capitolo xi

A scuola senza zaino:
dalla visione alla realtà

L’adulto deve dare e fare quel tanto che è necessario affinché il bambino possa utilmente agire da solo: se fa meno del necessario, il bambino non può agire utilmente; se l’adulto fa più del necessario, e perciò si impone o si sostituisce al bambino, spegne i suoi impulsi fattivi.
M. Montessori

Nelle righe dell’introduzione mi proponevo di scrivere pagine cariche di ottimismo, propositive, per pensare a una scuola dove imparare, insegnare e vivere meglio. In molti dei capitoli ritorna però la disillusione nei confronti della scuola tradizionale per come si presenta in troppi contesti, per quei limiti troppo poco riconosciuti come tali, per la difesa a oltranza del sistema, “nonostante tutto”.


I fari accesi da eccezionali uomini e donne di scuola, la loro capacità di proporre strade diverse, di connettersi con il cuore e con la testa ai bisogni dei bambini e dei ragazzi sono sempre stati per me la bussola per non perdermi in mezzo a circostanze in cui è invece facile smarrire lo spirito con cui ci si è messi in viaggio; tuttavia dobbiamo ammettere che le esperienze individuali più visionarie hanno richiesto e richiedono quasi sempre un’uscita dal sistema (qualunque esso sia) e la rinuncia a tentare un cambiamento più graduale dal suo interno.


Per questo la scoperta, qualche anno fa, dell’esistenza di una rete di scuola attivata da un “normale” dirigente scolastico (definendo con l’aggettivo non la qualità di contenuto e di competenze, evidentemente fuori dall’ordinario, ma la sua collocazione formale), in un “normale” Istituto Comprensivo italiano, mi ha lasciato davvero a bocca aperta, quasi pronta a fare le valigie, se la famiglia lo avesse permesso!


Ancora di più, a distanza di circa un lustro da allora, la verifica che il modello delle scuole Senza Zaino si sia diffuso in modo esponenziale mi permette di poter qui confemare la fiducia in un sistema certo fragile, ma che ha ancora al suo interno spazi e risorse umane per poter ripensarsi e ripartire secondo logiche e prassi significative.

Si tratta di un’esperienza forse unica per completezza pedagogico-didattica e organizzativa, quella delle scuole Senza Zaino; a mio parere esse sono la migliore sperimentazione che la scuola pubblica oggi offre. Vi aderiscono 50 Istituti Comprensivi, numero che sale ad 87 se consideriamo anche quelli i cui docenti sono ancora in fase di formazione e quelli che stanno valutando l’adesione. Con questi numeri capiamo che il numero di singole scuole coinvolte è molto alto, e di conseguenza anche quello dei bambini e ragazzi che hanno modo di vivere questa esperienza.


Nell’avvicinarmi a questo modello non ho potuto evitare il confronto con le sezioni montessoriane, che trovano attivazione anch’esse in scuole pubbliche e di cui parliamo nel capitolo dedicato al metodo; queste ultime però hanno alle spalle rigidi paletti connessi alla formazione certificata degli insegnanti, all’utilizzo di materiali didattici precisi, a procedure di riconoscimento e di verifica di coerenza con il metodo che rischiano di farne una proposta sin troppo definita e, in sé, per buona parte, delimitata.


La rete Senza Zaino, progettata su alcuni princìpi pedagogici e didattici molto espliciti e di forte ispirazione montessoriana, appare invece come una riflessione aperta, che prevede per i docenti una formazione meno formalizzata, un modello che fornisce un orizzonte ma non tutti i dettagli; con pochi anni di realizzazione alle spalle è insomma un cantiere aperto, i cui protagonisti apportano contributi che rendono il percorso ancora molto dinamico e in continua evoluzione. Per descriverne i caposaldi riportiamo alcune pagine estratte dal sito ufficiale della rete Senza Zaino, che ci permettono di entrare, anche con qualche immagine, in una logica di scuola davvero diversa ma realizzabile. Impossibile non volerne carpire qualcosa; ho scelto di non commentare i princìpi più significativi che qui vengono illustrati (troppi per garantire una lettura fluida), ma di evidenziare in neretto i passaggi che richiamano concetti ricorrenti in tutto il nostro libro.


In questo modo possiamo segnalare l’estrema ricchezza di questa proposta, capace di riprendere e fare sintesi di molte criticità e delle diverse risposte che ad esse sono state date. Il richiamo alla pedagogia montessoriana e ai suoi pilastri metodologici è molto forte, come già detto, ma trovo davvero interessante il suo sviluppo grazie ai contributi, negli ultimi decenni, delle scienze cognitive ed educative.


Senza zaino: 10 punti per l'apprendimento efficace1

In tutto il mondo gli studenti utilizzano lo zaino per portare a scuola e riportare a casa il proprio materiale come libri, quaderni, penne, matite, gomme, forbici, squadre e righe, colori ecc. La cosa per la verità è un po’ strana. Nessuno si è mai domandato perché qualsiasi lavoratore trova i propri strumenti del mestiere sul posto di lavoro e invece gli studenti no. In effetti lo zaino comunica un senso di precarietà e di inadeguatezza, non a caso è stato inventato per gli alpinisti e per i soldati con il chiaro scopo di affrontare luoghi inospitali.


È così che un nutrito gruppo di scuole ha deciso di metterlo in disparte. Si è trattato di un gesto reale, perché gli studenti hanno ora una cartellina leggera per i compiti a casa, mentre le aule vengono arredate con mobilio e materiali didattici avanzati; ma è anche un gesto simbolico in quanto le pratiche e le metodologie vengono innovati in relazione a tre valori.



La responsabilità

In Senza Zaino (SZ) gli studenti si assumono la responsabilità del proprio apprendimento. Ci riferiamo al costruttivismo, per cui il sapere non si trasmette passivamente, ma è frutto dell’azione responsabile del soggetto. Una classe SZ assomiglia un po’ ad un efficiente ufficio dove ognuno sa quello che deve fare, perché concordato nell’incontro di inizio mattina. Si lavora a voce bassa e si scelgono le attività. Periodicamente si compila il proprio portfolio e ciascuno è consapevole degli obiettivi da raggiungere. Ci si sente motivati a studiare e le varie materie sono occasione per sviluppare competenze, perché si creano situazioni autentiche. Il senso di responsabilità si nota anche in quanto ognuno tiene in ordine gli armadi e gli strumenti didattici per essere pronti all’uso. Come in un ufficio il capo non si vede, così accade per l’insegnante SZ che sa organizzare la classe in modo che gli alunni siano autonomi. In questo sono aiutati dal fatto che insieme elaborano precise procedure raccolte nel manuale della classe scrupolosamente rispettato e revisionato.



La comunità

La comunità ci dice che l’apprendimento avviene nella relazione. In una classe SZ possiamo vedere alunni che stanno esercitandosi in coppia o in piccoli gruppi. Ciascuno ha ben chiaro cosa deve fare, qual è il prodotto da realizzare e perché deve fare quella cosa. Un osservatore esterno può notare facilmente gruppi che nello stesso momento svolgono fino a 4 attività diverse: un gruppo ad esempio lavora nello spazio computer per preparare una ricerca, un altro organizza un cartellone che riassume un percorso, altri 2 sono impegnati in esercitazioni. Si possono scorgere anche alunni che lavorano da soli ai vari angoli perché diamo spazio ai percorsi individuali. C’è poi un tempo in cui la classe si riunisce all’agorà: qui può accadere che l’insegnante tenga una conferenza o che si discuta di una ricerca o - infine - che si decida quali compiti fare. C’è anche l’assemblea dove si prendono decisioni importanti. Colpisce il fatto che l’assemblea si svolge in modo ordinato, il presidente (un’alunna/o) dà la parola, a turno si interviene, si vota, infine si ritorna in classe in ordine. Così si sviluppa il senso della cittadinanza.


La comunità naturalmente riguarda anche gli insegnanti. Basta partecipare ad una loro riunione per osservare come ciascuno evita di disperdersi in chiacchiere, focalizzandosi sul miglioramento didattico delle classi. Se un collega è in difficoltà con certi alunni o non conosce certi metodi, viene supportato adeguatamente attraverso lo scambio di pratiche e di idee, per cui si cresce professionalmente insieme. Si pone attenzione anche agli spazi esterni: corridoi, atri, giardini.


Se gli spazi lo permettono vengono realizzate aule - laboratorio. Vedendo all’opera un insegnante SZ ci accorgiamo che non eccede nel linguaggio verbale. Infatti usa frequentemente i linguaggi del corpo e della mimica, musicale e iconico, manipolativo e immaginifico, digitale e teatrale. Sa mettere insieme la mano (l’artigianalità), il cuore (le emozioni) e la mente (il pensiero). In definitiva ospitando tutti i linguaggi ospita tutte le differenze. Gli alunni perciò lavorano sì con carta e penna, ma anche con legno, cartone, creta, sabbia, tessuti, colori, ferro, materiali da riciclare. Studiano sui libri e tuttavia maneggiano provette, fanno esperimenti scientifici e nel contempo osservano la natura. In alcune occasioni possiamo vedere come presentano i loro prodotti ai genitori o ai compagni organizzando una conferenza, mostrando un plastico, proiettando un film o un PPT, illustrando disegni, o - infine - eseguendo una rappresentazione.


La struttura metodologica non standardizzata permette a ciascuna alunna/o di essere riconosciuta/o nella propria originalità e diversità.



L’ospitalità

Per capire l’ospitalità basta un’occhiata all’aula: non c’è la cattedra dinanzi alle file dei banchi, ma spazi divisi da mobilio: ancora una volta l’immagine rimanda ad un moderno ufficio open space. L’area dei tavoli è adatta al lavoro di gruppo. Le aree dedicate ai laboratori (arti, lingua, scienze e matematica, storia e geografia) suggeriscono la dimensione pratica dell’insegnamento. Un’altra area è attrezzata con 2 computer. La LIM è posizionata nell’agorà. Nella classe vi sono materiali didattici, schede di lavoro, cartellonistica e segnali. Si pone attenzione anche agli spazi esterni: corridoi, atri, giardini.



Il come dell’imparare: l’attività al centro

I programmi nazionali in genere forniscono gli obiettivi che le scuole devono raggiungere (i saperi e le competenze). Cioè il cosa imparare. Tuttavia è importante non solo la meta ma anche il modo per arrivare alla meta. In SZ gli obiettivi sono indispensabili quanto le strade per raggiungerli; i prodotti e i risultati sono considerati importanti ma non viene tralasciato il processo. Insomma vogliamo non dimenticare che accanto al cosa troviamo il come imparare. E il come imparare suggerisce la necessità di ridare importanza a quell’attività proposta quotidianamente a scuola per far acquisire le conoscenze e le competenze. Quell’attività che è il cuore della didattica.


Nelle classi troviamo schedari, computer, giochi, enciclopedie, libri, materiali per scrivere e ascoltare, disegnare e dipingere, modellare e costruire, registrare e riprodurre, strumenti didattici per le varie discipline di studio, materiali di cancelleria. Inoltre attrezziamo gli spazi con tavoli, angoli, pedane, mobili a giorno, archivi, pannellature. Tutto ciò serve per un apprendimento efficace che si basa sul metodo dell’Approccio Globale al Curricolo (Global Curriculum Approach).


Il GCA sottende almeno 3 caratteristiche.

  • La globalità della persona: l’apprendimento deve considerare tutti gli aspetti, da quelli emotivi, a quelli razionali, da quelli corporei a quelli intellettuali, tenendo presenti, ad esempio, le 9 intelligenze individuate da Gardner. Un apprendimento equilibrato non considera solo certe discipline come la lingua o la matematica, ma anche la musica e il teatro, le arti in genere.

  • La globalità del sapere: Morin e molti altri autori ci invitano a realizzare un sapere connesso. Le discipline di studio nascono con una loro specificità, che va rispettata, ma al tempo stesso è necessario ricostruire l’unità del pensiero, poiché esperienza e realtà sono unitarie.

  • La globalità come integrazione: non si può più parlare di alcuni alunni diversi perché diversamente abili. Tutti gli alunni sono diversi. La differenza è ciò che caratterizza ciascuno di noi. Pertanto dobbiamo parlare di integrazioni: creare una comunità di alunni diversi è il nostro obiettivo. L’apprendimento globale, inoltre, prevede un curricolo fondato su:

    - l’autonomia degli alunni che genera competenze

    - il problem-solving che alimenta la costruzione del sapere

    - lattenzione ai sensi e al corpo che sviluppa la persona intera

    - la diversificazione dell’insegnamento che ospita le intelligenze, le potenzialità, le differenze

    - la co-progettazione che rende responsabili docenti e alunni

    - la cooperazione tra docenti che alimenta la formazione continua e la comunità di pratiche

    - i diversi strumenti didattici che stimolano vari stili e metodi di insegnamento

    - l’attenzione agli spazi che rende autonomi gli alunni

    - la partecipazione dei genitori che sostiene l’impegno della scuola

    - la valutazione autentica che incoraggia i progressi

- In conclusione

Come si evince, Senza Zaino non è un progetto, ma un vero e proprio modello di scuola. A chi vuole iniziare viene proposto non una semplice formazione ma un cammino che coinvolga tutta la comunità scolastica a partire dal gruppo docenti di una scuola. L’itinerario prevede la messa in discussione dell’ambiente formativo, la ristrutturazione degli spazi, la revisione dei modi di insegnare, il potenziamento concreto di quanto attiene ai valori fondanti: la responsabilità, l’ospitalità, la comunità. Lo sforzo che cerchiamo di fare è, in definitiva, quello di realizzare nel nostro Paese effettivamente scuole che hanno l’ambizione di sperimentare quelle piste nuove che si impongono in un mondo, quello del Terzo Millennio, profondamente cambiato.


La testimonianza di alcuni insegnanti che sul campo sperimentano quotidianamente questo modello ci dice molto, e molto ci suggerisce su come organizzare diversamente l’attività scolastica; l’eco del principio montessoriano della libera scelta è in questa prima narrazione molto evidente.

LE STAZIONI: UN MODO NUOVO PER FARE SCUOLA
di Carmen Correnti e Luisella Nannetti, insegnanti di scuola Senza Zaino Scuola Primaria Seggiano (GR)

È il secondo anno che gli alunni delle classi terza, quarta e quinta lavorano per stazioni: ogni alunno ha un piano personalizzato quindicinale in cui sceglie le attività alle quali dedicarsi.


Le stazioni rappresentano le diverse aree dell’àmbito disciplinare; ogni stazione ha il corrispondente tavolo di lavoro al quale non si sta in più di sei alunni ed è provvisto del materiale relativo alle attività specifiche. Ecco cosa dicono gli alunni: “Consultiamo il piano, scegliamo in quale stazione lavorare e a quale attività dedicarci. Scegliamo in base ai nostri interessi, al tempo a disposizione, allo spazio nei tavoli. Nel piano troviamo le attività da svolgere obbligatoriamente e quelle facoltative, quelle di tutoring, di bella scrittura, le attività extra e l’autovalutazione; possiamo lavorare da soli, in coppia o in gruppo; c’è anche uno spazio che illustra gli argomenti che affronteremo con l’insegnante e in fondo una finestra dove annotare le interrogazioni. Durante la giornata si possono cambiare attività, stazione e postazione (anche fuori dall’aula)”.


Tale organizzazione è possibile grazie ad un’accurata progettazione di spazi, arredi, materiali, attività e procedure condivisa e costruita con alunni ed insegnanti.


Le stazioni, sottoposte a revisioni e valutazioni continue, concorrono a creare un ambiente di apprendimento funzionale ed armonico. I bambini sembrano affrontare il percorso con sempre


maggiore autonomia, consapevolezza e creatività. Si nota come anche le attitudini del singolo siano facilitate da questo tipo di organizzazione che favorisce il sorgere di stimoli e soluzioni personali. Alcuni bambini hanno acquisito maggiore stima nelle loro capacità e ci ha stupito constatare che quelli di loro, solitamente poco interessati e organizzati, si mostrino più sicuri, più concentrati e autonomi, favoriti forse, dalla possibilità di scegliere a cosa, con chi, dove e quanto lavorare, scegliendo anche di alternare le attività e sospenderle per riavviarne altre. Ogni alunno ha ben chiaro tutto il lavoro che lo aspetta e impara a cucirlo sulle sue (personali e quindi uniche) modalità di apprendimento.


Chiudiamo questo capitolo con le parole di un’insegnante della rete Senza Zaino, una sintesi appassionante e molto lucida anche da un punto di vista professionale e che io sento risuonare forte dentro di me.


Grazie, maestra Dora, una pagina da incorniciare!


SENZA ZAINO: IL RACCONTO DI UN’INSEGNANTE
di Dora Ruberto, Scuola Primaria di Seggiano Istituto Comprensivo di Arcidosso (GR)

Come perdere ogni certezza e sentirsi forte (a volte).


Io all’inizio mi sono tanto divertita nella scuola ma ultimamente era sempre più difficile starci bene; intorno a me solo lamentele e mai niente, di appena credibile, da mettere in pratica per provare di nuovo a sorridere.


Lavoro con altre tre colleghe in una piccola scuola di montagna, in un comune di circa 1.000 abitanti, con un trentina di alunni organizzati dalla prima alla quinta in tre pluriclassi (lamentele) a tempo pieno. Il territorio è prevalentemente collinare e l’economia si basa sulla coltivazione di olivi, vigneti, prodotti tipici e indotto del turismo agricolo e di ritorno. C’è una forte percentuale di movimento migratorio legata all’occupazione agricola, per lo più di turchi e rumeni (lamentele). Nel territorio ci sono molte piccole scuole che si sentono tradizionalmente penalizzate (lamentele) dalle più fortunate scuole centrali. Questo ha spinto le insegnanti, i genitori e gli enti locali a sperimentare SZ per ridare spessore e dignità didattica e culturale ai piccoli plessi.


Senza Zaino è un’iniziativa a cui aderiscono 16 istituti in rete; è nata a Lucca circa 10 anni fa e la mia scuola vi ha aderito nel 2006. Le insegnanti fanno un continuo percorso di aggiornamento e autoaggiornamento in team e in rete.


Senza Zaino propone un modello di azione denominato Global Curriculum Approach, il quale si basa su tre valori fondamentali: responsabilità, comunità e ospitalità, ed è ulteriormente definito da quattro attenzioni generali e da 6 scelte che orientano l’azione. Le 4 attenzioni sono: alla persona, all’ambiente scuola, all’integrazione e al sapere nella sua globalità. Le sei scelte sono: l’esperienza e la ricerca, il senso e i sensi, la centralità dell’attività, la co-progettazione, la valutazione come valutazione autentica e l’aula come spazio vitale. I pedagogisti di riferimento sono, per citarne solo qualcuno: Montessori, Dewey, Bruner… In pratica con Senza Zaino ci siamo ritrovate con le aule completamente ridisegnata (tavoli per 4/6 bambini, angolo agorà, laboratori organizzati alle pareti, spazi comuni…) un bagaglio di strumenti didattici (ispirazione montessoriana per lo più autocorrettivi) e un gruppo di genitori in perfetta coerenza con i valori fondamentali.


Il problema era portare avanti questa coerenza e dovevamo essere noi insegnanti a farlo! (lamentele) (lamentele).


Una parola per raccontare il mio viaggio dentro l’esperienza del fare scuola in Senza Zaino: tridimensionale.


Tridimensionale per percepire le cose non piatte ma piene, tali da potercisi immergere (con un po’ di paura). Come ci si immerge nell’ambiente politopo delle nostri classi: appena entri senti che sei dentro un dentro, che ti accoglie a ventaglio. E da dentro è più facile provare cose nuove: le cose sono più vicine, cogli la prepotenza del presente e, non bloccata da quello che sarà o è stato, provi a pensare di poter anche abbandonare la lezione frontale (lo scettro dell’insegnante) e fare qualche passo per trovare risposte insieme ai ragazzi, fare domande alle quali non sai nemmeno tu rispondere, lasciarli liberi di formarsi senza che sia tuo il merito.


Il presente, grande assente nella scuola, che in SZ tentiamo di coniugare (con l’attivazione simultanea di laboratori e attività) in “contemporaneo”, in un fare reale diverso ma insieme e vicino, non degli insegnanti, ma dei bambini con bambini!


La tridimensionalità del luogo ambiente - arredi e materiali - mi viene allargata dalla tridimensionalità della visione - accoglienza, comunità, responsabilità - e ogni seme si irradia verso gli attori - bambini-genitori-insegnanti - la cui presenza ridonda creando spazio e senso e trovano ancora altro spazio, senso e legame con i “come” del far scuola - cooperative learning, ricerca, problem solving.


E ritrovo spazio pieno quando Stefano di 5°, per riuscire ad emergere dalle sue paure, affronta un’esercitazione di grammatica passando 10 minuti sotto il tavolo (ex lamentele) giocando a costruzioni, poi pronto mi chiede di andare in agorà con il quaderno e, prendendosi tutto il suo tempo (ex lamentele) e tutto il suo spazio, fa l’esercizio perfettamente adeguato alla sua classe. Conquista un Ottimo (sorriso) che, senza lo spazio pieno e il presente afferrato, dal bambino e da me, sarebbe stato un non sufficiente. Dato a chi? A che cosa? E diventa tridimensionale la visione che ho di Stefano con il suo bagaglio di cose sapute aggrovigliate ma ben scisse dalle sue paure (sorriso). Paure che a volte si possono scambiare per non conoscenze e le valutiamo, ma valutare così… ha il sapore dell’inverosimile perché stona con la coerenza dell’essere semplicemente uomini. E ancora ritrovo carne di insegnante quando posso con serenità lasciare ai tavoli una decina di bambini organizzati in lavori di gruppo (sorriso) e sedermi sul tappeto in agorà con Ramazan e Nicola (sorriso) l’uno di fronte all’altra ai quali dichiaro che il mio compito è aiutarli a trovare la loro strada ma che ho un problema: Ramazan è esperto in autocontrollo e pacatezza silenziosa ma non riesce a leggere e scrivere in corsivo mentre Nicola scrive e legge correttamente in corsivo ma non riesce a trovare pace nel corpo e nella testa e li invito a stare un po’ insieme e iniziano a scrivere… e l’uno trova propria dignità nell’altro (sorrisi). Non è una favola: è successo veramente; non succede sempre, è difficile ma… succede più spesso quando mi metto in gioco e in discussione come insegnante e come persona. Quando, inverosimilmente, accetto di lasciare le certezze e di avvicinarmi in modo organizzato e strutturato al cambiamento.


Non è facile accettare che nella scuola comunità entrino a pieno titolo i genitori; come insegnanti siamo troppo abituati a vederli di fronte e non a fianco a noi. Non tutti riescono subito a capire i confini dei propri ruoli che comunque esistono e devono rimanere. Non è stato facile, e non lo è tuttora, preoccuparmi che quando si fanno attività diversificate non devo pensare a quello che alcuni bambini perdono ma a quello che acquistano nel loro percorso diverso. Non è facile aiutare i bambini a condividere il materiale comune ai tavoli: la realtà è che se ne deve parlare, e poi ancora ricondividere per ritrovare insieme le ragioni.


Non è facile, anzi all’inizio disorienta, concentrarsi sul come insegnare e non sul cosa.


Può tutto questo ricondurre a cittadinanza globale? i bambini mi insegnano tutti i giorni, ora con tante risate che, se sono/siamo esseri umani che hanno meno paura, ci sentiremo più forti, saremo più contenti, più disposti a condividere e questo c’entra, sono sicura, con la cittadinanza globale.


Navigando in rete

Il sito http://www.senzazaino.it/ permette di entrare nel mondo della rete senza zaino conoscendone tutti i dettagli


http://www.educationduepuntozero.it/organizzazione-della-scuola/a-scuola-senzazaino-4045557822.shtml

Qualche buona lettura

Orsi M, A scuola senza zaino, Erickson 2006.


Pampaloni D., “Senza Zaino”, una scelta pedagogica innovativa, Morgana, 2008.


Un approccio globale al curricolo: linee guida per le scuole, Tecnodid, 2013


Orsi M., Orsi M.B., Natali C., (a cura di), La comunità che fa crescere la scuola, Tecnodid

Esperienze, nomi e volti

La rete delle scuole Senza Zaino è ormai molto estesa, poterle visitare è una possibilità concreta per molte persone.


L’elenco delle sedi attive è rintracciabile sul sito www.senzazaino.it

Un'altra scuola è possibile?
Un'altra scuola è possibile?
Sonia Coluccelli
Autori, esperienze e prospettive educative verso percorsi scolastici in ascolto dei bambini.Un panorama delle alternative alla scuola tradizionale e dei diversi modi di approciarsi all’istruzione, tra visione pedagogica e traduzione pratica. Il sistema educativo odierno non sembra incoraggiare il pensiero olistico, intuitivo e immaginativo, ma predilige di gran lunga quello fondato sulla verbalizzazione. Il clima che si respira nella scuola provoca forte stress agli alunni, a causa di pressioni e attese didattiche che non si conformano alla loro natura. Nelle scuole si formano perlopiù conoscitori, non pensatori.Un’altra scuola è possibile mette in evidenza la necessità di promuovere all’interno della scuola una riflessione per “vedere” sempre meglio i bambini, attraverso la possibilità di vivere esperienze didattiche fuori dall’edificio scolastico; il tutto visto non come una fuga da un’esperienza avvilente, ma come la messa in atto di progetti educativi con una loro specificità e diritto di espressione.Sulla base di una critica alla scuola convenzionale, l’autrice Sonia Coluccelli intende offrire un ventaglio di proposte alternative, prospettando per ciascuna sia gli assunti teorici sia le effettive realizzazioni. Da Rudolf Steiner a Don Lorenzo Milani, da Maria Montessori a Mario Lodi, fino all’educazione parentale, ogni capitolo prende in esame una visione pedagogica e ne presenta la relativa traduzione pratica.È così offerto un panorama di scelte possibili a chi stenta a riconoscere nei sistemi scolastici convenzionali una risposta adeguata ai reali bisogni di apprendimento, crescita e sviluppo di ciascun bambino. Conosci l’autore Sonia Coluccelli è insegnante, formatrice e mamma di quattro figli. Da vent’anni coltiva una riflessione pedagogica in ambito scolastico, approfondendo la conoscenza dei diversi approcci educativi, ricercando sguardi attenti nei bambini e attenzione alle loro domande.Dal 2012 si occupa di promuovere esperienze montessoriane nella scuola pubblica collaborando con Fondazione Montessori Italia.Vive a Omegna, sulle rive del lago d’Orta.