Il gusto della domanda2
Se c’è una metafora che può caratterizzare l’esperienza pedagogica di Danilo Dolci è senz’altro la metafora della domanda. Possiamo definire Dolci come l’educatore della domanda, ossia l’educatore che innesta tutta la sua azione formativa sul chiedere, sull’esplorare, sul creare, sull’interrogazione, ovviamente non in senso scolastico, ma nel senso dello scavo, dell’andare oltre l’apparente, cercando di scoprire il “nonnoto”, ciò che è velato dalle tradizioni, dalla consuetudine, dagli stereotipi. In questo sta il richiamo al metodo maieutico, per cui Danilo Dolci è famoso, il metodo del tirar fuori, del porre gli educati, i soggetti in crescita nella condizione di allargare la propria sfera di apprendimento a partire dalla capacità di utilizzare in maniera costruttiva le domande. E qui vorrei partire da ricordi personali. Nell’ultima parte della sua vita Danilo girava le scuole d’Italia incontrando i giovani. Una volta acquisita la disponibilità di alcune classi, chiedeva ai ragazzi di mettersi in cerchio, come faceva sempre.
Anche questa disposizione delle sedie era qualcosa di assolutamente innovativo, di profetico. Oggi tutti riconosciamo la necessità di una disposizione del gruppo in una maniera diversa da quella scolastica, oppure riconosciamo la tecnica del circle time per mettere gli alunni a proprio agio o per favorire la ricerca collettiva, la discussione, il dibattito, l’approfondimento. Fin dai primi tempi in Sicilia Danilo adottò questa disposizione del gruppo. È indubbio che lasciò intendere la sua incredibile comprensione dei processi educativi.
Dunque, nelle classi Danilo faceva mettere i bambini o i ragazzi in cerchio, talvolta proponeva una delle sue poesie, e infine chiedeva ad ognuno “Qual è il tuo sogno?”. Questa domanda innescava nei ragazzi un’autoriflessione, un confronto interno. Venivano fuori stati d’animo, sentimenti, scoperte enormi. Il seminario che Danilo conduceva in fondo non era altro che questo: porre una provocatoria domanda.
A dire il vero, appare più provocatoria una scuola che non chiede mai ai suoi alunni che scopi, che desideri hanno. Però in un contesto spesso così rigido e formale come quello scolastico indubbiamente risultava un coup de théâtre che andava a rompere schemi consolidati. I ragazzi mostravano di aderire in maniera entusiasta, una volta superato il primo momento di stupore, alla proposta di Danilo, e si creava un intenso clima emotivo e affettivo di ricerca, che gettava le basi per una rigenerazione anche personale. In questo Danilo era indubbiamente maestro, nella capacità di suscitare un senso profondo delle proprie capacità, nell’aiutare i soggetti a liberarsi delle proprie insufficienze, a volare oltre gli stereotipi in cui il soggetto era calato.
Danilo Dolci concepiva la domanda come suscitatrice di un nuovo modo di collocarsi e di vedersi. La domanda funge in Danilo da mezzo di riconoscimento e di autoriconoscimento. Essa ha valore fondante. È quella che oggi, con altri termini, potremmo definire una pedagogia dell’ascolto, che è ancora una pedagogia maieutica, che ha la sua caratteristica fondamentale nell’idea che l’apprendimento non sia un’acquisizione esterna, ma piuttosto il ricongiungimento interno fra quanto il soggetto è in grado di elaborare e quanto la realtà esterna gli offre da rielaborare. In questo incontro si genera l’apprendimento.
Purtroppo la cultura scolastica tradizionale tende sempre a ripresentarsi sulla scena epistemologica con nuove interpretazioni del modello meccanicistico, e senz’altro quella delle teorie curricolari è stata una delle ultime e forse più ingegnose, basata sulla risposta esatta, sul già noto, su una visione dell’apprendimento come assecondamento di processi precostituiti dall’insegnante.
In Danilo Dolci, al contrario, c’è il gusto della scoperta, dell’imprevedibile. In questo la sua modernità è straordinaria, basti pensare alle teorie della complessità, e alle teorie che da questa complessità hanno portato alla valorizzazione delle domande legittime di contro alle scolastiche domande illegittime basate sul già noto. Chiedere agli alunni dov’è nato Leopardi, oppure qual è l’isola dell’Oceano Atlantico dove morì Napoleone: sono domande che consegnano all’alunno il puro e semplice compito della ripetizione, lo scontato compito di confermare ciò che l’insegnante già sa. Danilo Dolci, come i grandi pedagogisti critici del ’900 (che sono, fortunatamente, gli unici che ricordiamo) come Dewey, come la Montessori, come Freinet, come Freire, ci dà la possibilità di riflettere ancora una volta sulla funzione generativa dell’apprendimento che hanno le strategie educative centrate sulla domanda piuttosto che sulla risposta esatta. In Esperienze e riflessioni, ricordando la genesi del suo Centro Educativo di Mirto, dice:
Presupposto essenziale del nuovo Centro Educativo è che i bambini hanno interessi vitali: questi vanno scoperti e sviluppati da loro in collaborazione con persone che abbiano il gusto e la capacità di scoprire, di realizzare, di proporre attorno a sé validi interessi.
(…) Danilo Dolci non è inquadrabile in un’ideologia particolare: il suo lavoro ha sempre uno scopo maieutico, di liberazione, di creazione, il che si ricollega in qualche modo alla sua vena poetica e creativa. In lui possiamo dire che l’educazione si libera definitivamente da ogni sfumatura semantica di controllo, di regolazione. Educare diventa sinonimo di creare, promuovere, liberare. Purtroppo questa è un’accezione del termine che ancora oggi stenta a decollare.
Ancora oggi, quando dobbiamo usare parole come ‘educato’ o ‘maleducato’ ci riferiamo sempre a categorie di giudizio, di controllo, e mai di crescita, di liberazione, di creatività. Forse il contributo maggiore che Danilo Dolci ha dato sul piano della ricerca pedagogica è questo, che educare è offrire all’altro o all’altra la possibilità di rendere la propria vita più creativa e quindi di concepire la propria esistenza come creazione.
Infine, per rendere omaggio a questo grande del ’900, peraltro uno dei pochi educatori italiani noti, assieme a Maria Montessori, in tutto il mondo, appare utile rileggere una delle sue poesie, una splendida composizione che ci dà l’idea di quello che era il background, l’epistemologia educativa di Danilo Dolci:
C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo.
Forse c’è chi si sente soddisfatto, così guidato.
C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo.
C’è pure chi si sente soddisfatto, essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa senza nascondere l’assurdo che è nel mondo, aperto a ogni sviluppo,
cercando di essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono.
Ciascuno cresce solo se sognato.