CAPITOLO I

Le ragioni dell'obbligo

Il decretolegge in materia di prevenzione vaccinale per i minori da 0 a 16 anni è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del governo Gentiloni il 19 maggio 2017, ed è stato firmato il 7 giugno dal Presidente della Repubblica Mattarella. Nello stesso giorno ne sono stati annunciati i contenuti in una conferenzastampa cui hanno partecipato, a fianco della Ministra Lorenzin: Ranieri Guerra, direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute; Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS); Gianni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’ISS; Roberta Siliquini, Presidente del Consiglio superiore di sanità; Mario Melazzini, direttore generale dell’AIFA. “Obiettivo del decreto – ha ricordato la Ministra – raggiungere il livello di immunizzazione raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, pari al 95% della popolazione, in modo da mettere in sicurezza il Paese”. Preoccupano i dati sulle coperture vaccinali in calo, soprattutto per polio e morbillo, sia nei bambini fino a 24 mesi di età, ma soprattutto a 18 anni, quando il livello delle coperture vaccinali scende costantemente sotto il 70%, come sottolineato da Ranieri Guerra. Le vaccinazioni obbligatorie e gratuite passano così da quattro a dodici: anti-poliomielitica; anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B; anti-pertosse; anti Haemophilus influenzae tipo B; anti-meningococcica B; anti-meningococcica C; anti-morbillo; anti-rosolia; anti-parotite; anti-varicella. Le dodici vaccinazioni obbligatorie divengono un requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole dell’infanzia (per i bambini da 0 a 6 anni) e la violazio-ne dell’obbligo vaccinale comporta l’applicazione di significative sanzioni pecuniarie e la segnalazione agli organi giudiziari1.


Dopo un frettoloso passaggio parlamentare con ricorso al voto di fiducia alla Camera, il testo integrale e definitivo del decreto Lorenzin, ora legge numero 119 del 31 luglio 2017, viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 182 del 5 agosto 2017. Le vaccinazioni obbligatorie per la frequenza scolastica di nidi e scuole materne si riducono a dieci (i due vaccini anti-meningococco diventano “fortemente raccomandati”) e le sanzioni economiche sono ridotte a un massimo di 500 euro. È annullata la menzione della segnalazione automatica al Tribunale dei Minori per i genitori inadempienti. L’urgenza del provvedimento – si riafferma – è determinata dal progressivo calo delle vaccinazioni (sia obbligatorie che raccomandate) in atto dal 2013, che ha determinato una copertura vaccinale media nel nostro Paese al di sotto del 95%, la soglia raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per garantire la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè per proteggere indirettamente anche coloro che, per motivi di salute, non possono essere vaccinati2.

Malattie e ingiustizia sociale

L’obiettivo delle vaccinazioni è immunizzare la persona per proteggerla da una possibile futura infezione o malattia. L’immunizzazione costituisce uno strumento di efficacia dimostrata per il controllo e l’eliminazione di malattie infettive di vario tipo e di gravità diversa, con prognosi differenti a seconda dell’agente patogeno e del contesto socioeconomico in cui la malattia si sviluppa. Le malattie infettive non sono tutte uguali e il destino di chi le contrae è diverso a seconda del Paese in cui si vive e del sistema sanitario di cui si usufruisce. La vaccinazione rappresenta uno degli investimenti per la salute con miglior rapporto costo-efficacia, con strategie collaudate che la rendono accessibile anche alle popolazioni più vulnerabili, come quelle dei Paesi poveri. È doveroso ricordare che diseguaglianze, mancanza di risorse, istruzione carente, lavoro precario o poco sicuro, in una sola parola, povertà, hanno un impatto diretto e immediato sulla salute. La giustizia sociale è a tutti gli effetti una questione di vita o di morte. Essa influenza il modo di vivere della gente, e con esso la probabilità di ammalarsi e il rischio di morire prematuramente. La durata della vita di ognuno di noi è fortemente connessa alla classe sociale di appartenenza e negli ultimi decenni tali differenze sono addirittura aumentate. Un mondo più giusto sarebbe quindi un mondo più sano: sono le conclusioni cui è pervenuta la Commissione sui determinanti sociali di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo rapporto del 2008: “La deleteria combinazione di politiche sbagliate e condizioni economiche negative è in gran parte responsabile del fatto che molte persone nel mondo non godono della buona salute che sarebbe biologicamente possibile. Sono le condizioni di vita quelle che determinano la salute delle persone” scrive l’OMS. In conclusione, è “l’ingiustizia sociale che uccide le persone.” Oggi lo scenario epidemiologico delle malattie infettive per le quali è disponibile la vaccinazione è radicalmente mutato: assistiamo alla drastica riduzione della letalità e morbosità di tali patologie, in Italia e in molti Paesi del mondo. Non si può prescindere dal ruolo che le vaccinazioni hanno avuto nel ridurre patologie pericolose e spesso invalidanti, accanto all’azione determinata dal miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e all’offerta di un sistema sanitario universale, ai progressi delle terapie mediche e all’uso di farmaci più efficaci che hanno contribuito in modo significativo a ridurre la mortalità pediatrica e a raggiungere la protezione comunitaria, che può essere intesa come bene pubblico di cui tutti hanno il diritto di beneficiare. Alcune malattie infettive (vaiolo, difterite, poliomielite) sono scomparse in Italia prima di aver raggiunto il 95% di copertura vaccinale ritenuto indispensabile per ottenere l’effetto gregge, e molte malattie infettive sono scomparse senza vaccinazione in tempi alquanto sovrapponibili alla diminuzione di quelle in cui il vaccino è stato introdotto, dimostrando che il miglioramento di condizioni socioeconomiche, igieniche e nutrizionali hanno un ruolo protettivo preponderante.

Grafici dell’andamento della mortalità in Italia per malattie infettive (Numero di morti totali per anno. Fonte: Annuari di statistiche sanitarie – ISTAT)















Immunità di gregge

Le vaccinazioni possono quindi essere definite come un “intervento collettivo”: riducendo il numero di individui suscettibili all’infezione e di conseguenza la probabilità della trasmissione della malattia, si ottiene un beneficio diretto, derivante dalla vaccinazione stessa, allorché si immunizza la persona vaccinata, e indiretto, in virtù della creazione di una rete di sicurezza a favore dei soggetti non vaccinati, riducendo il rischio di contagio con rilevanti benefici in termini di immunità individuale e immunità collettiva (herd immunity)3. Se l’affermazione che un ampio numero di individui vaccinati e immunizzati permette di arrestare la diffusione di una malattia infettiva è tanto scontata da apparire ovvia, è da capire se tutti i vaccini attualmente in uso concorrano nel determinare questa protezione indiretta, e in che misura siano efficaci nella tutela della salute collettiva, e se ciò confligga con il diritto del singolo individuo all’autodeterminazione e all’istituto del consenso informato nell’eterno conflitto tra interesse individuale e interesse collettivo4. La Corte di Cassazione ha affermato: “che le vaccinazioni obbligatorie possano essere fonte di pericolo per le persone che ad esse sono sottoposte, è circostanza che può darsi per acquisita”5. Scienza, Legge e Diritto riconoscono i pericoli di questa pratica, e il perseguimento dell’interesse alla salute della collettività attraverso le vaccinazioni obbligatorie confligge con il diritto individuale alla salute quando tali trattamenti comportano conseguenze pregiudizievoli. Il rischio non è sempre evitabile, e la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto. La Corte Costituzionale evidenzia come la legge che impone la vaccinazione è un esempio di quelle che sono state denominate le “scelte tragiche” del diritto: sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri, precisando: “Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche, la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a questo genere di scelte pubbliche”6. Inoltre, la Suprema Corte, che ha auspicato la realizzazione di test diagnostici preventivi anche nella prospettiva di una calendarizzazione individuale, di una personalizzazione del trattamento farmacologico, ribadisce che: “…nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. Tant’è che il legislatore può emanare una legge che sancisca l’obbligo vaccinale, ma non può imporre che tale obbligo sia assolto in maniera coercitiva: nessuno può costringere i genitori a eseguire le vaccinazioni se questi non intendono immunizzare i propri figli. Sono previste sanzioni economiche, divieti di accesso scolastico nella fascia di età 0-6 anni, ma la sospensione della potestà genitoriale è limitata ai casi in cui è dimostrata incuria e trascuratezza nei confronti dei bambini.


L’immunità di gregge, o immunità di gruppo (herd immunity), è una forma di protezione indiretta che si verifica quando l’immunizzazione (conseguente a vaccinazione o a malattia naturale) di una parte significativa di una popolazione fornisce una protezione anche agli individui non immunizzati. Questo tema, oggetto di discussione nella letteratura medica, dal momento che autori diversi ne danno interpretazioni differenti, è recentemente tornato in auge in occasione dell’introduzione dei 10 vaccini obbligatori in Italia. Il principio dell’immunità di gregge (herd immunity), valido in generale, non può essere automaticamente esteso a tutte le vaccinazioni disponibili, ma necessita di una dimostrazione sul piano della plausibilità biologica e delle evidenze per ogni singolo agente infettante e relativo vaccino. Se un vaccino conferisce una protezione individuale da una specifica malattia ma non impedisce la diffusione dell’agente infettante, la mancata vaccinazione del soggetto ricade come rischio solo sullo stesso e non sulla comunità. Se, quindi, è sostanzialmente vero che l’immunità di gregge è un fenomeno che esiste per alcune malattie/vaccini, non è possibile generalizzare questo effetto a tutti i vaccini, con conseguenti ricadute sui livelli di copertura vaccinale ritenuti necessari. Evidentemente la determinazione di una soglia precisa, scientificamente fondata, dell’effetto gregge presenta una indubbia importanza anche sul piano dell’eticità dell’atto vaccinale in senso lato7.

Si fa comunemente riferimento al 95% quale soglia raccomandata dall’OMS per la “immunità di gregge”. In realtà, la letteratura scientifica riporta valori differenti, diversi a seconda della malattia. La prima volta che è stato usato il termine “herd immunity” in una pubblicazione scientifica risale al 1923 a proposito della contagiosità di un batterio, il Bacillus enteritidis, all’interno di una comunità di topi da laboratorio8. Anderson e May9 furono tra i primi a proporre autorevolmente le stime di copertura vaccinale necessarie per eradicare alcune patologie virali, batteriche o protozoarie, in Paesi sviluppati o in via di sviluppo. Si veda la tabella qui sotto.


STIME APPROSSIMATIVE DELLA COPERTURA VACCINALE (SOGLIA DELLIMMUNITÀ DI GREGGE ) NECESSARIA PER ERADICARE INFEZIONI VIRALI, BATTERICHE E PROTOZOICHENEI PAESI SVILUPPATI E IN VIA DI SVILUPPO


MALATTIE INFETTIVE Tasso critico di copertura vaccinale %
Malaria (P. falciparum in una regione iperendemica) 99%
Morbillo 90-95%
Pertosse 90-95%
Quinta malattia (infezione da Parvovirus) 90-95%
Varicella 85-90%
Parotite 85-90%
Rosolia 82-87%
Poliomielite 82-87%
Difterite 82-87%
Scarlattina 82-87%
Vaiolo 70-80%

Fonte: R.M. Anderson, R.M. May, Infectious Diseases of Humans: Dynamics and Control, Oxford University Press, Oxford, 1991.

La pubblicazione più autorevole è quella di P.E. Fine10 e indica la proporzione della popolazione che deve essere vaccinata in modo da raggiungere la soglia di immunità di gregge. I valori riportati sono indicativi, precisano gli Autori, non riflettono adeguatamente la diversità tra le popolazioni, ma forniscono comunque l’ordine delle grandezze comparabili. I dati citati da Fine derivano da lavori scritti tra il 1957 e il 1990 e si basano su modelli matematici che possono prevedere, in base al numero dei soggetti considerati e all’infettività del microrganismo (valore di R0), la soglia minima oltre la quale “scatta” il fenomeno della protezione dell’intera popolazione.


L’espressione “Tasso di riproducibilità” (o riproduzione) (R0) o Basic Reproductive Rate rappresenta il numero medio di casi contagiosi secondari che sono causati da un singolo caso indice in una popolazione completamente suscettibile in assenza di strategie di controllo. Indica cioè il numero medio di casi secondari prodotti da un’infezione primaria in una popolazione interamente suscettibile. La soglia minima dell’immunità di gruppo varia in base all’agente patogeno considerato. I modelli matematici possono prevedere, in base al numero dei soggetti considerati e l’infettività del microrganismo (valore di R0), la soglia minima oltre la quale “scatta” il fenomeno della protezione dell’intera popolazione. La formula di base è la seguente:


Vc (o H, Herd) = (1-1 / R0)


Vc (o H) indica la percentuale della popolazione che deve essere vaccinata in modo da raggiungere la soglia di immunità di gregge, assumendo che la vaccinazione avvenga a caso in una popolazione omogenea; R0 – come già detto – indica il numero di riproduzione di base, cioè il numero di casi secondari generati da un soggetto infettato e infettante quando il resto della popolazione è suscettibile. La soglia minima dell’immunità di gruppo varia quindi in base all’agente patogeno considerato: per quelli a maggiore contagiosità, come il morbillo che presenta un R0 di 12-18, il valore sarà pari a 83-94%, mentre la parotite, che presenta un R0 di 4-7, necessita di una soglia pari al 75-86% di popolazione (si veda la tabella nella pagina a fianco).

Fonte: P.E. Fine, Herd immunity: history, theory, practice, cit.


* Tasso di riproduzione del caso di base.

** Proporzione minima di una popolazione che deve essere immunizzata per l’eliminazione dell’infezione.


1 Esistono portatori cronici dell’infezione.


2 R0 del virus dell’influenza cambia probabilmente in modo sensibile a seconda dei diversi sottotipi.


3 Tutte le variabili considerate differiscono anche tra le diverse specie di Plasmodio.


4 Esistono stime diverse anche a seconda dei criteri utilizzati.


5 Risulta molto difficile definire l’immunità nei confronti della pertosse sia a livello di individuo che di popolazione. Non si dispo-ne tuttora di buoni indicatori sierologici o immunologici di immunità protettiva. Anche l’anamnesi positiva per la malattia non è un dato sufficientemente sensibile e specifico da poter essere usato come indicatore di pregressa infezione e, quindi, di im-munità naturale. Vi è evidenza che i vaccini contro la pertosse forniscono maggiore protezione contro la malattia rispetto alla protezione nei confronti dell’infezione da bordetella pertussis e che gli adulti possono essere causa di trasmissione dell’infezione senza presentare i tipici segni della malattia.


6 Nella valutazione della soglia dell’immunità di gregge devono essere considerate le diverse caratteristiche dei differenti vaccini antipolio.


7 R0 si è ridotta nei Paesi sviluppati; non è ben definito il livello di immunità protettiva.

Più recentemente altri Autori sono intervenuti, suggerendo un aggiornamento dei dati di Fine:


MALATTIA R0 – TASSO DI RIPRODUCIBILITÀ* SOGLIA DELL’IMMUNITÀ DI GREGGE** (%)
Difterite 6 - 7 83 - 85
Influenza 1,4 - 4 30 - 75
Morbillo 12 - 18 92 - 94
Parotite 4 - 7 75 - 86
Pertosse 5 - 17 92 - 94
Poliomielite 2 - 20 50 - 95
Rosolia 6 - 7 83 - 85
Vaiolo 5 -7 80 - 85
Tetano Non applicabile Non applicabile
Tubercolosi ? ?
Varicella 8 - 10? ?

Fonte: S. Plotkin, W. Orenstein, P. Offit, Vaccines, Saunders, 2012.


* Tasso di riproduzione del caso di base.

** Proporzione minima di una popolazione che deve essere immunizzata per l’eliminazione dell’infezione.

Nel bollettino della OMS (si veda la figura Policy and practice nella pagina a fianco) è riportato chiaramente che la soglia necessaria per interrompere la trasmissione di una malattia infettiva dipende dal Numero di riproduzione di base (R0), cioè il numero di casi secondari generati da un tipico soggetto infettato e infettante quando il resto della popolazione è suscettibile, e non si fa riferimento al valore del 95% uguale per tutte le malattie.

Nel corso del dibattito relativo alla determinazione di tale soglia suscitato dalla discussione della Legge Lorenzin, abbiamo scritto sia al WHO che ai CdC USA per avere chiarimenti. La risposta di quest’ultimo ente è stata chiara: “We suggest reading the chapter on herd or community immunity in the textbook Vaccines. The editors are Plotkin, Orenstein, and Offit. This book is usually available in most medical libraries.”11

La soglia raccomandata non corrisponde alla soglia critica per l’immunità di gruppo

La soglia del 95% per tutte le malattie infettive attribuita all’OMS non corrisponde al livello critico di copertura vaccinale necessario per instaurare l’immunità di gregge. I livelli di copertura vaccinali critici sono diversi da infezione a infezione e, anche, da popolazione a popolazione. Su questo la letteratura scientifica disponibile sull’argomento è concorde da molti anni. Lo stesso Fine afferma che i valori indicati sono “puramente indicativi a causa della enorme variabilità dei fattori”12. Tale livello critico dipende infatti da vari fattori:

  • la trasmissibilità dell’agente infettivo, l’incidenza reale della malattia in una popolazione;
  • le modalità con cui l’infezione si trasmette nella popolazione;
  • la condizione di suscettibilità della popolazione nei confronti dell’infezione;
  • la natura dell’immunità indotta dal vaccino;
  • l’efficacia del vaccino e la persistenza nel tempo dell’immunità indotta;
  • l’omogeneità di distribuzione dei vaccinati e i movimenti della popolazione in un certo territorio.

Questi parametri non sono facili da determinare e possono variare geograficamente, oltre che cronologicamente, pertanto la soglia prevista dai modelli teorici può trovare difficoltà nell’applicazione concreta.


Dunque, l’affermazione che una diminuzione (di quanto?) della percentuale di soggetti vaccinati porti automaticamente all’annullamento dell’effetto gregge e alla ricomparsa di epidemie (di quali?) appare solo un’ipotesi13.

Ogni malattia ha la sua immunità di gregge

L’immunità di gregge va esaminata per ogni singola malattia infettiva e per ogni vaccino, distinguendo il principio generale dal valore dell’“effetto” gregge, dato dalla copertura vaccinale sotto la quale scatta “realmente” il rischio di epidemia, ovvero sotto il quale la scelta di un soggetto di non vaccinarsi mette “realmente” a rischio la salute collettiva.

  1. TETANO: malattia infettiva non trasmissibile.
  2. EPATITE B: malattia trasmessa con sangue, rapporti sessuali o per trasmissione verticale da madre al neonato al momento del parto o allattando.
  3. DIFTERITE: il vaccino è costituito dalla tossina inattivata (anatossina) e non impedisce la circolazione del germe.
  4. POLIOMIELITE: il vaccino con virus ucciso (IPV) fornisce protezione individuale ma non concorre a creare immunità di gregge perché impedisce l’eventuale circolazione del germe (al contrario del vaccino OPV).
  5. EMOFILO B: la vaccinazione ha diminuito le patologie causate del sierotipo b, ma ha aumentato i casi di infezione, anche mortali, causati da altri tipi capsulati e non capsulati (fenomeno del rimpiazzo), che in Italia oramai riguardano i ¾ delle malattie invasive da emofilo.
  6. PERTOSSE: il vaccino acellulare, oggi in uso, è poco efficace nel creare herd immunity perché:
    • l’immunità indotta dai vaccini acellulari è più limitata e di durata più breve del previsto;
    • l’immunità indotta dai vaccini acellulari pur proteggendo dalla malattia protegge meno dall’infezione;
    • sono comparsi ceppi di Bordetella pertussis con mutazioni antigeniche;
    • i vaccini acellulari non sono in grado di bloccare la trasmissione del batterio;14
    • “la pertosse si diffonde molto facilmente perché la protezione vaccinale fornita dal vaccino acellulare è limitata e decresce col tempo e quindi non possiamo fare affidamento sui vaccini acellulari per bloccare la trasmissione del batterio”15.
  7. MORBILLO: presenta una elevata capacità infettante con conseguente elevato tasso di riproduzione (R0) per cui appare necessaria una elevata copertura vaccinale ≥ 95%.
  8. ROSOLIA: è meno trasmissibile del morbillo e pertanto potrebbe essere sufficiente una soglia minore di immunità di gregge. Il problema principale è rappresentato dalla sindrome da rosolia congenita: una bassa copertura vaccinale dei bambini di entrambi i sessi potrebbe risultare peggiore che l’assenza della vaccinazione, dal momento che si avrebbe così una minore circolazione del virus per cui la proporzione delle donne in età fertile suscettibili può incrementare in modo significativo. Una strategia utile potrebbe essere la vaccinazione delle ragazze in età prepubere, qualora non risultassero immunizzate.
  9. PAROTITE EPIDEMICA: un’elevata copertura vaccinale permette di limitare l’entità, la durata e la diffusione di possibili focolai di parotite, ma non impedisce il manifestarsi di epidemie, seppur limitate a causa della perdita di efficacia della vaccinazione, pur correttamente eseguita.
  10. VARICELLA: è una malattia a prognosi favorevole se contratta tra 1 e 9 anni, con rischi maggiori con l’avanzare dell’età; la vaccinazione dei bambini rischia di innalzare l’età dei casi, aggravandone le conseguenze. Sono presenti dubbi sulla durata della protezione (stimata a 13-20 anni), sul rapporto costo-efficacia della vaccinazione estesa e sui suoi effetti a lungo termine, con riferimento alla riattivazione virale e all’insorgenza di Herpes zoster, che a lungo termine potrebbe risultare aumentata e anticipata.

Ogni vaccino ha la sua efficacia, la sua efficienza e la sua durata

Efficacia, efficienza e persistenza nel tempo dell’immunità indotta sono fattori determinanti per ottenere l’effetto gregge. Per efficacia si intende la capacità di un vaccino di evitare la comparsa, in un soggetto vaccinato in modo adeguato e dopo il periodo necessario per la comparsa della risposta immunitaria, della infezione dovuta a quello specifico agente biologico. Questo termine (efficacy), che si riferisce alla protezione indotta dal vaccino misurata tramite studi controllati randomizzati condotti in condizioni standardizzate ottimali, va distinto dal termine efficienza (effectiveness) che indica la capacità del vaccino di conferire una protezione evidenziabile in studi osservazionali comprendenti soggetti con possibili comorbidità, ai quali il vaccino è stato somministrato da diversi operatori sanitari in condizioni “reali”, non standardizzate. Per la valutazione dell’efficacia dei vaccini dopo l’immissione sul mercato lo studio caso-controllo rappresenta la metodologia di indagine più utilizzata. I risultati di questi studi forniscono importanti informazioni sul livello di protezione fornito dai vaccini. Tuttavia si tratta di studi difficili da realizzare, anche per la presenza di numerosi possibili fattori di confondimento; inoltre devono essere condotti in modo rigoroso al fine di evitare errori o interpretazioni non corrette.


In base alla tipologia di antigeni presenti si parla di:

  1. vaccini vivi attenuati (antimorbillo, rosolia, parotite, varicella, febbre gialla e tubercolosi) prodotti a partire da agenti infettivi che permangono vivi ma che sono privati, o mantengono una minima capacità di dare luogo alla malattia;
  2. vaccini inattivati (antiepatite A, antipoliomielite e antinfluenzale split) prodotti utilizzando virus o batteri uccisi tramite calore o sostanze chimiche;
  3. vaccini ad antigeni purificati (antipertosse acellulare, antimeningococco C e antinfluenzale a sub-unità) prodotti attraverso tecniche di purificazione delle componenti batteriche o virali;
  4. vaccini ad anatossine (antitetanico e antidifterico) prodotti utilizzando molecole provenienti dall’agente infettivo e che sono riconosciuti dall’organismo come estranei, con conseguente attivazione delle difese immunitarie;
  5. vaccini a DNA ricombinante (antiepatite B e antimeningococco B) prodotti con metodi di ingegneria genetica, clonando e producendo uno o più antigeni.
La risposta immunitaria è differente in base al tipo di vaccino somministrato, con l’attivazione di diversi effettori dell’immunità e conseguentemente l’efficacia della risposta al vaccino è variabile. L’efficacia del vaccino si ottiene misurando nei soggetti vaccinati la presenza di determinati marker quali il titolo anticorpale o il numero di cellule antigene-specifiche superiore a una determinata soglia. La maggior parte dei vaccini forniscono la protezione principalmente mediante la induzione di specifici anticorpi IgG sierici, ma per neutralizzare i patogeni che si localizzano a livello delle mucose è necessaria anche la presenza di anticorpi nella saliva e nelle altre secrezioni mucosali; questi si possono ottenere solo se le concentrazioni delle IgG sieriche sono sufficientemente elevate. In genere una simile risposta non è indotta dai vaccini batterici polisaccaridici, ma è ottenuta dai vaccini coniugati16, che sono in grado di prevenire la colonizzazione nasofaringea oltre che l’infezione e la diffusione della malattia. Nella maggior parte dei casi l’immunizzazione non induce a livello delle mucose titoli anticorpali sufficientemente alti e duraturi da essere in grado di prevenire l’infezione localizzata. È solo in un secondo momento, dopo aver infettato le mucose, che gli agenti patogeni vengono a contatto con gli anticorpi indotti dalla vaccinazione. Questi vaccini, pur in grado di controllare con più o meno successo la malattia, non inducono una immunità in grado di “sterilizzare” le mucose infettate. Questo è uno dei motivi per cui, nelle prove concrete, “sul campo”, l’efficacia e l’efficienza delle vaccinazioni appaiono inferiori rispetto a quanto riportato negli studi sperimentali. Se vacciniamo un bambino contro il morbillo, avremo un alto titolo di anticorpi antimorbillo in un’elevata percentuale di casi. Non possiamo però essere certi che la presenza di questi anticorpi protegga sempre dalla malattia: dipende dall’antigene che è stato iniettato, dalla classe di anticorpi generati, dall’affinità degli stessi, dal sistema immunitario T e B, dalle immunità delle mucose dove non tutti gli anticorpi arrivano ecc. Un aumento degli anticorpi verso gli antigeni contenuti nel vaccino è naturale e atteso, ed è noto che gli anticorpi proteggono da molte patologie infettive e non infettive, ma non sempre è sufficiente. Uno studio concepito per studiare i casi di fallimento del vaccino antimorbilloso in Russia ha rivelato la circolazione dei genotipi A, D4 e D6 nell’epidemia insorta tra il 2000 e il 2003, mentre un genotipo D6 è stato associato con l’epidemia del morbillo del 2005. Sulla base del test di avidità di IgG, la metà dei pazienti vaccinati ha mostrato un’insufficiente risposta immunitaria al vaccino. Nonostante livelli elevati di IgG e l’alta avidità degli anticorpi, l’effetto neutralizzante era scarso. In altre parole, gli anticorpi riconoscevano il virus ma non erano efficienti17. Quando si afferma che l’efficacia del vaccino contro la parotite varia dal 73% al 91% dopo una dose e dal 79% al 95% dopo due dosi18 si fa riferimento all’aumento degli anticorpi indotto dalla vaccinazione, all’efficacia del vaccino somministrato in condizioni ideali, ma l’efficienza (cioè la reale capacità di prevenire la malattia) può essere diversa. Lo dimostrano le numerose epidemie verificatisi in soggetti vaccinati, soprattutto tra studenti venuti in contatto durante delle feste. Un recente studio riguardante l’epidemia di parotite registrata in Olanda durante una festa studentesca ha stimato un’efficienza vaccinale intorno al 68% dopo due dosi19. Il vaccino antivaricella nei bambini risulta avere un’efficacia nel prevenire la malattia tra 80 e 85% ma l’immunità conseguita si riduce nel tempo: è stimata essere da 13 a 20 anni20. È pertanto possibile la comparsa di casi di varicella in persone che hanno ricevuto il vaccino, la cosiddetta “breakthrough varicella”. Alcuni studi hanno mostrato che i tassi d’incidenza di infezione breakthrough di varicella sono compresi tra il 4% ed il 68% e che il tasso annuale sembra aumentare con il tempo trascorso dopo la vaccinazione21. Da uno studio è emerso che i bambini che erano stati vaccinati con una dose da più di 5 anni presentavano un rischio di contrarre la varicella 2,6 volte maggiore rispetto a chi era stato vaccinato da meno tempo22. La difterite è pressoché scomparsa dall’Italia e dalla Regione Europea dell’OMS, per cui non si hanno dati di fallimenti vaccinali legati a questa vaccinazione. Appare certo che, in assenza di richiami opportuni, anche naturali, l’immunizzazione indotta dal vaccino si riduce in maniera significativa con il trascorrere egli anni (si veda il grafico 1 nella pagina a fianco). Nonostante la maggior parte della popolazione abbia scarsi anticorpi protettivi, la malattia è praticamente scomparsa in Italia.
L’efficacia e l’efficienza dei vaccini antinfluenzali varia da anno ad anno, dipende dall’età e dallo stato di salute del soggetto vaccinato e dalla congruenza tra gli antigeni virali presenti nel vaccino e quelli dei virus circolanti nello specifico anno. Come per tutti i vaccini, ma forse in particolare per l’influenza, si deve distinguere il termine di efficacia del vaccino (efficacy) dall’efficienza (effectiveness). Dati dei CDC relativi alla protezione dei vaccini antinfluenzali utilizzati negli anni dal 2005 al 2016 evidenziano livelli di efficienza molto variabili da un 10% a un 60%23 (si veda il grafico 2 nella pagina a fianco).
È da notare che, negli stessi anni, in Italia i vaccini antinfluenzali hanno conferito una protezione da moderata a bassa nei confronti dell’influenza confermata in laboratorio (EV aggiustata 32,5% nel 2010-2011 e 42% nel 2011-2012)24 a dimostrazione che tali dati non sono omogenei in popolazioni diverse.

Vaccinologia personalizzata

Il Gruppo di Ricerca sui Vaccini della Mayo Clinic nel Minnesota, diretto dal dott. Gregory Poland, ha coniato i termini “Vaccinomica” e “Avversomica” per indicare il ruolo dell’immunogenetica e dell’immunogenomica nel determinare sia le variazioni interindividuali nella risposta ai vaccini, sia le reazioni avverse agli stessi. Il termine “Avversomica” indica lo studio di fattori genetici per identificare, caratterizzare e prevedere le reazioni avverse o le reazioni immunitarie abnormi (disadattative) ai vaccini, reazioni che quindi – seppur rare – non vengono né negate né sminuite25. Tutto questo per poter entrare in una nuova fase della vaccinologia moderna, appunto “personalizzata”. Si tratta di determinare il ruolo del bagaglio genetico del singolo individuo, del sesso e di tutti gli altri fattori che possono avere un impatto sull’immunogenicità, sull’efficacia e sulla sicurezza dei vaccini26. Lo sviluppo dei vaccini è stato largamente empirico, guidato da un paradigma: “isolare-inattivare-iniettare” lo stesso vaccino alla stessa dose per tutti, ma questo approccio “one-size-fits-all” [la “stessa-misura-per-tutti”] “ignora la complessità e la diversità del sistema immunitario umano e del genoma dell’ospite”. Lo scopo di queste nuove branche di ricerca è quello di identificare specifici profili di risposta immunitaria, “firme-immunitarie” e biomarcatori che possano predire per il singolo individuo la sicurezza e l’efficacia dei vaccini, per poter dare “il giusto vaccino, alla persona giusta, alla giusta dose e al momento giusto… in altre parole: Vaccinologia Personalizzata”27. Il paradigma della pratica vaccinale degli ultimi sessant’anni è stato basato sul considerare “tutti a rischio per tutto” e quindi a dare “a ognuno tutti i vaccini disponibili”, ovvero un approccio di salute pubblica rivolto a livello di popolazione e non del singolo individuo, utilizzando quasi esclusivamente la via di somministrazione parenterale. Questo paradigma, secondo il dott. Poland, ha fallito nel raggiungere l’obiettivo di indurre risposte immunitarie protettive nel 100% della popolazione, a causa della variabilità dei patogeni ma soprattutto della variabilità di risposta del sistema immunitario umano e dalla mancanza di variabilità (vie di somministrazione, dosi) della somministrazione dei vaccini. È invece necessario stratificare il rischio dei singoli e personalizzare l’approccio alla vaccinazione. Si tratta di studiare non solo i geni della risposta immune direttamente coinvolti nelle risposte ai vaccini (geni che codificano per la produzione di anticorpi, di recettori delle cellule T, del sistema HLA), ma anche nuovi geni che possano indirettamente influenzare tale risposta (ad esempio i geni che codificano per la produzione di citochine e dei loro recettori). Importante anche il ruolo dell’epigenetica (cioè tutti quei fattori – ad es. nutrizionali o ambientali – che possono modulare l’espressione genica) e del microbioma intestinale28. Già sono stati pubblicati molti studi che analizzano l’influenza delle variazioni genetiche sulla risposta immunitaria di tipo adattivo (umorale e cellulare) indotta dai vaccini, ad esempio quelli contro epatite B, rosolia, influenza A, vaiolo, antrace e parotite29. Poland e il suo gruppo hanno ad esempio dimostrato che circa il 30% della variabilità della risposta umorale al vaccino MPR è associa a polimorfismi dei geni della risposta immune e ai sottotipi HLA30. È comprovata una diversa risposta umorale e cellulare ai vaccini in base al sesso, ed è comprovato che le reazioni avverse locali e sistemiche ai vaccini sono in genere più frequenti nel sesso femminile in tutte le fasce d’età, escludendo quindi il ruolo predominante di fattori ormonali31; si è già dimostrata un’associazione tra specifici geni o polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) ed eventi immuni avversi, ad esempio per le convulsioni febbrili da vaccino MPR. Il dott. Poland cita anche “l’inadeguata comprensione del sistema immunitario del neonato e del bambino piccolo” affermando chiaramente che “i neonati e i bambini piccoli hanno sistemi immunitari che non sono ancora pienamente sviluppati e che rispondono alle infezioni e alle vaccinazioni in modo diverso dagli adulti”32. Inoltre, un dato interessante è che vaccini che hanno meccanismi d’azione diversi possono aver bisogno di un diverso tipo di “correlato di efficacia” rispetto a fattori umorali (ovvero il titolo anticorpale generato), proprio perché a volte sono in gioco meccanismi immunitari di tipo cellulo-mediato: “malgrado il successo dei primi vaccini, ancora non comprendiamo pienamente, a un livello meccanicistico, le leggi che governano l’immunogenicità e lo sviluppo di una immunità protettiva”33.


Poland e coautori prefigurano una nuova era, che definiscono “vaccinologia 3.0” o appunto “vaccinologia personalizzata”, in cui l’uso della genomica e di approcci sistemici permetterà di poter fornire “il giusto vaccino al dato paziente, per giusti motivi e alla giusta dose”, con un miglioramento degli out-come medici e costi ridotti a livello di popolazione34. “Ha senso nel 21° secolo dare lo stesso vaccino, la stessa dose e alla stessa frequenza a tutti, a prescindere da età, peso, genere, razza, genotipo e condizioni mediche associate?” Questo approccio di vaccinologia personalizzata rivoluzionerà la scienza a beneficio della salute umana. Potremo arrivare a individuare “firme immunitarie molecolari” di risposta immunitaria adattiva (appropriata) o disadattiva (abnorme) ai vaccini, e “identificare chi dovrebbe ricevere quale vaccino e a quale dose”, riducendo il rischio di reazioni avverse gravi e quindi aumentando la sicurezza dei vaccini e la fiducia delle persone verso la pratica vaccinale35.


La difficoltà di abbandonare il paradigma sviluppatosi nel secondo dopoguerra basato sul concetto di vaccinare le popolazioni con “una dose di ogni vaccino per tutti” a favore di un approccio individualizzato e personalizzato, basato su fattori specifici per ogni individuo, è evidente. Thomas Khun, un filosofo della scienza, ha indagato a fondo sulle resistenze ai cambi di paradigmi scientifici, e nel libro The Structure of Scientific Revolutions (La struttura delle rivoluzioni scientifiche) afferma che “crediamo erroneamente che il progresso scientifico sia un processo di crescita lineare della conoscenza”, mentre “gli avanzamenti si realizzano quando rigettiamo una teoria scientifica radicata nel tempo a favore di un’altra ad essa incompatibile”. Si tratta di considerazioni molto “forti”, che sembrano elevare la discussione sulla pratica vaccinale a livelli decisamente superiori rispetto a quanto abbiamo sentito nell’ultimo anno nel nostro Paese, in conseguenza del DL sull’obbligatorietà vaccinale poi trasformato in legge. Discussione di tipo dicotomico, bianco o nero: o pro-vax o anti-vax. Sembrano invece esserci fondati motivi scientifici per puntare alla personalizzazione della pratica vaccinale, perlomeno nei Paesi con elevati standard igienico-sanitari, per aumentare l’efficacia dei vaccini e ridurre ulteriormente il rischio di reazioni avverse36.

Fallimento vaccinale

Se è vero che la vaccinazione simula il contatto con l’agente infettivo stimolando il sistema immunitario in modo che, se si viene in contatto con il microrganismo responsabile di una malattia infettiva, questo possa essere neutralizzato senza che si manifestino i sintomi della malattia infettiva e le sue possibili complicanze,37 quando una malattia insorge in soggetti vaccinati si parla di fallimento vaccinale.


Il fallimento vaccinale primario è l’incapacità di sviluppare una risposta immunitaria protettiva dopo una dose di vaccino; il fallimento vaccinale secondario è la graduale perdita di immunità nell’arco di anni dalla vaccinazione dopo una risposta immunitaria iniziale dimostrata. Il fallimento vaccinale clinico confermato si verifica allorché si manifesta la patologia correlata al vaccino in un individuo che è stato vaccinato in maniera appropriata, considerati il periodo di incubazione e il tempo necessario per acquisire la protezione che segue l’immunizzazione. L’applicazione di tale definizione richiede la conferma clinica e laboratoristica (o epidemiologica, se possibile) che la patologia verificatasi sia quella prevenibile dal vaccino (cioè che l’agente patogeno e le manifestazioni cliniche siano proprie della patologia target del vaccino somministrato). Il fallimento vaccinale sospetto è definito come il verificarsi in un individuo adeguatamente vaccinato di una patologia non confermata come target del vaccino somministrato (ad esempio il riscontro di una malattia da pneumococco di sierotipo sconosciuto in una persona vaccinata in maniera appropriata). Anche in tale caso è necessario considerare il periodo di incubazione e il tempo trascorso per l’acquisizione della protezione conseguentemente alla immunizzazione. Inoltre, si parla di fallimento vaccinale immunologico confermato quando non si manifestano i segni e/o i sintomi clinici della patologia target del vaccino somministrato, ma si ha la mancata comparsa del marker che è indice della risposta protettiva dopo l’appropriata vaccinazione. Tale de-finizione richiede che esista il marker/correlato della protezione, e che tale indice sia testato dopo che sia trascorso l’intervallo di tempo appropriato dalla completa immunizzazione. Il fallimento vaccinale immunologico sospetto consiste nella mancata comparsa del marker che è indice della risposta protettiva dopo la vaccinazione appropriatamente eseguita, qualora il test sia stato eseguito dopo intervallo di tempo inappropriato. Il periodo di tempo plausibile per l’insorgenza del fallimento vaccinale è compreso tra le due-sei settimane successive al completamento del ciclo vaccinale fino alla durata stabilita della protezione38.


I casi di fallimento vaccinale sono contemplati nella Guida alla valutazione delle reazioni avverse osservabili dopo vaccinazione e dovrebbero comparire nei report annuali di sorveglianza post-marketing dei vaccini.

Marketing, psicologia e informazione

Il confronto scientifico è stato sospeso, siamo prede di un’operazione di marketing pervasiva: la tecnica usata non è nuova ma è sempre efficace: un’affermazione ripetuta mille volte viene considerata vera anche quando non lo è o lo è solo in parte. Più il concetto è semplice e stereotipato, più facilmente diventerà nella coscienza pubblica un “fatto noto” o un’“opinione acquisita”. Le tecniche usate dagli “Stregoni della notizia” sono descritte da Marcello Foa nel libro omonimo pubblicato nel 2006 per Edizioni Angelo Guerini:


Procedere per frames. George Lakoff sostiene che la gente ragiona per frames, ovvero per quadri di riferimento costituiti da una serie di immagini o di conoscenze di altro tipo (culturali, identitarie). La nostra visione della realtà e il nostro modo di pensare sono associati ai concetti di fondo impressi nelle sinapsi del nostro cervello. Istintivamente tendiamo ad accettare o a trattenere solo i fatti che concordano con quel che abbiamo già immagazzinato. Gli altri tendiamo a ignorarli, perché ci confondono, o a etichettarli come irrazionali, folli o stupidi. Procedere per frames significa da un lato impostare il linguaggio in modo tale da soddisfare le nozioni «subliminali», dall’altro imporre attraverso il linguaggio la propria visione della realtà, perché ogni parola si definisce in relazione a un frame. I frames usati: i vaccini hanno sconfitto malattie gravi come vaiolo e poliomielite, pertanto tutte le malattie infettive scompariranno vaccinando i bambini contro tutte le malattie esistenti.


Appello all’autorità. È, verosimilmente, lo strumento più efficace: un fatto è vero perché è certificato da un’istituzione da tutti riconosciuta. Se l’affermazione che i vaccini non causano MAI eventi avversi proviene da un’alta carica istituzionale, è senz’altro vera in quanto espressa da chi, per mandato e professione, è competente sull’argomento.


Ipersemplificazione. Per rendere comprensibile un problema complesso lo si banalizza all’estremo riducendo una questione a termini semplici e definitivi: i vaccini sono sicuri e efficaci (e lo sono davvero, seppure in grado diverso e con caratteristiche differenti) è lo slogan che non affronta ma nasconde la complessità della questione, le problematiche delle politiche vaccinali, le differenze tra vaccino e vaccino e tra vaccinazione e vaccinazione.


Transfer. L’uso di testimonial che hanno riportato gravi conseguenze da una malattia infettiva prevenibile con la vaccinazione ha lo scopo di coinvolgere emotivamente le persone ad aderire al programma vaccinale senza fornire informazioni esaurienti ed esaustive: è più efficace suscitare emozioni che sviluppare ragionamenti. Si può così agevolmente sostenere: “Se i miei genitori mi avessero vaccinato contro la meningite, oggi non sarei in queste condizioni!” senza fornire dati sull’epidemiologia e l’incidenza della malattia, sull’efficacia e la durata della vaccinazione.


Appello ai valori condivisi. Nel persuadere il pubblico si usano parole di forte richiamo emotivo associate a valori assoluti e condivisi, anche quando non c’è una ragione logica per farlo. Così, si esalta l’importanza sociale del valore protettivo dell’effetto gregge applicandolo anche a una malattia, come il tetano, che non è contagiosa.


Appello al senso comune. È racchiuso nell’espressione “maggiorenne e vaccinato”, come contraddirlo?


Con queste tecniche si è realizzata una campagna denigratoria frutto di esigenze politiche e condotta con spiegamento di tutte le forze giornalistiche possibili per ridurre sbrigativamente al silenzio chi potesse essere di ostacolo alla creazione di un consenso frutto di censura più che di reale convincimento delle persone. Con poche eccezioni, si è evitato di affermare che:


a. non esisteva alcuna emergenza epidemiologica tale da giustificare un provvedimento che ha reso obbligatorie non alcune vaccinazioni ritenute fondamentali, ma ben 10 vaccini;


b. il calo delle coperture vaccinali rappresentava un problema solo per morbillo e pertosse, non per le altre malattie, ed è ampiamente dimostrato dalla letteratura medica che l’immunità di gregge si raggiunge con percentuali di popolazione vaccinata diverse a seconda dell’agente infettivo;


c. se l’emergenza era rappresentata dal morbillo, una soluzione poteva essere rappresentata dalla disponibilità di questa vaccinazione singola per tutta la popolazione, adulti compresi, dal momento che il maggior numero dei casi si è registrata tra questi soggetti.

La Rete Sostenibilità e Salute (RSS)39 ha espresso in un documento la sua posizione, affermando che “per affrontare un tema complesso come quello dei vaccini sia necessario uscire dalla sfera ideologica e avviare una seria riflessione collettiva a partire dalle prove scientifiche disponibili e senza forzature. È assodato che molti vaccini hanno rappresentato per la salute dell’Umanità un passo avanti enorme. Tuttavia, pur con l’ovvia adesione al concetto di “vaccinazione”, non ha senso discutere di “vaccini” come qualcosa da “prendere o lasciare” in blocco. Ogni vaccino ha un peculiare profilo di efficacia, effetti collaterali, costi e va dunque valutato in modo specifico. In un dibattito scientifico non si potrebbe né asserire che tutti i vaccini esistenti abbiano prove altrettanto solide di efficacia, sicurezza e favorevole rapporto rischi e costi/benefici, né tantomeno il contrario. Dovrebbe invece essere possibile esprimersi su ogni singolo vaccino e su ogni strategia vaccinale, come si fa per farmaci differenti, sia pure accomunati da meccanismi d’azione simili.


Riteniamo che oggi sia quanto mai urgente avviare un serio dibattito all’interno della comunità scientifica sul tema dei vaccini, che consenta di superare contrapposizioni ideologiche e di presentare alla popolazione informazioni complete basate sulle migliori prove disponibili e indipendenti da interessi commerciali. Non ci risultano, inoltre, prove comparative che la coercizione ottenga risultati migliori di altre misure di informazione credibile e ricerca del consenso e responsabilizzazione sociale. Siamo dunque convinti che si possa promuovere la salute, così come un’offerta vaccinale con altissima adesione, solo se la cittadinanza sarà informata in modo credibile e adeguato, e sarà attiva e consapevole”40.


Parole inascoltate: nonostante le prove scientifiche attualmente disponibili non confermino in modo convincente che l’obbligatorietà introdotta con la legge 119/2017 sia efficace nel proteggere nel lungo periodo la salute collettiva, né che dia garanzie contro eventuali effetti negativi sui soggetti vaccinati, si è deciso di non rispettare la libertà di scelta degli individui. Nessuno ha messo e mette in discussione l’assenza di obblighi di legge per tante altre misure efficaci e ad alta resa per proteggere gli individui e risparmiare ingenti costi alla società, nonostante un’ampia e qualificata letteratura scientifica medica abbia quantificato i benefici di fattibili interventi comportamentali e ambientali che la Sanità pubblica può promuovere e supportare, inducendo:

  • a non fumare e a non esporre i familiari al fumo passivo;
  • a non eccedere nei consumi di alcol e carni rosse e lavorate;
  • a consumare ogni giorno almeno 5 porzioni di frutta/verdura, 20 grammi al dì di frutta secca oleosa, cereali integrali;
  • ad allattare al seno almeno 6 mesi;
  • a praticare regolare attività fisica.41

Se davvero la salute è una cosa buona (e giusta) non dovrebbe essere necessaria imporla con un obbligo42!

Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - 2ª edizione
Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - 2ª edizione
Eugenio Serravalle
Immunizzarsi dalla paura, scegliere in libertà.A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, l’autore cerca di fare chiarezza su tale questione, analizzando i dati con chiarezza e linearità. I vaccini sono tutti uguali?Qual è la durata?Quale l’efficienza?Cosa si intende per immunità di gregge?È la stessa per tutte le malattie?A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, il dottor Eugenio Serravalle cerca di fare chiarezza, accompagnando il lettore nel labirinto di dati e termini tecnici con linearità.Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore è una lettura indispensabile per imparare ad applicare il senso critico ad argomenti sui quali ci troviamo spesso indifesi, come l’informazione medico-sanitaria diffusa da stampa e televisione. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.