Ma proviamo a leggerne alcune parti :
L’educazione interculturale costituisce lo sfondo da cui prende avvio la specificità di percorsi formativi rivolti ad alunni stranieri, nel contesto di attività che devono connotare l’azione educativa nei confronti di tutti. La scuola infatti è un luogo centrale per la costruzione e condivisione di regole comuni, in quanto può agire attivando una pratica di vita quotidiana che si richiami al rispetto delle forme democratiche di convivenza e, soprattutto, può trasmettere le conoscenze storiche, sociali, giuridiche ed economiche che sono saperi indispensabili nella formazione della cittadinanza societaria. L’educazione interculturale rifiuta sia la logica dell’assimilazione, sia la costruzione ed il rafforzamento di comunità etniche chiuse ed è orientata a favorire il confronto, il dialogo, il reciproco arricchimento entro la convivenza delle differenze.
Nel documento diffuso nel 2006 molto interessante è il riferimento al nodo della relazione scuola-famiglia, aspetto che a mio parere rimane ad oggi, come detto sin dal primo capitolo, una delle questioni di maggior criticità della nostra scuola, anche per classi monoculturali.
I genitori sono la risorsa fondamentale per il raggiungimento del successo scolastico: pertanto le diverse culture di appartenenza richiedono alla scuola di individuare gli strumenti migliori di dialogo. Di particolare importanza risulta la capacità della scuola di facilitare la comunicazione con la famiglia dell’alunno, prestando attenzione anche agli aspetti non verbali, facendo ricorso, ove possibile a mediatori culturali o ad interpreti, per superare le difficoltà linguistiche ed anche per facilitare la comprensione delle scelte educative della scuola.
I genitori risorsa fondamentale per il successo scolastico, l’impegno della scuola a spiegare le proprie scelte educative… quanto ci parlano affermazioni come queste di un’ombra lunga che ormai accettiamo rassegnati, da entrambe le parti, che connoti la relazione scuola famiglia?
E sulla mediazione culturale, ben descritta nelle sue funzioni nel primo documento ma meno nel secondo in cui i mediatori assumono spesso una funzione di sostanziale interpretariato, si richiama come questo profilo non sia sovrapponibile con quello proprio dei docenti, con una puntualizzazione finale chiarissima:
Resta fermo che la funzione di mediazione, nel suo insieme, è compito generale e prioritario della scuola stessa, quale istituzione preposta alla formazione culturale della totalità degli allievi nel contesto di territorio.
Così come sulla formazione dei docenti, di cui mi sono occupata per tanti anni, mi sembra interessante la definizione che ne viene data nel 2006: non di una formazione strumentale (il solo insegnamento dell’italiano come lingua seconda ai fini del successo scolastico, che prevale nell’attenzione del gruppo di lavoro che ha prodotto le linee guida più recenti) e per questo riservata ai docenti di settore, ma una rilettura pedagogica, e direi antropologica e sociologica, che diventa per ciascun docente condizione essenziale per poter ricoprire con professionalità il proprio compito nel contesto scuola attuale:
L’educazione interculturale non è una disciplina aggiuntiva, ma una dimensione trasversale, uno sfondo che accomuna tutti gli insegnanti e gli operatori scolastici. Il pluralismo culturale e la complessità del nostro tempo richiedono necessariamente una continua crescita professionale di tutto il personale della scuola. Diventa, quindi, prioritario il tema della formazione, iniziale e in servizio, e della formazione universitaria dei docenti. La gestione dell’accoglienza implica all’interno dell’istituto un lavoro costante di formazione del personale, attraverso gli strumenti che la scuola nella sua autonomia riterrà di adottare.
Per riflettere sul tema della valutazione c’è poi un passaggio che andrebbe incorniciato per tutti gli alunni, migranti e non migranti.
Per il consiglio di classe che deve valutare alunni stranieri inseriti nel corso dell’anno scolastico – per i quali i piani individualizzati prevedono interventi di educazione linguistica e di messa a punto curricolare – diventa fondamentale conoscere, per quanto possibile, la storia scolastica precedente, gli esiti raggiunti, le caratteristiche delle scuole frequentate, le abilità e le competenze essenziali acquisite. In questo contesto, che privilegia la valutazione formativa rispetto a quella “certificativa” si prendono in considerazione il percorso dell’alunno, i passi realizzati, gli obiettivi possibili, la motivazione e l’impegno e, soprattutto, le potenzialità di apprendimento dimostrate. In particolare, nel momento in cui si decide il passaggio o meno da una classe all’altra o da un grado scolastico al successivo, occorre far riferimento a una pluralità di elementi fra cui non può mancare una previsione di sviluppo dell’alunno. Emerge chiaramente come nell’attuale contesto normativo vengono rafforzati il ruolo e la responsabilità delle istituzioni scolastiche autonome e dei docenti nella valutazione degli alunni.
Documenti come questi sono arrivati sulle cattedre dei docenti, i corsi di formazione sono stati proposti ma in genere frequentati sempre dai soliti insegnanti, già sensibili, attenti e capaci di vedere nei bambini e nel lavoro con essi opportunità di cambiamento, anche personale.
Molti, troppi insegnanti, la maggioranza di coloro che i nostri bambini incontrano in aula, sono rimasti invece impermeabili a questi stimoli: alcuni hanno subìto la presenza degli alunni stranieri come la parte buia della classe con cui stavano lavorando, cercando di sopravvivere alla loro presenza; altri, in modo più determinato, hanno messo dei paletti alla tolleranza e agli adeguamenti concessi, in termini didattici e culturali; altri ancora hanno scelto la via buonista della “pedagogia del couscous” con qualche intermezzo folcloristico (culinario, appunto, o musicale, o narrativo…) senza però cogliere la portata pedagogica insita in questo processo di trasformazione.
I docenti più volenterosi si sono prodigati in un supporto di carattere linguistico, passaggio certo necessario per garantire a ciascun alunno le condizioni di base per raggiungere il successo scolastico: dovere di ciascun insegnante e diritto inalienabile di ogni alunno; molti insegnanti hanno speso tempo ed energie anche per garantire un’accoglienza attenta anche da un punto di vista relazionale.
La gran parte degli sforzi, tuttavia, si è concentrata sulla fase di “primo soccorso”, sull’urgenza di far uscire questi alunni dalla condizione di sordità e mutismo con cui giungevano in aula. Una volta raggiunto il traguardo di una sufficiente autonomia linguistica e di un accettabile grado di integrazione (e su questo termine torneremo) l’attenzione si spostava naturalmente ad altre urgenze e complessità, mai assenti nelle classi in cui ciascun insegnante opera.
Di fatto questo approccio ha quasi ovunque impedito una rilettura più complessiva del fare scuola e non ha saputo leggere i bisogni a lungo termine che bambini e ragazzi, pure attrezzati da un punto di vista linguistico, portavano con sé sul piano delle relazioni, dell’identità culturale, psicologica ed affettiva.
Mi sembra efficacissima, a proposito del tempo, della pazienza e della fiducia che occorrono per completare davvero questo processo, la risposta di un adolescente di origine marocchina a chi gli chiedeva di immaginare, per gioco, a cosa si sentisse di assomigliare: “se dovessi paragonarmi ad un animale sceglierei il ragno. Hai presente la sua tela? La sua tela certe volte viene distrutta, ma lui riesce a costruirne un’altra…”. Siamo riusciti a sostenere i ragazzi migranti in questa paziente ritessitura e intrecciare qualche filo con loro?