CAPITOLO VI

Una grammatica per la scuola
(e per la vita): gianni rodari

C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri, professori, avvocati, muratori, televisori, giornali, cartelli stradali, il sole, i temporali, le stelle. Ci sono lezioni facili e lezioni difficili, brutte, belle e così così. Ci si impara a parlare, a giocare, a dormire, a svegliarsi, a voler bene e perfino ad arrabbiarsi. Ci sono esami tutti i momenti, ma non ci sono ripetenti: nessuno può fermarsi a dieci anni, a quindici, a venti, e riposare un pochino. Di imparare non si finisce mai, e quel che non si sa è sempre più importante di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero quanto è grosso: apri gli occhi e anche tu sarai promosso.
Gianni Rodari

Da più di dieci anni abito a Omegna, la città dove è nato Gianni Rodari. Una città che spesso lo onora, lo ricorda, ma forse non abbastanza, soprattutto a scuola. Dedicargli uno spazio, in questo viaggio che tratteggia una scuola diversa e possibile, è per me quasi scontato, anche se l’operazione è sdrucciolevole, a causa della lettura spesso semplificata che viene proposta del suo contributo, quasi a volerne, in modo più o meno consapevole, neutralizzare la portata rivoluzionaria e critica che lo caratterizza.

Cosa vuol dire davvero essere una maestra rodariana, magari non solo leggendone le rime o i racconti per le occasioni da calendario o per qualche spunto laico a favore della pace e della convivenza?


Me lo sono chiesta spesso e il confronto, in questa occasione, con alcuni compagni di viaggio, come gli amici del Parco della Fantasia di Omegna, che di Rodari hanno fatto già da tempo la chiave di lettura del loro lavoro con i bambini e i ragazzi, mi ha aiutato a trovare qualche risposta a questa domanda.


Rodari non è forse, come don Milani, un pedagogista intenzionale nel senso comune del termine, o quanto meno non si presenta come tale; tuttavia le finestre che apre sulla scuola e sull’apprendimento sono tesori preziosi per chi vuole guardare quell’esperienza con gli occhi dei bambini e di alcuni loro percorsi mentali. Esiste quindi, sì, una pedagogia rodariana, un pensiero sul bambino che, solo a tratti esplicitato a livello teorico, attraversa però in modo chiaro tutte le sue opere.


Rodari ha, per certo, un’idea piuttosto chiara di cosa vuol dire o dovrebbe voler dire imparare e soprattutto imparare a imparare ed è dichiarata la sua intenzione di offrire strumenti utilizzabili all’interno dei contesti educativi, e in particolare a scuola, per sviluppare competenze, facilitare i percorsi di apprendimento e soprattutto coltivare menti consapevoli.


Coerentemente, Rodari dedicò molto tempo a incontrare alunni e insegnanti e nel 1973 decise di offrire loro un testo breve ma assai efficace per condividere una riflessione teorica più strutturata sui pilastri su cui poggiava la sua opera e la sua idea di bambino. Quel testo è la Grammatica della fantasia, unica pubblicazione rodariana di carattere teorico, ancora oggi prezioso strumento per chi voglia riflettere e attuare qualche piccola o grande rivoluzione nel fare scuola.

In queste pagine due sono, mi pare, i postulati su cui Rodari ci dà ampio materiale per riflettere:


il primo è il valore della creatività nel processo di apprendimento; rivolge infatti esplicitamente le pagine di questo libro

a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola.1

La creatività a cui pensa Rodari non è quel divertissement spesso banalizzato come tale a cui pensiamo quando troviamo ragazzini particolarmente abili nell’espressività; è piuttosto qualcosa che in modo del tutto suggestivo ricorda quell’affermazione di don Milani sul maestro profeta, dote che però qui viene assegnata in potenza proprio ai bambini, forse solo grazie a maestri capaci di essere come don Milani suggeriva.

Scrive Rodari:

Occorre una grande fantasia, una forte immaginazione per essere un grande scienziato, per immaginare cose che non esistono ancora, per immaginare un mondo migliore di quello in cui viviamo e mettersi a lavorare per costruirlo…2

Questa attitudine alla creatività, o meglio ancora (rodarianamente) alla fantasia, è preziosa per avvicinare con consapevolezza e protagonismo qualsiasi percorso che ci troviamo di fronte; saper vedere oltre, o a lato, del sentiero principale, di quello più battuto, permette di esercitare delle scelte che possano essere davvero tali; sapere che per ciascuna questione possono esistere diverse risposte obbliga a trovare la propria, applicando criteri di valutazione che vanno selezionati e fatti propri.

Mentre scrivo mi chiedo quanto sia mancato a noi insegnanti, ma anche genitori, poter crescere educati alla creatività e all’uso della fantasia per poter essere oggi migliori maestri ed educatori, capaci appunto di scegliere la strada migliore per svolgere il nostro compito, e non solo quella percorsa dai più. E mi domando quanto questo mancato passaggio ci impedisca di mettere in campo questa esperienza anche per i nostri bambini, a scuola o a casa.

L’altro pilastro che ci propone Rodari nel testo è il valore generativo per coltivare l’immaginazione che ha il binomio fantastico, una tecnica di attivazione dei processi di fantasia, la rampa di lancio da cui tutto il resto discenderà con grande naturalezza.

Di cosa si tratta ce lo racconta Rodari stesso:

La parola singola (gettata lì a caso, con la sua forza evocativa di immagini, ricordi, fantasie, personaggi, avvenimenti del passato,…) agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe ad uscire dai binari dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significato … Una storia può nascere solo da un binomio fantastico.”3

Occorre una certa distanza tra le due parole, occorre che l’una sia sufficientemente estranea all’altra, e il loro accostamento discretamente insolito, perché l’immaginazione sia costretta a mettersi in moto per istruire tra loro una parentela, per costruire un insieme (fantastico) in cui i due elementi estranei possano convivere. (…) Nel binomio fantastico le due parole non sono prese nel loro significato quotidiano, ma liberate dalle catene verbali di cui fanno parte quotidianamente. Esse sono “estraniate”, “spaesate”, gettate l’una contro l’altra in un cielo mai visto prima.4

In realtà, ben prima del 1973, il 9 e 19 febbraio del 1962, Rodari pubblicò su “Paese Sera”, la testata con cui collaborò per molti anni, due articoli che anticipano alcuni di questi contenuti.

Per rimanere fedele ad un approccio non accademico, che per nulla gli apparteneva, Rodari porta qui i suoi lettori nella finzione in cui inscena un improbabile ritrovamento di una traduzione in giapponese di un manuale tedesco (!) sull’arte di inventare favole. In esso lui avrebbe trovato, e scriverebbe per condividerne l’interessante contenuto, efficaci tecniche di attivazione della Fantastica, anticipatrici del binomio fantastico: quella più strettamente imparentata con esso è il “duello di parole” (termine più rodariano, meno didattico di quello di “binomio” a cui poi si adeguerà, temo, per far piacere ai lettori insegnanti).

Eccone la descrizione dalle parole di Rodari che, per iniziare il gioco e renderlo comprensibile, immagina che a duellare siano due parole tra loro chiaramente spaiate come Pianta e Pantofola:

Dal loro incontro nascerà quasi subito l’immagine di una “pianta delle pantofole”. A questo punto preciso la favola è già nata, e basterà che il narratore sviluppi a suo talento, e secondo il suo temperamento, l’immagine iniziale. Un pessimista, probabilmente, narrerà la triste e deprimente storia di un povero contadino (o mugiko, o fellagah, a seconda dell’ambiente storico-sociale) che possiede una sola pantofola e a cui un amico burlone insegna che, seminandola, vedrà crescere una pianta che recherà come frutto la pantofola che gli manca, ecc. Un ottimista, al contrario, farà alzare il suo contadino (mugiko, fellagah) di buon’ora per andare a zappare nei campi: dove giunto egli troverà che un vecchio fico ha fruttificato, ma da ogni ramo, al posto dei fichi, penderanno a due a due pantofole d’ogni foggia e colore che egli coglierà: aprirà un magazzino per commerciarle, arricchirà, ecc., probabilmente a patto che nessuno salga mai sul suo albero prodigioso. Un narratore d’indole burlesca, a questo punto, si deciderà a burlarsi del contadino-calzolaio, mandandogli alle calcagna un lupo che lo obbligherà ad arrampicarsi lui stesso sull’albero delle pantofole, distruggendo l’incantesimo. Il moralista trarrà facilmente una morale dalla favola. Non esiste niente al mondo da cui non possano trarsi almeno due dozzine di insegnamenti morali profondamente e irreparabilmente contraddittori.

Ma cosa indica Rodari con il termine Fantastica? La definizione di questa abilità non è una creazione rodariana ma deriva dal frammento n° 1905 di Novalis che, molto noto, riporta “Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. Allora la Fantastica sono le regole che governano la fantasia, la quale non è anarchia pura ma ricerca creativa di risposte nuove ma non per questo prive di significato. Una grammatica della fantasia, appunto.

L’altro spunto operativo che gli articoli ci offrono, sempre ben suggerito da un’immagine calzante, è quello che Rodari chiamava il sasso nello stagno, ossia la possibilità che una singola parola possa generare connessioni, associazioni di idee, altre immagini, come fanno i cerchi concentrici creati dal lancio di una pietra anche piccola in uno specchio d’acqua. E anche qui ci apre le porte della sua Fantastica iniziando da una parola a caso, come Fuoco… e che succede?

tutti gli elementi della vostra memoria vanno in agitazione”… “rompe le nuvole una piccola pioggia di frasi fatte: col ferro e col fuoco; fuoco a volontà; non c’è fumo senza fuoco, ecc. Ecco apparire i primi cerchi. Improvvisamente l’occhio vi cade su una poltrona, mentre dentro di voi la voce grida: fuoco! Ma proprio fuoco col punto esclamativo. Una esecuzione capitale. La poltrona fucilata. Via! Varate la vostra barchetta. Il dittatore vuole disfarsi dei suoi nemici. Egli odia la poltrona, che oppone ai suoi ordini una calma impassibile, una resistenza passiva delle più irritanti. Sia fucilata! Ma anche le pallottole la trapassano senza ucciderla. È sempre una poltrona. Ci si può tuttavia schiacciare un sonnellino.

Non occorre aggiungere altro, mi sembra!

In questi due articoli poi Rodari cita anche altre tecniche per sviluppare la Fantastica, conducendoci in viaggio dall’Insalata di favole all’utilissimo esercizio del Cosa succederebbe se… con tanto di compito finale per i lettori, compito che credo andrebbe svolto obbligatoriamente durante i concorsi pubblici per l’accesso all’insegnamento e a intervalli somministrato da saggi dirigenti scolastici durante i collegi docenti…:

…e le ipotesi favolose sono infinite. La gente ha il torto di non accorgersene: ma in fondo quanta gente si è accorta dell’esistenza delle onde hertziane prima degli esperimenti di Hertz? La favola, in questo caso, nasce dalla combinazione di un qualsiasi soggetto con una qualsiasi domanda. Sia il soggetto “la Sicilia”. Che cosa succederebbe se la Sicilia cominciasse a navigare? Tutto qui.

Una mattina gli abitanti di Messina, al risveglio, si accorgono che Reggio Calabria, dall’altra parte dello Stretto, si è allontanata di parecchie miglia. La Sicilia ha salpato le ancore, ha tolto gli ormeggi, ha spiegato le vele al vento. Essa naviga in direzione di Gibilterra alla velocità di venti nodi all’ora. Allarme geografico-internazionale. Episodio marginale di un “ferry boat” partito da Reggio, che insegue la Sicilia attraverso il Mediterraneo occidentale. Passerà da Gibilterra? Non passerà? Ecc. Altro esempio, sempre con il soggetto indicato. Che cosa succederebbe se la Sicilia volasse? Che cosa succederebbe se la Sicilia perdesse i bottoni? Quest’ultima ipotesi è nata dall’accostamento assolutamente casuale tra il soggetto e una domanda scelta a caso in un libro. L’incoerenza è più apparente che sostanziale. Una facilissima riduzione al concreto particolare narrativo permetterà di narrare la storia del giorno in cui da un capo all’altro della Sicilia, tutti i bottoni di tutti i vestiti, come per un magico segnale, abbandonarono il loro posto di lavoro.

Seguiranno alcune descrizioni. Ecc. Altri esempi, con altri soggetti: Che cosa succederebbe se un coccodrillo bussasse alla vostra porta chiedendovi un po’ di rosmarino? Che cosa succederebbe se il vostro ascensore precipitasse al centro della terra? O schizzasse fin sulla Luna? E così via. Esercizio: scrivete duecento domande del tipo “cosa succederebbe se…” avendo come soggetto “la Sicilia, la pipa, una giraffa, la Regina d’Inghilterra.

Coerentemente con l’approccio della Grammatica della Fantasia, Rodari smonta poi un altro dei totem della scuola, di ieri come di oggi, portandoci a scoprire il valore dell’errore, o meglio l’insussistenza di questo concetto.


“Secondo Rodari l’errore non esiste, è utopia: esistono realtà “altre”, ma non per questo sbagliate.”


Così scrive Marika Vincenzi nel suo intervento “In difesa di Rodari. Dal ‘rodarismo’ alla riscoperta della pedagogia rodariana.”5


In ogni errore giace la possibilità di una storia” dice e scrive Rodari, e ci spalanca ancora gli occhi davanti all’incredibile risorsa che può rappresentare una mente abituata a pensare in modo divergente, creativo e plurale.


Il libro degli errori, illustrato ad arte da Bruno Munari, ne fa l’apologia senza teorizzarlo: da un errore, grammaticale o lessicale o contenutistico possono nascere creazioni originali e imperdibili, generatrici di orizzonti inesplorati, esercizio limpido dell’arte del creare mondi possibili.


A questo proposito Rodari scriveva che spesso “gli errori non stanno nelle parole, ma nelle cose; bisogna correggere i dettati, ma bisogna soprattutto correggere il mondo.


L’articolo della Vincenzi intende rispondere alla critica di chi6 sostiene che Rodari, con don Milani, sarebbe l’ispiratore, in senso negativo, della scuola elementare come oggi è: luogo, a suo parere, di una didattica eccessivamente ludica che rifugge la fatica e la serietà di un impegno che non passi attraverso il divertimento.


Leggendo questo passaggio mi chiedo in verità quali scuole elementari l’autrice, a sua volta insegnante ma di scuola superiore, abbia avuto la fortuna di frequentare o visitare. Se fosse almeno vera la descrizione che ne fa potremmo (dopo essercene rallegrati) eventualmente discutere di quanto questa reductio ad unum non renda merito al nostro omegnese, ma direi che neppure questa semplificazione ha ragione di essere sostenuta, purtroppo.


Ma se, cogliendo la provocazione, Rodari fosse davvero il mentore della scuola pubblica, come si tradurrebbe sul serio questa rivoluzione, senza qualunquismi o tentazioni naïf? Come farebbe scuola il maestro Rodari, nelle aule dei nostri bambini?


Lo immagino seduto in un cerchio con i suoi alunni, la sola idea di pensarlo seduto in cattedra mi fa sorridere, ad abbozzare domande su tutto, a raccogliere risposte, tutte le risposte, anche quelle stravaganti. Non solo per concludere una storia, ma anche per ricostruire il ciclo dell’acqua o le vicende del popolo egizio “…chissà come funzionerà, bambini, o come sarà/ sarebbe andata a finire…? Immaginiamo… vi metto in mano qualche elemento e poi vediamo come potrebbe essere secondo voi… e se si sbaglia? In che senso si sbaglia, bambini?…”


Immagino anche lui, come don Milani, con il quotidiano distribuito e letto in classe a riscrivere le notizie di cronaca o a interpellare senza timori gli adulti di turno, con i suoi piccoli cittadini allenati a guardare la realtà del mondo intorno a sé e a immaginarla migliore, come scrive magistralmente (avverbio non casuale) in una delle sue rime a me più care e credo anche per lui più significative, se il titolo che porta è

LETTERA AI BAMBINI

È difficile fare le cose difficili:

parlare al sordo,

mostrare la rosa al cieco.

Bambini, imparate

a fare le cose difficili:

dare la mano al cieco,

cantare per il sordo,

liberare gli schiavi

che si credono liberi.


Del resto non possiamo in nessun modo dimenticare il contesto storico e la cornice anche ideologica che sta intorno a Rodari, uomo dichiaratamente di sinistra, iscritto al PCI e attento interprete di una realtà post bellica di estrema deprivazione culturale, economica e sociale. C’è una sua rima che svela, quasi con ingenuità, la sua visione politica radicale e per niente “bambinesca”.

IL CIELO È DI TUTTI

Qualcuno che la sa lunga

mi spieghi questo mistero:

il cielo è di tutti gli occhi

di ogni occhio è il cielo intero.

È mio, quando lo guardo. È del vecchio,

del bambino, del re, dell’ortolano,

del poeta, dello spazzino.

Non c’è povero tanto povero

che non ne sia il padrone.

Il coniglio spaurito

ne ha quanto il leone.

Il cielo è di tutti gli occhi,

ed ogni occhio, se vuole,

si prende la luna intera,

le stelle comete, il sole.

Ogni occhio si prende ogni cosa

e non manca mai niente:

chi guarda il cielo per ultimo

non lo trova meno splendente.

Spiegatemi voi dunque,

in prosa od in versetti,

perché il cielo è uno solo

e la terra è tutta a pezzetti.


Rodari ha molto a cuore il ruolo dell’istruzione in questo contesto e attribuisce a essa il compito fondamentale di dare parole a ciascuno, diritto consapevole di esercitare un proprio ruolo a vantaggio della comunità, e non di una comunità qualsiasi ma di una collettività coesa, solidale, pacifica, capace di ricostruire sulle macerie e di fare meglio di chi ha preceduto.

Ancora nella Grammatica della fantasia, parlando di creatività, Rodari esplicita con chiarezza l’orizzonte educativo, sociale e politico che ha a cuore:

“Creatività” è sinonimo di “pensiero divergente”, cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza. È “creativa” una mente sempre al lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capaci di giudizi autonomi e indipendenti […], che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi.7

Rodari ha lasciato eredi e ispirazioni: queste rime di Roberto Piumini a lui dedicate bene lo testimoniano:


La natura di Gianni Rodari è interessante:

barbe-capanne e orsi pescatori,

pantofole che crescono su piante

nuvole pazze e neve a colori,

monti in cammino e isole che vanno,

stelle di gatti e fulmini scagliati,

corse di tartarughe lunghe un anno,

cammelli saggi e nasi scambiati.

E mentre leggi, la tua mente ride,

danza e corre e vola qua e là,

immagina, partecipa, decide,

e inventa il gioco della libertà.8


La sua opera teorizzata e messa in rima, racconto, storia, ci dice dunque chiaramente e con insistenza del valore della parola, del suo valore politico e narrativo, strumento necessario per raccontare il mondo come è o meglio ancora come lo vorremmo e lo progettiamo.


Se solo ce ne viene data la possibilità, sin da bambini, sin dai banchi di scuola.


Il parco della fantasia di Omegna: esperienze rodariane si presentano

Il Parco della Fantasia è localizzato a Omegna (VB), terra di origine del narratore Gianni Rodari, ed a lui è ispirato e dedicato.


Le amministrazioni pubbliche e i cittadini hanno voluto, attraverso l’istituzione del parco letterario, sviluppare, ricercare, proporre esperienze diverse di matrice rodariana, da condividere con bambini, scuole, enti, operatori del settore e appassionati in genere.


Al Parco vengono proposti almeno 4 strumenti per divertirsi e “fare scuola” in maniera alternativa.


1. Laboratori della grammatica della fantasia

La prima metodologia è ispirata alle tecniche descritte ne “La Grammatica della fantasia”, applicate agli ambiti lavorativi di Rodari: ci si può improvvisare maestri, scrittori o giornalisti. In questi contesti, ecco che non-sense, binomio fantastico, errore creativo, carte in favola, acrostici vengono dati in pasto alla fantasia (impetuosa ed inarrestabile soprattutto nel caso dei bambini) e mescolati a materiali di riciclo, in modo da stimolare a rivisitare il quotidiano, regalandogli nuova vita e nuovo senso. Il risultato è rappresentato da giornalini, quaderni, lavagne, libri pieni di arcobaleni di colori, personaggi improbabili, situazioni da esplorare. Le attività di laboratorio hanno la peculiarità di essere “destrutturate”: gli animatori usano le tecniche “fantastiche” come input che i bambini ricevono e ai quali rispondono in base all’età, alle competenze, al grado di preparazione, al livello di attenzione; i conduttori delle attività giocano con loro in un “ping pong” di parole, emozioni e concetti che fanno crescere un vortice di storie raccontate o scritte. Comunque immediate, libere, autentiche e uniche; spesso lontane dallo scontato schema dell’“introduzione-svolgimento e conclusione”.


2. TEATRI INTERATTIVI

L’improvvisazione, la maschera, i ruoli, sono elementi fondamentali per sperimentare tutte le possibilità del sé e del sé con gli altri, anche a dispetto di regole, imposizioni, attese, pressioni. La fantasia fa volare in alto e in “altro”, aprendo nuove possibilità e sviluppi. Per questo al Parco si propongono azioni teatrali d’improvvisazione e di interazione, all’interno del quale ci si ispira alle storie di Rodari e si incontrano i suoi personaggi (dal Barone Lamberto al Giovannino Perdigiorno), ma lo sviluppo della trama verrà deciso solo da chi si trova in sala e si metterà in gioco: lo spettacolo sarà dunque sempre unico e mai uguale.


3. USCITE SUL TERRITORIO

Il Parco della fantasia è in un rapporto biunivoco con il territorio del Lago d’Orta e con la sua storia letteraria, culturale ed industriale: cresce e, a sua volta, è alimentato, dal contesto in cui è inserito; questo è il motivo per cui vengono offerte anche occasioni al di fuori delle strutture del Parco, attraverso cui lasciarsi suggestionare da luoghi fortemente intrisi da riferimenti rodariani: laboratori emotivi, passeggiate e trekking narrativi fanno rivivere le storie nei loro luoghi di ambientazione. In questi speciali laboratori a cielo aperto le parole degli animatori e la particolarità dei posti, aprono realtà parallele in cui sentirsi protagonisti dei racconti strampalati o delle novelle divertenti scaturite dalla fantasia di Gianni Rodari.


4. IL GIOCO IN LUDOTECA

La ludoteca del Parco è uno spazio aperto, ispirato alla filastrocca del “bambino di Gesso”. Un luogo speciale dove mettersi a confronto con tutti i “divieti” imposti dalla società. Non correre! Non dire bugie! Non scrivere sul muro…


Appropriarsi della libertà di scegliere, di gestire le proprie azioni, di valutare gli spazi di autonomia, i comportamenti; sperimentare la consapevolezza di mettersi in discussione, accrescendo la propria capacità critica e la propria autoefficacia; infrangere per ricostruire ed interiorizzare codici e regole; obiettivi importanti da raggiungere attraverso gli strumenti più semplici: giochi di simulazione, giochi di gruppo, giochi di costruzione.


Sulle ali degli scritti di Rodari, tutte le esperienze del Parco della Fantasia si basano su un’intuizione educativa precisa: permettere al bambino di sperimentare e sperimentarsi, giocare e sbagliare, comprendere e comprendersi in modo libero e non obbligato da un sistema imposto. In questo modo si rivalutano l’errore come possibilità di crescita e il limite come motivazione a rimettersi in gioco.


Per lo staff del ParcoAlberto Poletti e Nella Cafagna


Navigando in rete

Il sito ufficiale: http://www.giannirodari.it/


Alcune piste dal binomio fantastico in poi: http://www.webalice.it/gaverg/rodari.htm Gli articoli di Rodari su Paese Sera: http://www.bdp.it/Rodari/studio/critica/fondamentidiunafantastica.htm


Rodari nell’insegnamento dell’italiano ad adulti stranieri:


La bibliografia su Rodari è estesissima, abbiamo scelto di non pubblicarla in questa sezione ma di indicarvi il link del sito istituzionale che presenta l’elenco più completo disponibile http://www.giannirodari.it/bibliografia/

Esperienze, nomi e volti

Un giro alla ludoteca del Parco della fantasia di Omegna http://www.rodariparcofantasia.it/

Un'altra scuola è possibile?
Un'altra scuola è possibile?
Sonia Coluccelli
Autori, esperienze e prospettive educative verso percorsi scolastici in ascolto dei bambini.Un panorama delle alternative alla scuola tradizionale e dei diversi modi di approciarsi all’istruzione, tra visione pedagogica e traduzione pratica. Il sistema educativo odierno non sembra incoraggiare il pensiero olistico, intuitivo e immaginativo, ma predilige di gran lunga quello fondato sulla verbalizzazione. Il clima che si respira nella scuola provoca forte stress agli alunni, a causa di pressioni e attese didattiche che non si conformano alla loro natura. Nelle scuole si formano perlopiù conoscitori, non pensatori.Un’altra scuola è possibile mette in evidenza la necessità di promuovere all’interno della scuola una riflessione per “vedere” sempre meglio i bambini, attraverso la possibilità di vivere esperienze didattiche fuori dall’edificio scolastico; il tutto visto non come una fuga da un’esperienza avvilente, ma come la messa in atto di progetti educativi con una loro specificità e diritto di espressione.Sulla base di una critica alla scuola convenzionale, l’autrice Sonia Coluccelli intende offrire un ventaglio di proposte alternative, prospettando per ciascuna sia gli assunti teorici sia le effettive realizzazioni. Da Rudolf Steiner a Don Lorenzo Milani, da Maria Montessori a Mario Lodi, fino all’educazione parentale, ogni capitolo prende in esame una visione pedagogica e ne presenta la relativa traduzione pratica.È così offerto un panorama di scelte possibili a chi stenta a riconoscere nei sistemi scolastici convenzionali una risposta adeguata ai reali bisogni di apprendimento, crescita e sviluppo di ciascun bambino. Conosci l’autore Sonia Coluccelli è insegnante, formatrice e mamma di quattro figli. Da vent’anni coltiva una riflessione pedagogica in ambito scolastico, approfondendo la conoscenza dei diversi approcci educativi, ricercando sguardi attenti nei bambini e attenzione alle loro domande.Dal 2012 si occupa di promuovere esperienze montessoriane nella scuola pubblica collaborando con Fondazione Montessori Italia.Vive a Omegna, sulle rive del lago d’Orta.