CAPITOLO VIII

Scuole steineriane:
oltre la sola pedagogia

Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro il bancone c’era un angelo.
“Che cosa vendete qui?”, chiese il giovane. “Tutto ciò che desidera”, rispose cortesemente l’angelo. Il giovane cominciò ad elencare: “Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, una natura bella e pulita e… e…”.
L’angelo lo interruppe: “Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso.
Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi”.
Bruno Ferrero

Qualche anno fa ho conosciuto e condiviso alcune idee e momenti di scambio con Eva Galdabino, una donna e una mamma come me incapace di abbassare lo sguardo davanti alle domande educative, che sono poi domande sulla vita. Abbiamo scoperto di esserci incrociate nei cortili dell’università di Pavia, nella aule di filosofia e di pedagogia, ma non ne conserviamo memoria.


Oggi Eva è una pedagogista che, attraverso un cammino personale molto profondo e complesso, ha trovato nel percorso steineriano non solo importanti risposte di carattere educativo ma soprattutto la strada per il percorso scolastico dei suoi figli.


In un testo come questo non poteva mancare un capitolo dedicato a Rudolf Steiner, ma non poteva essere affidato a chi, come me, ha solo una conoscenza esterna di una visione così articolata, filosofica e sistemica.


Sono felice che Eva abbia accettato di scrivere di sé e della pedagogia steineriana con la passione che contraddistingue ogni suo passo.


Sarà lei la nostra guida, preziosa, per le pagine che seguono.

La pedagogia vivente di Rudolf Steiner: l’arte di educare alla libertà Un incontro personale (di Eva Galdabino)

Vivevo con otto perfetti sconosciuti in un appartamento freddo e con poca acqua. Condividevamo solo la passione per la pedagogia e la convinzione che il master che stavamo frequentando sarebbe stato il nostro trampolino verso una professione di grande responsabilità, che volevamo prenderci tutta.

Quell’inverno mi pareva freddissimo: pedalavo nella nebbia, e quando rientravo a casa la sera, l’unico desiderio era scaldarmi. Un giorno il mio disagio per quella situazione mi si leggeva così chiaramente in viso, da spingere una collega particolarmente sensibile a offrirmi una doccia calda a casa sua. Vincere l’imbarazzo era proprio una sfida, ma alla fine accettai, senza immaginare che quello sarebbe stato il mio inizio. Durante il tragitto verso casa sua, la bici alla mano, mi raccontava del corso di formazione per diventare insegnante steineriana che stava frequentando e del tirocinio presso un asilo. Io non avevo mai sentito parlare di Steiner, così la incalzavo con molte domande, alle quali però avevo l’impressione che rispondesse in modo vago, ma soprattutto facesse riferimento ad argomenti molto poco pedagogici nel suo tentativo di darmi un’idea. Questo m’innervosiva, perché sfuggiva a tutti i parametri scientifici a cui ero abituata e non capivo.

Oggi ancora le verità della scienza dello spirito debbono sembrare strane a molta gente. Ma si inseriranno nella civiltà, se davvero esse sono verità.

Ma dietro la porta del suo piccolo appartamento si apriva un nuovo mondo: era tutto molto diverso dal mio, eppure mi sentivo a casa (e non solo per la meravigliosa doccia, la più piacevole che ricordi!): d’improvviso il ritmo della città si era mutato in quiete, la sobrietà dei materiali era armonia, i colori caldi e tenui mi avvolgevano, l’aroma di essenze mi disponeva ad un dialogo profondo. Seppure ci conoscessimo solo da poche settimane, restai a chiacchierare con questa nuova amica di molti argomenti fino a sera tarda. Uscendo da quel nuovo mondo famigliare mi sentivo in equilibrio, avevo una netta percezione di coerenza: percepivo che c’era un legame tra i suoi modi, l’atmosfera di quella casa e (forse) quella strana pedagogia. Desideravo approfondirla.

Nelle sensazioni inconsce, nei sentimenti, e specialmente negli impulsi che stanno a base della volontà, l’uomo porta una inconsapevole conoscenza dell’altro uomo che incontra nella vita.

Appena mi fu possibile accettai l’invito presso l’asilo dove lavorava la mia amica. Camminavo decisa in mezzo al traffico cittadino, determinata a sfruttare al massimo l’occasione di incontrare anche la maestra con cui si stava formando: una donna di lunga esperienza e di carattere. In quel periodo lavoravo alla costruzione di un nuovo strumento valutativo dell’asilo nido, avevo idee precise su quali fossero i parametri da osservare, le tecniche più adeguate e i calcoli da fare per valutare la qualità di un servizio. Osservavo nel dettaglio ogni momento della giornata al nido e tutto ciò che analizzavo trovava una collocazione dentro la griglia che stavo costruendo (i tempi, gli spazi, le modalità, ecc…).

Era con questo atteggiamento analitico che mi accingevo ad affacciarmi una seconda volta su quel nuovo mondo, che risuonava inspiegabilmente dentro di me. Avevo preparato delle buone domande ed ero determinata ad uscirne con le idee chiare.

[…] oggi l’uomo non ha più, di fronte all’osservazione di se stesso, la posizione intima e vicina che aveva in precedenti epoche di civiltà […] ci si è a poco a poco abituati […] a considerare come positivo, nell’osservazione, solo quello che i sensi possono percepire, quello che l’intelletto può conquistare mediante l’osservazione sensoria. Con ciò, però, si è proprio arrivati a non poter più osservare giustamente l’uomo interiore e ad accontentarsi in vari modi dell’osservazione dell’involucro esterno.

La maestra e la mia amica, sua assistente, mi accolsero con calore sull’uscio, invitandomi – se lo desideravo – a indossare un paio di pantofole che avevano preparato per me: erano calde, di lana. Ero abituata a coprire le scarpe quando lavoravo nei nidi, ma non a toglierle, tanto meno in una scuola dell’infanzia (il giardino d’infanzia, come lo chiamavano loro); in ogni caso lo feci volentieri, per non violare uno spazio che già sulla soglia sentivo custodire qualcosa di molto prezioso. Direi quasi che ne percepivo una certa sacralità.


Fu dunque un privilegio per me entrare, e volevo farlo in punta di piedi. Così, scendendo dai miei tacchi – senza rendermene conto – avevo lasciato fuori dalla porta anche il mio ruolo, i miei pregiudizi e le mie griglie osservative. Era pomeriggio e i bambini erano tornati a casa da poco; io avevo la sensazione di sentire ancora la loro presenza nello spazio.


Le mie ospiti indossavano grembiuli di lino in tinte unite pastello, che si armonizzavano perfettamente con la lunga fila di grembiuli simili, ma più piccoli, appesi sulla parete dell’ingresso, proprio dietro di loro: ognuno era di un colore diverso. Tutti vicini formavano un bellissimo insieme. Sotto ciascun attaccapanni stavano in fila le pantofole appaiate. Un profumo sottile di legno, arancio e non so cos’altro avvolgeva le stanze. Tavoli e seggiole erano di legno chiaro, tende rosa filtravano la luce e facevano dimenticare di essere in una grande città.

Si forma la vista sana solo quando mettiamo attorno al bambino i colori adatti e i giusti rapporti di luce; e nel cervello e nella circolazione sanguigna si formano le disposizioni fisiche per un sano senso morale, se il bambino sperimenterà moralità attorno a sé.

Gli oggetti erano pochi e ben distribuiti nello spazio; si notava una proporzione equilibrata tra la presenza adulta e quella infantile. C’era una sorta di ordine naturale, una cura che mi rassicurava, una pulizia in cui poteva rispecchiarsi la limpidezza della mia apertura quasi infantile verso questa esperienza. Mi sentivo riempire piano piano da una gioia istintiva. L’accoglienza sincera da parte delle maestre mi restituiva sentimenti genuini.

Tra le forze che agiscono in modo formativo sugli organi fisici va (quindi) contata la gioia che il bambino ha per e con il suo ambiente. Espressioni serene degli educatori, e soprattutto amore sincero, non forzato. Un tale amore, che scorra caldo attraverso l’ambiente fisico, fa nascere, cova, nel vero senso della parola, le forme degli organi fisici.

Riconobbi la stessa atmosfera che avevo trovato in casa della mia amica, e interpretai tutto ciò come una conferma dell’idea con cui avevo lasciato quella casa: coerenza, un legame profondo, vero, (ancora) misterioso, ma attraente tra tutto.

“Quanto nell’adulto vive isolato nell’occhio, il bambino lo sperimenta attraverso tutto il corpo, e, senza che intervenga il ragionamento, vengono a galla gli impulsi della volontà come fenomeno riflesso… Così tutto il corpo del bambino agisce come organo di senso, come riflesso di fronte a quello che accade nell’ambiente che lo circonda.

Abbiamo allora il compito di agire nell’ambiente del bambino in modo che egli possa diventare, fin dentro i suoi pensieri e i suoi sentimenti, un essere che imita il buono, il vero, il bello, il saggio.”

Rivivo questo senso di accoglienza ogni volta che entro in una scuola steineriana ancora oggi, a distanza di molti anni da quel primo incontro: anche quando è la prima volta, mi sembra sempre di tornare a casa.


Di fatto nessuna delle domande che mi ero preparata sarebbe stata adeguata a spiegarmi ciò che stavo vivendo, così mi lasciai semplicemente penetrare dalle sensazioni che mi avvolgevano: ascoltavo con la massima apertura e curiosità.


Con grande disponibilità, le mie ospiti tentarono di aprirmi una finestra su questo loro mondo.


Sentii per la prima volta parlare dell’educazione come di un’arte ma, nel contesto che mi veniva descritto, questo concetto assunse all’istante una forma chiara: nell’educare conduciamo fuori da sé il bambino, mantenendo integra la sua natura perché si possa riconoscere e arricchire in una dimensione più ampia e – infine – tornare a ricongiungersi a sé, consapevolmente, nell’età matura. (Non era forse questo il cammino in cui mi stavo avviando anch’io in quel momento?).


Davanti a una tazza di tè fumante mi descrissero la pedagogia nella maniera più integrale possibile: ciò che più di tutto mi colpì fu che in essa il bambino viene visto nell’intero arco della sua esistenza di uomo, e che dunque il sistema educativo si sviluppa per tutta la vita.

Se per avere principi pedagogici, impulsi pedagogici, si considera (così) l’intera vita umana, e non, come è più comodo, solo l’età infantile, allora ci diventerà ben chiaro quale centrale significato, in tutta la vita dell’uomo, abbiano proprio l’educazione e l’insegnamento, e come, sovente, felicità e infelicità nello spirituale, nell’animico e nel corporeo dipendano dall’educazione e dall’insegnamento.

Mi spiegarono che tutto l’apprendimento tiene conto di queste caratteristiche e mira all’equilibro delle tre parti costitutive dell’uomo: volere, sentire e pensare, così che l’aspetto cognitivo, quello artistico e quello pratico abbiano sempre la stessa dignità.

È la concezione della vita che sta alla base del metodo, della essenza educativa della Scuola Waldorf, la scienza dello spirito antroposofica, è assolutamente costruita sulla conoscenza parallela del corpo, dell’anima e dello spirito dell’uomo, e vuole evitare ogni unilateralità mediante tale equilibrata conoscenza delle tre parti della natura umana.

Presentando ogni materia sotto tutti i tre aspetti si agevola un approccio integrato e soggettivo, perché ciascuno potrà acquisire conoscenza secondo il proprio stile di apprendimento.

Non è soltanto una metafora il dire che si può comprendere col sentimento, con le sensazioni, con l’anima altrettanto bene che con l’intelletto. I concetti sono soltanto uno dei mezzi per comprendere le cose del mondo.

Ciascuno di questi àmbiti si desta, e dunque si presta a una azione educativa, in particolari periodi sensibili della vita (settenni).

Si tratta di avere la conoscenza delle parti costitutive dell’entità umana, in particolare del loro sviluppo. Bisogna sapere su quali parti dell’entità umana si debba agire in una determinata età, e come avvenga in realtà tale azione.

Dunque la formazione degli insegnanti, pur scegliendo in un secondo tempo in quale fascia evolutiva operare nello specifico, comprende l’intero periodo sensibile all’educazione (fino circa a 21 anni), sempre con una visione ampia dell’individuo e del suo ambiente durante l’intero svolgimento della vita, in una dinamica in cui l’educatore ha il ruolo di risvegliatore di anime e agisce con amore secondo un principio di coerenza.

In vicinanza del bambino io debbo vivere nelle mie sensazioni, nel sentimento, nel pensiero in modo tale che tutto possa continuare a vibrare nel bambino.

Da 0 a 7 anni il bambino si accosta al mondo con un sentimento religioso: si aspetta che tutto attorno a lui sia buono e imita per questo naturalmente l’ambiente che lo circonda. In questo periodo l’educatore agisce indirettamente, conformando l’ambiente (di cui egli stesso fa parte) in modo che nulla sia fatto che il bambino non possa imitare.

Si deve (però) intendere l’ambiente fisico nel senso più vasto pensabile. Di esso fa parte non soltanto quello che materialmente avviene attorno al bambino, ma tutto quello che si svolge nell’ambiente del bambino, che può venire percepito dai suoi sensi, e che può agire sulle sue forze spirituali dallo spazio fisico. Ne fanno parte anche tutte le azioni morali o immorali, sensate o sciocche che egli può vedere.

Tra i 7 e i 14 il bambino si apre al mondo con una nuova coscienza e lo contempla con un atteggiamento artistico: ricerca il bello, l’armonia, un modello a cui conformarsi. L’immaginazione è la chiave educativa di questo periodo.

Noi educhiamo il bambino se conformiamo immaginativamente tutto quello che gli avviciniamo, se facciamo dell’educazione un agire artistico e tuttavia davvero umano, soggettivamente e oggettivamente.

Dai 15 ai 21 anni circa il ragazzo si colloca nel mondo, si crea un giudizio sulle cose che affonda le radici nella conoscenza acquisita in precedenza. Cerca il vero attraverso rappresentazioni simboliche.

Nel giovane deve vivere l’atteggiamento di imparare prima, e di giudicare poi. Quello che la ragione ha da dire su una cosa dovrà venir detto solo soltanto quando abbiano parlato tutte le altre forze dell’anima: prima la ragione dovrà avere soltanto una parte di intermediaria.

Raggiunta la maturità completa e per il resto della vita l’uomo entra in un processo di auto-educazione, ossia una riflessione costante che permette di vivere consapevolmente con responsabilità, gioia e gratitudine.

Si potrebbe dire: si parla di autoeducazione soltanto quando s’intende precisamente il modo in cui un uomo educa se stesso; ma ogni educazione è autoeducazione non solamente in questo senso soggettivo, ma anche in senso oggettivo, cioè educazione del sé degli altri.

In una tale ampia visione del ruolo che la pedagogia gioca nello svolgersi della vita di un individuo e, in definitiva, anche della società in cui egli vive, il maestro assume un compito cruciale, che richiede conoscenza e rispetto: un’assunzione di responsabilità unica e irripetibile di fronte a ciascun allievo.

E quanto io, come maestro, faccio nei riguardi del bambino di età scolare, entra profondamente nella natura fisica, psichica e spirituale dell’uomo. Ciò che per così dire trama e tesse per decenni sotto la superficie, torna alla luce in modo singolare dopo decenni, talora alla fine della vita dell’uomo, mentre è stato messo in lui, come seme, all’inizio della vita.

Normalmente i bambini maturi, che si apprestano ad entrare in prima classe, non incontrano ufficialmente il loro maestro prima del primo giorno di scuola. La famiglia custodisce il segreto sulla sua identità per preservare la purezza del primo incontro, quello in cui veramente due individui si guardano negli occhi per la prima volta, consapevoli della relazione che li legherà per lungo tempo (di solito otto anni).

Prima di cominciare in qualche modo a educare e istruire siamo di fronte, noi e il bambino. C’è già un operare tra i due, solo per il fatto che maestro e bambino si trovano di fronte, ognuno con una particolare natura, con un particolare temperamento, con un particolare carattere, un particolare grado di sviluppo, una particolarissima costituzione fisica ed animica.

Avrei vissuto questa situazione qualche anno dopo, con il mio secondo figlio, e anche in questo caso la teoria si arricchì di senso nell’esperienza.


Si era formato un grande cerchio nel teatro della scuola la mattina del primo giorno della prima classe: i bambini e i ragazzi delle classi superiori contenevano in un grande abbraccio i più piccoli, che aspettavano insieme ai loro genitori. Mio figlio stava dignitosamente dritto davanti a me, ma l’appoggio della sua schiena sul mio ventre saggiava ancora il legame tra noi, che – sapevamo entrambi – si sarebbe trasformato al suo prossimo passo. Quando il maestro fu introdotto si sentì chiaramente sciogliere la trepidazione in un caldo fiume quieto, che pure si muoveva intorno e dentro ciascuno dei presenti. Egli si presentò al centro dell’assemblea con un fascio di rose e chiamò ad uno ad uno per la prima volta i suoi nuovi allievi, scandendone il nome e il cognome, fino a comporre per la prima volta realmente la nuova prima classe attorno a lui. Invitato, ciascun bambino salutava la madre e il padre, per noi fu uno sguardo d’intesa, e si avviava a incontrare il suo maestro, che si era chinato per incontrarlo nei suoi occhi e stringergli la mano. A ognuno donava una rosa; poi un ragazzo della classe ottava offriva al nuovo allievo un piccolo quadro di legno intagliato su cui era scritto il nome del bambino.


Le emozioni di tutti in quei momenti furono di una intensità straordinaria, si intrecciarono come nastri di seta lanciati contemporaneamente sopra l’assemblea; ricadendo, però, lasciarono un segno duraturo in ciascuno di noi.


Quando la nuova classe prima fu completa, il maestro la guidò verso l’aula, mentre tutta l’assemblea accompagnava con un canto questo primo viaggio insieme ai nuovi compagni.


Contrariamente ai bambini, il maestro invece studia da molto tempo i profili dei suoi nuovi allievi prima dell’inizio: incontra almeno una volta tutti i genitori individualmente e anche in gruppo, frequenta i bambini in maniera informale. Può così iniziare a conoscerli, figurarsi i tipi di relazione in cui potranno entrare fra loro e con lui, progettare dagli obiettivi educativi consoni e uno spazio adeguato al gruppo. Anche i genitori, nei mesi che precedono l’inizio della prima classe si apprestano a creare uno spazio interiore per questa nuova relazione che sta per nascere con la persona cui affideranno il proprio figlio. Il lavoro manuale che caratterizza questo periodo è di grande aiuto in questo senso: si confeziona il grembiule e, talvolta, anche la cartella.

Ciò che deve precisamente vivere in un gruppo di bambini, vibrare, fluire fino nel cuore, fino nei moti della volontà e finalmente nell’intelletto, è anzitutto quanto vive nel maestro, e che semplicemente vive in lui per il fatto che egli sta davanti al bambino con una determinata natura umana, un temperamento, un determinato carattere, una determinata disposizione d’anima, soltanto in secondo luogo importa che egli sia erudito in un certo modo e che possa presentare al bambino quello in cui egli steso si è erudito.

Questo primo passo rappresenta l’inizio di un lungo viaggio in cui si susseguiranno momenti evolutivi diversi. Il maestro, che ne è il conduttore, guiderà la classe trasformandosi e trasformando la relazione con essa, adeguando i propri stili ai differenti bisogni del gruppo nelle diversi età.

Dalla prima dentizione […] della massima importanza è quale uomo io sono, quali impressioni il bambino riceve attraverso me, se egli mi può imitare.

Dopo il cambio dei denti incomincia ad essere un po’ più importante ciò che come maestro ha imparato. Ma perde ogni importanza se lo trasmetto come è in me. Bisogna trasformare quello che svolgo accanto al bambino e che lascio fluire in lui artisticamente. Per i ragazzi che hanno superato la pubertà fino al ventunesimo anno circa diventa importante ciò che noi stessi abbiamo imparato.

Durante l’incontro con le maestre d’asilo, mentre ascoltavo stupita il loro racconto di una pedagogia sempre più interessante ai miei occhi, le uniche mie domande a cui ottenni risposte lineari furono quelle di carattere organizzativo. La maestra mi parlò dell’organizzazione quotidiana del giardino d’infanzia, per poi proseguire presentandomi il piano di studi per l’intero percorso scolastico.

Ciò che sta alla base della nostra pedagogia consiste nel trovare una metodica dell’insegnamento, nel trovare le premesse per l’educazione mediante un saper leggere nella natura umana, quel leggere nella natura umana che scopre a poco a poco l’essenza dell’uomo, sì che possiamo adeguare quel che veniamo scoprendo con ciò che portiamo nell’insegnamento e nell’educazione a partire dal piano generale degli studi per finire all’orario delle lezioni.

A mano a mano che si dispiegava davanti al me l’intero disegno, nasceva l’impressione di essere un naufrago che approda sull’isola: scorrevano davanti ai miei occhi i miei anni scolastici, in particolare quelli della scuola elementare, e il mio disagio di allora prendeva corpo, aveva un nome, un senso e una risposta. Non sapevo ancora che quelle ferite sarebbero guarite molti anni più tardi, quando sarei entrata come genitore nella scuola steineriana per nutrirmi io stessa, attraverso i miei figli e il mio lavoro al suo interno, di quella pedagogia.


Ogni scuola nasce da una libera iniziativa della famiglie che la fondano. L’autogestione implica l’assunzione di tutti i ruoli necessari al suo funzionamento, dall’amministrazione alla cucina, dall’organizzazione delle feste alle pulizie, dalla partecipazione alla vita culturale (gruppi di studio, di lavoro e artistici) alla gestione contabile.


Tutte le famiglie sono invitate a partecipare come possono.


Il funzionamento complessivo della scuola viene garantito dalla suddivisione dei compiti fra tre organi, le cui funzioni ricalcano la costituzione stessa dell’uomo: il consiglio di amministrazione è costituito da persone che possano garantire l’adesione ai fondamenti filosofici, persone che possono essere anche genitori e insegnanti, e rappresentano la sfera del pensiero; il collegio degli insegnanti, il quale assicura che la pedagogia orienti ogni decisione e rappresenta la sfera del sentire; infine l’assemblea dei genitori che costituisce la forza e rappresenta la sfera del volere. Questa articolazione mostra chiaramente come anche la scuola stessa sia un organismo vivente in continuo divenire.


I bambini vengono accolti nel giardino d’infanzia a partire dai 4 anni circa, momento in cui si è compiuta una prima grande fase evolutiva, che si fonda sulla relazione con la madre (prima – ove richiesto – esistono dei gruppi gioco, che tendono a riprodurre un’atmosfera domestica).


La classe è eterogenea e comprende quindi bambini fino ai sette anni.


Trascorrono qui di norma tre anni avvolti in una atmosfera sognante e sicura, garantita dai ritmi costanti che scandiscono le giornate, le settimane e le stagioni. Il gioco libero li impegna per la maggior parte del tempo, in un’alternanza tra quiete e movimento in cui si collocano alcune attività più strutturate, in genere manuali e artistiche. L’immaginazione viene coltivata anche con la narrazione di fiabe adatte alle stagioni e alla composizione del gruppo. Ogni giorno si trascorre del tempo all’aperto.


Il delicato momento del passaggio alla prima classe viene valutato e preparato con cura in accordo tra i maestri (di asilo e scuola), il medico scolastico e i genitori. A tal fine la pedagogia steineriana ci fornisce alcuni chiari parametri di carattere medico, sociale e personale, osservabili dai diversi protagonisti, che si confrontano e delineano il quadro della situazione di ciascun bambino e della futura prima classe.


La scelta di passare alla scuola è dunque un momento di confronto importantissimo tra tutti gli attori dell’educazione attorno a ciascun bambino e non avviene mai automaticamente solo per ragioni anagrafiche. Il giusto grado di maturità scolare consentirà al bambino di vivere pienamente la nuova opportunità, alla classe di essere motivata e ricettiva, al maestro di sviluppare in pieno il programma di studi specifico.


Il maestro di classe resta con i suoi allievi in genere per tutti gli otto anni, che nella scuola statale italiana corrisponderebbero alla primaria e alla secondaria di primo grado. Egli trascorre la maggior parte del tempo con i propri alunni e viene affiancato dai cosiddetti “maestri di materia” in alcuni ambiti specifici quali lingue straniere, lavoro manuale, canto, euritmia e altre.


Segue poi un ciclo superiore che va dalla IX alla XII classe, che comprende i ragazzi dai 14/15 anni ai 18/19 anni.


La durata della giornata varia da scuola a scuola, ma di solito termina nel primo pomeriggio.


Non ero pronta in quel momento per recepire tutto questo; ne sentivo l’enorme peso ed era troppo per me: non riuscivo a collocare l’esperienza in nessun luogo dentro di me.

Un’arte dell’educazione veramente pratica mai potrà derivare da un pensiero materialistico. Per quanto pratica si creda quella concezione, altrettanto poco pratica essa è nella realtà, quando si tratta di afferrare pienamente la vita.

Ne fui quasi scoraggiata perché misuravo la distanza rispetto alla mia posizione e sentivo una forte inadeguatezza; dovevo ancora crearmi i riferimenti necessari a lasciarmi andare a un pensiero che, comunque, continuava a vivere in me. Smarrita e grata, salutai le mie ospiti.

[…] per molti aspetti il nostro tempo si pone spesso con mezzi insufficienti di fronte ai problemi che si presentano agli uomini. Molti vorrebbero riformare la vita senza veramente conoscerne le basi. Chi vuol fare proposte su come ci si debba comportare in avvenire non può accontentarsi di imparare a conoscere la vita soltanto superficialmente. Deve studiarla nelle sue profondità.

Il libro che mi regalò la maestra giacque sul mio comodino per diverse settimane, ma quando fui pronta ad affrontarlo di nuovo sentii lo stesso smarrimento: quello che mi chiedeva era di affidarmi ed io forse non avevo ancora abbastanza esperienza con i bambini per trovare riscontri in ciò che andavo leggendo. Alla fine me ne feci un’idea molto critica e annotai a margine una serie di domande e riflessioni, che rimasero aperte e oggi mi fanno sorridere.

Non crediate che mi venga anche solo per un momento in mente di affermare che quanto può venire obiettato contro la pedagogia della Scuola Waldorf sia da noi semplicemente messo da parte. Non è affatto così. Al contrario, chi sta su di un terreno spirituale, come lo è quello dell’Antroposofia, non può sotto nessun aspetto essere un fanatico unilaterale: egli prenderà in considerazione nel modo più radicale tutto quello che può insorgere come obiezione contro le sue opinioni.

Per diverse persone che conobbi in seguito, anche impegnate nel movimento delle scuole a diversi livelli, il primo approccio alla lettura di Steiner fu lo stesso. Semplicemente per me non era il momento… e forse neanche per loro.

Come la luce ed il colore stanno attorno al cieco, ma questi non può percepirli soltanto perché non ha gli organi adatti, cosi la scienza dello spirito afferma che vi sono parecchi mondi attorno all’uomo e che egli li potrà percepire soltanto quando avrà formato gli organi adatti allo scopo.

La trasformazione che avvenne in me durante la mia prima gravidanza, con il suo ritmo lento e costante, quasi impercettibile ma forte, aprì sicuramente una nuova fase evolutiva. Ero totalmente concentrata sulla creatura che cresceva in me, tanto da non accorgermene: gli effetti si sarebbero mostrati solo molto più tardi.

Tutta la vita è come una pianta che non contiene soltanto quello che si presenta all’occhio, ma nasconde pure nelle sue recondite profondità anche uno stadio futuro. Chi osserva una pianta rivestita di sole foglie sa perfettamente che, dopo qualche tempo, sul ramo frondoso vi saranno anche fiori e frutti. Già ora la pianta contiene nascostamente la disposizione ad avere fiori e frutti. Però come si potrebbe dire quale sarà l’aspetto di tali organi se della pianta si volesse studiare soltanto quello che essa offre ora al nostro sguardo? Lo si potrà soltanto conoscendo la natura della pianta.

Anche tutta la vita umana contiene in sé le disposizioni per il suo avvenire. Ma per poter dire qualcosa di quell’avvenire occorre penetrare nella natura nascosta dell’uomo.

Mi sentivo sicura nel mio nuovo ruolo di madre, forte del mio desiderio di viverlo e delle mie conoscenze. Sole, per quasi tutta la settimana – e a volte anche di più – avevamo creato una sintonia di cui godevamo entrambe, frequentavamo altre mamme con bambini piccoli, ricevevamo qualche amico intimo, affrontavamo tutto insieme, anche i trasferimenti settimanali per andare alle riunioni di lavoro, dove la mia piccola veniva con me.


Ma a 18 mesi ancora non si era instaurato un buon sonno: per lei era difficilissimo addormentarsi, si svegliava molto spesso e cercava sempre il mio contatto. I suoi sonni non duravano più di mezz’ora e spesso anche meno e questo non mi permetteva di dedicarmi a nient’altro. La mia stanchezza mi rendeva nervosa e questo non faceva che peggiorare il suo stato. Fu questo lo stimolo che ridestò in me quell’esperienza vivida, ma sopita, avuta anni prima con le due maestre steineriane. Acquistai qualche testo, ma non vi trovai le risposte che cercavo, forse perché le domande erano poco chiare anche dentro di me.


Ero confusa quando composi il numero dell’asilo, dove non sapevo se la mia amica lavorasse ancora.


Pochi giorni più tardi raggiunsi lì un gruppo di mamme con bimbi molto piccoli, che s’incontravano con regolarità per scambiarsi esperienze con la conduzione dalla maestra più anziana. Mentre mia figlia si muoveva liberamente con gli altri bambini all’interno del nostro cerchio, potei incontrare gli sguardi delle altre mamme, sentire le loro storie, condividere i loro sentimenti. La maestra ascoltava, favoriva il dialogo e dava suggerimenti pratici; non fece riferimenti teorici, seppure era evidente fondassero la azioni di cui parlava. Quello fu il primo istante in cui si creò un legame chiaro dentro di me tra ciò che mi era stato presentato anni prima, le letture fatte in seguito e gli effetti che ne potevano derivare.


Dissi sì alla pedagogia steineriana nell’istante in cui divenne utile nella mia vita.

[…] l’approfondimento scientifico-spirituale dell’essere dell’uomo deve fornire i mezzi più fruttiferi e più pratici per la soluzione delle più importanti questioni vitali del presente.

Fui rassicurata sulla questione del sonno, che in quel momento mi affliggeva particolarmente: il suggerimento era di trovare un ritmo consono alla bambina e a me, un ritmo regolatore indipendente dagli eventi esterni in cui io potessi essere a mio agio, scivolarci dentro insieme alla mia piccola e difenderlo.

La scienza della spirito per sua natura deve avere il compito di fornire una pratica concezione del mondo che comprende l’essenza della vita umana.

Chi conosce la vita potrà derivare i suoi compiti dalla vita stessa, non farà programmi arbitrari; egli sa infatti che in avvenire varranno le medesime leggi fondamentali della vita che valgono oggi.

L’ispirazione mi venne da un’immagine che mi portai via da quell’incontro, dopo che la maestra ci disse che i ritmi non s’impongono, ma si vivono insieme: si sentono fluire tutt’intorno a noi e ci si entra per mano con i nostri bambini. Così diventano regole naturali e benefiche.

E soltanto quando l’educazione viene vissuta intorno al bambino, in modo da non venirgli imposta, soltanto allora il bambino nel modo giusto nella vita diventa uomo.

Imparai da lei a dare un nuovo respiro alla nostra vita. Posi così le basi di quelle regole che divennero normali nel susseguirsi degli anni. Un clima positivo e non impositivo favoriva ogni cosa, così come la chiarezza e la coerenza. Negli asili e nelle scuole che frequentano i miei piccoli ritrovo praticamente le stesse poche e chiare regole, a preservare la sicurezza, la cura e il rispetto; così come in tutti gli asili e le scuole steineriane. Non ci sono mai reazioni automatiche di fronte a una trasgressione, ma si valuta insieme in modo individualizzato la circostanza, considerando soprattutto l’età del bambino. In genere si osserva e si comprende insieme al maestro, che poi offre una possibilità per rimediare. Con i ragazzi più grandi le regole si condividono.


Su questo stesso principio si fonda la valutazione degli allievi, che non si avvale dei voti, ma di una osservazione partecipata del bambino da parte del maestro. Egli poi restituisce una sintesi del profilo in chiave positiva e propositiva, in cui il ragazzo può rivedersi e proiettarsi nel proprio futuro, grazie alle forze di cui dispone, che il maestro ha evidenziato per lui.


In genere questo processo ha un momento di condivisione con la classe, il che implica una maggior presa di coscienza.


Nella pedagogia steineriana anche la didattica è dinamica: una danza tra le leggi evolutive e la costante variabilità della vita. La sua organicità e il costante riferimento filosofico spiegano la funzionalità di ogni azione e la specificità di ogni strumento in essa adottati: non esiste casualità nell’educare, ma scelte consapevoli contestualizzate.


Tutto nella scuola steineriana è atto al raggiungimento degli obiettivi che questa pedagogia si pone, tutto è intriso di pedagogia: dalla scelta da parte del maestro dei posti da assegnare agli allievi ai diversi supporti per la scrittura nelle differenti età, dallo strumento musicale alla camminata mattutina per raggiungere la scuola.


Il piano di studi stesso è il primo strumento di cui i maestri dispongono per pianificare il loro lavoro e valutare i progressi della classe. In esso sono indicate le materie adatte alle diverse età, ossia quei contenuti che rispecchiano meglio i bisogni evolutivi di un dato periodo, in riferimento ai valori che fondano la pedagogia. Nell’incontro con la materia il bambino o ragazzo può in questo modo rispecchiarsi e trovare uno strumento utile per vivere a pieno il periodo che sta attraversando e proiettarsi nel futuro.

Non si avanzeranno richieste o programmi, ma verrà semplicemente descritta la natura del bambino. Dall’essere dell’uomo in formazione risulteranno naturalmente gli spunti per l’educazione.

Il programma deve essere una copia di quanto si può leggere nello sviluppo dell’uomo.

Il ritmo è certamente un altro strumento didattico fondamentale; è il respiro di tutta la scuola: un ritmo in armonia con la natura che ci circonda, tanto quanto con la natura dell’uomo.

Il susseguirsi delle stagioni si vive anche attraverso la preparazione e la celebrazione delle festività. La giornata scolastica ha una proporzione equilibrata tra i momenti di concentrazione e di espansione, tra il dentro e il fuori, tra l’apprendimenti di carattere intellettivo, emotivo e volitivo. L’orario prevede la mattina dedicata alla materia del periodo, il pomeriggio alle materie di carattere artistico e manuale, mentre nella parte centrale della giornata trovano spazio le lingue, la ginnastica, l’euritmia. Una stessa materia viene presentata ogni giorno per circa due ore per qualche settimana e poi completamente abbandonata per passare alla successiva, in un ciclo che si rinnova. Lasciar dormire dentro di sé i contenuti appresi vivifica l’apprendimento stesso perché il tempo che intercorre tra un’epoca e un’altra della stessa materia consente di connettere con il maggior numero possibile di significati i contenuti.

Fidate sulla capacità di comprendere col tempo, e sui rapporti fra le cose… Come un bambino accoglie la struttura del linguaggio nella sua organizzazione animica, senza aver bisogno di conoscere le leggi della sintassi in concetti razionali, così il giovane, per esercitare la memoria, deve imparare cose di cui acquisterà soltanto più tardi la comprensione. Si impara anzi meglio ad afferrare in seguito in concetti quanto si è appreso puramente a memoria in questa età, come si imparano meglio le regole di una lingua che già si parla.

In un certo senso ogni comprensione concettuale dovrebbe venire presa dai tesori accumulati nella memoria.

Deriva da un modo di pensare materialistico anche un insegnamento troppo dimostrativo.

Tutte le citazioni qui riportate sono tratte da conferenze che Rudolf Steiner tenne tra il 1907 e il 1924, eppure ci parlano come se si riferissero a un contesto socio-culturale attualissimo.

Io credo che la forza di questo sistema filosofico, da cui traggono impulso anche l’arte, l’agricoltura, la medicina e l’economia, si riveli nella sua essenza e aumenti con il progredire della sua attuazione nel mondo. Oggi esistono scuole distribuite in ogni continente, frequentate da migliaia di bambini e ragazzi e dalle loro famiglie, e associazioni che promuovono in tutti i campi questo pensiero. Si tratta di un grande organismo vivente, che respira e cresce anche grazie alla formazione continua e indipendente dei maestri. Per questo la pedagogia di Steiner svolge ancora oggi una parte attiva nella società e nella cultura contemporanee, così com’era nei suoi obiettivi iniziali.

La pedagogia su basi scientifico-spirituali è quanto di più pratico e consono vi sia alle richieste della nostra epoca tormentata, in quanto può risanare i rapporti sempre più difficili fra le diverse generazioni, e risvegliare e affinare, in chiunque si appoggi sulla conoscenza dei reali effetti della educazione sulla vita intera, il sentimento caratteristico indispensabile per l’attuarsi della coscienza desta dell’uomo: il sentimento della responsabilità.

Coltivare ed esercitare pienamente la responsabilità educativa, ossia avere piena coscienza del proprio agire, pensare e sentire intorno ai bambini e delle relative ricadute evolutive su di loro, è un percorso che sempre più educatori intraprendono oggi e che l’attuale condizione socio-culturale del nostro Paese rende sempre più urgente.

L’incontro con questa pedagogia costituisce un impulso evolutivo prima di tutto personale: dal riconoscimento nei suoi valori di fondo nasce il desiderio di sperimentarne le dinamiche, che inevitabilmente coinvolgono ogni sfera della propria vita.

Se si può trasformare questo culto dell’educazione in un interesse del proprio cuore, allora, dalla nostra individualità di maestro, questo può guidare ogni educazione e ogni istruzione non con una metodica imparata, ma con una metodica vivente, sgorgante dall’intimo.

Intraprendere questo cammino di conoscenza restituisce dignità e soprattutto gioia all’individuo, alla professione educativa, alla comunità e – in definitiva – alla società.

Sono moltissimi sul nostro territorio nazionali i gruppi di studio, luoghi in cui ci si può avvicinare per la prima volta alla lettura dei testi di Steiner evitando quello scoramento iniziale che può costituire un ostacolo al suo sviluppo. Altrettanto numerose sono anche le occasioni di approccio artistico e le possibilità di entrare direttamente in una scuola e viverne le pulsazioni, grazie alla feste (bazar). Per una formazione specifica, invece, esistono in Italia corsi biennali o triennali che hanno poi validità internazionale.

Conobbi due maestre di scuola primaria che vivevano e lavoravano in un minuscolo paese di una valle impervia dell’Italia settentrionale. Dopo aver seguito la formazione steineriana, avevano deciso di portare questa pedagogia nella scuola statale. La loro unica classe era formata da nove alunni di età diverse, di cui tre erano loro figli. Nonostante il rischio costante di chiusura della scuola, il loro ruolo era percepito in tutta la sua importanza per la sopravvivenza della piccola comunità. Il giorno che andai a incontrarle nevicava così abbondantemente da farmi dubitare più volte del fatto di poterle raggiungere senza nemmeno un indirizzo preciso. Ma alla svolta dell’ennesimo tornante, quando finalmente comparve davanti ai miei occhi il nome del paese, una figura dai contorni indefinibili, per il cappello e il tabarro che indossava e per la tormenta di neve, mi venne incontro: era un uomo del paese che era incaricato di condurmi da loro, non prima di una sosta all’unica osteria, dove mi offrirono una tazza di tè caldo e mi squadrarono dalla testa ai piedi: un rituale a cui si deve sottoporre ogni “foresto” (straniero). Avevo la sensazione di essere completamente fuori dal tempo. Nel breve tragitto fino alla minuscola scuola – al centro del paese, accanto alla chiesa – l’uomo mi introdusse alla vita della comunità: non gli fu difficile trasmettermi l’amore per le loro tradizioni e la loro storia e l’accorato timore che i loro giovani andassero per il mondo senza prima averle conosciute. Pochi passi prima di salutarci, sotto la scala di pietra che conduceva alla classe, si fermò di colpo e assunse un’aria grave: “Il lavoro di queste maestre potrà salvare la nostra comunità”, mi disse schietto. Mi domandavo cosa conoscesse e cosa passasse all’esterno della scuola, mentre mi veniva incontro una delle maestre. Fu un incontro davvero cordiale. L’aula era piccola, ma molto accogliente. Alle pareti erano appese le tipiche forme e le prime lettere dell’alfabeto dipinte, tra l’una e l’altra delle minuscole finestre, da cui immaginavo che nei giorni limpidi si potesse vedere fino in fondo alla valle. Gli allievi sapevano della mia visita e mi mostrarono orgogliosi i loro quaderni. Le maestre mi raccontarono degli ottimi rapporti con la dirigente scolastica, la quale, pur non conoscendola, aveva subito apprezzato la pedagogia che avevano adottato. Questo era un sostegno fondamentale per introdurre sempre più elementi steineriani nel lavoro con i bambini. Apprezzai molto il loro coraggio: per quanto sembri più semplice esporsi in un contesto tanto circoscritto, in realtà questa dimensione ne rende immediatamente visibili gli effetti grazie alle solide e strette relazioni tra tutti i compaesani. I continui compromessi che erano chiamate a trovare, tra il curriculum statale e la loro metodologia, costituivano una sfida interessante che andava ben oltre quella valle, ma offriva una grande occasione di osservazione della trasferibilità della pedagogia steineriana fuori dai confini noti. In quelle poche ore vissute con le due maestre compresi il grande compito che si erano assunte rispetto alla tutela dell’identità di quel territorio e quale fosse in questo processo il ruolo della pedagogia: quella libertà cui ambisce l’individuo lì si palesava chiaramente attraverso un’opera di radicamento culturale che permetteva alla comunità di aprirsi senza disfarsi. Ripensai alle parole dell’uomo che mi aveva accolta e all’istante mi fu chiara la straordinarietà del pensiero pedagogico di Steiner: un’unica filosofia diffusa nei cinque continenti attraverso cui egli ci invita a riscoprire noi stessi e porre inevitabilmente i nostri talenti al servizio della società con gioia per evolvere secondo la nostra intrinseca natura umana.

Una vera cognizione penetrante nell’essere del mondo e dell’uomo, per il solo fatto di esistere, si muterà nel cuore dell’uomo in entusiasmo; essa inserirà l’educatore e l’insegnante nel suo compito in modo che egli potrà attingere entusiasmo da quanto sente nel suo rapporto col mondo e con se stesso, come fa l’artista quando l’opera d’arte urge in lui.

La pedagogia steineriana è vivente perché si muove incessantemente all’unisono con il movimento naturale dell’uomo. Essa rende visibili le tracce inconsapevoli del nostro passaggio, assumendo una forma organica complessa in cui s’intersecano traiettorie precise. Una volta incontrata, da qualsiasi parte la si inizia ad attuare, sortirà comunque i suoi effetti, che si propagheranno certamente molto oltre gli obiettivi fissati.

Coi mezzi più semplici si potrà ottenere molto, se nell’educatore stesso vi è il giusto senso per queste cose. Gioia per la vita, amore per l’esistenza, forza per il lavoro, tutte queste cose nascono per l’intera esistenza dall’amore per il senso della bellezza e dell’arte. E come vengono nobilitati e abbelliti, grazie a questo senso, anche i rapporti con gli altri uomini!

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Qualche buona lettura

R. Steiner, Educazione del bambino e preparazione degli educatori, Editrice Antroposofica, Milano 2012.


R. Steiner, L’educazione dei figli, Mondadori, 2007.


Carlgren F. - Klingborg A., Educare alla libertà. La pedagogia di Rudolf Steiner, Filadelfia, 2012.

Un'altra scuola è possibile?
Un'altra scuola è possibile?
Sonia Coluccelli
Autori, esperienze e prospettive educative verso percorsi scolastici in ascolto dei bambini.Un panorama delle alternative alla scuola tradizionale e dei diversi modi di approciarsi all’istruzione, tra visione pedagogica e traduzione pratica. Il sistema educativo odierno non sembra incoraggiare il pensiero olistico, intuitivo e immaginativo, ma predilige di gran lunga quello fondato sulla verbalizzazione. Il clima che si respira nella scuola provoca forte stress agli alunni, a causa di pressioni e attese didattiche che non si conformano alla loro natura. Nelle scuole si formano perlopiù conoscitori, non pensatori.Un’altra scuola è possibile mette in evidenza la necessità di promuovere all’interno della scuola una riflessione per “vedere” sempre meglio i bambini, attraverso la possibilità di vivere esperienze didattiche fuori dall’edificio scolastico; il tutto visto non come una fuga da un’esperienza avvilente, ma come la messa in atto di progetti educativi con una loro specificità e diritto di espressione.Sulla base di una critica alla scuola convenzionale, l’autrice Sonia Coluccelli intende offrire un ventaglio di proposte alternative, prospettando per ciascuna sia gli assunti teorici sia le effettive realizzazioni. Da Rudolf Steiner a Don Lorenzo Milani, da Maria Montessori a Mario Lodi, fino all’educazione parentale, ogni capitolo prende in esame una visione pedagogica e ne presenta la relativa traduzione pratica.È così offerto un panorama di scelte possibili a chi stenta a riconoscere nei sistemi scolastici convenzionali una risposta adeguata ai reali bisogni di apprendimento, crescita e sviluppo di ciascun bambino. Conosci l’autore Sonia Coluccelli è insegnante, formatrice e mamma di quattro figli. Da vent’anni coltiva una riflessione pedagogica in ambito scolastico, approfondendo la conoscenza dei diversi approcci educativi, ricercando sguardi attenti nei bambini e attenzione alle loro domande.Dal 2012 si occupa di promuovere esperienze montessoriane nella scuola pubblica collaborando con Fondazione Montessori Italia.Vive a Omegna, sulle rive del lago d’Orta.