CAPITOLO VII

Medicina e diritti: il valore dell'informazione

L’informazione

Nei seguenti paragrafi tratterò un aspetto fondamentale del nostro approccio a un trattamento sanitario consapevole: l’informazione. È un problema che ha più facce e molti risvolti, e che coinvolge da una parte il rapporto tra medici e pazienti, dall’altro la relazione tra i medici stessi e gli informatori farmaceutici, e quindi l’Industria. Come si vede, in entrambe queste due relazioni la figura del medico è cruciale. La qualità di un sistema sanitario dipende dalla trasparenza nella condotta dei medici e dalla loro effettiva autonomia nello svolgimento della professione, ossia dalla possibilità di agire in modo realmente indipendente e svincolato da pressioni di qualsiasi tipo, siano esse di carattere ambientale (la struttura in cui il medico è inserito, il sapersi oggetto di ostilità se solleva dubbi sulle direttive impartitegli, ecc.), o di carattere economico (ad esempio vantaggi, di qualsiasi tipo, per chi prescrive certi farmaci).


Il rapporto tra medici e chiunque operi nel mondo della Sanità e Industria è oggetto di crescente attenzione in tutto il mondo. I possibili conflitti di interesse sono evidenti, come abbiamo accennato a proposito della pandemia suina. La diffusione della tecniche di promozione dei prodotti farmaceutici e sanitari incide sul comportamento e sulle scelte degli operatori della sanità. Singoli medici, gruppi e associazioni di categoria, persino istituzioni pubbliche, attraverso le più svariate modalità di promozione, subiscono l’influenza da parte dell’Industria, anche senza averne la consapevolezza. In Italia si presta ancora poca attenzione a questo problema, se l’unica associazione di medici che si sia data un codice di autoregolamentazione nel rapporto con l’Industria, in base ai dati in mio possesso, è l’Associazione Culturale Pediatri (ACP).

Nella convinzione che il rapporto tra operatori sanitari e Industria rappresenti, oggi più che mai, un punto cruciale per la difesa dell’indipendenza delle conoscenze (che ispirano le scelte terapeutiche, le strategie di prevenzione e l’informazione dei cittadini) e quindi della possibilità di svolgere con rigore e serietà il compito che ci è stato affidato diventando operatori sanitari con responsabilità verso le persone che affidano la loro salute alle nostre cure, è stato fondato il gruppo italiano “No grazie, pago io!1


Un ulteriore, fondamentale elemento che determina la qualità di un servizio sanitario è, naturalmente, il rapporto con il paziente e la prassi di trattare quest’ultimo come un individuo consapevole e dotato del diritto all’informazione.


Che tale diritto non sia qualcosa di ormai acquisito e garantito lo dimostrano le numerose testimonianze di genitori di bambini che hanno subìto vaccinazioni nel modo che mi accingo a descrivere qui di seguito. Le testimonianze a mia disposizione sarebbero numerose, ma ne ho selezionate solo alcune, quelle che mi è parso potessero riassumere un’intera categoria di mancanze, omissioni, reticenze, o palesi falsificazioni del vero in cui incorrono molti, troppi membri della classe medica.

A questo proposito, mi sembra importante rilevare come alcuni fattori che tendono a distorcere l’informazione non condizionino soltanto i comportamenti dei medici nel proprio ambiente professionale, ma anche la ricerca, ossia quel genere di indagini da cui il medico dovrebbe ricavare un’idea di cosa sia utile o inutile, proficuo o indifferente, o peggio dannoso, somministrare a un paziente.


Un recente studio ha cercato di misurare l’oggettiva validità delle ricerche mediche i cui risultati erano stati pubblicati sulle riviste più prestigiose. Sorprendentemente l’autore dello studio ha verificato come ben un terzo degli articoli medici esaminati presenti come significativi dei risultati che o non sono stati convalidati da successive indagini, o sono stati – con altalenante incertezza – prima smentiti e poi confermati senza mai giungere a conclusioni definitive, o infine (ed è a ben vedere il caso peggiore) sono stati presi per veri e richiamati a supporto di altri studi, senza che gli autori mostrassero di sapere che quei dati erano stati già da tempo smentiti. Si verificherebbe nella scienza medica su per giù lo stesso fenomeno che per millenni è avvenuto in quella che, con termine dispregiativo, si chiama ‘credenza popolare’, ossia che una cosa data per vera venga ritenuta tale per pura forza di inerzia, senza una vera e propria dimostrazione. Il dottor John Ioannidis, autore dello studio e direttore del Dipartimento di Igiene ed Epidemiologia della University of Ioannina School of Medicine in Grecia, ha accertato che un errore di regola persiste per anni, se non per decenni, perfino dopo essere stato individuato. In modo questa volta ben poco sorprendente, Ioannis ha evidenziato come i settori della ricerca medica particolarmente inclini a conservare gli errori o a ripeterli siano quelli legati all’industria farmaceutica. In questa analisi, 49 studi, tra i più importanti e citati degli ultimi anni, sono stati sottoposti a un lavoro di verifica dal quale è emerso che ben 34 erano stati riveduti e nel 41% dei casi (14 studi), le nuove conclusioni avevano smentito o minimizzato i risultati precedenti. “Occorre rassegnarsi all’idea che gli studi scientifici è più probabile che siano falsi piuttosto che veri2. Oltre a scorrette modalità metodologiche, possono incidere anche i grossi interessi economici in gioco con la conseguente non imparzialità dei ricercatori.


Questa singolare persistenza nel tempo di idee non convalidate e di dati sperimentalmente non dimostrabili fa affiorare un aspetto importante della pratica medica, ossia la tendenza a non esercitare il giudizio personale nell’osservazione dell’efficacia di certi farmaci e certe terapie sui pazienti. “È difficile”, spiega lo studioso, “cambiare il modo in cui medici, pazienti e persone sane pensano e si comportano quotidianamente”. “I medici devono affidarsi all’istinto e alla loro capacità di giudizio. Ma le loro scelte dovrebbero essere il più possibile informate e suffragate da prove. E se le prove non sono attendibili, i dottori dovrebbero saperlo. E anche i pazienti”.


Come ho ricordato all’inizio di questo libro, nella scienza vi sono errori salutari ed errori non salutari. Ecco perché, come dice Ioannidis, se il mondo smettesse di aspettarsi che gli scienziati abbiano sempre ragione, avremmo risolto una buona parte del problema degli errori, ossia il problema di eliminare quelli non salutari.

Infine, un ultimo aspetto: tra le varie forme di disinformazione vi è quella legata ai nostri atteggiamenti. Essa non deriva dalla mancanza oggettiva di dati, ma dalla nostra abitudine a riporre cieca fiducia in qualcuno che riteniamo esperto, dall’attitudine ad affrontare passivamente la via per cui ci instradano, anche quando riguarda la salute nostra o dei nostri figli. A questo problema si riferisce la testimonianza, che riporto qui di seguito, di una madre che al racconto della propria durissima esperienza ha voluto affiancare una lista di link che forniscono quelle informazioni e quei dati che, pur non essendo occultati, né difficili da reperire, tuttavia non vengono divulgati da chi avrebbe la responsabilità di informare il paziente, soprattutto quando si tratta di un paziente sano a cui, per legge, viene somministrato un farmaco come un vaccino, con i suoi eventuali rischi e i suoi altrettanto eventuali benefici. La riporto per intero:



Non è un segreto…

Quando a tua figlia viene diagnosticato l’autismo, vuoi delle risposte. Vuoi sapere che cosa potrebbe aver prodotto lo sconvolgimento del tuo mondo familiare. I progetti sul tuo bambino cambiati per sempre, i sogni trasformati, le tue priorità permanentemente modificate. Alcune persone, tuttavia, credono che ciò che vogliamo sia semplicemente qualcuno o qualcosa cui dare la colpa. Qualcosa a cui fare aggrappare le nostre frustrazioni. Dicono che andiamo alla ricerca di una connessione. Una connessione con i vaccini. Un collegamento che potrebbe alleviare la nostra sofferenza. Semplicemente non è così. Non per la nostra famiglia. Mi sono messa a cercare, con l’intenzione non di trovare dei collegamenti, ma di ridurre la mia preoccupazione, per rassicurarmi che non potevano essere stati i vaccini che le avevamo somministrato. Vedete, collegare l’autismo ai vaccini significherebbe porre la responsabilità su nessun altro, tranne che su noi stessi. Noi siamo quelli che l’hanno portata all’ambulatorio. Mio marito è quello che ha firmato il modulo sul consenso. Siamo stati noi. Trovare una correlazione con i vaccini porrebbe senza mezzi termini la responsabilità sulle nostre spalle, ed è una pillola molto più amara da mandare giù di quanto non sarebbe un problema genetico. Dopotutto, se c’entrasse la genetica, avremmo potuto semplicemente dare la colpa ai nostri genitori - e invero, a chi non piace dare la colpa ai genitori per i problemi della propria vita? Ma nonostante tutti i miei sforzi, la prova era lì. Più leggevo e più la ricerca scientifica supportava quello che avevamo visto direttamente. I vaccini hanno danneggiato nostra figlia. Non è solo che essi potrebbero danneggiare il suo sistema immunitario, è che lo HANNO DANNEGGIATO. Hanno prodotto una reazione autoimmune provocando sia un’infiammazione nel delicato sistema intestinale sia nel cervello in via di formazione. Essi hanno innescato l’autismo non solo in lei, ma in moltissimi altri bambini come lei. È tutto lì…


Spiegato a chiunque si prenda la briga di leggere. Delineato in riviste scientifiche e su PubMed, un database che consente l’accesso alla letteratura medica ed ai sommari di MedLine, e conservato presso la Biblioteca Nazionale di Medicina degli Stati Uniti (NLM) al National Institutes of Health.


Le risposte. Mi fissano in bianco e nero. Le risposte che speravo di non trovare. La responsabilità dritta sulle mie spalle per non aver fatto quella ricerca prima che fosse troppo tardi. Ed è per questo che i genitori che hanno fatto queste ricerche sentono il bisogno di raccontare. Non riguarda noi. Non riguarda la nostra responsabilità. È solo per risparmiare ad altri gli stessi errori che abbiamo commesso. Si tratta dei vostri figli e, sopra ogni altra cosa, del nostro desiderio di proteggerli.


Siamo qui per te…


Leggete i 15 link PubMed qui sotto. Vedete cosa ne pensate. Se volete di più, ce ne sono molti, molti di più. Potete cercare in “PubMed” con delle parole chiave e leggere fino a quando gli occhi si stancano. E non si parla solo di autismo. Se avete un bambino con una qualsiasi tipo di malattia autoimmune (asma, allergie, pandas [Disordine autoimmune pediatrico associato allo streptococco beta-emolitico di gruppo A, n.d.a.], disordini mitocondriali, ADHD [Sindrome da deficit di attenzione e iperattività”, n.d.a.], diabete, e così via… Purtroppo scoprirete che i vaccini sono correlati a tutti i tipi di malattia autoimmune. Basta racconti aneddotici. Sai cosa cercare. Ricerca. Divulga.



Studi sull'immunità virale

“Anomalia negli anticorpi morbillo-parotite-rosolia e autoimmunità CNS [del sistema nervoso centrale] nei bambini autistici” 3


L’autoimmunità del sistema nervoso centrale (CNS), specialmente della proteina basica della mielina (MBP), può svolgere un ruolo determinante nell’autismo, un disordine dello sviluppo neurologico. Poiché molti bambini autistici presentano livelli elevati di anticorpi del morbillo, abbiamo condotto uno studio sierologico di morbillo-parotite-rosolia (MMR) e autoanticorpi MBP… Oltre il 90% degli anticorpi MMR risultati positivi nel siero dei bambini autistici, erano positivi anche per gli autoanticorpi MBP, il che suggerisce una forte correlazione nell’autismo tra l’autoimmunità MMR e CNS. In base a questi dati, suggeriamo che un’inappropriata risposta degli anticorpi al MMR, specialmente quindi alla componente del morbillo, potrebbe essere correlata alla patogenesi dell’autismo.


Associazione sierologica del virus del morbillo e del virus 6 dell’herpes umano (HHV-6) con gli autoanticorpi cerebrali nell’autismo4 Questo studio è il primo a riportare un legame tra la sierologia virale e gli autoanticorpi cerebrali nell’autismo; esso supporta l’ipotesi che una risposta autoimmune innescata da virus autoimmune possa giocare un ruolo causale nell’autismo.


Ipotesi: i vaccini coniugati possono predisporre i bambini al disturbo dello spettro autistico5


I vaccini coniugati sostanzialmente cambiano il modo in cui funziona il sistema immunitario dei neonati e dei bambini piccoli, deviando le loro risposte immunitarie al target degli antigeni carboidratici da uno stato di iporeattività ad una robusta risposta mediata dalla cellula B2 B. Questo periodo di iporeattività agli antigeni carboidrati coincide con l’intenso processo di mielinizzazione nei neonati e nei bambini piccoli, e i vaccini coniugati possono aver interrotto le forze evolutive che favorivano gli inizi dello sviluppo cerebrale piuttosto che la necessità di proteggere i neonati e i bambini piccoli dai batteri capsulati.


Effetti della vaccinazione difterite-tetano-pertosse o dell’antitetanica sulle allergie e sui sintomi respiratori collegati ad allergie in bambini e adolescenti negli Stati Uniti” 6


Le probabilità di avere problemi di asma erano due volte maggiori nei soggetti vaccinati che tra i soggetti non vaccinati. Le probabilità di avere qualunque sintomo respiratorio di natura allergica negli ultimi 12 mesi era del 63% maggiore tra i soggetti vaccinati rispetto a quelli non vaccinati. Le associazioni tra i vaccini e le manifestazioni allergiche erano più frequenti nei bambini di età compresa tra i 5 e i 10 anni.


Complicazioni neurologiche della vaccinazione contro la pertosse” 7 La recensione è composta da 107 casi di complicanze neurologiche, riportate in letteratura, dovute all’inoculazione della pertosse. Caratteristica è la comparsa precoce di sintomi neurologici con alterazioni della coscienza e con convulsioni, tra le segnalazioni più rilevanti. Viene considerata la questione dell’eziologia e si discutono le controindicazioni… nonché il grave pericolo di ulteriori inoculazioni quando una precedente abbia prodotto un indizio di reazione neurologica.


Vaccinazione di neonati maschi contro l’epatite B e diagnosi dell’autismo, NHIS (National Health Insurance Scheme) 1997-20028


I risultati suggeriscono che negli Stati Uniti i neonati maschi vaccinati contro l’epatite B prima del 1999 (da libretto di vaccinazione) avevano un rischio tre volte maggiore di diagnosi di autismo, comunicata dai genitori, rispetto ai bambini non vaccinati in quanto neonati durante quello stesso periodo di tempo. I bambini di colore avevano un rischio maggiore.



Studi sull'alluminio

L’alluminio usato come adiuvante nei vaccini contribuisce alla crescente incidenza dell’autismo?9


I nostri risultati mostrano che:

  1. I bambini provenienti dai Paesi con la più alta prevalenza di ASD [Disturbo dello Spettro Autistico] sembrano avere la massima esposizione all’alluminio dei vaccini.
  2. L’aumento dell’esposizione all’alluminio degli adiuvanti vaccinali ha una correlazione significativa con le percentuali di ASD osservate negli Stati Uniti negli ultimi due decenni.
  3. Esiste una correlazione significativa tra la quantità di alluminio somministrata ai bambini in età prescolare, particolarmente tra i 3 e i 4 mesi di età, e le percentuali di ASD in sette Paesi occidentali.

Iniezioni di idrossido di alluminio portano ad un deficit motorio e alla degenerazione dei neuroni motori10


[…] una seconda serie di esperimenti è stata condotta sui topi, ai quali sono state iniettate sei dosi di idrossido di alluminio. Analisi comportamentali su questi topi hanno rivelato danni significativi a un certo numero di funzioni motorie e una diminuzione della memoria relativa all’orientamento spaziale.


Vaccini all’alluminio: sono sicuri?11


La ricerca sperimentale mostra chiaramente che i coadiuvanti in alluminio hanno la capacità di provocare gravi disturbi immunologici negli esseri umani. Più nello specifico, l’alluminio sotto forma di adiuvante comporta un rischio di autoimmunità, infiammazione a lungo termine del cervello e complicanze neurologiche associate, e può pertanto avere profonde e diffuse conseguenze negative sulla salute.



Studi sul thimerosal

Integrazione di studi sperimentali (in vitro e in vivo) sulla neurotossicità del Thimerosal a basse dosi rilevante per i vaccini12 Vi è bisogno di interpretare gli studi sulla neurotossicità, per contribuire ad affrontare le incertezze che concernono le donne incinte, i neonati e i bambini piccoli che devono ricevere dosi ripetute di vaccini contenenti Thimerosal (TCVs).


Le informazioni estratte dagli studi indicano che: (a) un’attività di basse dosi di Thimerosal nei confronti di cellule isolate del cervello umano e animale è stata trovata in tutti gli studi ed è coerente con la neurotossicità Hg; (b) non è stato studiato l’effetto neurotossico dell’etilmercurio in concomitanza con il coadiuvante-Al nei TCVs, (c) studi su animali hanno dimostrato che l’esposizione al Thimerosal-Hg può portare a un accumulo di Hg inorganico nel cervello, e che (d) l’esposizione a dosi relative agli TCVs possiede il potenziale per condizionare lo sviluppo neurologico umano.


Disturbi dello sviluppo neurologico in seguito a vaccinazioni infantili contenenti Thimerosal: nuove analisi.”13 Il presente studio fornisce ulteriori prove epidemiologiche a sostegno di precedenti evidenze epidemiologiche, cliniche, e sperimentali del fatto che negli Stati Uniti la somministrazione di vaccini contenenti thimerosal ha avuto come conseguenza un numero significativo di bambini che hanno sviluppato NDS.


La somministrazione neonatale di Thimerosal causa cambiamenti persistenti nei recettori oppiodi “mu” nel cervello dei ratti.” 14Questi dati documentano come l’esposizione al thimerosal nei primi mesi di vita produca alterazioni durature nella densità di recettori oppioidi del cervello, insieme ad altri cambiamenti neuropatologici, che possono disturbare lo sviluppo cerebrale.


Menomazioni comportamentali persistenti e alterazioni della produzione di dopamina nel sistema cerebrale, in seguito a somministrazione precoce post-natale di Thimerosal nei topi.”15 Questi dati documentano che la somministrazione precoce post-natale di Thimerosal causa menomazioni neurocomportamentali e alterazioni neurochimiche durature nel cervello, dipendenti dalla dose e dal sesso. Se modificazioni analoghe si verificassero in bambini esposti a Thimerosal/mercuriale, esse potrebbero contribuire ai disturbi dello sviluppo neurologico.


Risultati dell’esposizione materna al Thimerosal nello stress ossidativo cerebellare anomalo, nel metabolismo degli ormoni tiroidei, e nella capacità motoria di topi neonati; effetti dipendenti dal sesso e dalla razza.”16


L’esposizione al Thimerosal produce anche un significativo aumento nei livelli cerebellari del marcatore di stress ossidativo 3-nitrotirosina. […] Ciò è coinciso con un aumento (47,0%) dell’espressione di un gene regolato negativamente dalla T3 [triiodotironina]. […] I nostri dati dimostrano quindi un impatto negativo sullo sviluppo neurologico dell’esposizione prenatale al thimerosal.


La somministrazione di Thimerosal nei topi neonati incrementa la fuoriuscita di glutammato e aspartato nella corteccia prefrontale: il ruolo protettivo del deidroepiandrosterone solfato.”17


Il Thimerosal, un conservante dei vaccini contenente mercurio, è un fattore sospetto nell’eziologia dei disturbi dello sviluppo neurologico. Abbiamo precedentemente dimostrato che la sua somministrazione ai ratti appena nati provoca anomalie comportamentali, neurochimiche e neuropatologiche simili a quelle presenti nell’autismo.



Ulteriori addebiti

Vaccinazione antinfluenzale durante la gravidanza.” 18 La raccomandazione della vaccinazione antinfluenzale durante la gravidanza da parte dell’ACIP [Advisory Committee on Immunization Practices] non è supportata da citazioni nel suo documento ufficiale o nella letteratura medica corrente. Considerando i rischi potenziali di esposizione al mercurio delle madri e del feto, la somministrazione di thimerosal durante la gravidanza è sia ingiustificata che inopportuna19.


Chiedete ai vostri amici

Chiedete ai vostri amici, ai vostri conoscenti che hanno appena vaccinato il loro bambino per quali malattie hanno praticato l’iniezione. Non stupitevi se nella maggior parte dei casi non sanno rispondere, o forniscono una risposta sbagliata. Non è colpa loro. La responsabilità è di chi non fornisce un’informazione adeguata prima di questo atto che è importante, sia che tutto fili liscio, sia che insorgano delle complicazioni. Certo queste ultime non sono la regola, anzi per fortuna avvengono raramente. E tuttavia avvengono, in modo diverso, in tempi differenti, molto più spesso di quello che si potrebbe credere. Accadono in maniera a volte evidente, dopo poche ore dalla inoculazione, a volte dopo mesi, altre volte ancora dopo anni. Perché i vaccini devono (è la loro funzione) intervenire sul sistema immunitario del bambino, ancora immaturo e fragile, e possono causare una rottura permanente e irreversibile del suo equilibrio.


Sono sempre più numerosi i genitori che si pongono dei dubbi, dei ragionevoli dubbi, sull’opportunità di praticare sette, otto vaccini a tre mesi di età. Le risposte che vengono loro fornite hanno sempre un vago sentore di propaganda. Non si entra mai davvero nel merito dei ragionamenti in base alle (poche) conoscenze scientifiche; si rassicurano le persone con il solito, tranquillizzante ritornello: i vaccini sono sicuri ed efficaci.


Le vaccinazioni di massa sono diventate ormai un cardine dell’attuale sistema sanitario, si direbbe uno strumento irrinunciabile per difendere i bambini e la popolazione tutta dalle malattie infettive. La nostra società sembra vivere nello spettro di queste patologie. Ogni tanto ne compare una nuova, un coronavirus di recente identificazione, un virus suino che diventa all’improvviso pandemico, o si agitano gli spettri di quelle malattie, ormai scomparse, ma che potrebbero riaffacciarsi se le coperture vaccinali diminuissero ancora. È la paura delle malattie infettive la molla che spinge ancora oggi la gente a vaccinare i propri figli senza porsi troppe domande, è la paura istillata dai giornali che citano epidemie più o meno fasulle, e da un sistema sanitario che usa questa scorciatoia al posto della corretta informazione e del metodo trasparente della consapevolezza delle scelte. Il consenso consapevole sembra interessare poco a chi gestisce la nostra salute: ai genitori viene detto poco o nulla su ciò che sarebbe utile e doveroso che conoscessero in merito ai possibili rischi e ai benefici dei vaccini. Viene molto spesso negato un confronto onesto, un dialogo costruttivo, dubbi e perplessità non trovano accoglienza, né risposte. Si ripete loro che non sottoporre i figli alla vaccinazione obbligatoria comporterà un rischio per la salute e per la vita del proprio bambino, se non dell’intera collettività; che i vaccini sono obbligatori, e si potrà procedere legalmente contro i genitori che li rifiutino. La legge 119 ha trasformato il cittadino in suddito, lo ha privato della possibilità di fare una scelta consapevole e lo criminalizza se esprime pensieri critici. “Isolata o vaccinata” è quanto si legge sui manifesti dell’ordine dei medici di Como: si arriva a rivendicare l’esclusione sociale e civile di bambini non vaccinati (anche per malattie come il tetano non contagiose).


Eppure continua a essere in vigore una legge, la 210 del 1992 che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo per i bambini danneggiati dalle vaccinazioni. Nell’articolo 7 si legge: “Ai fini della prevenzione delle complicanze causate da vaccinazione, le Unità Sanitarie Locali predispongono e attuano […] progetti di informazione rivolti alla popolazione […] I progetti assicurano una corretta informazione sull’uso dei vaccini, sui possibili rischi e complicanze, sui metodi di prevenzione […]”. La legge afferma con chiarezza che i vaccini possono causare danni, che le complicanze indotte dalle vaccinazioni non sono frutto della fantasia di esaltati, ma una possibilità per la quale è stata emanata una specifica direttiva. E che occorre informare i genitori sui rischi che la pratica delle vaccinazioni di massa può comportare.

Il consenso disinformato

Come accade sempre nel nostro Belpaese, la realtà è cosa diversa dai princìpi enunciati. Leggete il foglietto che arriva alla famiglia a tre mesi di età del bambino, per invitarla a recarsi a praticare la prima dose di vaccino. Non sembra proprio materiale informativo, ma una delle tante pubblicità che affollano le nostre cassette delle lettere: “Il vaccino è in genere innocuo e ben tollerato. È possibile un po’ di febbre, cefalea e inappetenza”. Se davvero fosse così, non avrebbe senso nemmeno discutere dell’opportunità di vaccinare o meno i bambini. I servizi vaccinali pubblici non ritengono necessaria una corretta informazione. Non viene indicato il nome commerciale del farmaco, la ditta che lo produce. Ai genitori non viene fornita la scheda tecnica dei vaccini, si offrono meno informazioni che per un farmaco di libera vendita. Se andate a leggere il bugiardino del vaccino contro l’epatite B, per esempio, potrete constatare che questo farmaco può provocare, come reazioni comuni, dolorabilità, eritema e indurimento nel sito di iniezione; febbre, malessere, sintomi simil-influenzali, fatica, vertigini, parestesie, cefalea, nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, alterazione dei test di funzionalità epatica, artralgie, mialgie, rush, prurito, orticaria in casi rari; anafilassi, malattia del siero, sincope, ipotensione, paralisi, neuropatia, neuriti (inclusa la Sindrome di Guillain-Barrè, neurite ottica e sclerosi multipla), encefaliti, encefalopatia, meningiti e convulsioni, artriti, trombocitopenia, broncospasmo, angioedema, eritema multiforme, vasculiti, linfoadenopatia in casi molto rari20. Eppure si dice solo che è sicuro e ben tollerato! Oppure viene esaltata la “comodità” di praticare in un’unica somministrazione sei vaccini nello stesso tempo. “Se ogni vaccino fosse somministrato separatamente si dovrebbero fare decine di visite vaccinali e il bambino dovrebbe subire decine di iniezioni intramuscolari con ovvie conseguenze negative sia sul piano fisico che su quello organizzativo. Da qui la necessità di conglobare il tutto, utilizzando i cosiddetti vaccini combinati e somministrando contemporaneamente a questi quelli che debbono essere iniettati separatamente21. Ma chi può, dati alla mano, dirci cosa succede nell’organismo, nel sistema immunitario del bambino 5-10 anni dopo la somministrazione dei vaccini multipli? Semplicemente nessuno, perché non esistono studi adeguati che mettano a confronto la salute dei bambini vaccinati con quella dei bambini non vaccinati. Di più: non sappiamo nemmeno se le risposte immunitarie indotte dai vaccini combinati siano diverse o equivalenti rispetto ai vaccini singoli. Mi è capitato di valutare il dosaggio degli anticorpi antitetano in bambini vaccinati con l’esavalente e di bimbi della stessa età non vaccinati. Sorprendentemente, ho trovato più volte che il valore era alto nei bambini che non avevano ricevuto il vaccino, mentre era zero in quelli vaccinati. Perché non sempre alla vaccinazione corrisponde l’immunizzazione, cioè la produzione degli anticorpi utili a prevenire la malattia. Quindi non sempre i vaccini sono efficaci. E nessuno conosce la durata individuale della immunizzazione, quando questa si verifica.


Questa disinformazione coinvolge anche noi medici. È interesse delle ditte farmaceutiche dire mezze verità, ammettere i rischi ma sottovalutandoli. Un portale italiano, gestito dalle multinazionali del farmaco pubblica la notizia: “Cochrane su vaccinazioni infantili: più efficaci se combinate22. Il titolo non lascia dubbi: fare l’esavalente conviene. Ma le conclusioni riportate nello studio affermano il contrario del titolo comparso sulla rivista online: “Non abbiamo potuto concludere se le risposte immunitarie indotte dal vaccino combinato fossero diverse o equivalenti dai vaccini singoli. Vi era una risposta immunologica significativamente inferiore per Hib e tetano e più reazioni locali nelle iniezioni combinate. …Gli studi non utilizzano l’analisi intention-to-treat (ITT) e vi è incertezza circa il rischio di fattori confondenti in molti degli studi. Questi risultati non permettono conclusioni definitive. Dovrebbero essere condotti studi… che utilizzano una metodologia corretta e una dimensione abbastanza ampia del campione23. Se, come spesso accade, ci si ferma a leggere il titolo della notizia, il medico sarà portato a credere alla bontà dell’immunizzazione multipla, e lo riproporrà ai suoi pazienti…


Gli effetti collaterali sistemici che si manifestano a breve distanza di tempo dopo la somministrazione di un vaccino esavalente sono significativamente maggiori rispetto a quelli che si registrano dopo la somministrazione contemporanea degli stessi antigeni ma in siti diversi. I dati resi noti dall’Hexavalent Study Group hanno messo a confronto la somministrazione dell’esavalente (polio, difterite, tetano, pertosse, epatite B, emofilo di tipo B) con un’associazione costituita da un vaccino pentavalente (polio, difterite, tetano, pertosse e emofilo di tipo B) e dal vaccino antiepatite B somministrati separatamente ma durante la stessa seduta vaccinale24. Febbre, sonnolenza, irritabilità, pianto inconsolabile, vomito, diarrea, perdita dell’appetito hanno ad esempio un’incidenza molto maggiore dopo l’esavalente che dopo l’inoculazione del pentavalente + epatite B. I vaccini sono gli stessi, ma sono iniettati in sedi diverse: questo è sufficiente a modificare la frequenza delle reazioni avverse. E niente si sa delle reazioni che si verificano a medio-lungo termine, perché studi del genere sono più rari delle mosche bianche. È utile sacrificare la sicurezza alla comodità? Comodità per chi, per i bambini o per il Sistema Sanitario?

Primum non nocere

L’opposizione alle politiche vaccinali (non ai vaccini in quanto farmaci) nasce dall’esistenza e dall’evidenza del danno vaccinale, dall’incapacità della scienza di dare una spiegazione ai meccanismi e alle modalità di insorgenza di tali eventi. Non si sa perché esistano bambini che perdono all’improvviso il loro stato di salute dopo un’immunizzazione, perché alcuni si ammalino irreversibilmente, fino a morirne. Se i vaccini possono provocare danni del genere, perché a tanti altri bambini non causano queste patologie? O possono essere responsabili di patologie che ancora non sappiamo essere correlate a queste pratiche? Non siamo in grado di individuare i bambini che possono manifestare un danno vaccinale; non esistono, ad oggi, test certi e definitivi. Tutti i farmaci possono provocare effetti collaterali, ma è ben diverso assumere un medicinale in una situazione di necessità, in una condizione di malattia consapevoli del rischio, rispetto a praticare una vaccinazione su un bambino sano e non malato. Il principio ippocratico “primum non nocere” deve essere assolutamente rispettato. È una delle prime cose che ci insegnano nel corso degli studi universitari: bisogna scegliere sempre la terapia meno rischiosa per il paziente, e, prima ancora, valutare bene se sottoporlo a una qualsiasi terapia.


La sottovalutazione delle reazioni avverse ai vaccini è la base delle polemiche e dei differenti punti di vista sulla pratica delle vaccinazioni di massa. Le famiglie dei danneggiati spesso sono misconosciute, fantasmi invisibili di cui negare l’esistenza, o dileggiate, non-persone che non hanno diritto nemmeno di ricevere risposte alle loro domande. Non esistono perché, secondo la Medicina Ufficiale, i vaccini sono sempre sicuri. Non esistono perché non è dimostrato e dimostrabile che i vaccini possano causare danni. E se, per definizione, non possono provocare danni, i danneggiati non ci sono.

Bambini non omologabili

Ciò che l’esperienza mi ha insegnato è che non si possono applicare trattamenti medici identici per tutti, ossia le “ricette-fotocopia” uguali per chiunque tu abbia di fronte. Non credo che tutti i neonati abbiano bisogno in ogni caso delle medesime supplementazioni vitaminiche, del solito fluoro, dello stesso ferro, che non esistano differenze individuali di cui un medico deve tener conto. Non è la stessa cosa nascere e vivere a Siracusa o a Bolzano: l’esposizione alla luce solare, fonte indispensabile per fissare la vitamina D, è molto differente. Un lattante robusto e florido ha necessità differenti da uno snello e magrolino. Un prematuro ha bisogni diversi da un nato a termine. Una bambina è diversa da un maschietto. Omologare tutti i bimbi con la stessa prescrizione credo sia quanto più lontano possibile da una medicina basata sulla conoscenza della persona che ti sei preso il compito di curare, di consigliare, di assistere. Puoi aiutarla bene solo se riesci a entrarne davvero in contatto, cogliendo le sue caratteristiche fisiche, la sua personalità, il suo carattere. Con questo non voglio dire che le integrazioni vitaminiche non servano, tutt’altro. Sono necessarie quando ce n’è indicazione clinica, o per lo stile di vita della famiglia. Le suggerisco in base a queste valutazioni, non le consiglio mai solo perché un neonato è venuto al mondo ed è diventato così un “paziente”, un nuovo cliente dell’industria farmaceutica.

Esitazione vaccinale

I genitori che manifestano scetticismo nei confronti delle pratiche vaccinali così organizzate sono definiti “esitanti”. Sono studiati, analizzati, vivisezionati, ma poco compresi e mai accolti. Il fenomeno della vaccine hesitancy o “esitazione vaccinale” (che comprende i concetti di indecisione, incertezza, ritardo, riluttanza) è complesso e strettamente legato ai differenti contesti, con diversi determinanti: periodo storico, aree geografiche, situazione politica. L’OMS, alla luce dell’ampiezza assunta dal fenomeno dell’esitazione vaccinale almeno nelle regioni industrializzate, ha pubblicato un numero monografico intitolato WHO Recommendations Regarding Vaccine Hesitancy sul numero di agosto 2015 della rivista “Vaccine”25.


Il gruppo di lavoro sulla vaccine hesitancy dello Strategic Advisory Group of Experts (SAGE) on Immunization dell’OMS ha dato di questo fenomeno la seguente definizione: “L’esitazione vaccinale si riferisce ad un ritardo nell’accettare o rifiutare la vaccinazione nonostante la disponibilità di servizi vaccinali. L’esitazione vaccinale è un fenomeno complesso, legato a situazioni specifiche, che varia nel tempo, a seconda dell’area geografica e dei vaccini. È influenzato da fattori quali la noncuranza, la comodità e il senso di sicurezza”26.


Sempre all’interno del numero monografico di “Vaccine” lo studio Vaccine hesitancy: Definition, scope and determinants27, individua tre principali gruppi di cause:

  • influenze legate a specifici contesti derivanti da fattori storici, socio-culturali, o a sistemi sanitari/istituzionali o a fattori politici;
  • influenze individuali o di gruppo derivanti da una percezione individuale dell’utilità/della sicurezza dei vaccini o derivanti dall’ambiente sociale o di gruppi con interessi comuni;
  • specifici problemi legati direttamente ai vaccini e/o alle vaccinazioni.

In merito al primo gruppo di cause, le “influenze legate a specifici contesti”, si individuano come cause dell’esitazione le “teorie cospirative”, che comprendono il timore che i vaccini siano consigliati allo scopo di favorire interessi economici e/o politici delle industrie farmaceutiche, dei Paesi industrializzati, dei governi e la convinzione che le politiche vaccinali siano sostenute come parte di una strategia per ridurre la popolazione mondiale.


I motivi principali dell’esitazione del secondo gruppo dei genitori classificati come “influenze individuali o di gruppo” si basano sulla convinzione che i vaccini non siano sicuri e, più in particolare, che causino numerose malattie ed effetti collaterali, che i loro effetti a lungo termine sono tuttora sconosciuti, che i rischi superino i benefici e che i vaccini contengano adiuvanti pericolosi.

Infine, relativamente al terzo gruppo di cause, gli “specifici problemi legati direttamente ai vaccini e/o alle vaccinazioni”, i motivi principali dell’esitazione alla vaccinazione fanno riferimento al non percepire i vaccini come utili o necessari alla propria salute. Altro problema segnalato in questo gruppo di cause è quello dell’accessibilità alle vaccinazioni (tempo necessario o disponibilità dei vaccini). Lo studio conclude evidenziando come il fattore principale alla base dell’esitazione vaccinale in Europa sia rappresentato dalla preoccupazione o paura relativamente alla sicurezza dei vaccini.


Il problema dell’esitazione vaccinale non è relativo solo al pubblico ma riguarda anche il personale sanitario, con diversa intensità e preoccupazioni a seconda dei differenti Paesi. Il Technical Report del European Centre for Disease Prevention and Control28 presenta i dati di uno studio condotto in Francia, Croazia, Grecia e Romania con l’obiettivo di chiarire le motivazioni dei dubbi sull’effettuazione delle vaccinazioni e le preoccupazioni sulla sicurezza dei vaccini riscontrate nel personale sanitario e nel pubblico in Europa.


Le conclusioni dello studio evidenziano come l’operatore sanitario presenti preoccupazioni riguardo ai rischi della vaccinazione esprimendo scarsa fiducia nelle indicazioni delle autorità sanitarie. Alcuni operatori sanitari risultano, poi, contrari alle vaccinazioni in generale. Nell’ambito del progetto HProImmune, progetto europeo che ha lo scopo di promuovere le vaccinazioni tra gli operatori sanitari dell’Unione Europea, uno studio29 condotto su ospedali italiani rileva che le coperture vaccinali negli operatori sanitari sono basse, molto al di sotto dei livelli di protezione raccomandati, eccetto che per la vaccinazione anti-epatite B. La bassa percezione del rischio delle malattie infettive per cui esistono i vaccini, la paura di effetti collaterali, la diffidenza, altre priorità, e la disponibilità del vaccino sono le motivazioni riscontrate più spesso.


La Regione Veneto ha pubblicato uno studio sui determinanti del rifiuto vaccinale30: sono i risultati di una ricerca avviata a seguito della sospensione dell’obbligo vaccinale regionale31.


La ricerca ha suddiviso la popolazione partecipante in tre gruppi sulla base delle diverse convinzioni rispetto alle vaccinazioni: un primo gruppo costituito dalle famiglie che accettano in toto le vaccinazioni proposte (il 95 %), il secondo gruppo identificabili come gli “esitanti”, cioè le famiglie che vaccinano solo parzialmente (3%) e il terzo gruppo rappresentato dalle famiglie dei non vaccinatori per scelta ideologica e irriducibile (fra l’1,5% e il 2%).


Lo studio riporta: “L’elaborazione effettuata sui 2.315 questionari validi raccolti complessivamente nel territorio di ricerca mette in evidenza similitudini e differenze significative tra i tre gruppi di genitori, confutando parzialmente il modello interpretativo di partenza e proponendo una visione meno monolitica dei genitori di fronte alla scelta vaccinale. Sul piano socio demografico i genitori che non vaccinano risultano cittadini italiani, con scolarità più elevata (in particolare la madre), maggiore età media, parità più alta, con una maggior presenza di madri impiegate in ambito sanitario. I cittadini stranieri che è stato possibile raggiungere con la ricerca, proposta solo in lingua italiana, utilizzano invece appieno l’offerta vaccinale. L’intenzione dichiarata sulle future vaccinazioni registra che solo il 37% di chi non ha vaccinato intende proseguire nella scelta. L’intenzione di non vaccinare scende al 12% tra i vaccinatori parziali e intorno allo 0,5% tra chi ha fatto tutte le vaccinazioni (dato tuttavia di un certo peso in termini assoluti). All’interno di quest’ultimo gruppo tuttavia vi è un’importante quota di genitori “dubbiosi” (circa il 15%) che presenta un profilo con evidenti similitudini con il gruppo dei vaccinatori parziali.


Circa l’informazione: i dati rilevano una omogeneità nei tre gruppi nell’accesso a fonti istituzionali a partire dal Pediatra di Famiglia, e differenze significative nell’accesso a fonti esterne al Sistema Vaccinale e al SSN, il cui utilizzo è massimo in chi non vaccina, in particolare le Associazioni contrarie alle vaccinazioni, Internet e il passaparola. Dalle riposte agli item relativi agli atteggiamenti verso le vaccinazioni, si evince che tutti i genitori temono le reazioni avverse subito dopo la vaccinazione. Hanno però una diversa percezione degli effetti negativi nel lungo periodo e della pericolosità delle malattie e alla fine fanno scelte diverse secondo una valutazione rischi/ benefici che risente fortemente della percezione di pericolosità delle malattie prevenibili e dell’autorevolezza o fiducia nelle fonti informative scelte… Di particolare importanza è la considerazione che se da un lato nel gruppo di chi non vaccina ci sono ampie disponibilità al dialogo, l’adesione elevatissima all’offerta vaccinale della popolazione non è automatica e il patrimonio di fidelizzazione e di adesione di “default” è tutt’altro che scontato”.


Fattori importanti nella decisione di vaccinare o meno sono: 

  • la varietà e prevalenza delle diverse fonti di informazione, in particolare il ruolo esponenzialmente crescente di internet e dei social network correlato a un’alta scolarità;
  • i contenuti prevalenti, in particolare sul rapporto tra rischi delle vaccinazioni da un lato e la pericolosità percepita delle malattie dall’altro;
  • la credibilità del sistema vaccinale in termini di autorevolezza, trasparenza, omogeneità, capacità di ascolto e flessibilità.

Tutti i genitori avvertono il bisogno di maggiori informazioni, più trasparenti, indipendenti e omogenee, in particolare sulle reazioni avverse, sulla diffusione e pericolosità delle malattie prevenibili. Nelle conclusioni si propone di:

  1. strutturare i servizi vaccinali per garantire un’offerta attiva delle vaccinazioni con appropriate modalità di counselling;
  2. intervenire nel web per fornire informazioni trasparenti e complete, intervenendo sui contenuti infondati e fuorvianti, rilevati periodicamente;
  3. migliorare il sistema di informazione sui dati reali relativi alle reazioni avverse;
  4. attivare un sistema di informazione ai genitori e agli operatori sanitari sulle epidemie da malattie prevenibili con le vaccinazioni.

Ho riportato queste lucide analisi per confrontarle con quanto è stato realmente fatto per contrastare l’esitazione vaccinale. Il nostro Paese ha eseguito nessuna delle raccomandazioni contenute nel documento del SAGE o della regione Veneto. Gli inviti alla formazione, alla informazione, alla ricerca della adesione consapevole sono caduti nel vuoto preferendo perseguire la scorciatoia dell’obbligatorietà, citata dal documento del gruppo di lavoro dell’OMS solo per ammonire gli Stati contro i rischi di politiche coercitive.


Eppure il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) nel 2013 indicava, addirittura, un percorso per giungere al superamento dell’obbligo; e ancora all’inizio del 2017 l’ultimo PNPV disegnava tutt’altra prospettiva per cercare di innalzare le coperture vaccinali in calo e non indicava l’obbligatorietà delle vaccinazioni tra le priorità e gli strumenti da utilizzare, in coerenza con le indicazioni e le raccomandazioni delle autorità sanitarie europee.


Le famiglie, i cittadini hanno espresso e manifestano con chiarezza i propri bisogni. Non sono disposti ad accettare il pensiero “scientifico” solo perché così auto-definito. Non si fidano, e i motivi della perdita di credibilità delle Istituzioni sanitarie sono sotto gli occhi di tutti. Non accettano più il paternalismo medico, pretendono che il mondo sanitario e scientifico debbano dedicare tempo ed energie per spiegare indicazioni, vantaggi e rischi di ogni pratica medica. Non si può prescindere più dal consenso informato e l’affermazione “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”32 dovrebbe essere scolpita sulle pareti degli ambulatori e regolare l’organizzazione dei servizi ambulatoriali e ospedalieri. Il consenso informato si applica a tutti i trattamenti medico-sanitari, riconosce finalmente la libertà del cittadino di interrompere i trattamenti che lo mantengono in vita, ma non è riconosciuta la libertà di decidere volontariamente se eseguire o meno la vaccinazione contro malattie non contagiose che producono solo un beneficio individuale, come l’antitetanica.


La salute è un bene da tutelare, da promuovere e sviluppare all’interno di comunità composte da persone informate e partecipi. La scelta di imporre l’obbligo per 10 vaccinazioni nonostante diversi studi condotti nei Paesi dell’area europea abbiano rilevato come un approccio obbligatorio non sembri essere rilevante nel determinare il tasso di copertura vaccinale infantile nei Paesi EU/EEA, nonostante i dati di letteratura internazionale evidenzino come non sempre l’obbligo vaccinale sia in grado di determinare un’efficace ripresa della copertura vaccinale, nonostante l’OMS non ritenga l’obbligo vaccinale il metodo più idoneo per raggiungere gli obiettivi delle coperture vaccinali ritenute necessarie, può apparire come un metodo per restringere la partecipazione del cittadino oggi ai programmi vaccinali, in futuro chissà a cosa.

Il vaccinatoio

Il titolo di questo paragrafo lo traggo da una bella lettera inviatami da una mamma del Nord Italia e che riporto qui di seguito, insieme ad un’altra, proveniente dalle Marche. Per fortuna non sono lettere dal contenuto drammatico, come quelle che presenterò nel successivo capitolo. La prima fornisce un quadro chiaro e preciso di un importante aspetto della politica sanitaria che è stata applicata nel nostro Paese. Ne evidenzia l’atteggiamento autoritario e repressivo nei confronti del paziente. Quanti genitori avrebbero saputo opporre una resistenza altrettanto tenace? Quanti non si sarebbero sentiti schiacciati da un sistema repressivo così martellante? A guardare bene, al centro della contesa tra la prima coppia di coniugi e la ASL c’era semplicemente il rifiuto di quest’ultima di riconoscere non la dannosità dei vaccini, ma il rischio che essi potevano comportare. Tanto è vero che in un secondo tempo è intervenuto nelle autorità giudiziarie un atteggiamento più conciliante, e a determinarlo sono stati di sicuro anche i casi di riconosciuto danno da vaccino, che hanno dimostrato, purtroppo a spese di molte famiglie, l’esistenza reale del rischio.


Entrambe le lettere, poi, sono una delle tante testimonianze dell’assenza di informazione preventiva, della tendenza a trattare i bambini come i polli di batteria (il vaccinatoio, appunto), nonché della deriva incontrollabile verso un sistema sanitario in cui il fattore economico determina ciò che è bene e ciò che è male in fatto di medicina.

Ecco la prima lettera:


I miei figli ormai hanno già vent’anni. Quando è nata Irene, Claudio (mio marito) aveva già le idee chiare e non avrebbe assolutamente voluto vaccinarla, mentre io no, non ero affatto convinta che quella fosse la scelta giusta (… anche adesso nutro ancora alcuni dubbi) e quindi la cosa andò così…


Più di vent’anni fa erano pochi i genitori che non vaccinavano. Oltre ai soliti dubbi - faccio bene, faccio male… - c’era il problema delle vaccinazioni coatte (dicevano che ti toglievano temporaneamente la patria potestà e con la presenza delle forze dell’ordine sottoponevano i bambini alla vaccinazione), oppure potevano negare l’accesso ai bambini alla scuola. Ti portavano in tribunale dei minori, dovevi trovarti un avvocato e così via… insomma un vero problema, per due genitori giovani e inesperti. Mi dicevo: “se tutti vaccinano, perché non lo faccio anch’io senza farmi tutti questi problemi? Perché Claudio insiste così tanto per non farli?” Mi chiedevo ancora: “è più pericoloso vaccinare, e rischiare una reazione avversa, oppure se vaccino proteggo i miei figli da queste terribili malattie, e non gli succederà nulla di tremendo come mi dicono?”


Molte erano le campane a favore delle vaccinazioni e pochissime quelle contro. Lo dice la legge quindi si fa, lo fanno praticamente tutti, perché io non dovevo farlo? Poi Irene non potrà andare all’asilo come tutti gli altri bambini, magari vengono i carabinieri… cosa diranno di noi… e così decisi di vaccinare Irene! Alla fine Claudio accettò questa mia decisione e iniziai il ciclo vaccinale.


La prima dose: piccolo ambulatorio di quartiere di un grande comune come Venezia. Arriva la lettera, mi consigliano di fissare un appuntamento con il pediatra di fiducia il giorno prima della vaccinazione, e di avvisarli per disdire la seduta vaccinale se la bambina fosse stata male i giorni prima della vaccinazione. Tutte queste attenzioni mi riempirono di fiducia e dissi a Claudio: “vedi, sono scrupolosi e attenti alla salute di nostra figlia, quindi facciamo bene a vaccinarla”… ma lui rimaneva della sua idea, anche se cercava di non farmelo pesare. Arriva il fatidico giorno e mi presento in ambulatorio. Sono sola in sala d’aspetto, esce una mamma con il suo bambino ed entro io con Irene. Un medico e un’infermiera mi fanno un sacco di domande, sul parto e sulla bambina, se è stata sempre bene, se ho notato qualcosa di strano negli ultimi giorni, ecc. Visitano la bambina, tutto in ordine, quindi procediamo alla vaccinazione: polio, difterite e tetano. Precauzioni da adottare dopo il vaccino: “quando cambia il pannolino alla bambina deve usare i guanti per almeno una settimana (… io sono vaccinata per la polio), se il cambio dei pannolini viene fatto dai nonni anche loro devono usare i guanti ma per quaranta giorni”. Ancora: “se riscontra delle reazioni particolari nei giorni successivi alla vaccinazione, (febbre, irritazioni cutanee o altro) chiami subito l’ambulatorio” e così via. Rimasi poi nell’ambulatorio per almeno un’oretta, in osservazione di eventuali reazioni da shock anafilattico, ma andò tutto bene. Mi sembrava tutto perfetto, tanto da essere oramai contenta della mia scelta. Fu così ancora per la seconda dose. Poi qualcosa cambiò.


Quello è stato un periodo molto particolare della nostra vita familiare: Claudio stava cambiando lavoro, ci saremmo trasferiti lontano dai nostri genitori, avremmo dovuto gestire la nostra vita da soli, in un posto nuovo. Da lì a poco mancò anche il papà di Claudio e le cose si complicarono ulteriormente: ma incombeva il terzo richiamo! Nel frattempo la bambina non dormiva più tranquilla, si svegliava continuamente disturbata, piangendo di un pianto inconsolabile. Questa volta l’esperienza non fu proprio così esaltante. Eravamo ancora in attesa per l’assegnazione del pediatra, che arrivò l’invito. Mi presentai all’appuntamento. In un corridoio di un ospedale della provincia di Udine ci ritrovammo circa una ventina tra mamme, papà, nonne e una decina di bambini di età diversa. Ci facevano entrare per una porta, questa volta niente visita, niente domande, solo nome e cognome della bimba e conferma che si trattava delle terza dose. Poi passavi un’altra porta e ti trovavi di fronte un medico e un’infermiera; niente visita, solo la punturina e le goccette (all’epoca l’antipolio era fatto con il vaccino Sabin, risultato un po’ pericoloso e successivamente sostituito con il Salk)… tutti in fila con i pannolini al vento… avanti un altro,… si usciva da un’altra porta e si finiva nel corridoio di partenza con agitazione degli adulti e pianti di bambini. Nemmeno un momento di attesa, via a casa, non ci sono problemi! Nessuna precauzione pre e post vaccinale. Ma come? Sono bastati poco più di cento chilometri di distanza per finire in un altro mondo? Ero sconvolta, era come andare in una catena di montaggio, una sorta di VACCINATOIO”!


Ma non era finita: era il 1992, quindi eravamo appena entrati nell’era dell’antiepatite B. Il Ministro De Lorenzo aveva promosso l’obbligo di questo vaccino e Irene ci rientrava per il rotto della cuffia. Noi non volevamo farla: in questo caso sì, eravamo entrambi d’accordo! L’Italia era il primo Paese che attuava questo vaccino di massa (si conoscevano veramente le reazioni avverse di tale vaccino??? o lo sperimentavano così…). Quante probabilità ha un bambino di pochi mesi di ammalarsi di epatite B, (anche alcuni medici e pediatri con cui avevo parlato nutrivano perplessità sulla sicurezza e la vera utilità che tale vaccino venisse praticato in età pediatrica). Ma l’ASL doveva procedere come da protocollo ministeriale, e così cominciò il tira e molla… Iniziò la nostra obiezione, cominciammo a scrivere lettere su lettere all’ASL con le nostre richieste di chiarimenti, informazioni dettagliate sui vaccini, sulle reazioni avverse, cominciammo a frequentare le prime conferenze che si svolgevano in zona sull’argomento, organizzate dai movimenti dei genitori…


Il medico dell’ASL ci venne a trovare addirittura a casa, sorpreso dalla nostra decisione di non procedere, cercò di convincerci in tutti i modi ma stavolta, vista anche la brutta esperienza vissuta con la terza dose, le mie convinzioni cominciarono a scricchiolare. Gli chiesi come mai ci fosse una così grande differenza di trattamento tra le due ASL che avevo avuto modo di frequentare e lui mi rispose “Cara signora so che così le cose non sono fatte nel migliore dei modi, ma non ho le risorse economiche sufficienti per fare meglio” (Riflessione: È una questione di soldi o di salute?). Lo informai anche dei disturbi del sonno della bambina ma non ottenni molta attenzione. Cominciai a pensare che forse Claudio avesse ragione: mi affidai a lui che liquidò il medico con poche parole. Questi se ne andò con molto disappunto e ci minacciò di procedere con la denuncia nei nostri confronti. La cosa al momento finì così, la bambina non andava ancora all’asilo e le lettere dalla Procura tardavano ad arrivare.


Nel frattempo nasceva Paolo e con lui non ci fu storia: nessun vaccino, oramai avevamo deciso (nonostante i dubbi che tenevo a questo punto solo per me…). La storia con l’ASL si ripeté più o meno allo stesso modo e a questo punto arrivarono anche le lettere dal Tribunale dei Minori. Iniziammo quindi il nostro cammino giudiziario… e iniziò anche il nostro secondo trasloco… altro territorio… altra ASL. Nel frattempo la bambina frequentava l’asilo delle suore del paesino: con loro non ci fu alcun problema, accolsero la bambina molto amorevolmente e così anche noi. Ma la nuova ASL era in agguato: rilevato che non avevamo provveduto alla vaccinazione contro l’epatite B, inviò una lettera al distretto scolastico di zona, intimando l’esclusione della bambina dalle attività della scuola infantile. Cercammo di gestire la cosa con il buon senso (visto che a qualcuno mancava completamente…) e, dimostrando che il nostro era un contenzioso in sospeso (del giudizio del Tribunale dei Minori) ottenni una sospensiva di questa intimazione da parte della direzione scolastica e la bimba poté finire l’anno all’asilo.


Arrivò quindi l’incontro con il giudice del Tribunale dei Minori: era il 1995, a Trieste e in tutto il Friuli c’erano passate già diverse famiglie, e per tutte la solita storia… affievolimento della patria potestà, nonostante l’avvocato, ogni tentativo di portare argomenti validi, pagine di cronaca sui danni da vaccino, studi (pochi per la verità quelli disponibili all’epoca per genitori ancora poco esperti come noi…). La procedura legale prevedeva la richiesta di alcuni test clinici per accertare se i bambini che venivano sottoposti al vaccino potevano correre dei rischi. Ma quando lo chiesi al giudice mi rispose: “Cara signora che voi chiedete i test per i vostri figli, anche il vs. avvocato qui presente lo può richiedere per i suoi figli, e quindi anch’io lo posso fare. Si rende conto di quanto verrebbe a costare alla collettività?” (Riflessione: È una questione di soldi o di salute?).


Ma non ci scoraggiammo, ricorremmo in appello.


Con l’appello i procedimenti di Irene e Paolo vennero riuniti e ci fu la seconda udienza, alla quale ci presentammo fiduciosi che qualcosa potesse cambiare. Era un periodo ‘favorevole’ perché il Tribunale dei Minori di Trieste stava cambiando orientamento, passando da una posizione rigida contro gli obiettori ad un atteggiamento possibilista verso la valutazione di condizioni familiari idonee, ammettendo in una modalità indiretta la possibilità di obiettare. Tutto questo si doveva svolgere attraverso una perizia medico-legale da fare a cura di un CTU (consulente tecnico d’ufficio) nominato dal tribunale stesso: con questo intento ci presentammo in udienza. Pubblico ministero e difesa (la nostra) si trovarono d’accordo nella scelta. Sembrava fatta, anche perché quando il giudice chiese se c’erano altre cose da dire mi alzai con il mio bel promemoria che avevo preparato prima dell’udienza e cominciai a leggere le mie domande… venni subito stoppata dallo stesso che mi disse, molto gentilmente, che, visti gli accordi, alle mie domande avrebbe risposto il CTU che dovevano nominare! Dovevamo quindi solo attendere il pronunciamento della sentenza e aspettare il CTU.


Ma fu anche stavolta una grande delusione: venne confermata semplicemente la sentenza di primo grado. Ci sentimmo presi in giro, non solo per come erano andate le cose e perché non avrei più potuto fare le mie domande al CTU come era stato dichiarato, ma anche perché nella sentenza scrissero che “non c’era alcuna correlazione fra le vaccinazioni e i disturbi del sonno della bambina, come noi avevamo ipotizzato, e che questi erano dovuti all’aura di tensione esistente in casa riguardo alle vaccinazioni… ogni accertamento tecnico sarebbe stato quindi irrilevante e ridondante!”. (Riflessione: come mai l’aura di tensione c’era solo su Irene che le disturbava il sonno, mentre Paolo risultava immune e dormiva come un sasso…) Fortunatamente le cose andarono, come dire, all’italiana maniera: sentenza fatta, mai eseguita, nessun rumore, e tutti vissero felici e contenti.


Anni dopo ebbi l’occasione di ripresentarmi alla mia ASL per denunciare un paio di episodi di malattia infettiva (parotite e varicella) dei bambini (pensando di fare soltanto il mio dovere di cittadina…). Quando consegnai all’infermiera ‘l’apposito modulo’ compilato dal nostro medico curante e vide il nome dei miei figli, mi fece attendere e mi disse che il direttore dell’ASL mi voleva parlare. Ovviamente eravamo sul libro nero dei non vaccinati. Mi propinò la solita tiritera che le vaccinazioni hanno salvato milioni di bambini in Africa, che se non vaccino i miei figli praticamente domani si beccano la polio ecc… Quando cercai di esporre le ragioni della mia scelta e tutte le info che avevo raccolto nel corso degli anni si innervosì e arrivò ad accusarmi che ero un genitore ignorante e incosciente! Arrivò ad affermare che ero la tipica persona che quando ha il mal di testa anziché andare dal medico va dalla vicina di casa per chiederle cosa prendere. Ero così arrabbiata per questo atteggiamento aggressivo, che a mia volta lo accusai di essere una persona ottusa e maleducata, che dava dei giudizi arbitrari senza neanche conoscere le persone, e che io vado volentieri dalla vicina di casa per fare quattro chiacchere e per bere un caffè, ma che quando ho il mal di testa mi rivolgo al medico… e me ne andai. Quella fu l’ultima volta che misi piede nell’ASL. I miei figli sono cresciuti, quando ho avuto bisogno di un pediatra me lo sono andata a cercare da sola, senza bisogno dell’ASL, non hanno mai preso un antibiotico, li ho sempre curati in modo naturale e con l’omeopatia. Sono contenta delle mie scelte, delle mie battaglie; ho sempre i miei dubbi, ma chi non li ha?


Quello che non riesco a dimenticare è quell’immagine triste del VACCINATOIO e di questi medici insistenti, che non sanno ascoltare una madre, non riescono a trattarti come una ‘persona’, come qualcuno che ha bisogno di una risposta concreta e competente ai suoi dubbi e non di rassicurazioni generiche di facciata, minacce e offese gratuite.


Questa, invece, la seconda lettera:


Siamo una coppia di neogenitori che nel mese di gennaio 2013 è stata contattata dalla ASUR Marche, attraverso una lettera e un piccolo foglio illustrativo, per sottoporre la nostra bambina alle vaccinazioni obbligatorie e ‘fortemente raccomandate’.


Se abbiamo deciso di raccontare questo episodio è perché ciò che vorremmo sempre, da cittadini prima ancora che da genitori, è che venga rispettato il nostro diritto di essere bene informati su tutto, particolarmente quando si tratta della salute nostra e dei nostri figli, affinché ognuno sia libero di decidere per sé in modo consapevole. Come dicevamo, nel mese di gennaio (la nostra bambina non aveva ancora compiuto tre mesi) siamo stati contattati per eseguire le vaccinazioni.


Essendo appunto una scelta importante per me e mio marito, riguardante la salute della nostra bambina, abbiamo voluto informarci bene sulla prevenzione delle malattie pediatriche, sulle varie complicazioni in caso di contagio, sul contenuto dei vaccini, sulla scelta di poter eventualmente decidere se farli o meno, su quelli che si definiscono vaccini obbligatori, e sul significato alquanto ambiguo dell’espressione ‘fortemente raccomandati’.


In seguito a vari confronti, anche con più di un pediatra, per nulla inconsapevoli, anche se non del tutto appagati dalle risposte, siamo andati all’appuntamento, convinti di voler far fare alla nostra bambina solo i vaccini obbligatori, ma comunque con la voglia di saperne ancora di più su quanto necessario per decidere consapevolmente. Purtroppo quel giorno ci siamo dovuti imbattere con una realtà ben diversa, e che dobbiamo dire non ci aspettavamo. Le persone che ci stavano aspettando, infermiera e dottoressa, addette all’illustrazione dei vaccini, hanno sì espresso il loro sapere in fatto di vaccinazioni che avrebbero somministrato ma sottovalutando il fatto che sia io che mio marito avevamo un minimo di consapevolezza di ciò che volevamo e che quindi eravamo in grado di controllare l’accuratezza delle informazioni. Infatti, ciò che c’è stato riferito al nostro ingresso è stato: “Signori, vostra figlia oggi verrà sottoposta a due punture, ovvero dovrà fare due vaccini, uno detto ‘esavalente’ e il secondo per la ‘pneumococcica’ ”, al che io e mio marito ci siamo guardati, e io mi sono sentita di intervenire dicendo: “Scusi, perché mi dice ‘sua figlia dovrà fare due punture, quindi due vaccini’, come se fosse obbligatorio, quando lei sa benissimo che gli obbligatori per legge sono 4 e siete voi che accorpate più vaccini insieme e poi definite gli altri fortemente raccomandati? Se anche il termine è ambiguo, il significato di ‘fortemente raccomandati’ non è lo stesso di ‘obbligatorio per legge’, quindi sarebbe più giusto dire che sono io che posso scegliere se fare o non fare una puntura o due punture, un vaccino o due vaccini… ecc…, e non farmi credere che non abbia altra scelta! Credo lei stia facendo mala-informazione e credo che invece sia giusto che tutti sappiano cosa possono scegliere liberamente al di là del fatto che vengano già un po’ preparati o meno.”


Ci tengo a precisare che tutta questa discussione è avvenuta in termini molto civili e non è stato un pretesto per alimentare discorsi politici o economici che spesso si inseriscono nell’argomento vaccini. Fatto sta che alla mia uscita, mi sono permessa di chiedere alla signora dopo di me di farmi sapere cosa le avrebbero detto nel momento in cui sarebbe entrata. Be’, che ci crediate o no, da lì in poi le addette di quel giorno alle vaccinazioni hanno riferito le giuste informazioni, ovvero che al bambino di turno avrebbero eseguito la puntura con i vaccini obbligatori e che poi c’era la possibilità di scegliere se sottoporre il proprio figlio anche a quelle fortemente raccomandate.


Ora, ciò che non ho sopportato quel giorno e ciò che più mi ha fatto arrabbiare è proprio questo, che la gente non fosse informata. Arrivare a fare una scelta che riguarda la propria salute o quella di un figlio solo perché si ripone completamente la propria fiducia in qualcuno, delegando troppo spesso ad altri il diritto di scelta, non è giusto, anche nel caso in cui questo qualcuno sia l’esperto di turno! non può essere così! Ed è sì colpa nostra che non ci informiamo prima, che non approfondiamo, però in certi casi, come nel mio specifico, succede il contrario, ovvero che sia proprio l’esperto di turno a confonderci le idee, a dirci male quello che dovrebbe dirci in modo chiaro e preciso, o a non dirci quello che invece sarebbe giusto sapere prima di agire. Il mio intento, quindi, nel riferire questo episodio è proprio questo, non di fare una discussione su vaccino sì/vaccino no: non ne avrei le capacità, questa è davvero una scelta molto personale e per la vita, ma vorrei si lottasse per un impegno all’informazione, perché tutti arrivino ad una scelta che deve essere consapevole!


Calendari vaccinali a misura di bambino

Conosco tanti genitori che non sono convinti dell’utilità di vaccinare il loro bambino così come viene proposto dalla ASL, a volte per esperienze personali di reazioni avverse, altre per la semplice paura di queste. Alcuni decidono di vaccinare i propri figli quando sono più grandi, magari soltanto contro alcune malattie. È una pratica osteggiata e ostacolata dalle ASL, che fanno invece riferimento al Calendario Vaccinale in vigore. Credo che posticipare l’inizio delle vaccinazioni possa ridurre il rischio di reazioni avverse importanti. Il compito dei vaccini, lo abbiamo visto, è di intervenire sul sistema immunitario; proprio per questo, più di tanti altri farmaci, possono alterarne alcuni equilibri in modo permanente e/o irreversibile. Tutti i trattamenti medici possono causare effetti collaterali e reazioni avverse. Il rischio è accettabile in caso di necessità. Se ho una broncopolmonite, posso decidere di assumere un antibiotico, pur sapendo che mi potrà provocare una diarrea o anche, seppur raramente, una grave forma di allergia, come lo shock anafilattico. Le vaccinazioni si somministrano a tre mesi a lattanti che devono essere in perfetta salute. Vorrei che il rischio di reazioni avverse fosse davvero minimo. Correrei comunque questo rischio se fosse in atto un’epidemia. In Italia la poliomielite è scomparsa dal 1982, la difterite dal 1991. Oppure se la possibilità di contrarre quella data malattia sia alta. Un lattante di tre mesi non cammina ancora, per cui è quantomeno improbabile che contragga il tetano. Se le motivazioni di urgenza non esistono, appaiono evidenti i vantaggi nel rimandare nel tempo il primo inoculo vaccinale. Analizzando dati di una coorte di oltre 11.000 bambini del Manitoba dalla nascita nel 1995 fino al compimento del settimo anno, che avevano ricevuto fino a quattro dosi di DTP, i ricercatori hanno trovato che il rischio di asma era dimezzato nei piccoli nei quali la prima dose era stata ritardata di più di due mesi; per i bambini che avevano posticipato ulteriormente l’immunizzazione, il rischio di asma diminuiva ancora33. Se il rischio del contagio è prossimo allo zero, e i vantaggi del posticipare la scelta sono evidenti, i genitori dovrebbero poter scegliere la soluzione con il minor rischio possibile. Insieme a loro cerco di stabilire al meglio il rapporto rischio/beneficio delle singole vaccinazioni. Perché, ad esempio, vaccinare a tre mesi contro l’epatite B tutti i neonati? Posso capirne la necessità in un bambino nato da madre portatrice del virus, intravederne l’opportunità in bambini con patologie particolari (un bimbo affetto da insufficienza renale, o che necessiti di trasfusioni ripetute – anche se questo non depone a favore dell’efficienza e della sicurezza del nostro sistema sanitario). Questa vaccinazione, seppur raramente, può indurre una malattia importante, la sclerosi cerebrale. Non capisco il motivo di esporre un neonato sano a questo rischio per una malattia che si trasmette solo con rapporti sessuali o con sangue infetto. L’epatite B non si contrae frequentando gli altri bambini, non si prende andando all’asilo. Molte gravi patologie neurologiche, oltre la sclerosi cerebrale possono essere causate da questa vaccinazione. I genitori hanno il diritto di conoscere i rischi che il figlio può correre, le istituzioni avrebbero il compito di tracciare un bilancio reale e serio del rapporto rischio/beneficio con studi ampi e indipendenti, non sponsorizzati dalle stesse industrie che guadagnano vendendo i vaccini. Come ricordava anche la lettera che ho sopra riportato, l’obbligatorietà di questa vaccinazione porta la firma dell’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, condannato insieme all’ex direttore generale del Servizio farmaceutico nazionale Duilio Pog-giolini a risarcire lo Stato con 5.164.569 di euro per il danno di immagine generato dalla “tangentopoli dei farmaci” degli anni 1982-1992. La sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento inflitta dalla Corte dei Conti, scattata dopo le sentenze penali definitive emesse per i reati di concussione e corruzione. I responsabili della Sanità “hanno percepito somme da numerose case farmaceutiche”. Considerando che, come vedremo, l’obbligatorietà delle vaccinazioni non contraddistingue minimamente in Europa la politica sanitaria dei vari Paesi, e meno che mai di quelli più avanzati, non risponderebbe ad un principio di semplice buon senso, se non vogliamo parlare di etica sociale, il rivedere, nelle sue motivazioni e nei suoi fini, una politica vaccinale decretata da un Ministro che nel gestire la salute dei cittadini ha violato alcuni articoli fondamentali del Codice Penale? Siamo l’unico Paese al mondo ad avere una vaccinazione… obbligatoria per corruzione.

VACCINARE INFORMATI: CRONACHE DAI GENITORI

Non mi dire niente…

“Non mi dire niente, non voglio sapere nulla, la vaccino e basta, perché lo fanno tutti. Mi ha detto proprio così la mamma di Anita, una mia amica dai tempi delle elementari” mi racconta una signora ancora sgomenta. “E quando cercavo di spiegare le mie ragioni, e le dicevo di informarsi, di guardare qualche filmato su You-tube se non aveva il tempo di leggere un libro, di aspettare perché è meglio scegliere con la propria testa che seguire il gregge, mi ha voltato le spalle e se ne è andata. Non solo indispettita, ma anche spaventata”.


La grande maggioranza delle famiglie decidono di vaccinare i propri figli senza nemmeno chiedersi se sia giusto farlo, “perché, tanto, i vaccini sono obbligatori”. La molla è quasi sempre la paura delle malattie, alimentata spesso dai racconti dei nonni, che hanno conosciuto la polio e la difterite (ma certo non tutti i vaccini oggi consigliati), dalle pressioni dei pediatri (“se sapesse quanti casi di bambini morti per meningiti ho visto io”) e comunque da un ambiente esterno che si sente in diritto di intervenire, lodando sempre il conformismo, nelle scelte più intime e personali. Fare quello che fanno tutti è rassicurante, esprimere perplessità, sollevare dubbi è faticoso. Non è da tutti “andare in direzione ostinata e contraria”34. La paura delle malattie infettive è predominante, quella delle reazioni avverse non è contemplata. Tutti temono così il morbillo o la varicella, perché sono malattie conosciute, a volte viste di persona, ingigantite dai mezzi di comunicazione: sono diventate la peste del 2000.

Qualcuno saprebbe dirmi…?

Michela e Gabriele non avevano il minimo dubbio sull’opportunità di vaccinare il bimbo che presto sarebbe nato. Le loro fonti di informazioni, medico di base, ginecologo, pediatra, riviste, giornali con i loro supplementi sulla salute: tutti sostenevano l’importanza delle vaccinazioni, per cui era un atto naturale, quasi una routine prestabilita. Ascoltano un po’ stupiti, e molto scettici, le affermazioni di una coppia di loro amici, che non avevano vaccinato i figli per la paura di malattie autoimmuni presenti nella storia della loro famiglia. “A quel punto, un po’ per curiosità, un po’ pensando alla grande responsabilità che avremmo avuto quando sarebbe nato nostro figlio, abbiamo iniziato a informarci, attraverso internet, libri e convegni sul tema” dicono. “E più ci documentavamo, più ci convincevamo del potenziale rischio a cui avremmo sottoposto nostro figlio vaccinandolo. Ad un certo punto abbiamo smesso di documentarci rendendoci conto che continuando avremmo trovato materiale all’infinito sul ‘no ai vaccini’. E anche perché abbiamo trovato tanti casi umani davvero pietosi di famiglie distrutte dai danni causati ai figli dai vaccini, che ci hanno fatto riflettere profondamente. Poi la spinta definitiva ce l’ha data il prospetto informativo, firmando il quale si acconsentiva alle vaccinazioni e contemporaneamente si manlevava l’ASL da ogni responsabilità in caso di danni e/o reazioni avverse. Abbiamo letto una seconda volta perché non ci volevamo credere: noi non siamo medici, non conosciamo la materia, per cui come possiamo prenderci la responsabilità di una cosa su cui siamo incompetenti? E, al contrario, perché chi è competente non si vuole prendere nessun responsabilità? È come dire ‘fidati tu che io non mi fido affatto’. Un controsenso assoluto. Una volta che ci siamo documentati e che abbiamo comunicato alla ASL il nostro ‘no consapevole e informato’, siamo stati invitati a un incontro con il responsabile della Pediatria di Comunità della ASL, con l’obiettivo di dissipare i nostri dubbi. Ma in realtà ce ne ha messi altri, derivanti sia dalla lettura della documentazione scientifica e dei bugiardini dei vaccini che ci ha fornito, sia dalla incomprensibile veemenza con cui ci ha affrontati (come se si trattasse di una questione personale), pur avendo io e mia moglie tenuto un atteggiamento estremamente pacato e di puro ascolto, finalizzato ad evitare di fornire pretesti di alcun genere alla ASL sul nostro comportamento genitoriale. A proposito dei dubbi che avevamo posto in apposita comunicazione alla ASL sulla presenza di mercurio nei vaccini e sulla sua potenziale tossicità, il responsabile ha risposto: ‘anche nel tonno che mangiamo c’è una quantità importante di mercurio’. Ma che risposta è?! Ma ti sembra che a un neonato gli diamo il tonno? Anzi, proprio perché consapevoli di ciò, di certo prima di una certa età il tonno non glielo daremo. E d’altronde, per fortuna, almeno in questo caso non esiste nessuna legge dello Stato che ci obblighi a dargli da mangiare il tonno già dal secondo mese di vita! E comunque una cosa è l’ingestione graduale di mercurio derivante dall’assunzione di pesce, una cosa è l’iniezione diretta del mercurio.


In ogni caso noi gli abbiamo detto che non eravamo per un no in termini assoluti: per esempio quantomeno si potrebbe spostare i vaccini ad un’età in cui il bambino abbia già sviluppato un sistema immunitario più robusto, limitarne la somministrazione a quelli realmente utili allo stato attuale della diffusione delle malattie infettive a cui afferiscono, informare in maniera completa e trasparente sui potenziali danni, sottoporre il bimbo a test preventivi per limitare pericolose reazioni avverse, e soprattutto effettuare tutte le ricerche medico-scientifiche atte a stabilire o meno l’eventuale tossicità sui neonati dei diversi componenti presenti nei vaccini. Scopriamo che, stranamente, non c’è nemmeno uno standard internazionale rispetto alle tempistiche di somministrazione dei vaccini pediatrici, e che tali intervalli di tempo addirittura cambiano negli anni anche in uno stesso stato, e non c’è concordia a livello medico/scientifico su quale sia la loro copertura nel tempo (5 anni? 10?) e dunque se e quando occorrerebbe fare eventuali richiami dopo il ciclo effettuato in età pediatrica.


Oggi possiamo dire di essere molto contenti, e un po’ anche orgogliosi, della scelta che abbiamo fatto, anche alla luce del recente ritiro dell’esavalente in venti Paesi per problemi di contaminazione, della finta pandemia della febbre suina o virus A/H1N1 che tante polemiche ha suscitato in tutto il mondo (persino tra i medici) e, purtroppo, anche dei recenti casi di importanti reazioni avverse verificatesi il giorno dopo la vaccinazione a dei figli di due coppie di nostri amici. Il primo, di poco più di 2 mesi di età, il giorno dopo essere stato sottoposto al primo ciclo di esavalente, mentre era nell’ovetto dell’auto della mamma è collassato e per un lasso di tempo importante non ha risposto a nessuna sollecitazione. Quello che mi è rimasto impresso è stato il terrore che ho letto negli occhi della mamma quando ci raccontava l’accaduto e l’angoscia del padre che è riuscito solo a dirci: ‘fatevi raccontare da Elena’ (sua moglie). A quel punto hanno deciso di non procedere con le successive dosi di vaccino e di tenere il bimbo sotto stretta osservazione. L’altro bimbo che ha avuto una reazione avversa è il mio cuginetto di 5 anni, che ha passato i 3 giorni successivi alla vaccinazione anti-morbillo-parotite-rosolia con febbre da cavallo (41-42 gradi), convulsioni, vomito per ore e stato allucinatorio (raccontava alla mamma, che peraltro non riconosceva, di vedere cose che non c’erano). Mio zio mi ha detto che quando lo ha preso in braccio, il cuore di suo figlio batteva talmente forte da temere il peggio. Non c’è nessun commento possibile a simili episodi. Possiamo solo pregare che queste reazioni non abbiano lasciato strascichi di nessun genere sui due bimbi.” 35


L’informazione sui possibili effetti avversi a vaccino è prevista all’art. 7 commi 1, 2 e 3 dalla Legge 210 del 25 febbraio 1992.


Peccato non venga mai attuata.

Perché non me lo avete detto?

“Ho commesso il mio primo errore da mamma: spinta da parenti e amici, anche medici, ho fatto la prima dose di vaccino esavalente alla mia bimba, e sarà anche l’ultima. All’appuntamento chiedo alla dottoressa come mai se i vaccini obbligatori sono 4 (tetano, difterite, epatite B e poliomielite) ti fanno obbligatoriamente l’esavalente, regalandoti anche pertosse e haemophilus, e lei mi risponde che la legge sulla vaccinazione obbligatoria è vecchia e presto introdurranno anche i due vaccini aggiuntivi. In realtà la tendenza è esattamente l’opposta: in Veneto le vaccinazioni sono diventate facoltative, e in Europa sono obbligatorie in pochi Paesi. Chiedo perché mai io, che ho 37 anni, ho fatto il vaccino antipolio e anti diftetanico a due anni e mezzo, in un’epoca in cui alcune malattie non erano state debellate: mi risponde che non mi sa rispondere. Dopo il vaccino la mia bimba ha avuto la febbre alta, pianto inconsolabile, vomito e quant’altro. Indago e scopro che il giorno prima la Glaxo ha ritirato il vaccino esavalente da 20 stati, non l’Italia, perché contaminato da un batterio – il bacillus cereus – che, guarda caso, dà proprio vomito e dissenteria. Chiamo il centro vaccini e mi rispondono che il lotto incriminato in Italia non è arrivato, ma che non sanno dirmi il numero di lotto inoculato nella mia ASL. Già prima di farlo ero scettica e mi sono informata, purtroppo non abbastanza, sui possibili danni da vaccino, che spaziano dallo shock anafilattico all’encefalopatia, fino ad arrivare a danni neurologici gravi. Ho approfondito la ricerca solo dopo e ho scoperto che l’argomento è talmente vasto che non basterebbe un’enciclopedia, che esiste una legge dello stato che risarcisce i danni da vaccino: evidentemente questi non sono una fantasia di qualche hippy naturista”36.

Le sospette reazioni avverse, queste sconosciute

Sara entra in ambulatorio camminando incerta: ha quindici mesi ed è stata da poco dimessa dall’ospedale. È stata ricoverata per una porpora trombocitopenica37. Le sue piastrine erano diminuite a un valore poco superiore al migliaio. In media sono tra sono 150.000 e 400.000 per mm³ di sangue. Ha corso un bel rischio, perché con valori del genere possono svilupparsi emorragie in qualsiasi distretto del corpo. Adesso i valori sono risaliti, ma a distanza di un mese, siamo ancora lontani dalla guarigione. Pochi giorni prima dell’insorgenza della malattia Sara era stata sottoposta alla terza dose del vaccino antimeningococco B. Il dubbio dei genitori, il motivo per cui sono venuti a far visitare la bimba, era: “È stato il vaccino a causare questa malattia?” “Non lo so, è difficile dirlo con esattezza”, rispondo. “Cercheremo di capirlo. Sara è stata ricoverata per più di tre settimane; è stata fatta la segnalazione di sospetta reazione avversa?


Con la segnalazione di sospetta reazione avversa non si dichiara che il vaccino ha determinato quella determinata patologia, ma semplicemente si riporta che il bambino in una certa data ha effettuato la vaccinazione, o preso un certo farmaco, e dopo un intervallo di tempo è insorta una patologia, che può essere più o meno importante. Per reazione avversa si intende una risposta a un farmaco nociva e non voluta, che avviene a dosi normalmente usate o che insorga a seguito di modificazioni dello stato fisiologico38. Qualsiasi cambiamento dello stato di salute è una reazione avversa a un farmaco o a un vaccino. La farmacovigilanza è importante, permette di valutare in maniera continuativa tutte le informazioni relative alla sicurezza dei farmaci e serve a stabilire il rapporto beneficio/rischio per tutti i medicinali in commercio. Prima della messa in commercio di un farmaco, si dispone di dati provenienti da studi sperimentali, eseguiti su gruppi limitati e selezionati di pazienti, in condizioni ottimali. Quando poi il medicinale viene somministrato alla popolazione in generale, possono manifestarsi alcuni effetti indesiderati non riscontrati in fase sperimentale. La farmacovigilanza può considerarsi, dunque, un sistema di monitoraggio permanente, e costituisce l’ultima fase della sperimentazione farmaceutica (post-marketing). Per effettuare una corretta valutazione del profilo di sicurezza ed efficacia dei farmaci occorre quindi segnalare e raccogliere in un unico database tutte le eventuali “reazioni avverse a farmaco” (ADR) osservate sul territorio. Si distingue Adverse Drug Reaction (reazione avversa al farmaco) nel caso di un sospetto che l’evento sia correlato a un farmaco o vaccino da Adverse Events Following Immunization (AEFI) nel caso in cui ci sia la certezza che l’evento avverso sia correlato con il farmaco o vaccino

Il sistema nazionale italiano di farmacovigilanza è basato sull’inserimento delle ADR nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF) gestita direttamente da AIFA. Periodicamente tutti i dati nazionali sono poi riversati in un altro apposito database europeo (EudraVigilance), gestito dall’Agenzia Europea per i Medicinali. L’analisi delle segnalazioni di ADR inserite nei vari database di farmacovigilanza permette dunque di evidenziare eventuali farmaci pericolosi per la salute del paziente. Per funzionare, questo complesso meccanismo ha bisogno della cosa più elementare: che le segnalazioni vengano fatte, che i medici riportino le sospette reazione avverse, che riempiano queste semplici schede. Nessun meccanismo di sorveglianza può funzionare se chi deve segnalare quanto osserva quotidianamente si comporta come le tre scimmiette: non vede, non sente, non parla. Non è una questione di omertà, è una brutta abitudine che nasce dalla narrativa ufficiale secondo cui “I vaccini sono sempre sicuri ed efficaci”, il dogma che non ammette esitazioni. Ma come si può stabilire la reale sicurezza ed efficacia dei vaccini se la vaccinovigilanza non funziona? “Il vaccino non c’entra nulla!” si dichiara sempre e comunque, anche di fronte alle evidenze più eclatanti. “A tale monitoraggio – la farmacovigilanza – non sempre viene prestata la dovuta attenzione e raramente la sorveglianza viene considerata come parte integrante di un programma di vaccinazione”: lo affermano l’Ufficio di farmacovigilanza dell’AIFA e il Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell’Istituto Superiore della Sanità nel Rapporto sulla sorveglianza post-marketing dei vaccini in Italia 2009-2010. Basta scorrere i dati riportati per rendersene conto. “Per il vaccino esavalente, nel periodo in studio sono stati segnalati 1.116 casi di sospetta reazione avversa, pari a un tasso di segnalazione di 40 per 100.000 dosi vendute nel 2009 e di 37 per 100.000 nel 2010; con una percentuale di casi gravi del 12%. Le classi sistemico-organiche (SOC) a maggior frequenza sono state le ‘Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione’ (74% delle segnalazioni) e le ‘Patologie del sistema nervoso’ (23% delle segnalazioni). Nel complesso le reazioni più segnalate sono state: febbre (648 casi pari al 58% del totale), pianto (87 casi = 8%), ipotonia (57 casi = 5%) e orticaria (51 casi = 5%). Tra le reazioni gravi, oltre a febbre e ipotonia, sono state segnalate anche convulsioni afebbrili (18 casi) e convulsioni febbrili (17 casi). Nel 2009 è stato segnalato un caso di convulsioni in una bambina di 2 mesi; nove mesi dopo la vaccinazione è stato comunicato il decesso avvenuto in pieno benessere per sospetta SIDS” 39.


Non sono dati credibili: la vaccino-vigilanza è ancora una chimera. Basti pensare alla più comune delle reazioni avverse, la febbre. Riportare che in una popolazione di circa 500.000, vaccinati per 3 volte con l’esavalente (quindi più o meno 1,5 milioni di dosi), gli episodi di febbre sono stati solo 648 è lontanissimo da quanto avviene davvero, e da quello che riportano gli studi scientifici. Uno di questi ha evidenziato che una reazione febbrile superiore a 38° si registra nel 66% delle volte in cui s’immunizza un bambino40. La realtà, quindi, è ben lungi dai miseri 648 casi segnalati, con una distribuzione territoriale così disomogenea da suscitare imbarazzo: si va da tassi di segnalazione del 9,1 x 100.000 dosi della provincia di Bolzano allo 0,4 del Lazio, nel 2010. “I limiti della segnalazione spontanea sono noti: da una parte il numero dei casi segnalati è soggetto ad un tasso non noto di sottosegnalazione, dall’altro manca una esatta valutazione del numero dei soggetti esposti, sia come dato generale che con stratificazione per età. Non è possibile arrivare per il momento a conclusioni e questi eventi andranno seguiti nel tempo”41. La sorveglianza post-marketing non è credibile con un tasso di sottosegnalazione sconosciuto. E noi medici, per primi, non abbiamo conoscenze ufficiali per tracciare un reale bilancio rischio/ beneficio del vaccino, poiché “Non sempre è stato possibile fornire agli operatori sanitari un riscontro puntuale dell’attività di monitoraggio42.


Insomma, il sistema di vaccino-vigilanza è solo teorico, come ebbe a dichiarare in un’intervista al “Corriere della Sera” il Ministro della Salute Sirchia, e anche Sara e i suoi genitori lo hanno riscontrato. Nel periodo del lungo ricovero nessun medico si era preoccupato di effettuare la segnalazione di sospetta reazione avversa. Per compilare il modulo occorre il nome commerciale del vaccino, il numero del lotto, la data di scadenza. Dati non disponibili, per cui invito i genitori a tornare in ospedale per effettuare questa segnalazione. La risposta non è incoraggiante: i medici del reparto sostengono che tocca al medico vaccinatore effettuare la segnalazione. Prima richiesta agli infermieri del distretto socio-sanitario, ma la risposta è: “Tornate domani, non abbiamo i moduli”. Al nuovo appuntamento volta interviene il medico, che dice: “Non tocca a me compilare la scheda, ho parlato con il responsabile della farmacovigilanza, andate da lui, ma col vaccino secondo me non c’è nessun rapporto”. Visita al responsabile della farmacovigilanza, con attesa di circa un’ora per sentirsi dire: “Ho pensato che la cosa migliore sia che la scheda di sospetta reazione avversa la compiliate voi genitori. L’ho scaricata da internet. Adesso è ammessa anche questa modalità, finalmente anche i genitori possono effettuarla, e inviarla”. “Inviarla a chi?”, chiedono i genitori perplessi. “Ma alla farmacovigilanza!” “Cioè a lei?”. La rabbia, la sensazione di essere presi in giro è stata tale che i genitori di Sara si sono alzati e sono andati via. Mi hanno portato i dati necessari e ho compilato la scheda.

Quando nella percentuale insignificante di danneggiati da vaccino c’è tuo figlio

Il titolo di questo paragrafo so già che attirerà su di me l’accusa di fare del terrorismo. Del resto, non lo nascondo, le testimonianze che seguono sono quelle che incutono terrore in ogni genitore. C’è però, alla base, una grossa confusione, e devo ancora chiarire perfino a me stesso fino a che punto questa confusione sconfini nella malafede. Lo scopo delle testimonianze come quelle che qui riporto non è quello di suscitare panico nei confronti dei vaccini, bensì di dimostrare che non si può e non si deve affrontare un vaccino senza un’approfondita informazione. Al contrario, non sento mai alcuna voce di indignazione contro il terrorismo mediatico che ho ampiamente illustrato nei paragrafi dedicati alle pandemie influenzali immaginarie o alle presunte epidemie di meningite che sono state la causa, ad esempio, proprio dell’episodio che sto per raccontare. Quello è terrorismo finalizzato alla vendita di vaccini, come ho avuto modo di evidenziare. Il mio è un vigoroso richiamo affinché si usi tutta la prudenza del caso, prima di provocare eventi avversi, devastanti per gli individui e per le rispettive famiglie. Quale dei due terrorismi è volto al profitto? Quale deve essere considerato immorale?

Storia di Andrea

Il 27 ottobre 2010, durante la giornata nazionale del Condav43, il papà di Andrea ha voluto raccontarci l’ennesima storia di un vaccino, per giunta neppure obbligatorio, che taglia a metà la vita di una famiglia: prima e dopo l’inoculazione. Negli anni successivi, in occasioni analoghe, egli ci ha aggiornato via via sulle successive tappe della via crucis che lui e la moglie dovettero intraprendere per ottenere ciò che dovrebbe essere un diritto garantito, e che tale non è: il rispetto della verità. Preferisco riportare quanto scritto dallo stesso papà di Andrea, omettendo o abbreviando solo alcune parti:

“Andrea”, ha scritto il padre “è un bimbo che abbiamo fortemente voluto e pienamente desiderato”. Alla prima ecografia, sentito il battito di quel cuoricino, mi misi a piangere dalla gioia per quel piccolo frugolino che sarebbe poi diventato un bimbo castano chiaro con i ricciolini. Alla terza ecografia, quando seppi che era un maschietto, mi misi a ballare direttamente in ambulatorio… Andrea cresceva regolarmente, e sia le ecografie che gli esami genetici e i test metabolici ci davano la giusta garanzia che tutto era a posto. Andrea nacque il 17 ottobre del 2006, gli fu assegnato il punteggio massimo di 10 punti di Apgar. …In quel periodo lavoravo ancora tantissimo, prevalentemente all’estero, prendevo un aereo il lunedì e tornavo a casa il venerdì. Andrea nel frattempo cresceva, il rientro a casa in famiglia era una gioia. Era bellissimo vedere mio figlio fare i primi sorrisi, i primi sguardi ammiccanti, indicare con il ditino, sentirgli pronunciare le prime paroline. Conservo con mia moglie tanti bei meravigliosi ricordi di Andrea dalla nascita ai 17 mesi. Ricordi che in parte custodisco su una cinquantina di filmini e circa 250 foto. Mi ricordo quando nel lettone gli dicevo di nascondersi sotto il lenzuolo perché la mamma sarebbe da lì a poco entrata,… lui mi guardava,… rideva… e si nascondeva sotto il lenzuolo attendendo che la mamma entrasse in camera chiedendo ad alta voce dove fosse Andrea… Alla voce della mamma Andrea ricompariva da sotto le coperte con sonore risate… Mi ricordo Andrea fare ciao con la manina,… indicare col dito indice sui libricini o su gli album delle foto, il papà, la mamma e tante figure. Ricordo Andrea guardare un cagnolino fuori dal fruttivendolo, poi entrare in negozio, guardare me, guardare la negoziante e poi sorridente rubare un mandarino per portarlo fuori al cane… e infine riguardarmi perplesso del perché il cagnolino non prendeva il frutto dopo averlo annusato… Ricordo Andrea rubare il cono di gelato alla mamma e con sonore risate imbrattarsi la bocca di gelato. Il mio ultimo ricordo, forse il più bello, è legato a quando avevamo insegnato ad Andrea ad aprire le braccine per esprimere… ‘Quanto bene vuoi alla Mamma? Quanto bene vuoi al papà?’ Quando rientravo il fine settimana, aperta la porta di casa, bastava lo chiamassi… lui mi correva incontro con le braccine aperte, mi si avvinghiava ad una gamba, strusciava il nasino, alzava lo sguardo e mi chiamava ‘PAPÀ’… Da una settimana all’altra NON lo fece più.


Andrea è stato un bimbo meraviglioso e in perfetta crescita sino al 20 febbraio 2008. Quando dico perfetta crescita voglio dire che Andrea era neurologicamente sano e pieno di quella partecipazione che rende ricca e completa una famiglia. Nell’ultimo filmino fatto il 18 febbraio 2008, cioè 2 giorni prima di quella fatidica data, Andrea è come sempre allegro e felice, intento a girare le pagine di un album di fotografie con entrambe le mani,… e con sonore risate ad indicare di volta in volta a seconda della foto, papà, mamma e se stesso, nominandoli per nome. Siamo a febbraio del 2008. Tutti ricordiamo quella MEDIATICA epidemia di meningite che terrorizzava le famiglie tra il Veneto e la Lombardia tra fine 2007 e i primi 2008. Ho utilizzato il termine ‘epidemia mediatica’ perché immancabilmente ogni sera i telegiornali annunciavano per bocca delle ASL che nuovi focolai e quindi nuovi casi di meningite spopolavano nelle nostre regioni. Le ASL tramite telegiornali, giornali, e per bocca dei pediatri, raccomandavano fortemente la vaccinazione contro la meningite specie nei bimbi in tenera età.


Non voglio commentare la liceità di come i media affrontarono il periodo, ma posso solo dirvi che noi genitori eravamo spaventati, impauriti e… desiderosi di proteggere nostro figlio con quella vaccinazione. Chiesto un parere al nostro pediatra, questi senza nemmeno commentare ci preparò un certificato mediante il quale si raccomandava la vaccinazione antimeningococcica per nostro figlio Andrea.


Andrea ricevette il vaccino la mattina del 20 febbraio 2008. Inutile dirvi che da lì in poi sarebbe iniziato il suo e nostro calvario. Dal giorno dopo Andrea era agitato, agitatissimo, Andrea piangeva, non dormiva, sudava tantissimo e beveva disperatamente. Mi ricordo la sua sete come ‘atavica’. Beveva fino a 3 biberon da 250ml a notte svegliandosi piangendo ogni 20/30 minuti. Tre giorni dopo il vaccino mia moglie portò Andrea dal pediatra spiegandogli che era preoccupata di questi sintomi. Le fu risposto che tutto ciò era normale perché ad Andrea stavano crescendo i dentini e questo poteva portare a un leggero stato febbrile nonché un po’ di dolore e irrequietezza e… quindi dovevamo stare tranquilli perché Andrea non aveva assolutamente nulla. Otto giorni dopo quel maledetto vaccino Andrea veniva filmato da mia moglie mentre mostrava i primi episodi di scialorrea e continuava a non dormire, a bere, a piangere, ad essere sempre sudato e agitato. Di lì a poco Andrea perse prima l’uso finalizzato delle sue paroline, poi le paroline stesse, poi la capacità di capire il nostro linguaggio e la capacità di esprimere i propri bisogni. Poche settimane dopo il pediatra utilizzò definitivamente il termine ‘regresso’ e ci disse di sospettare un tumore al cervello… Andrea cominciava a picchiarsi la testa, a guardare di lato, ad oscillare il capo da destra a sinistra e poi ancora da sinistra a destra senza che riuscissimo a fermarlo. Si muoveva con scatti meccanici, non mostrava più nessun tipo di affetto, partecipazione, nemmeno sguardo. I teneri baci che dava sempre a mia moglie erano ormai un ricordo. Non camminava più, correva o girava su se stesso o intorno a qualcosa o in tondo e poi cadeva… cadeva… cadeva. Quando POI gli fu prescritto e somministrato l’antibiotico ormai era troppo tardi; Andrea ricominciò a dormire, era di nuovo calmo, non aveva più la schiena e il collo rigidi come un bastone, non correva più. Ricominciava a muoversi di nuovo come un bambino quasi normale, non si picchiava più la testa e aveva spento sia le stereotipie che i manierismi motori… ma ormai era tardi… era troppo tardi. Io e mia moglie eravamo disperati, io abbandonai il lavoro per 9 mesi, rinunciando poi allo stesso con un altro pur di stare il più possibile vicino a casa. Mia moglie chiese la sospensione per mezzo della legge 104. Il pediatra ci ripeté che Andrea aveva avuto un regresso psicomotorio, ma senza darci altre spiegazioni. L’istituto Besta in cui Andrea era stato ricoverato ci disse e ci scrisse la stessa cosa: ‘regresso’. Nostro figlio aveva subìto un danno neurologico… difficilmente avrebbe potuto ritornare ad essere il bimbo che stava crescendo come gli altri bimbi… ci fu detto di rivolgerci alla neuropsichiatria della nostra circoscrizione per iniziare la cosiddetta… ‘riabilitazione’.


Io e mia moglie dicemmo subito a tutti, e sottolineo a tutti, che avevamo il sospetto che tutto ciò fosse successo a causa della recente vaccinazione. Mi ricordo gli sguardi sia del pediatra che di taluni medici che ci guardavano quasi fossimo dei terroristi. Iniziammo il calvario del pellegrinaggio dai vari pseudo-specialisti, quelli dai 300 euro in su, oppure dai 750 euro pagati per ‘leggere’ la cartella clinica… Ogni volta mi fu chiesto perché al ricovero non fu fatto il prelievo del liquor,… non ho saputo rispondere… Anche se ancora oggi nutro ampia fiducia in quel medico che ci ha assistito e sostenuto durante il ricovero, non so rispondere. Riportato a casa nostro figlio, tutto ci sembrava allucinante e irreale. Andrea non rispondeva più agli stimoli, non indicava più, non usava più le sue dolci paroline, non sorrideva più, non era più attaccato a noi, non mostrava più affetto, non ci guardava nemmeno più,… era come se nella sua testa si fosse staccato un interruttore. Di notte leggevo quanto più potevo e cercavo di ricostruire ogni suo giorno pregresso con le foto ed i filmini: nostri, dei nonni, degli zii e degli amici.


Ci recammo alla neuropsichiatria della nostra ASL, Andrea fu inserito in lista d’attesa, erano gli ultimi di Luglio del 2008. Sì, ho proprio detto lista d’attesa. Sembrerà allucinante quanto sto per dirvi,… ma la lista d’attesa per un bambino che ha avuto una meningoencefalite, in Italia dura 13 mesi! Il famoso intervento ‘intensivo e precoce’ tanto caro alle ASL comporta una lista d’attesa che dura 13 mesi! A settembre 2009 ci fu finalmente offerto l’intervento intensivo e precoce… ossia 1,5 ore alla settimana di psicomotricità relazionale (2 volte di 45 minuti) da farsi al mattino al posto dell’asilo. Non voglio commentare altro. Andrea era certificato con un handicap del 100% dall’autunno 2008. Nel frattempo, avevamo ricostruito grazie a foto e filmini la vita di Andrea. L’ultimo filmino di Andrea è di 36 ore prima del vaccino, il primo filmino successivo al vaccino è di pochi giorni dopo, Andrea è nei filmini come vi ho descritto prima. Ormai non avevamo più dubbi, era stato il vaccino.


Da qui è iniziato il quarto calvario. Mai e poi mai avrei creduto di toccare con mano tanta omertà in chi ha fatto il giuramento di Ippocrate! Lungi dall’offrire aiuto e supporto psicologico a genitori che vivono il trauma feroce di un bambino sano divenuto all’improvviso affetto da grave handicap, le autorità sanitarie si trasformarono a questo punto in meccanismi complicatissimi e tortuosi, ma miranti a un solo scopo: insabbiare il problema.”


Tali meccanismi, sempre gli stessi in quasi tutte le testimonianze di questo tipo, devono garantire che ogni sforzo dei familiari tendente al riconoscimento del danno procurato, e ogni loro desiderio di trasformare la propria tragedia in un caso medico utile almeno per il futuro, cada nella palude vischiosa del silenzio, del cavillo burocratico, del vuoto legislativo, del controsenso logico di un sistema sanitario che non segue più una propria etica autonoma e indipendente, ma si fa specchio della politica più deteriore, quella fondata sullo scarica-barile, sull’astuzia a danno del più debole (in questo caso la famiglia del bimbo danneggiato), sull’utilizzo della legge come protezione del solo legislatore. Quest’ultimo, infatti, da un lato promuove il ricorso a un vaccino, o lascia che altri, del tutto arbitrariamente, lo facciano (i mass media, per esempio), e dall’altro approva delle norme che consentano al Ministero della Salute di lavarsi le mani in caso di reazione avversa grave.


“La follia – ha dichiarato successivamente il papà di Andrea – l’avrete quando chiederete se sia stata fatta la segnalazione di reazione avversa. Sarete ricevuti dall’infermiera di turno la quale non capendo di cosa state parlando vi fisserà un appuntamento con il medico vaccinatore. All’appuntamento il medico vaccinatore vi guarderà sorpreso, stupito, con saccenza e strafottenza e vi dirà che per far la segnalazione di sospetta reazione avversa occorre essere certi. Sì, avete capito bene, per compilare un modulo che nell’intestazione ripete senza possibilità di modifica il termine ‘sospetta’, vi diranno che per compilarlo bisogna avere delle certezze!”


Segue, nel racconto del babbo di Andrea, l’incontro con la Direttrice generale dell’ASL, che evidenzia come “il rapporto costi/benefici è a favore della comunità e purtroppo non sempre del singolo che si intende proteggere; finalmente viene compilata la famosa scheda di segnalazione di sospetta reazione avversa. In realtà anche quest’ultima procedura si traduce nell’ennesimo atto di vuoto formalismo, in quanto il dirigente incaricato di compilare il modulo, non indicherà il vaccino sospettato di avere provocato il danno, bensì elencherà pedissequamente tutti i vaccini somministrati, specificando che all’atto del ricevimento della segnalazione esiste solo una presunta coincidenza temporale. Questo evidentemente significa aggiungere disperazione alla disperazione, in quanto non c’è niente di peggio per un genitore che viva un’esperienza del genere che sentirsi impossibilitati perfino a raccontarla, perché percepisce con chiarezza che l’interlocutore istituzionale non vuole ascoltarlo per cercare di capire, ma solo imporgli una propria versione dei fatti, lontana da quella che la famiglia ha vissuto e sperimentato minuto per minuto. Certo, non tutti i medici hanno cooperato al muro di silenzio che poco, a poco, si è creato attorno ai genitori di Andrea. Ben cinque istituti pubblici, (il neurologico Carlo Besta, il policlinico De Marchi di Milano, il Casimiro Mondino di Pavia, il Santa Lucia di Roma) un istituto privato e due medici professionisti hanno steso delle relazioni cliniche dalle quali emergeva a chiare lettere la verità: Andrea era stato colpito da una meningoencefalite postvaccinica indotta dal vaccino antimeningococco Menjugate della Novartis, lotto 166011.


Toppo poco per dichiarare un rapporto di causalità, accerterà la Commissione Medica Ospedaliera militare che, in base alla legge 210/92 è competente per i danni da vaccino. La Commissione, racconteranno i genitori di Andrea, era costituita da un solo medico militare, un oculista. Documenti, filmati, anamnesi, diagnosi, certificati, tutto quanto la famiglia aveva attentamente raccolto nel corso dei mesi al fine di dimostrare la perfetta salute di Andrea prima della vaccinazione, vengono sparpagliati alla rinfusa su una scrivania e ricevono sì e no un’occhiata fugace. “Signor F.”, sono le parole del tenente medico nel racconto dei genitori, “il danno c’è, è evidente, però il discorso è che si dovrebbe individuare il lotto incriminato ed è impossibile. Dato che noi non ci assumiamo questa responsabilità, la facciamo assumere al diretto interessato che in questo caso è il Ministero della Salute, capito?… ne ho visti tanti, allo stesso mio figlio non glielo faccio fare, però purtroppo in primo acchito noi non possiamo dare direttamente il nesso… perché creeremmo un humus legislativo in cui tutte le altre CMO non sarebbero allineate. Allora noi ci siamo messi d’accordo, tra le varie CMO, di agire in questo senso…, in modo tale che il Ministero della Salute si assuma la sua responsabilità. Per farle capire è un po’ come il danno da Talidomide all’epoca, quando i pazienti nascevano senza braccia, senza gambe,… capito?


Pertanto, il verbale della ‘Commissione’ non fa che ripetere stancamente le formule della burocrazia, con le usuali incongruenze che la burocrazia comporta rispetto alla realtà fattuale. Nelle parole dei familiari: “nel verbale si afferma che l’encefalopatia può essere associata ad alcune vaccinazioni obbligatorie: l’antimeningococco NON è una vaccinazione obbligatoria ma solo raccomandata, per cui tra l’encefalopatia di mio figlio in merito alla vaccinazione specifica, non essendo questa obbligatoria, non può esserci associazione.”


Implacabile, poi, fu il rigetto di qualsiasi responsabilità da parte del Ministero, il quale si fece prontamente scudo della norma di legge, che all’epoca non prevedeva riconoscimenti di sorta per le vaccinazioni non obbligatorie, e perentoriamente rifiutò ulteriori approfondimenti del problema: “In riferimento alla mail del 30 settembre 2012 nel ribadire che con il parere e con le successive note esplicative si è concluso l’iter del ricorso amministrativo ex art. 5 Legge 210/92 si informa che l’attività del UML è ben precisata e sancita da ordinamenti che non prevedono risposte ai quesiti posti dai privati. Per tanto si ritiene di non poter fornire ulteriori informazioni medico legali inerenti il caso di Andrea”.


Un’attenta ricostruzione dei fatti segnalati all’epoca anche dalla stampa evidenzia, però, come la sbrigatività del Ministero non fosse soltanto frutto della dura necessità di attenersi al testo legislativo, ma tendesse a nascondere dettagli altamente imbarazzanti. Infatti, come giustamente sottolinea nel suo resoconto il padre di Andrea, durante la fasulla epidemia di meningite del 2007-2008 le famiglie terrorizzate correvano alle ASL per cercare l’antimeningococco, vaccino che in breve tempo era diventato introvabile. In breve tempo si creò un vuoto nelle scorte, e si importarono i vaccini dall’Inghilterra. Ne dava notizia il quotidiano “la Repubblica” del 19 gennaio 2008: “l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato l’importazione dall’Inghilterra di 140.000 dosi del vaccino per tutta Italia che saranno disponibili negli ambulatori pubblici”. Ma nel gennaio 2009, lo stesso antimeningococco prodotto a Siena dalla Novartis Siena viene ritirato in ben 60.000 dosi in Inghilterra, poiché si era scoperto che un batterio, lo stafilococco, era presente in alcuni campioni prelevati per test. Il “Corriere della Sera” riportava, infatti: “Ritirato antimeningite proveniente dall’Italia”, e così il “Times” del 26 febbraio 2009: “Ritirati vaccini per neonati causa rischio di contaminazione”; “Novartis che produce il vaccino in Italia ha detto di aver scoperto tracce di stafilococco aureus nel solvente”.


Se ogni segnalazione di reazione avversa, anche gravissima, avviene in questo modo, e se il nostro sistema sanitario tende alla sistematica eliminazione dei dati e delle informazioni, allora quanti sono veramente i casi di danni da vaccinazione? Quanti sono i bambini danneggiati che vivono nel silenzio loro e delle loro famiglie?


“Mio figlio”, scrive il papà di Andrea, “è stato vaccinato nella circoscrizione dell’ASL di Crema. La Direttrice della Neuro Psichiatria Infantile di Crema mi ha dichiarato che le diagnosi di ‘disturbo generalizzato dello sviluppo’ in età pediatrica sono passate da una media del triennio 2005/2006/2007 di 180 casi annui… ad oltre 530 diagnosi nel 2008!… ora mi chiedo… ma è possibile che a NESSUNO sia venuto in mente di verificare con che frequenza sono stati vaccinati questi bimbi con lo stesso lotto o lotti contigui a quello che ha rovinato mio figlio? Se è vero che la salute collettiva passa attraverso un grande progetto di tutela quale quello della vaccinazione, è pur vero che nessun grande progetto vale la vita di un bambino. Poco importa se il fato vuole che capiti ad un bambino ogni X decine o centinaia di migliaia di nuovi nati nel mondo. Quando capita a tuo figlio, è come se capitasse al mondo intero.

Storia di Silvia

In casi come quello di Andrea le testimonianze dei genitori sono concordi: le informazioni sugli eventi avversi ai vaccini sono taciute, nascoste, minimizzate; il diritto di conoscere il rischio a cui si sottopone il bambino viene negato. Senza queste informazioni i genitori non possono collegare gli eventi avversi che si verificano dopo le vaccinazioni, con l’immunizzazione stessa. Un bambino presenta una convulsione dieci giorni dopo il vaccino, e quasi sempre i genitori si sentiranno dire che la vaccinazione non c’entra nulla, che è impossibile, che il vaccino è sicuro. C’è un intreccio perverso tra l’ignoranza che la patologia insorta può essere causata da un danno postvaccinico e l’omessa segnalazione da parte dei medici, che comporta la prosecuzione del ciclo vaccinale, senza tener per nulla in conto delle controindicazioni ufficiali e in barba alle più elementari regole di prudenza. Con la conseguenza che le lesioni saranno molto più gravi: il mancato o ritardato riconoscimento della patologia non può che provocare ulteriori danni. A volte, per la paura che parlare di lesioni postvaccinali possa “danneggiare” l’immagine del vaccino, “chi riporta una reazione avversa non viene curato, ma abbandonato a se stesso”. È questo che mi dice la mamma di Silvia quando racconta la storia della malattia della figlia: “Una donna si sente madre fin da quando il test di gravidanza risulta positivo e, da quel momento in avanti, il suo corpo e la sua mente sono proiettati verso un unico obiettivo: la salute del proprio bambino. Per questo motivo, dopo aver partorito, iniziano le prime paure delle neomamme che, per proteggere il proprio bebè, cercano di tenere a distanza di sicurezza estranei e parenti, perché potenzialmente portatori di malattie. Per questa ragione, alcuni mesi dopo, quando vengono proposte le prime vaccinazioni, molte di loro si sentono rassicurate e sono ben liete di accettare qualsiasi tipo di protezione venga loro offerta, il tutto senza avere la minima conoscenza dell’importanza dell’atto che stanno per compiere. Perciò, alcune si recano a questo importantissimo incontro molto preparate, tante altre un po’ meno e lasciano che sia il caso a scegliere per loro. Il giorno in cui ho portato la mia quartogenita a fare le vaccinazioni, purtroppo, io facevo parte di quest’ultimo gruppo. Così, dopo aver discusso con mio marito tutto il giorno precedente sulla necessità o meno di somministrare tanti vaccini a una creatura così piccola, non troppo convinta e in preda a una strana ansia, il 30 settembre 1997 mi sono recata all’Ufficio di Igiene del mio Comune. Sempre molto inquieta ho chiesto alla dottoressa se le vaccinazioni che stavano per somministrare alla mia bimba avrebbero potuto avere effetti collaterali gravi e lei, con un sorriso rassicurante, mi ha spiegato che no, che eravamo quasi nell’anno 2000 e quelle cose non capitavano più, che i vaccini erano sicuri… Anzi, mentre eseguiva una sommaria visita alla bimba (controllo gola e auscultazione dei polmoni), mi informava che, se fossi stata una mamma attenta alla salute della propria figlia, avrei dovuto proteggerla anche dalla pertosse, una malattia con un alta percentuale di decessi nei neonati, che poteva essere evitata grazie alla nuova vaccinazione antipertossica acellulare, priva di effetti avversi. Così, vincendo le mie ansie e le mie paure, volendo evitare alla mia piccola qualsiasi malattia potenzialmente pericolosa per la sua salute, oltre alle quattro vaccinazioni obbligatorie (difterite, tetano, antiepatite B e antipolio orale), le ho fatto fare anche l’antipertosse. I giorni seguenti, a differenza dei suoi tre fratelli che si erano sempre mostrati irrequieti e inappetenti, Silvia appariva calmissima, tanto da far esclamare a suo padre che le mie ansie e paure erano state eccessive e che ora avrei potuto stare tranquilla perché avevo protetto la mia bambina da tanti malanni e soprattutto dalla malattia che mi spaventava più di tutte: la poliomielite. Non sapeva quanto si sbagliava… Il 2 ottobre Silvia effettuava una visita pediatrica nella quale le veniva diagnosticato un leggero arrossamento delle prime vie aeree. Nulla di grave. Nei giorni seguenti sarebbero seguiti feci liquide e rigurgiti di latte, ma essendo una neonata allattata al seno la cosa non mi preoccupava più di tanto. Invece avrebbe dovuto: il vaccino antipoliomielitico orale vivo attenuato, può retromutare nell’intestino e causare proprio la malattia per cui ci si è stati vaccinati, ovvero la poliomielite. Peccato che nessuno mi abbia avvisato di questo possibile effetto avverso… Verso la metà di ottobre la piccola diviene irrequieta, presenta un rialzo febbrile (38°) e inizia a piangere in modo “lamentoso”, tanto che, insieme a mio marito, decidiamo di portarla in ospedale dove viene ricoverata per una laringite e una sindrome influenzale. Dopo 3 giorni in cui le viene somministrato solo un antipiretico per abbassare la febbre, decidiamo di riportarla a casa: abbiamo altri tre figli che richiedono l’attenzione della mamma. Da lì a pochi giorni, il virus prenderà il sopravvento e paralizzerà Silvia. Questo, però, non sarebbe successo se solo i medici mi avessero ascoltato e non avessero subito liquidato, dichiarandola “impossibile”, la mia ipotesi di possibile paralisi da vaccino antipolio.”

Storia di Marco, Andrea, Alberto

Ho conosciuto Giorgio Tremante alla fine di una conferenza a Rovereto, qualche anno fa. Era stato organizzato un incontro pubblico che prevedeva un confronto con il responsabile del Servizio di Prevenzione della Provincia autonoma trentina. Io esponevo i tanti dubbi, le mie critiche alla pratica delle vaccinazioni di massa, mentre il collega illustrava correttamente le “verità” ufficiali. Eravamo sul palcoscenico di una bella sala da concerti. Vedevo in platea un uomo che si agitava, palesemente insofferente per le affermazioni sulla comprovata sicurezza delle vaccinazioni, e sulla inesistenza delle reazioni avverse. È stato il primo a intervenire quando si è aperto il dibattito, e ha raccontato la sua storia, quella di Marco e Andrea, morti in conseguenza della vaccinazione antipolio, e Alberto, il figlio reso cerebroleso dal vaccino. Non conoscevo Giorgio di persona, ascoltare dalla sua voce il ricordo della sofferenza della sua famiglia mi ha fatto venire i brividi, mi ha suscitato sentimenti di vergogna e smarrimento per l’incapacità di noi medici di potere e saper affrontare situazioni così tragiche. La vicenda dei fratelli Tremante è esemplare e l’ostinazione e l’impegno di questo padre che ha trovato la forza di denunciare quanto accaduto ai suoi figli, è di conforto anche per i genitori che hanno perso i propri e li piangono in silenzio, senza avere l’energia di ricordare e raccontare in pubblico quello che si vuole seppellire. Fino al 1995, infatti, Giorgio ha dovuto subire un’azione durissima di discredito da parte delle autorità sanitarie per la sua ostinazione a far loro riconoscere ufficialmente quanto aveva dichiarato il medico. Questi, infatti, esaminando la cartella clinica e la descrizione dei sintomi intervenuti dopo la somministrazione dell’antipolio Sabin (nistagmo oculare, tremori e difetti alla parola), li aveva messi in relazione proprio con il vaccino. Fu preso per un pazzo e un visionario. Nel 1992 venne approvata la legge 210 sui danni da vaccino, e tre anni dopo Giorgio si vide riconosciuti i danni subiti dai suoi tre figli. Nel gennaio 2009, però, una sentenza del Tribunale di Venezia gli ha negato il diritto a ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali, in quanto: “Non si può ritenere che all’epoca sussistesse, secondo le regole della miglior ars medica, un obbligo generalizzato di preventiva effettuazione di analisi volte ad accertare eventuali deficit immunitari”.


Ci sentiremmo di aggiungere che l’obbligo legislativo non sussisteva, ma l’obbligo morale avrebbe dovuto prevalere, se solo la morte del primogenito fosse stata indagata nelle sue cause con un impegno rivolto più a comprenderne le cause che a salvaguardare il sistema sanitario da possibili risvolti giudiziari.

Alcune riflessioni

I casi che ho fin qui riassunto rendono bene l’idea del dogmatismo imperante nel sistema sanitario italiano, e della sua scarsa o nulla attitudine a trarre frutto dall’esperienza accumulata. Questa esperienza, i dati osservazionali raccolti, i casi segnalati, anziché diventare strumento di innovazione e adattamento del sistema ai bisogni reali dell’individuo, vengono ogni volta azzerati, ostinatamente ignorati, in nome di una concezione che pone il singolo paziente al servizio del sistema, e non viceversa, e in nome di una visione della medicina che è tutto tranne che scientifica. Il costo umano altissimo imposto a un bambino danneggiato da vaccino dovrebbe almeno servire per evitare altri casi del genere. Ma volessimo anche ammettere, per assurdo, che non esiste alcun rapporto causale tra l’insorgenza di determinate sindromi o patologie e i vaccini, un cambiamento di alcune norme ora vigenti appare indispensabile al solo fine di garantire i pazienti da distorsioni e inquinamenti delle decisioni di politica sanitaria dovute a conflitti di interesse. Dovrebbero, cioè, costituire un motivo più che sufficiente per introdurre alcune modifiche al quadro normativo attualmente in vigore, come esporrò in seguito. Prima di affrontare questo argomento, diamo uno sguardo al contesto europeo riguardo alle politiche vaccinali.

Obbligo vaccinale in Europa: assenza di strategie condivise

VACCINAZIONI OBBLIGATORIE E RACCOMANDATE IN 29 PAESI EUROPEI

PAESE EUROPEO VACCINI OBBLIGATORI VACCINI RACCOMANDATI SOLO NEI SOGGETTI A RISCHIO
Austria - -
Belgio 1 = Polio 1 = Epatite B
Bulgaria 11 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Pneumococco, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano, Tubercolosi -
Cipro - -
Repubblica Ceca 9 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano 3 = Epatite A, Pneumococco, Tubercolosi
Danimarca - -
Estonia - -
Finlandia - -
Francia 3 = Difterite, Polio, Tetano 2 = Epatite B, Tubercolosi
Germania - -
Grecia 4 = Difterite, Epatite B, Polio, Tetano -
Ungheria 10 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano, Tubercolosi 1 = Epatite A
Islanda - -
Irlanda - -
Italia 4 = Difterite, Epatite B, Polio, Tetano -
Lettonia 12 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Papillomavirus, Pneumococco, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano, Tubercolosi -
Lituania - -
Lussemburgo - -
Malta 3 = Difterite, Polio, Tetano  
Olanda - -
Norvegia - -
Polonia 10 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano, Tubercolosi 1 = Pneumococco
Portogallo - 1 = Tetano
Romania 10 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano, Tubercolosi 1 = Pneumococco
Slovacchia 11 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Pneumococco, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano, Tubercolosi 2 = Epatite A, Influenza
Slovenia 9 = Difterite, Emofilo B, Epatite B, Morbillo, Parotite, Rosolia, Pertosse, Polio, Tetano -
Spagna - -
Svezia - -
Regno Unito - -


Nel 2010 è stata condotta un’indagine dal network Venice (Vaccine European New Integrated Collaboration Effort) in 29 Paesi (i 27 Paesi dell’Ue, più Islanda e Norvegia), relativa all’attuazione dei programmi vaccinali nazionali, che comprendono sia vaccinazioni obbligatorie che raccomandate. Dallo studio emerge che 15 dei 29 Paesi europei non hanno alcuna vaccinazione obbligatoria e che gli altri 14 ne hanno almeno una all’interno del proprio programma vaccinale44.


L’obbligatorietà è difesa in alcuni Paesi con provvedimenti legislativi molto diversi (conseguenze penali per i genitori, sanzioni pecuniarie, o difficoltà a frequentare le scuole pubbliche) o può essere molto più mite, con sanzioni solo teoriche e mai applicate, permettendo in pratica l’obiezione e l’adozione di calendari vaccinali alternativi. Anche i programmi di vaccinazione differiscono considerevolmente: sono diversi i vaccini, il tipo utilizzato, il numero totale di dosi, e la tempistica delle somministrazioni. La vaccinazione contro la poliomielite è obbligatoria in 13 stati, quella contro difterite in 12 e quella contro l’epatite B in 10. I vaccini contro papilloma-virus, varicella e rotavirus sono obbligatori (per gruppi a rischio) solo in 1 Paese, quello contro l’epatite A in 2, il vaccino contro lo pneumococco in 4, in nessuna quello contro il meningococco C e l’influenza stagionale. I dati non mostrano differenze significative nelle coperture vaccinali tra i Paesi che raccomandano e quelli che invece rendono obbligatorie le vaccinazioni più importanti. In quelli che prevedono nel proprio programma di immunizzazione sia vaccinazioni obbligatorie sia raccomandate (come per esempio in Francia, Grecia, Italia e Malta), benché i vaccini contro pertosse, morbillo, l’Haemophilus influenzae di tipo B (Hib) non siano obbligatori, la copertura risulterebbe comunque molto alta. Naturalmente è più che sensato che ogni stato abbia un programma vaccinale adatto allo specifico quadro epidemiologico che contraddistingue il proprio territorio. Gli autori del rapporto evidenziano che se l’obbligo vaccinale può essere considerato come un modo per aumentare l’adesione ai programmi vaccinali, tuttavia diversi programmi vaccinali in Europa risultano efficaci anche senza un obbligo ma fondandosi solo sulle raccomandazioni e affermano che “un sistema sanitario nazionale dovrebbe promuovere e offrire attivamente quei vaccini che si sono dimostrati sicuri, efficaci e che hanno un impatto positivo sulla salute pubblica. Laddove i cittadini si fidano delle proprie Autorità sanitarie si ottiene una maggiore aderenza alle raccomandazioni nazionali. Ciò può risultare non solo in benefici per i cittadini ma anche supportare una più ampia efficacia del programma vaccinale mediante un effetto di immunità di gregge. Tuttavia, la comunicazione dei rischi e dei vantaggi e svantaggi derivanti da ampi programmi vaccinali rappresenta un punto molto sensibile e qualsiasi decisione in merito a una proposta di strategia vaccinale dovrebbe essere elaborata in accordo con la cultura e le tradizioni del Paese”.

Cultura e tradizioni: i valori cui si appellavano gli autori della ricerca, hanno prodotto norme più restrittive.


In Francia, dove erano obbligatori tre vaccini (contro difterite, tetano e polio) e otto raccomandati (contro pertosse, epatite B, batteri emofilo dell’influenza, pneumococco, meningococco C, morbillo, parotite e rosolia), il governo ha stabilito l’obbligatorietà per 11 vaccini; i nati a partire dal 1 gennaio 2018 devono, quindi, essere vaccinati (entro i due anni di età) per le seguenti malattie: poliomielite, tetano, difterite, pertosse, morbillo, parotite epidemica, rosolia, epatite B, Haemophilus influenzae tipo b, pneumococco, meningococco C. È previsto il mantenimento dell’obbligo vaccinale per una durata limitata, tra 5 e 10 anni. L’obbligo non è, tuttavia, retroattivo. Sono invece vaccinazioni raccomandate quelle contro la tubercolosi, la varicella, l’influenza e l’herpes zoster45.


In Italia sappiamo bene che la Legge 31 luglio 2017, n. 119, ha reso obbligatorie 10 vaccinazioni per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni e per i minori stranieri non accompagnati (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, antiepatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, antivaricella).


L’obbligatorietà per le ultime quattro (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella) è soggetta a revisione ogni tre anni in base ai dati epidemiologici e alle coperture vaccinali raggiunte. A queste vaccinazioni se ne aggiungono quattro fortemente raccomandate che il decreto prevede a offerta attiva e gratuita, ma senza obbligo, da parte di Regioni e Province autonome (anti-meningococcica B, antimeningococcica C, anti-pneumococcica, anti-rotavirus).


Per i soggetti in età adulta, attualmente, in Italia sussiste l’obbligatorietà per alcuni vaccini solo in alcune categorie di lavoratori esposti a rischio.


La vaccinazione antitetanica è obbligatoria, oltre che per tutti gli sportivi affiliati al CONI, per i lavoratori indicati nell’elenco riportato nella Legge del 5 marzo 1963, n. 292 (lavoratori agricoli, pastori, allevatori di bestiame, stallieri, fantini, conciatori, sorveglianti e addetti ai lavori di sistemazione e preparazione delle piste negli ippodromi, spazzini, cantonieri, stradini, sterratori, minatori, fornaciai, operai e manovali addetti all’edilizia, operai e manovali delle ferrovie, asfaltisti, straccivendoli, operai addetti alla manipolazione delle immondizie, operai addetti alla fabbricazione della carta e dei cartoni, lavoratori del legno, metallurgici e metalmeccanici).


Le vaccinazioni antimeningococcica C, antitifica, antidiftotetanica, antimorbillo-parotite-rosolia sono obbligatorie per tutte le reclute all’atto dell’arruolamento (Decreto del Ministro della Difesa del 19 febbraio 1997).


Nel personale sanitario l’unica vaccinazione oggi obbligatoria risulta essere quella anti tubercolare, benché solo in situazioni particolari. Infatti il DPR n. 465 del 7 novembre 2001, emanato ai sensi dell’ art. 93 della Legge 27 dicembre 2000, n. 388, ha stabilito che la vaccinazione antitubercolare (BCG) è obbligatoria soltanto per il personale sanitario, gli studenti in medicina, gli allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti, oppure che operi in ambienti ad alto rischio e non possa essere sottoposto a terapia preventiva, perché presenta controindicazioni cliniche all’uso di farmaci specifici.

Un documento della Commissione Europea46 riporta i risultati di un’analisi condotta sull’efficacia delle politiche di obbligo o di raccomandazione vaccinale, attraverso l’analisi comparativa dei tassi di vaccinazione contro poliomielite, morbillo e vaccini contenenti anti pertosse nei Paesi dell’Unione Europea (EU) e dell’Area Economica Europea (EEA). I dati utilizzati sono quelli relativi alla copertura vaccinale nell’infanzia nei Paesi EU/EEA ripresi dal sito ufficiale dell’UNICEF.


Nelle conclusioni lo studio evidenzia come “benché i dati presentati non possano fornire la definitiva evidenza dell’efficacia o inefficacia dei programmi di vaccinazione obbligatoria sui tassi di copertura vaccinale, tuttavia dimostrano che l’approccio obbligatorio non sembra essere rilevante nel determinare il tasso di copertura vaccinale infantile nei Paesi EU/EEA”.


La strada dell’obbligo e non la ricerca del consenso, dell’informazione, dell’adesione consapevole non è una scelta “tecnica” ma una decisione politica. Durante la discussione dei provvedimenti regionali volti a impedire l’accesso ai servizi educativi ai bambini non vaccinati è stato pubblicato uno studio condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri47 per valutare l’impatto di tali provvedimenti nella popolazione pediatrica. Lo studio afferma che: “il solo inserimento delle vaccinazioni come requisito per l’accesso ai servizi dell’infanzia potrebbe avere un impatto modesto nell’aumentare le CV (coperture vaccinali) regionali per le vaccinazioni obbligatorie, e scarso per la CV del morbillo. Mentre per le realtà territoriali più carenti l’esito potrebbe essere più positivo in termini assoluti (numero di bambini vaccinati), ma comunque non sufficiente a raggiungere e mantenere il 95% delle CV”. Gli autori evidenziano come “Seppure sia modesto l’impatto stimato sulle CV con l’introduzione della nuova obbligatorietà, va riconosciuta la finalità di tutelare la salute dei bambini che accedono al nido e in particolare per quei bambini non vaccinati per motivi di salute. Tuttavia, per tutti i bambini non vaccinati il pericolo maggiore è rappresentato attualmente dalla mancata vaccinazione contro pertosse e morbillo, a tutt’oggi escluse dall’obbligo di legge. Un’eventuale estensione a questi due vaccini potrebbe tutelare la salute di tutti i frequentanti il nido e in particolare dei più fragili, con due importanti limitazioni: che si tratterebbe in ogni caso di una percentuale minoritaria della popolazione (con un massimo del 26% in Emilia-Romagna), e quindi rimane prioritario garantire un’adeguata CV di tutti i bambini, e che per queste due malattie appare sempre più essenziale la vaccinazione degli adulti, come mantenimento della copertura tramite l’adesione ai richiami periodici (pertosse) e come recupero degli adolescenti e adulti precedentemente non immunizzati per vaccino o infezione (morbillo). Proprio l’epidemia attualmente in corso in Italia evidenzia come il 76% dei casi abbia un’età maggiore di 14 anni e il 50% maggiore di 27 anni e che il 10% dei casi è rappresentato da operatori sanitar” e, ancora come “le stime operate dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità confermano come, in mancanza di un recupero degli adolescenti e dei giovani adulti non vaccinati, sia necessario mantenere per lungo tempo CV maggiori del 95% nei bambini per poter raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione del morbillo. Nel contesto attuale, la tutela derivante da un’eventuale obbligo della vaccinazione antimorbillo per l’accesso al nido sarebbe limitata al tempo della permanenza nella struttura (sempre che il personale sia vaccinato o già immune). I bambini fragili (non vaccinati per problemi di salute) sarebbero comunque esposti al rischio di contagio a causa delle CV non ottimali nella popolazione e al possibile contatto con adulti non vaccinati, in famiglia o nei luoghi di cura. In tale contesto l’obbligo vaccinale in qualsiasi comunità per l’infanzia non dovrebbe esimere gli educatori”.


Infine gli Autori osservano come “altri fattori, oltre all’obbligo, possono determinare l’adesione alla profilassi vaccinale e che interventi organizzativi, strategie di informazione, comunicazione, offerta proattiva possono avere un’efficacia maggiore che non la sua imposizione per l’accesso ai servizi dell’infanzia” e come “Le misure coercitive dovrebbero essere un’extrema ratio, da attivare in presenza di un pericolo concreto e imminente per la salute dei singoli e della comunità e in mancanza di possibili alternative. Il rischio associato alla sola introduzione di un nuovo obbligo è di semplificare eccessivamente una realtà complessa, che necessita di un approccio multimodale di informazione, formazione e responsabilizzazione di tutti (anche degli operatori sanitari e sociali e degli educatori che nella maggioranza non si vaccina o non si è vaccinato a suo tempo, come i recenti casi di morbillo documentano), di attenzione, di tempi e di spazi di ascolto e intervento”.

Situazione attuale della poliomielite

Alcune delle storie che ho riportato riguardavano bambini a cui è stato somministrato il vaccino antipolio. È naturale che un genitore si chieda a quale rischio vada incontro suo figlio nel caso non lo vaccinasse contro la poliomielite, ossia quanto la malattia sia diffusa attualmente e quali siano le probabilità di contrarla.


CASI DI POLIOMIELITE DA VIRUS SELVAGGIO DI TIPO 1 E CASI DI POLIOVIRUS DERIVATI DA VACCINI48


RIPARTIZIONE DEI CASI PER PAESE


Nel 2017 i casi totali di poliomielite da virus selvaggio sono stati 22, tutti nei Paesi dove la malattia è endemica. Più numerosi, 96, i casi di polio da virus vaccinico, tutti in Paesi dove la malattia non è endemica. La malattia si diffonde nelle zone povere del pianeta, a causa delle precarie condizioni igieniche e della grave malnutrizione che compromette l’immunità dei bambini. In Africa, in più, a causa delle guerre, delle condizioni dei profughi che cercano di sfuggire alle atrocità e ai massacri, e che conducono una vita priva delle risorse più elementari. In Afghanistan e Pakistan, Paesi che convivono con la poliomielite, i bambini muoiono molto di più per la mancanza di acqua potabile, cibo e guerra che per la malattia endemica.


Riuscire a eradicare la poliomielite si sta rivelando una sfida più ardua di quanto si pensasse. In parte per il comportamento dei poliovirus vaccinali, capaci di ridiventare virulenti, in parte per la stretta connessione tra i fattori sociali, culturali, politici e la salute delle persone. Un approccio mirato alla singola malattia non è efficace, e gli strumenti della medicina, da soli, non bastano a produrre salute.


Le cause di molte malattie non sono la mancanza di antibiotici o di vaccini, ma di acqua pulita e di cibo sufficiente. “Ci affidiamo troppo agli interventi medici. Un modo migliore per aumentare l’aspettativa di vita e migliorarne la qualità sarebbe l’adozione, da parte di ogni governo, di politiche e programmi per l’uguaglianza nella salute”49.


Un caso lampante è quanto è accaduto ad Haiti, dove anche in presenza di organizzazioni medico-sanitarie internazionali, accorse dopo il terremoto, è scoppiata una furiosa epidemia di colera. Il colera, come la poliomielite, è una malattia che si trasmette per via oro-fecale e si sviluppa quindi in aree in cui la popolazione utilizza approvvigionamenti idrici contaminati da materia fecale. Nessuna meraviglia, quindi, che l’epidemia, una delle peggiori negli ultimi vent’anni, sia cominciata lontano dai sovraffollati centri di accoglienza dei terremotati, dove ha impiegato diverse settimane a trasmettersi, ma si sia accesa nel distretto dell’Artibonite, un’area rurale ad alta densità abitativa e carente per servizi sanitari e acqua potabile. Come giustamente è stato osservato:


La storia ci insegna che il miglior modo di intervento per il controllo a lungo termine del colera e della maggior parte delle altre patologie a trasmissione oro-fecale è la strategia utilizzata negli Stati Uniti e in Europa già a partire dal 1800, ben prima della scoperta di antibiotici e vaccini: lo sviluppo e il mantenimento di sistemi di approvvigionamento idrico e di fognature, che separino gli scarichi contaminati dall’acqua potabile, dai cibi e in generale dall’ambiente esterno.50


Gli interventi medici hanno un’indubbia efficacia nell’arginare tempestivamente la diffusione di simili epidemie, ma sul lungo periodo l’unica arma vincente è la diffusione di buone prassi igieniche tra la popolazione, e di senso di consapevolezza e responsabilità tra le classi dirigenti di quei Paesi nei quali la differente possibilità di accesso all’acqua potabile e ai


servizi igienici tra aree rurali e aree urbane costituisce la linea divisoria tra tassi impressionanti di mortalità infantile e probabilità di vita nella media, ossia il confine tra avere o non avere diritto di esistere.

Chi ha paura dell’uomo nero?

Mi sento spesso dire dai genitori: “Sono confuso. Non so se vaccinare il bimbo. Ho delle perplessità, ma sa, con tutti questi extracomunitari che arrivano…”.


Vaccinarci contro il pericolo delle malattie diffuse dagli extracomunitari: vorrei cercare di accostarmi a questo argomento con un approccio il meno ideologico possibile e il più realistico. La domanda è: la presenza di quattro milioni e mezzo di immigrati nel nostro Paese mette a rischio la salute delle persone e rende opportuno un incremento delle vaccinazioni?


È innegabile che gli spostamenti migratori di grandi masse di persone da sempre hanno favorito un parallelo flusso migratorio di germi vecchi e nuovi. La conquista delle Americhe ha esportato nel Nuovo Mondo il vaiolo, il morbillo, l’influenza, facendo strage delle popolazioni locali, prive delle difese immunitarie specifiche. In compenso i conquistatori importarono la sifilide, che si diffuse soprattutto in Francia, in Spagna e in Italia. Le navi degli schiavisti permisero a una varietà di zanzara (Aedes aegypti) di “emigrare” in America, insieme agli Africani deportati, e diffondere così la febbre gialla. Gli Stati Uniti invece hanno esportato l’Aids in tutto il mondo. I primi focolai di questa malattia furono identificati nelle grandi città americane, per diffondersi ovunque grazie al contagio per via sessuale e all’associazione con il consumo dell’eroina (con le siringhe infette che hanno svolto il ruolo di un moderno vettore).


Non compete a una trattazione come questa affrontare rilevanti quesiti quali l’opportunità etica o economica per il nostro Paese di accogliere consistenti flussi di persone da aree europee o extra-europee, la disponibilità o meno di effettive risorse per gestire una politica immigratoria degna di questo nome, l’adeguatezza o meno delle condizioni igieniche e dei controlli sanitari nei centri di prima accoglienza. Si tratta di problemi che naturalmente interferiscono con le decisioni di politica sanitaria nazionale e con le scelte individuali per tutelare la propria salute, e di conseguenza hanno attinenza anche con il discorso che stiamo svolgendo. Tuttavia, per evitare tanto un approccio troppo ottimista quanto uno troppo pessimista sull’impatto epidemiologico della popolazione immigrata nel nostro Paese, mi atterrò strettamente al quadro oggi esistente, senza valutazioni di merito.


Il primo dato di cui essere consapevoli è proprio l’incertezza dei dati. Quelli di cui disponiamo sono quelli rilevati, ossia i dati che riguardano una percentuale, forse significativa ma non esauriente, della popolazione immigrata in Italia. Non è solo il problema dei clandestini, che ovviamente sfuggono alle statistiche, ma vi è un problema oggettivo di un rilievo non uniforme dei dati. Infatti, come dichiarano gli stessi rapporti dell’Istituto Superiore di Sanità, il ruolo dell’immigrazione sul possibile sviluppo di epidemie nei Paesi europei è sempre stato oggetto di studio, ma sulla salute degli stranieri si conosce relativamente poco in quanto solo Regno Unito, Svezia e Olanda raccolgono sistematicamente i dati sugli immigrati o sul gruppo etnico di appartenenza51.


A ciò si aggiunge il fatto che, nel caso si volesse valutare, ad esempio, se i sierotipi dei batteri responsabili di meningite non inclusi nei vaccini siano aumentati in coincidenza con un maggiore flusso di immigrati (portatori di sierotipi diversi da quelli più diffusi da noi), o viceversa se i sierotipi inclusi nei vaccini siano realmente diminuiti in seguito a un più largo ricorso alla vaccinazione antiaemophilus, antipneumococco e antimeningococco, i dati sulla tipizzazione, ossia sulla classificazione dei sierotipi, sarebbero estremamente parziali. Solo una percentuale dei casi notificati e di batteri isolati, infatti, vengono adeguatamente classificati. Questa percentuale si spinge al di sotto del 60%, come nel caso dell’haemophilus influenzae per l’anno 201152, e addirittura equivale solo al 26% dei casi nel caso dello pneumococco, sempre per lo stesso anno di riferimento53. Per dichiarazione dello stesso Istituto di Sanità “il minor numero di casi segnalati da Campania, Sicilia, Lazio e Puglia è probabilmente da attribuire ad una sottonotifica.

Di conseguenza se consultate il portale “Epicentro”, sito ufficiale dell’Istituto di Sanità per il monitoraggio delle malattie infettive, troverete che curiosamente si alternano affermazioni sulla diminuzione significativa dei casi di meningococco C grazie alle vaccinazioni, ad altre in cui si lamenta l’assenza di dati nazionali uniformi e si dichiara che essi “sono indispensabili per un quadro dettagliato della malattia invasiva da meningococco54.


Fatte queste premesse, vediamo dunque cosa si può ricavare dai dati messi a disposizione dalle fonti ufficiali e di cui di fatto disponiamo, buoni o cattivi che siano.


I recenti sovvertimenti politici sulla costa meridionale del Mediterraneo hanno visto un vasto spostamento di persone dal Nord Africa verso l’Italia. Ciò ha riacceso preoccupazioni sul fronte sanitario, anche per l’alta concentrazione di profughi in centri di prima accoglienza. Tuttavia, proprio chi vede in un’ampia copertura vaccinale della popolazione il rimedio più efficace contro l’insorgenza delle malattie, dovrebbe rassicurarsi alquanto perché dai rapporti dell’Istituto di Sanità (ISS) risulta come in Tunisia, Egitto e Libia vi siano alte coperture vaccinali per patologie come morbillo, poliomielite, epatite B e bacillo di Calmette-Guérin (Bcg). I dati parlano di coperture tra il 97 e il 99% per 3 dosi di vaccino contro polio, tetano, difterite, epatite B; tra il 98 e il 99% contro la tubercolosi, e tra il 95 e il 98% per il morbillo. Sono cifre comunicate dai Ministeri della Sanità dei Paesi di origine delle persone immigrate, e anche se qualche dubbio su tanta efficienza vaccinatoria può sorgere, essi sono stati giudicati attendibili dai Focal Point dei suddetti Ministeri e dal nostro ISS55.


Al di là delle malattie caratteristiche di ogni gruppo etnico, le patologie diffuse tra gli immigrati e che in genere destano più paura tra la popolazione residente, sono quattro, ossia l’epatite B, la meningite, l’HIV e la tubercolosi. Delle ultime due non mi occuperò, dal momento che per la prima non esiste un vaccino, e dell’altra il vaccino non ha evidenze di efficacia. Questa vaccinazione è stata valutata tramite un’ampia sperimentazione organizzata direttamente dal WHO. Si è proceduto sottoponendo un grande numero di persone al vaccino BCG e si è utilizzato come gruppo di controllo un numero altrettanto ampio di persone: 260.000 è il numero dei soggetti coinvolti nella ricerca svolta in India, negli anni Settanta. Tra i vaccinati ci furono molti più casi di tubercolosi che tra i non vaccinati. “La distribuzione di nuovi casi di tubercolosi tra chi non era infetto al momento dell’assunzione (del vaccino) non ha evidenziato alcuna prova di un effetto protettivo dei vaccini BCG56. In tutti i Paesi poveri, dove le condizioni igieniche sono insufficienti e si vaccinano i neonati alla nascita contro la tubercolosi, questa malattia colpisce ancora milioni di persone e costituisce un enorme pericolo per la salute. Così, nel 1975, fu ufficialmente ritirato il cosiddetto “consiglio ufficiale” della vaccinazione BCG57. Tuttavia, riguardo alla tubercolosi (da cui, ripeto, non ci si vaccina) e all’epatite B (da cui ci si vaccina), un rapporto dell’ISS del 21 febbraio 2013 dichiara che “sono le condizioni di vita di un individuo (ad esempio abitative e alimentari) ad avere un ruolo rilevante nel favorire la progressione di queste patologie”58.


Per quanto riguarda l’epatite B, essa è diffusa tra le popolazioni asiatiche, si trasmette più che altro per via sessuale, per cui la sua diffusione è legata anche al fenomeno della prostituzione e ai rapporti sessuali non protetti con partner occasionali. Un caso in cui il vaccino risulta davvero consigliabile è quello di bambini che abbiano promiscuità familiare con individui affetti da tale patologia, ma poiché la vaccinazione viene attualmente applicata in Italia all’intera popolazione infantile, inclusi quindi i figli degli immigrati, ciò rende minimo il rischio di contrarla a causa della presenza degli stranieri.


Infine la meningite, di cui ho già parlato. In Italia il tasso di meningiti è sempre stato inferiore rispetto al resto d’Europa59, dove i flussi migratori non sono altrettanto intensi che da noi e forse sono anche gestiti con maggiori risorse economiche e organizzative (per inciso, uno degli anni in cui si è registrato un numero bassissimo di casi di meningite è stato il 2007-2008, quello del grande allarme mediatico su questa malattia).


Il merito è dei vaccini, dicono le fonti ufficiali. Una tesi che saremmo disponibili ad abbracciare se vi fossero dati certi a suffragarla. A complicare il quadro delle cause di questo primato italiano di un basso numero di meningiti rispetto alla media europea, vi è poi il fatto che gli stranieri sono portatori di ceppi batterici di meningite per i quali il vaccino è stato solo di recente introdotto (come il tetravalente contro il meningococco A, Y, W135, oltre che il C, più diffuso da noi; o come il vaccino per il meningococco B, che dovrebbe entrare in commercio nel 2014).


Del resto, se i vaccini fossero l’unico fattore che ha contribuito a evitare epidemie, non si capirebbe perché nei Paesi dell’Africa settentrionale, dove la copertura vaccinale per certi tipi di malattie, come abbiamo visto, è analoga a quella del nostro, il livello di allarme per quelle stesse patologie rimanga comunque alto.


Secondo un rapporto dell’ISS del febbraio 2013 “La maggior parte [degli immigrati] che giungono in Italia è in buona salute. Questo è stato dimostrato anche dopo l’analisi dello stato di salute di persone giunte nell’ambito dei flussi di immigrazione eccezionali, come quello verificatosi nel 2011 a seguito della crisi del Mediterraneo”. Prosegue, in altre parole, il cosiddetto fenomeno del “migrante sano”, dovuto al fatto che chi si avventura in questi terribili viaggi è frutto di un’auto-selezione di partenza che porta a scegliere i soggetti con maggiori possibilità di riuscita nel progetto migratorio. Quindi la stragrande maggioranza degli immigrati non presenta malattie degne di nota, almeno al suo ingresso in Italia. Oltre il 70% ha meno di 30 anni e rappresenta la parte economicamente e culturalmente medio-alta del proprio Paese d’origine.


È altrettanto vero, tuttavia, che una parte consistente di costoro, una volta giunta in Italia, affronta condizioni di vita talmente precarie da non garantire i cosiddetti determinanti sociali della salute: promiscuità e so-vraffollamento abitativi, carenza di servizi igienici e di igiene personale, carenze alimentari, trascuratezza e mancanza di supporto familiare in caso di malattia costituiscono ovviamente un serio pericolo per la diffusione di patologie infettive anche gravi. Fino ad oggi, però, l’Italia non ha conosciuto alcun fenomeno epidemico, né su base nazionale né su quella regionale.


L’opportunità di vaccinare di più un bambino per il rischio di contrarre malattie dagli stranieri presenti in Italia risulta quindi poco fondata in base al quadro di cui oggi disponiamo. Rimane valido, pertanto, il giudizio espresso da Franco Barghini, dell’Osservatorio Epidemiologico di Viareggio: “La giusta logica con cui si deve affrontare il dubbio se vaccinare o meno […] non può e non deve essere una falsa percezione del rischio, ma una attenta valutazione dei vantaggi e degli svantaggi che si ottengono facendo o non facendo questo tipo di vaccinazione”.

Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - Seconda edizione
Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore - Seconda edizione
Eugenio Serravalle
Immunizzarsi dalla paura, scegliere in libertà.A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, l’autore cerca di fare chiarezza su tale questione, analizzando i dati con chiarezza e linearità. I vaccini sono tutti uguali?Qual è la durata?Quale l’efficienza?Cosa si intende per immunità di gregge?È la stessa per tutte le malattie?A seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, il dottor Eugenio Serravalle cerca di fare chiarezza, accompagnando il lettore nel labirinto di dati e termini tecnici con linearità.Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore è una lettura indispensabile per imparare ad applicare il senso critico ad argomenti sui quali ci troviamo spesso indifesi, come l’informazione medico-sanitaria diffusa da stampa e televisione. Conosci l’autore Eugenio Serravalle è medico specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura e Patologia Neonatale.Da anni è consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare di scuole d’infanzia di Pisa e comuni limitrofi.Già membro della Commissione Provinciale Vaccini della Provincia Autonoma di Trento e relatore in convegni e conferenze sul tema delle vaccinazioni, della salute dei bambini e dell’alimentazione pediatrica in tutta Italia.