani, indagando inizialmente la pista dell’uranio impoverito, e ponendo ora attenzione a quella dei vaccini, riguardo ai quali ha affermato: “Ho trovato gruppi di militari che ogni volta che partivano per una missione venivano di nuovo vaccinati. […] I vaccini non sono nocivi in sé, anzi sono una conquista importante per la nostra società. Fanno molto male se usati in modo inadeguato, se fatti tutti insieme, se contengono conservanti tossici come mercurio e alluminio, se fatti su persone che non sono controllate. A quel punto è dimostrato che le difese si abbassano e si aprono le porte a malattie gravissime come cancro, leucemie, ma ancora più frequentemente malattie autoimmuni, tiroiditi, artriti, coliti3.

La Commissione parlamentare di inchiesta del Senato della Repubblica, XVI Legislatura Doc. XXII-bis n. 8, dichiara: “È infine importante notare come, al termine dell’indagine, si segnali l’opportunità di procedere con ulteriori studi mirati ad approfondire il ruolo di alcune variabili, emerse nel corso dello studio, quali stile di vita, carico vaccinale e condizioni di impiego operativo, nell’induzione di eventi biologici precoci”. Nelle conclusioni del Progetto SIGNUM (Studio sull’impatto genotossico nelle unità militari) si legge: “È stata osservata una correlazione tra aumento di alterazioni ossidative e numero di vaccinazioni (da 0 a 8) effettuate a partire dal 2003. Tale correlazione è risultata statisticamente significativa… Tra le vaccinazioni praticate il vaccino trivalente vivo attenuato MPR ha aumentato il differenziale di alterazioni ossidative… (pag 116-117)… Le variabili che hanno maggiormente influito su tale incremento [di alterazioni ossidative linfocitarie] sono l’attività operativa e l’immunoprofilassi vaccinale (pag 117). Per quanto riguarda il numero di vaccinazioni l’incremento di alterazioni ossidative è risultato correlato sia alla quantità che alla qualità delle vaccinazioni: in particolare un numero di vaccinazioni totali uguali o superiore a 5 aumenta il livello di alterazioni ossidative. Tale effetto è soprattutto correlato all’utilizzo di vaccini vivi attenuati. Questa azione è verosimilmente riconducibile all’induzione dell’attività immunostimolante esercitata sulle popolazioni linfocitarie dalle vaccinazioni, soprattutto vive attenuate. …(pag 118)… Per quanto riguarda le vaccinazioni, valori medi più elevati sia in termini di frequenza a T0 e T1 che di differenze sono evidenti per i soggetti che erano stati sottoposti a 5 vaccinazioni…(pag 154).


Il progetto SIGNUM, commissionato nel 2004 dalla Difesa a ricercatori facenti capo a prestigiose università (Pisa, Roma, Genova), solleva quindi degli interrogativi importanti sugli effetti del carico vaccinale, soprattutto se associato ad attività operative caratterizzate da un elevato livello di stress.


La somministrazione dei vaccini ai militari è avvenuta contro ogni regola della biologia, della immunologia e della medicina, capace di provocare uno shock al sistema immunitario con conseguenze ancora da indagare fino in fondo; tanto è vero che, ad oggi, non esistono prove definitive sul rapporto vaccini/tumori, nemmeno per i militari. Le polveri generate dall’uso di armamenti ad alta temperatura, l’uranio impoverito, il tungsteno (e non solo), prodotte da proiettili e bombe hanno un ruolo importantissimo. Alla stessa maniera oggi non abbiamo ancora certezze tra il rapporto vaccini/autismo o vaccini/diabete, nonostante i molti dati che ne evidenziano la possibilità. Le riviste mediche – mantenute in buona parte proprio dalle industrie farmaceutiche e, per questo, immerse in un colossale conflitto d’interessi – sono zeppe di articoli che negano queste possibilità. Ma è nell’evidenza dei fatti che sottoporre un individuo a un numero elevato di vaccinazioni senza controllarne il grado di tolleranza, o se già immune, se esistano allergie a qualcuno dei componenti, molti dei quali non dichiarati e sconosciuti, sia un vero e proprio bombardamento che può provocare danni importanti al sistema immunitario. Per finire, i vaccini per i militari sono prodotti in confezioni multi-dose. Ogni soldato riceve la quantità che viene aspirata di volta in volta con una siringa dalla confezione. Quest’ultima, a ogni nuova iniezione, dovrebbe essere agitata così da miscelare in modo uniforme i vari componenti del vaccino, metalli tossici inclusi. Fretta, noncuranza, cieca mancanza di senso critico verso un prodotto che, essendo un vaccino, deve per forza essere innocuo, attitudine a considerare gli individui semplici numeri, e non singoli uomini, hanno fatto sì che, in mancanza di questo semplice accorgimento, i ragazzi che si prendevano le ultime dosi della boccetta abbiano molto spesso ricevuto un sovraccarico di mercurio e alluminio.


Sullo sfondo, dunque, di quanto si stava muovendo attorno a lui e attorno ai soldati delle nostre Forze Armate, il maresciallo dell’Aeronautica Luigi Sanna, alla richiesta di sottoporsi a un ciclo di vaccinazioni, ritenne proprio diritto domandare che gli si dimostrasse la necessità di seguire esattamente il calendario vaccinale assegnatogli. Non ricusò di farsi vaccinare, chiese semplicemente che le vaccinazioni venissero distanziate, o che altrimenti gli venisse spiegato se fosse totalmente innocuo effettuarle con tale frequenza.


Ricoprendo un certo grado militare, e avendo per giunta una moglie avvocato, era ben consapevole di mettersi in una situazione spinosa. Tuttavia, non ricevendo alcuna risposta, non esitò a inoltrare un secondo quesito scritto. Questa volta gli risposero: fu accusato di disobbedienza aggravata e continuata (aveva posto la stessa domanda per ben due volte), sottoposto a un procedimento disciplinare e a uno penale presso il Tribunale Militare di Roma, per il quale rischiava, dopo 25 anni di servizio, un anno di carcere.


Il 22 maggio 2012 il maresciallo Luigi Sanna venne ascoltato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’insorgenza di patologie tumorali tra i soldati italiani. Nel corso dell’audizione, Sanna fece presente come “la somministrazione plurima ravvicinata contempla[sse] casi di assunzione di nove vaccini in cinque dosi nell’arco di ventinove giorni, ovvero di dieci vaccini in sette dosi nell’arco di trentaquattro giorni”. Ricordò, inoltre, come a essi si aggiungesse la profilassi antimalarica, nel caso di missioni all’estero, e come egli avesse registrato alcune incongruenze, come la prescrizione della vaccinazione antitifica, a lui mai prescritta, ma prescritta invece a colleghi che si trovavano nella sua stessa posizione.


Chi ha letto il precedente capitolo ricorderà quanto ho avuto modo di dire sulla discrepanza in Italia tra la legge che obbliga a informare i pazienti sui possibili rischi di farmaci e terapie, e la normale prassi che non solo ignora, ma addirittura scoraggia tale principio. Ebbene, la cosa più grottesca della vicenda del maresciallo Sanna è che la sua colpa consisterebbe nell’essersi rifiutato di firmare il modulo del consenso informato, in seguito al fatto che non aveva ricevuto alcuna delle informazioni richieste. In altre parole, gli si è imputato di non avere acconsentito alla menzogna di prammatica cui, è bene dirlo, sono tenuti non solo i militari ma di fatto anche i comuni pazienti (si noti che, come ha osservato nel corso dell’audizione Giorgio Carta, legale di Luigi Sanna, tra le scorte di vaccini che le Forze Armate detengono in quantità sovrabbondanti vi è quello contro l’H1N1. Il dato colpisce, perché si tratta del vaccino che medici tedeschi, francesi e italiani hanno rifiutato di farsi iniettare, ma che i soldati, per obbligo di obbedienza, dovrebbero acconsentire a vedersi inoculato…).


Il caso di Luigi Sanna è destinato a costituire una pietra miliare non solo nella storia della sanità militare, ma in quella più ampia dei diritti civili. Secondo l’articolo 32 della nostra Costituzione, infatti, nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, mentre la norma che regola le vaccinazioni all’interno delle Forze Armate è di rango secondario, cioè non ha forza di legge, consistendo in un decreto ministeriale del 2003. Tale decreto, pertanto, non può violare il principio costituzionale della possibilità, per il soggetto, di rifiutare trattamenti sanitari che non gli siano imposti per legge.


Da un punto di vista più generale, e meno tecnico, la storia di questo ufficiale dell’Aeronautica getta un lampo di luce sui meccanismi con cui le strutture di potere finiscono per saldarsi l’una con l’altra, solidificandosi in un sistema rigido, faraonico, la cui logica labirintica da un lato schiaccia i diritti inviolabili dell’individuo, come quello di preservare la propria salute, e dall’altro consente la protezione indisturbata di interessi forti che si insinuano nelle pieghe degli apparati burocratici e ne condizionano il corretto funzionamento, interessi principalmente economici ma anche una diffusa cultura dell’arbitrio, più che dell’autorità, nel rapporto tra governanti e governati. Il caso di Luigi Sanna, infatti, riguarda soltanto il Ministero della Difesa, non quello della Sanità, ma come non ricordare l’atteggiamento omissivo, reticente e stroncatorio di quest’ultimo di fronte alle richieste di spiegazione e chiarimenti dei tanti genitori con figli danneggiati da vaccino, un atteggiamento che sembra esigere nel cittadino l’obbligo di obbedienza e disinformazione di fronte all’autorità sanitaria?

Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - 2ª edizione
Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - 2ª edizione
Eugenio Serravalle
Immunizzarsi dalla paura, scegliere in libertà.A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, l’autore cerca di fare chiarezza su tale questione, analizzando i dati con chiarezza e linearità. I vaccini sono tutti uguali?Qual è la durata?Quale l’efficienza?Cosa si intende per immunità di gregge?È la stessa per tutte le malattie?A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, il dottor Eugenio Serravalle cerca di fare chiarezza, accompagnando il lettore nel labirinto di dati e termini tecnici con linearità.Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore è una lettura indispensabile per imparare ad applicare il senso critico ad argomenti sui quali ci troviamo spesso indifesi, come l’informazione medico-sanitaria diffusa da stampa e televisione. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.