SENZA ZAINO: IL RACCONTO DI UN’INSEGNANTE
di Dora Ruberto, Scuola Primaria di Seggiano Istituto Comprensivo di Arcidosso (GR)
Come perdere ogni certezza e sentirsi forte (a volte).
Io all’inizio mi sono tanto divertita nella scuola ma ultimamente era sempre più difficile starci bene; intorno a me solo lamentele e mai niente, di appena credibile, da mettere in pratica per provare di nuovo a sorridere.
Lavoro con altre tre colleghe in una piccola scuola di montagna, in un comune di circa 1.000 abitanti, con un trentina di alunni organizzati dalla prima alla quinta in tre pluriclassi (lamentele) a tempo pieno. Il territorio è prevalentemente collinare e l’economia si basa sulla coltivazione di olivi, vigneti, prodotti tipici e indotto del turismo agricolo e di ritorno. C’è una forte percentuale di movimento migratorio legata all’occupazione agricola, per lo più di turchi e rumeni (lamentele). Nel territorio ci sono molte piccole scuole che si sentono tradizionalmente penalizzate (lamentele) dalle più fortunate scuole centrali. Questo ha spinto le insegnanti, i genitori e gli enti locali a sperimentare SZ per ridare spessore e dignità didattica e culturale ai piccoli plessi.
Senza Zaino è un’iniziativa a cui aderiscono 16 istituti in rete; è nata a Lucca circa 10 anni fa e la mia scuola vi ha aderito nel 2006. Le insegnanti fanno un continuo percorso di aggiornamento e autoaggiornamento in team e in rete.
Senza Zaino propone un modello di azione denominato Global Curriculum Approach, il quale si basa su tre valori fondamentali: responsabilità, comunità e ospitalità, ed è ulteriormente definito da quattro attenzioni generali e da 6 scelte che orientano l’azione. Le 4 attenzioni sono: alla persona, all’ambiente scuola, all’integrazione e al sapere nella sua globalità. Le sei scelte sono: l’esperienza e la ricerca, il senso e i sensi, la centralità dell’attività, la co-progettazione, la valutazione come valutazione autentica e l’aula come spazio vitale. I pedagogisti di riferimento sono, per citarne solo qualcuno: Montessori, Dewey, Bruner… In pratica con Senza Zaino ci siamo ritrovate con le aule completamente ridisegnata (tavoli per 4/6 bambini, angolo agorà, laboratori organizzati alle pareti, spazi comuni…) un bagaglio di strumenti didattici (ispirazione montessoriana per lo più autocorrettivi) e un gruppo di genitori in perfetta coerenza con i valori fondamentali.
Il problema era portare avanti questa coerenza e dovevamo essere noi insegnanti a farlo! (lamentele) (lamentele).
Una parola per raccontare il mio viaggio dentro l’esperienza del fare scuola in Senza Zaino: tridimensionale.
Tridimensionale per percepire le cose non piatte ma piene, tali da potercisi immergere (con un po’ di paura). Come ci si immerge nell’ambiente politopo delle nostri classi: appena entri senti che sei dentro un dentro, che ti accoglie a ventaglio. E da dentro è più facile provare cose nuove: le cose sono più vicine, cogli la prepotenza del presente e, non bloccata da quello che sarà o è stato, provi a pensare di poter anche abbandonare la lezione frontale (lo scettro dell’insegnante) e fare qualche passo per trovare risposte insieme ai ragazzi, fare domande alle quali non sai nemmeno tu rispondere, lasciarli liberi di formarsi senza che sia tuo il merito.
Il presente, grande assente nella scuola, che in SZ tentiamo di coniugare (con l’attivazione simultanea di laboratori e attività) in “contemporaneo”, in un fare reale diverso ma insieme e vicino, non degli insegnanti, ma dei bambini con bambini!
La tridimensionalità del luogo ambiente - arredi e materiali - mi viene allargata dalla tridimensionalità della visione - accoglienza, comunità, responsabilità - e ogni seme si irradia verso gli attori - bambini-genitori-insegnanti - la cui presenza ridonda creando spazio e senso e trovano ancora altro spazio, senso e legame con i “come” del far scuola - cooperative learning, ricerca, problem solving.
E ritrovo spazio pieno quando Stefano di 5°, per riuscire ad emergere dalle sue paure, affronta un’esercitazione di grammatica passando 10 minuti sotto il tavolo (ex lamentele) giocando a costruzioni, poi pronto mi chiede di andare in agorà con il quaderno e, prendendosi tutto il suo tempo (ex lamentele) e tutto il suo spazio, fa l’esercizio perfettamente adeguato alla sua classe. Conquista un Ottimo (sorriso) che, senza lo spazio pieno e il presente afferrato, dal bambino e da me, sarebbe stato un non sufficiente. Dato a chi? A che cosa? E diventa tridimensionale la visione che ho di Stefano con il suo bagaglio di cose sapute aggrovigliate ma ben scisse dalle sue paure (sorriso). Paure che a volte si possono scambiare per non conoscenze e le valutiamo, ma valutare così… ha il sapore dell’inverosimile perché stona con la coerenza dell’essere semplicemente uomini. E ancora ritrovo carne di insegnante quando posso con serenità lasciare ai tavoli una decina di bambini organizzati in lavori di gruppo (sorriso) e sedermi sul tappeto in agorà con Ramazan e Nicola (sorriso) l’uno di fronte all’altra ai quali dichiaro che il mio compito è aiutarli a trovare la loro strada ma che ho un problema: Ramazan è esperto in autocontrollo e pacatezza silenziosa ma non riesce a leggere e scrivere in corsivo mentre Nicola scrive e legge correttamente in corsivo ma non riesce a trovare pace nel corpo e nella testa e li invito a stare un po’ insieme e iniziano a scrivere… e l’uno trova propria dignità nell’altro (sorrisi). Non è una favola: è successo veramente; non succede sempre, è difficile ma… succede più spesso quando mi metto in gioco e in discussione come insegnante e come persona. Quando, inverosimilmente, accetto di lasciare le certezze e di avvicinarmi in modo organizzato e strutturato al cambiamento.
Non è facile accettare che nella scuola comunità entrino a pieno titolo i genitori; come insegnanti siamo troppo abituati a vederli di fronte e non a fianco a noi. Non tutti riescono subito a capire i confini dei propri ruoli che comunque esistono e devono rimanere. Non è stato facile, e non lo è tuttora, preoccuparmi che quando si fanno attività diversificate non devo pensare a quello che alcuni bambini perdono ma a quello che acquistano nel loro percorso diverso. Non è facile aiutare i bambini a condividere il materiale comune ai tavoli: la realtà è che se ne deve parlare, e poi ancora ricondividere per ritrovare insieme le ragioni.
Non è facile, anzi all’inizio disorienta, concentrarsi sul come insegnare e non sul cosa.
Può tutto questo ricondurre a cittadinanza globale? i bambini mi insegnano tutti i giorni, ora con tante risate che, se sono/siamo esseri umani che hanno meno paura, ci sentiremo più forti, saremo più contenti, più disposti a condividere e questo c’entra, sono sicura, con la cittadinanza globale.