CAPITOLO X

Fuori dal sistema: le scuole libertarie
e l'educazione parentale

In un certo senso si potrebbe dire, insomma, che l’essere umano non è proprietà di nessuno. Questo è il principio. Non è proprietà né della madre, né del padre, né della scuola, né della fabbrica, né dello Stato; che ha il diritto di vivere una vita felice e che, per nessuna ragione, una società gli può impedire questo.
Mario Lodi, da: Quando la scuola cambia

Sono sempre di più i genitori che, alla domanda che poniamo nel titolo di questo libro, rispondono che un’altra scuola non solo è possibile, ma è necessaria; che necessario è, come diceva Ken Robinson, non un processo di riforma ma una rivoluzione del sistema.

Questi genitori non hanno sempre il tempo o l’intenzione di attendere un cambiamento strutturale del sistema della scuola pubblica e cercano vie fortemente alternative per garantire ai propri figli un percorso educativo e didattico in cui riconoscere i valori, lo stile e le visioni della propria famiglia.


In altri casi nella loro formazione e nella loro visione complessiva sono radicate convinzioni strutturali che vedono nella scuola un’istituzione in cui non è possibile riconoscersi o che addirittura persegue scopi non condivisibili; forte è l’eco, in queste considerazioni, della visione di Ivan Illich nel suo Descolarizzare la società. In questo testo Illich teorizza, come dice il titolo, una descolarizzazione diffusa, ossia lo smantellamento di ogni istituzione, soprattutto statale, che si occupi formalmente di istruzione e di educazione.


Illich distingueva le istituzioni in manipolatorie e conviviali. Se le seconde sono pensate per essere a servizio dell’utente, le prime invece, e tra esse la scuola, vanno ad influenzare la loro utenza, piuttosto che porsi, come sarebbe necessario, al loro servizio; cercano di plasmare le menti e le vite delle persone che in quelle istituzioni entrano, per perseguire interessi “particolari”. Perciò la scuola, nell’opinione di Illich, è al servizio non degli studenti che la frequentano ma di interessi particolaristici (soprattutto economici) e si trova a svolgere funzioni di controllo sociale.


In quanto istituzione che ha espliciti compiti di selezione sociale e di custodia, finisce con l’essere essenzialmente antieducativa e produce una serie di mali quali l’indottrinamento, la competizione, il rispetto delle apparenze e dei rituali. Illich, per questi motivi, propone di sostituire il sistema scolastico con una rete di risorse e di personale educativo, a cui gli individui possano rivolgersi liberamente in relazione ai propri bisogni e interessi. “Il mero possesso di titoli di studio per accedere a qualcosa è una discriminazione e va abolita; la discriminazione dovrebbe avvenire soltanto in base alle capacità e non al pedigree scolastico”1.


Sembra la premessa teorica perfetta per l’avvio di sistemi di istruzione, come le scuole libertarie e l’educazione parentale, che scelgono di uscire dal sistema “istituzionale”.


La Costituzione, del resto, permette di compiere scelte alternative alla frequenza di scuole pubbliche o parificate perché, è bene ricordarlo, l’articolo 34 recita: “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”.


Quindi è l’istruzione ad essere obbligatoria, ma non la frequenza di una scuola. Ma soprattutto l’articolo 30 specifica: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Risulta quindi chiaro che l’istruzione dei propri figli è in primis una responsabilità dei genitori, non dello Stato, il quale deve vigilare sull’assolvimento dell’obbligo ma non attestare a sé e alle proprie istituzioni l’esclusività in tale funzione.


In questo capitolo vorrei mettere insieme alcune informazioni e riflessioni sulle possibili scelte relative all’istruzione dei bambini e dei ragazzi in obbligo scolastico, considerando i percorsi che si collocano del tutto al di fuori dal circuito della scuola pubblica o di quella parificata (privata ma riconosciuta dallo Stato). Parleremo qui di scuole libertarie o democratiche e poi di istruzione parentale, intesa sia come gruppi di famiglie che con modalità condivise si occupano dell’istruzione dei figli sia come percorsi di apprendimento svolti all’interno del singolo nucleo familiare, entrando nel mondo dell’homeschooling e dell’unschooling.


Anni fa queste esperienze e queste scelte erano praticate da un cerchia davvero ristrettissima di persone, percorsi sconosciuti alla stragrande maggioranza delle famiglie, anche a quelle un po’ “alternative”; ora invece di questo fenomeno si parla sui giornali, si moltiplicano i siti internet e le pubblicazioni cartacee e se qualcuno durante una conversazione ipotizza di non mandare il proprio figlio a scuola non è (quasi) più guardato come un marziano!


Il mio spirito nomade e refrattario alle impalcature troppo rigide, alle strutture piramidali e predefinite sente molto il fascino di un’ipotesi di scuola autogestita da un gruppo di famiglie che condividono un’idea chiara di educazione e di vita, in senso lato. D’altro canto la mia formazione ed esperienza rimangono in parte ancorate all’idea di una scuola pubblica e gratuita che possa offrire a tutti una qualità adeguata di istruzione e di educazione.


Il dilemma è per me, e per molte altre famiglie, ancora aperto.


Credo che i contesti sociali e culturali in cui ciascuno si trova a vivere e crescere i propri figli possano dare una risposta che permetta di orientarsi tra alternative tra loro anche molto differenti e che la possibilità di una scelta sia in sé un valore prezioso.


Proviamo però a entrare in queste esperienze, che qualcuno definisce rivoluzionarie e sovversive ma che, a ben pensarci, non sono altro che la riproposizione di un modello antico che vede i figli cresciuti e avviati alla vita all’interno della propria famiglia o in forme di allargamento di essa definite da affinità sociali, culturali o relazionali.

LE SCUOLE LIBERTARIE O DEMOCRATICHE
Se ti dicono sempre che sei bravo, sta’ in guardia:qualcuno cercherà di sfruttarti.
Se ti dicono sempre che sei intelligente, sta’ in guardia:qualcuno cercherà di eliminarti.
Se ti dicono sempre che sei obbediente, sta’ in guardia:qualcuno cercherà di farti schiavo.
Se ti dicono sempre che sei buono, sta’ in guardia:qualcuno cercherà di opprimerti.
Ma
Se ti dicono Studia, non temere:tu potrai fare un mondo senza scuole.
Se ti dicono Taci, non temere:tu potrai fare un mondo senza bavagli.
Se ti dicono Obbedisci, non temere:tu potrai fare un mondo senza padroni.
Se ti dicono Chiedi perdono, non temere:tu potrai fare un mondo senza inferni.
Non credere a chi ti comanda, a chi ti punisce,a chi ti ammaestra, a chi ti insulta, a chi ti deride,a chi ti lusinga, a chi ti inganna, a chi ti disprezza.
Essi non sanno che tu sei ancora un uomo libero.
Marcello Bernardi, Discorso ad un bambino, 1970

Quello delle scuole libertarie è un mondo non solo in continua evoluzione ma soprattutto molto eterogeneo. Alla rete che si è costituita per garantire un minimo di coordinamento, confronto, occasioni di incontro e sostegno per chi sta avviando questa esperienza, aderiscono percorsi educativi piuttosto differenti, espressioni dei diversi contesti in cui essi nascono; tuttavia troviamo esplicitati alcuni elementi comuni che ci permettono di identificare una sorta di carta d’identità delle scuole libertarie e di riflettere su di esse.


Eccola in sintesi in un estratto del sito della rete:


I gruppi educativi libertari realizzano forme concrete di relazione educativa che garantiscono:

  • la possibilità, per bambini e ragazzi, di scegliere liberamente per se stessi come, quando, che cosa, dove e con chi apprendere;

  • la possibilità per bambini, ragazzi di riconoscere e ridiscutere costantemente le forme della propria relazione sia tra pari che con adulti liberamente riconosciuti quali autorevoli e credibili interlocutori;

  • la possibilità di vivere serenamente in presenza, nel segno della scoperta e dell’incontro, rapporti mai definiti o istituiti una volta per tutte e, di fatto, non pre-determinati da alcuna struttura istituzionale, sia essa di natura scolastica o familiare;

  • la possibilità di partecipare ad una esperienza educativa continuativa, di fatto esterna al nucleo familiare e parentale, che privilegia l’autonomia, la contestualità, la contingenza e l’incidentalità, nell’apprendimento;

  • la partecipazione ad un’esperienza educativa che presenta un forte carattere di autoeducazione, che vede significativi momenti di crescita autonoma vissuti da soli o nel gruppo tra pari, anche in assenza di una relazione diretta con l’adulto;

  • la possibilità, per bambini, ragazzi, di partecipare alle decisioni che riguardano ogni ambito organizzativo del gruppo, con libertà di parola e pari riconoscimento;

  • la possibilità che ad ogni soggetto sia garantito il riconoscimento delle differenze e la pari dignità nella presa di parola come nella presenza del corpo, nella partecipazione attiva come nella manifestazione improduttiva, nella scoperta di sé come partecipazione al gruppo, in relazione agli altri.

Il manifesto della rete è altrettanto interessante e chiaro:


Manifesto per l’educazione libertaria

- Che cos’è l’educazione libertaria


L’educazione libertaria è un insieme di princìpi ed esperienze unite ad una pratica organizzativa di tipo democratico che riconosce ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze la capacità di decidere individualmente e in gruppo come, quando, che cosa, dove e con chi imparare e la capacità di condividere in modo paritario le scelte che riguardano i loro ambiti organizzativi. L’educazione libertaria fonda la relazione educativa adulto-bambino sul riconoscimento di tali capacità quali mezzi per lo sviluppo dell’autonomia e della libertà di scelta dei bambini.


Il contesto da noi privilegiato per la messa in opera di princìpi e pratiche democratiche così intesi è la scuola.


- I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze


I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze sono sempre portatori di esperienze, competenze e inclinazioni dotate di valore.


Al bambino viene riconosciuta piena capacità di scegliere. Questa si concretizza nella opportunità di decidere su contenuti e metodi del proprio apprendimento e nella partecipazione paritaria alle attività che regolano la scuola. Partendo dall’espressione delle proprie necessità (conoscitive, pratiche) il bambino ha la possibilità di sperimentare nei propri tempi e modi le conseguenze delle proprie scelte e la relativa assunzione di responsabilità. In questo modo egli acquisisce consapevolezza di sé nel mondo e cresce nella capacità di autostima ed autovalutazione. L’apprendimento nelle scuole democratiche e in tutti i contesti educativi di tipo libertario comprende lo sviluppo di ogni talento e capacità della persona in modo armonico e integrale. Nella convinzione che ogni frammento di conoscenza possa essere sempre generato e rigenerato soltanto a partire dalle necessità del bambino, l’educazione libertaria riconosce l’ubiquità dell’apprendimento e rinuncia all’idea di trasmissione di un sapere precostituito. Il processo educativo libertario pone al centro la persona nella sua interezza, compresi i suoi organi sensoriali e il corpo nel suo insieme, da qui la possibilità del bambino di vivere la totalità degli spazi della scuola.


- L’educatore-accompagnatore


L’educatore-accompagnatore ha il compito di affiancare il bambino in un comune processo di indagine/scoperta/creazione che è alla base del conoscere. L’educazione libertaria riconosce nell’esperienza pregressa dell’educatore-accompagnatore e del bambino e nelle domande di quest’ultimo il patrimonio attraverso il quale può essere generata nuova conoscenza. Adulto e bambino sono sullo stesso piano come persone, ma la loro diversità è riconosciuta come fondamentale e dà luogo a diversi ruoli nel processo di apprendimento.


Bambino e adulto possono definire dei progetti di apprendimento condivisi. Questi sono calibrati sulla base degli interessi e capacità dei bambini. Gli obiettivi concordati contengono una parte di saperi tecnici da utilizzare come strumenti di lavoro. Lo sviluppo ulteriore dell’apprendimento è guidato dalle domande spontanee poste dai bambini. L’adulto lavora sulla capacità di sostenere le energie espresse facendosi “neutro”, privilegiando l’ascolto, offrendo delle opportunità di indagine ai bambini, traendo profitto dall’incidentalità dell’apprendimento e favorendo un impegno interessato, stimolato da esperienze concrete e supportato da dinamiche di mutuo aiuto tra i bambini. L’educatoreaccompagnatore incarna un approccio al processo del conoscere che valorizza fatica e riflessione critica per raggiungere i risultati e riconoscere gli errori. Gli “errori” vengono identificati come opportunità in un comune processo di riflessione e rielaborazione al fine di favorire l’autocorrezione. L’educatore-accompagnatore ha cura di stimolare nel bambino il processo ricerca, autoapprendimento e autovalutazione.


- Il processo di valutazione


Il processo di valutazione è focalizzato sul raggiungimento degli obiettivi conoscitivi concordati e sui risultati ottenuti; fa leva in primo luogo sul confronto e l’autovalutazione e non implica in nessun caso un giudizio sulla persona, centrando l’attenzione sulla valutazione del processo di apprendimento. In tal modo il bambino e l’educatore-accompagnatore sono coinvolti in una valutazione reciproca: entrambi hanno l’opportunità di valutare qualità ed efficacia del lavoro svolto.


La relazione adulto-bambino nella scuola libertaria è fondata sul rispetto reciproco. L’autorevolezza che scaturisce dall’esperienza pregressa e dalla capacità di relazione dell’educatore-accompagnatore non giustifica un atteggiamento manipolatorio volto ad indurre nel bambino qualsiasi forma di dipendenza dal giudizio dell’adulto. Particolare attenzione è posta nell’apprezzamento di risultati come compimento di percorsi, favorendo così il piacere del fare.


La scuola libertaria garantisce la possibilità che i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze censurino il comportamento degli adulti: il bambino può scegliere l’insegnante e, in generale, segnalare le situazioni in cui è venuto a mancare il rispetto ricorrendo alle istituzioni democratiche della comunità scolastica preposte allo scopo.


- La scuola


La scuola libertaria è uno spazio aperto in cui un insieme di relazioni finalizzate ad uno scopo educativo e di apprendimento vengono organizzate attraverso istituzioni di democrazia partecipata. Le decisioni che riguardano l’organizzazione, a vari livelli e con varie modalità, e le attività della comunità scolastica vengono prese all’interno di un’assemblea. Ogni membro, indipendentemente da età e ruolo, ha diritto di voto. Compito dell’assemblea è anche quello di stabilire regole e sanzioni che disciplinano la gestione degli spazi, le responsabilità e i diversi aspetti della vita della comunità e di verificarne, con modalità condivise, l’efficacia. La scuola, in quanto spazio aperto, si pone in relazione con il contesto esterno: i nuclei familiari, il territorio, il tessuto culturale, economico e produttivo.


- L’adulto-genitore


I nuclei familiari sono i primari interlocutori della comunità scolastica. I genitori sono consapevoli e condividono gli obiettivi, le pratiche educative e le istituzioni che operano in una scuola libertaria. Sono inoltre consapevoli che l’apprendimento è un processo che comprende tutta l’esperienza del bambino e si estende al di là dei confini della scuola.


Sulla base di questi presupposti, i genitori sono chiamati a supportare la crescita del bambino favorendo la continuità tra scuola e casa e supportando le attività della scuola con le proprie capacità.


Come intuiamo, l’approccio della scuola libertaria prevede di proporre ai bambini un’esperienza educativa esterna a qualsiasi istituzione, includendo tra queste anche la famiglia. Sono quindi progetti che nascono spesso per volontà di famiglie aggregate tra loro per la realizzazione di questi obiettivi, ma che scelgono di non condurre personalmente il percorso di istruzione di propri figli. È questa una distinzione fondamentale tra homeschooling e scuole libertarie, nonostante siano opzioni che qui presentiamo come apparentate.


Tra le figure più attive in Italia nella promozione delle scuole libertarie e della proposta educativa che le caratterizza c’è Francesco Codello, dirigente scolastico di un Istituto Comprensivo della provincia di Treviso, persona che conosce molto bene la scuola dall’interno ma che, forte di una riflessione di carattere libertario che permea il suo pensiero, è un punto di riferimento fondamentale per chi voglia riflettere sul valore di un percorso educativo che ad essa faccia riferimento. I suoi scritti e i suoi interventi, alcuni riportati nella bibliografia e sitografia di questo capitolo, sono preziosa fonte di riflessione e di allargamento degli orizzonti pedagogici.


Come mamma, l’ho già accennato, rifletto spesso su questa proposta, sulla possibilità di avviare un’esperienza simile a cui prendere parte con le mie figlie, e sento dentro di me che il passaggio interiore che una scelta così richiede è una vera rivoluzione copernicana: si tratta di sviluppare o scovare dentro di sé una grandissima fiducia nella capacità dei bambini e dei ragazzi di autoregolarsi, di stare sufficientemente connessi con se stessi per saper orientare le proprie decisioni senza dover decidere se obbedire passivamente o invece ribellarsi agli adulti che si hanno intorno.

Credo anche che i bambini debbano arrivare da un’esperienza educativa che della libera scelta, della fiducia, dell’autodeterminazione, della condivisione delle regole abbia fatto una costante quotidiana; in caso contrario è assai probabile i bambini stessi saprebbero approfittarsene per sottrarsi al controllo e alle regole, vanificando lo spirito di questo approccio e soprattutto il processo che intende attivare.


Le scuole libertarie si pongono quindi in forte continuità con scelte di educazione non impositiva messe in atto sin dalla primissima infanzia; scelte che si ritrovano in modelli di accudimento nei quali siano stati messi in campo l’ascolto dei bisogni dei piccoli e il riconoscimento delle loro competenze. Nella mia riflessione desidero però segnalare il rischio che a volte ho osservato con i bambini transitati da un’ordinaria esperienza educativa, caratterizzata da una presenza adulta regolatrice nelle prassi quotidiane (penso al sonno, al cibo, alle norme predeterminate, all’uso di premi e castighi o alla minaccia di essi) a una scuola di tipo libertario: essi tendono a riproporre il modello già noto nella relazione con l’adulto e il percorso per aiutarli a gestire una vera autonomia improntata alla fiducia reciproca con le figure adulte è spesso molto lungo e non sempre “vincente”.


Pur con questa avvertenza credo allo stesso tempo che l’educazione libertaria, e le scuole che applicano quei princìpi, portino in sé una carica di verità sui bambini e sui loro bisogni e diritti che andrebbe davvero raccolta dalla scuola tutta e dalle famiglie ancora prima. Molto di recente si è tenuto un incontro con la partecipazione di responsabili delle scuole libertarie, di quelle parentali e con la presenza di Marco Orsi, il dirigente scolastico che ha avviato la sperimentazione delle scuole Senza Zaino, a cui abbiamo qui dedicato un capitolo. Spero che ne siano presto rese pubbliche le relazioni, ma il solo fatto che sia stato organizzato ci dice che i percorsi di cui parliamo possono, e direi devono, dialogare.


È vitale poter confrontare modelli e visioni sui bambini, sugli strumenti e strategie, con una logica di permeabilità secondo cui nessuna formula educativa è in sé risolta e risolutiva a tempo indeterminato.


Credo davvero, allora, che sia l’educazione libertaria sia quella parentale siano occasione di forte provocazione e di questioni importanti per chi si occupa di educazione e di istruzione, e la presenza a quel dibattito di un dirigente scolastico, pur dal profilo straordinario, sia motivo di grande speranza. Così come il contributo2 onesto ed estremamente lucido di Maurizio Parodi, anche lui dirigente scolastico, all’incontro nazionale delle famiglie che praticano l’educazione parentale, esperienza a cui dedichiamo le prossime pagine.

L’EDUCAZIONE PARENTALE

Nessun genitore, per quanto bravo, competente e volenteroso, potrebbe far crescere un figlio se questo non crescesse anche per un suo movimento autonomo, grazie alla sua capacità di desiderare di crescere e alle sue vitali potenzialità di sviluppo.

E nessun bambino, per quanto attrezzato, vispo e ben intenzionato, può crescere senza avere un adulto a fianco che lo faccia crescere, che ne sostenga la spinta verso lo sviluppo, la orienti, la guidi, ne disciplini lo sforzo e l’irruenza, tenga accesa la speranza a rischiarare il futuro.

E ancora, nessun genitore e nessun adulto con compiti educativi fa crescere senza che cresca lui stesso.

Crescere è un prodigioso gioco di specchi, di sguardi che restituiscono sguardi, di rimandi che ristorano, di reciprocità rispettose, di scambi che generano scambi.3


Una risposta ancora più radicale alla scelta di non avviare i propri figli in canali tradizionali di istruzione è quella dell’educazione familiare o parentale, una scelta che esclude anche forme organizzate quali le scuole libertarie. Ne è presupposto la famiglia come contesto in cui l’apprendimento può avvenire in modo naturale, anche grazie a esperienze fuori dalle mura domestiche ma vissute con la presenza dei genitori o comunque al di fuori di una delega a terzi per quanto riguarda l’istruzione strettamente intesa, e senza l’impalcatura data da luoghi e orari strutturati per le attività “scolastiche”.


Attualmente in Italia sono circa un migliaio le famiglie che hanno scelto di occuparsi di persona dell’istruzione dei propri figli, molte meno di quelle che praticano la medesima scelta in altri Paesi come gli Stati Uniti (2 milioni di bambini e ragazzi), l’Inghilterra (70.000), la Francia (3.000) o la Spagna (2.000), realtà in cui la pratica dell’istruzione familiare è già alla seconda o terza generazione; o forse sarebbe più corretto dire che non è mai scomparsa, attingendo da una prassi piuttosto consueta, pur con diversa consapevolezza pedagogica, da sempre.


Diversamente dall’educazione libertaria che ha alcuni princìpi pedagogici di riferimento, legati a una visione specifica della società e dell’individuo, l’educazione parentale non può presentarsi con un’omogeneità di visione educativa né di strumenti ad essa correlati. Ciascuna famiglia che pratica l’homeschooling interpreta questo percorso attraverso le proprie convinzioni religiose, valoriali, politiche e sociali e anche, naturalmente, pedagogiche.


Quello che ciascuna famiglia è tenuta a dimostrare agli organismi di controllo, in primis la scuola di riferimento nel territorio di residenza, è di avere una capacità economica e culturale sufficiente per garantire ai bambini e ragazzi in età di obbligo scolastico le condizioni per il raggiungimento delle competenze dei loro coetanei inseriti in un percorso scolastico tradizionale. Alla fine di ogni anno scolastico un esame di idoneità svolto presso la scuola pubblica di riferimento potrà (o dovrà? Diverse sono le interpretazioni della norma a questo riguardo e su questo rimandiamo alle consulenze che in materia sono offerte sui siti dedicati) essere affrontato per certificare il percorso svolto e il livello di competenze raggiunto.


Contrariamente all’obiezione spesso sollevata, di solito le occasioni di socializzazione non mancano a questi bambini, e non trovo affatto infondata la controbiezione di questi genitori: ma siamo così sicuri che la scuola offra opportunità ed esperienze di socializzazione che permettano una crescita relazionale significativa, anche per la collettività nel suo insieme?


Siamo sicuri che un modello di scuola frontale, con molte ore trascorse nel divieto dello scambio con i coetanei, con momenti liberi regolati da molti limiti di carattere logistico o organizzativo, con scarsi stimoli alla collaborazione e alla responsabilità nella gestione delle scelte quotidiane, con un’esperienza continua di rapporti in cui le posizioni gerarchiche sono prevalenti su quelle di contenuto, siamo certi che tutto ciò sia davvero il meglio che possiamo desiderare non solo per i nostri figli ma per tutti gli uomini e le donne che da questa esperienza dovranno mettere insieme un modello di relazione e di comunità?


Credo che ogni bambino abbia bisogno di molte relazioni, sin dalla prima infanzia, e di contesti in cui possano intrecciarsi con flessibilità e fluidità quelle con gli adulti e quelle con i coetanei; di relazioni autentiche in cui potersi misurare e comprendere, in cui l’altro sia un volto dentro cui specchiarsi e da cui differenziarsi, nella comune umanità non uniforme.


Per tutto questo occorra un contesto di vita quanto più possibile reale; molti ambienti scolastici, in cui i bambini vivono per sei-otto ore al giorno, non credo che lo siano e che permettano di sviluppare queste competenze in modo adeguato.


Di recente mi sono confrontata con alcune famiglie su quanto la scuola istituzionale, e i suoi modelli relazionali, normativi e organizzativi, sia necessaria per orientarsi poi nelle diverse situazioni della vita adulta. Una libertà e un’autogestione così marcata non avrebbero, secondo alcuni, riscontro nella società che attende questi bambini quando cresceranno, e non solo da un punto lavorativo. Questa obiezione interroga sia chi pratica l’istruzione familiare sia chi ha scelto la via della scuole libertarie.

Penso sia vero quello che molte famiglie che praticano l’una o l’altra di queste scelte mettono in luce: la scuola tradizionale è di per sé un luogo artificiale, con relazioni non rispondenti al flusso naturale che esse avrebbero in un contesto maggiormente spontaneo. L’aggregazione per età omogenee ad esempio è un fatto piuttosto innaturale rispetto all’interesse che i bambini hanno per la relazione con altri pari di differente età, dai quali prendere spunti e stimoli per fare di più o dei quali invece prendersi cura, sperimentando abilità di trasmissione delle conoscenze o anche solo di accudimento affettivo e materiale. Come avviene in famiglia e nella vita reale fuori dalle mura scolastiche. O nella gran parte delle esperienze di cui parliamo in questo libro.


Inoltre le regole che la scuola pone all’interno delle relazioni sono motivate (e neppure sempre in modo sensato) da un ambiente governato in modo sovradeterminato (numero di alunni, spazi disponibili, normative scolastiche sui pasti, attività lecite o meno, orari predefiniti per ciascuna fase della giornata) e non generalizzabili in situazioni differenti, soprattutto tenendo conto dell’estrema rapidità con cui evolvono i contesti di vita adulta.


C’è allora davvero da chiedersi se una socializzazione e un’esperienza di vita collettiva tanto artificiale corrisponda davvero al bisogno del bambino di comprendere cosa significhi relazionarsi con rispetto e consapevolezza con il mondo circostante o se invece gli impedisca di sperimentare un’autenticità come unica palestra vera, per sapersi poi collocare nello stesso modo nel mondo adulto.


Maria Montessori rifletteva su questo concetto con parole molto sagge: “È nei liberi rapporti, nel reale esercizio che fa adattare i limiti di ciascuno ai limiti altrui, che si possono organizzare le abitudini sociali.”4


Ma i genitori, altra obiezione legittima e molto comune, sono preparati e competenti rispetto ai processi di insegnamento/apprendimento?

Dal sito di Educazione Parentale5 riportiamo una replica a questa perplessità che mi pare interessante, nel suo intento di cambiare il punto di osservazione rispetto alla questione, senza sfuggire ad una risposta di merito.

Homeschooling significa personalizzare il percorso educativo nel rispetto delle metodologie e delle tempistiche necessarie al singolo individuo e offre la possibilità di scegliere tra materiali pedagogici alternativi a quelli proposti nelle scuole. La vita è apprendimento e in ogni momento si può fare qualche cosa da cui si può trarre un insegnamento. I bambini e i ragazzi imparano sempre. La loro crescita intellettuale è come loro crescita fisica: non si ferma mai. Come quando da piccolissimi hanno imparato a gattonare, camminare e parlare sotto i vostri occhi, ora, stanno imparando a conoscere il mondo che li circonda. I genitori che scelgono questa strada condividono un forte senso di responsabilità per l’istruzione e l’educazione dei propri figli. L’osservazione diretta permette di giudicare a quale livello di comprensione della realtà essi siano. L’osservazione, al contrario dei test scolastici, non funziona come un “fermo immagine” dell’apprendimento avvenuto in uno specifico momento, ma permette di farsi un’idea fluida e flessibile delle capacità del bambino, senza rimanere intrappolati in preconcetti che definiscono cosa sia giusto conoscere e quando sia meglio farlo. I genitori che fanno homeschooling studiano, programmano le lezioni, esplorano diversi tipi di pedagogia (specialmente quelle Steiner e Montessori), si fanno aiutare da esterni se necessario e sfruttano tutto il materiale disponibile per realizzare il loro compito.

Interessante è anche la sintesi di Sybille Kramer, che ha avviato la sua esperienza di istruzione familiare in tempi in cui questa opzione era davvero poco diffusa e che la racconta con lucidità nel suo blog6, aprendo una finestra anche sull’unschooling:

Ci sono tanti modi e metodi per fare homeschooling, tanti come ci sono le famiglie e i bambini che lo fanno, e il metodo è probabilmente collegato anche all’età dei bambini, l’ambiente e le opportunità, e la personalità e le esperienze educative dei genitori.

Alcuni fanno “scuola” con un calendario e orario fisso, con compiti, test, pagelle, secondo un piano specifico di apprendimento, che va spesso anche oltre quello della scuola pubblica. Altri vivono liberamente la giornata come viene, lasciando che le cose vengano da sé: nello stesso modo naturale in cui i bambini imparano a parlare e a camminare, imparano a leggere e a contare, a scoprire la natura e le leggi della fisica (unschooling). Altri fanno come noi: agli interessi attuali del bambino viene dato sufficiente spazio e il sostegno possibile, pur cercando di offrire delle unità di insegnamento più specifiche e preparate, sollevando nuovi interessi e stimoli, mantenendo i requisiti minimi del piano di studi della scuola pubblica. Ciò garantisce da un lato il rispetto e l’accettazione di particolari talenti personali e la volontà di imparare certi contenuti, dall’altro si è a posto anche dal punto di vista giuridico (programma) e se per qualsiasi motivo il bambino dovesse essere inserito a scuola (ad esempio per sua volontà), non ci sarebbero lacune troppo grandi nell’apprendimento delle materie.

Una finestra, quella sull’unschooling, che credo valga la pena aprire un po’ di più, per dire come e quanto ci si può spingere nella fiducia nei nostri figli e nelle nostre scelte.


Ecco il racconto di Raffaella Simone, nel suo blog7 la cui lettura trovo preziosa come l’acqua fresca di una sorgente:


Prima di trovarci immersi in questa normalità (per noi), negli anni, l’abbiamo immaginata e declinata in molte maniere diverse. Di fatto siamo andati via via levando.


Quella che, inizialmente, poteva sembrare una versione rivisitata e corretta della scuola - trasferita fra le mura domestiche - oggi è semplicemente altro.


Abbiamo levato, dicevo, nel senso di tolto: abbiamo tolto programmi, orari, materie, voti (detesto i voti!!), premi, punizioni, gare, sfide…


Abbiamo levato nel senso di sollevato, alleggerito. Giorno per giorno la nostra posizione si è andata “alleggerendo” (per qualcuno radicalizzando) verso l’Unschooling. In questo ci hanno ispirato gli scritti di John Holt (Growing without school) e le tantissime esperienze in rete (e non) provenienti soprattutto dagli Stati Uniti. Un ruolo importante, qui in Italia, lo dobbiamo a Controscuola e a Educazione Parentale, luoghi di incontro e di confronto. Molto hanno significato anche le riflessioni del libertario Marcello Bernardi (in particolare Educazione e Libertà) e il dirompente saggio di Alfie Kohn8 (Amarli senza se e senza ma).


Alla base dell’Unschooling ci sono considerazioni molto semplici, ma niente affatto scontate. Si tratta di un approccio che sta in piedi solo partendo da un atteggiamento di totale fiducia nei confronti dei bambini. (E già qui, diciamolo, non siamo affatto preparati culturalmente.) In sintesi:

  • i bambini sono guidati da una spinta naturale ad imparare;

  • sanno di cosa hanno bisogno e come apprenderlo;

  • imparano e assorbono ciò che è necessario nel contesto in cui vivono. Vita e apprendimento sono la stessa cosa;

  • ognuno apprende secondo i propri tempi e secondo percorsi individuali e, soprattutto, attraverso l’esperienza;

  • l’apprendimento - quello vero - nasce da una motivazione interna: che si tratti di passione, interesse o necessità (per. es. molti bambini unschooler hanno imparato a leggere spinti dall’esigenza di consultare qualche libretto delle istruzioni);

  • le motivazioni esterne: premi e/o punizioni (voti buoni e/o cattivi) non funzionano sul lungo periodo, poiché agiscono a discapito della passione e rischiano di essere di ostacolo all’individuazione del proprio cammino;

  • la scuola - cosiddetta compulsiva - spegne la creatività, intesa anche come capacità di trovare soluzioni;

  • infine (ma molte cose avrò certamente dimenticato) lo scibile è talmente immenso e vario che non possiamo davvero pensare di recintarlo entro gli stretti confini di rigidi programmi scolastici massificanti. Non sarebbe molto più fruttuoso per tutti se la conoscenza di ognuno seguisse percorsi individuali e diversi? Come dice molto bene Silvano Agosti: “… avremmo per le strade dei capolavori ambulanti. Ognuno avrebbe la sua visione del mondo e il mondo sarebbe ricco di infinite interpretazioni…”

Ecco, un mondo ricco di infinite interpretazioni è proprio ciò di cui si sente un immenso bisogno.


Un mondo ricco di infinite interpretazioni è proprio ciò che deve fare paura ad alcuni.


Detto questo, atterro dai miei voli pindarici e vi racconto, velocemente, che le nostre giornate non sono scandite da campanelle, programmi, compiti.


L’attività principale dei bambini resta il gioco. La mattina generalmente si tratta di gioco all’aperto. Considerato il clima di questi luoghi, hanno già costruito il primo igloo dell’anno, grazie alle recenti nevicate. Poi si spostano in casa dove i passatempo più in auge sono le costruzioni e la pista in legno per il trenino. Entrambe le attività richiedono tempo, logica, coordinazione, ordine mentale, mediazione. I giochi virano immancabilmente nel gioco di ruolo, dove reinterpretano, rielaborano e approfondiscono (facendo domande) vissuti recenti o temi a loro cari. Niente di speciale, lo so… salvo la nostra speciale convinzione che questo sia apprendimento.


Leggiamo, lo abbiamo sempre fatto; ci piace. Leggiamo di tutto, purché scritto bene. E poi parliamo, tutti e troppo, ma parlando capita di affrontare insieme dubbi, curiosità, domande filosofiche, paure, sogni… Il tutto accade all’interno di una quotidianità pienamente condivisa, dalla gestione della casa e della famiglia al lavoro. I bambini sono con noi quando abbiamo ospiti in albergo: sanno in cosa consiste il nostro lavoro e quali responsabilità e soddisfazioni comporti. Sono con noi quando c’è da tagliare la legna e accatastarla; è un momento di condivisione e ce la mettono tutta per essere d’aiuto; sono con noi quando si piantano i fiori; si seminano e raccolgono patate (questo compete ai nonni); sono con noi quando cuciniamo (non sempre ovviamente… e per fortuna!) e così via.


In questo periodo Grande e Piccolo sono le ombre del padre Nordico, che si sta dedicando alla ristrutturazione della mansarda di casa, destinata a diventare il loro spazio giochi, studio, laboratorio (già sede in fieri di un neonato “Club dei bambini e dei giochi” fondato da Grande.) Tutti i giorni nelle loro tute blu (da metalmeccanici) seguono il padre su per un’irta scala di legno, per tornare - a distanza di qualche ora - pieni di trucioli e nuove idee per la testa. Trattasi di “non scuola”, non c’è dubbio, ma anche di apprendimento allo stato puro. Non saprei neanche mettere in fila tutte le materie e le non materie che sperimentano a fianco del padre mentre misurano i listelli da montare sulle pareti, per poi fissarvi l’isolante. Poi sarà la volta dell’impianto elettrico; poi delle tavole di abete da imbiancare e fissare a parete e a terra; poi verrà la finestra ovale, con vista lago, forse monteranno insieme una stufa a legna (sulla quale sono tuttora in corso trattative) e poi la scala… ancora tutta da progettare! A tratti, mentre il padre lavora, si perdono nei loro giochi con chiodi e martelli: li sento battere, parlottare, ridere, litigare…


Ma, sopra ogni cosa, la non materia fondamentale che stanno apprendendo è data dall’esempio di un padre che sa fare molte cose; che ha voglia di fare e che ama quel che fa.


E poi - ma non è una nota a margine! - c’è un Minuscolo di 10 mesi che cresce e partecipa ogni giorno di più. Al mattino si sveglia sfoderando il suo sorriso pieno di sole e chiama, con i suoi gorgheggi, i fratelli che accorrono e poi corrono via. E lui dietro gattonando, smontando ciò che loro montano, osservandoli e osservato da loro, che attraverso di lui stanno imparando altre cose (seppure del tutto fuori programma). Unschooling … non scuola…


Impareranno a leggere e scrivere? E a fare di conto? E la grammatica? E l’insiemistica?


Certo, non c’è dubbio. Impareranno ad assumersi le proprie responsabilità? Certo: lo vedono fare ogni giorno, perché non dovrebbero?


Impareranno ad obbedire, a “stare in fila per due”, a dare le risposte esatte. Mi sa di no.


Questo è il nostro percorso, non è misurabile attraverso i voti e le pagelle; non è confrontabile con quello degli altri. Ma è tangibile, perché è pieno di senso ogni giorno di più.


L’unico “neo”, ma spero che riusciremo a mediare, è legato alla nostra scelta di far fare a Grande l’esame di prima elementare a Giugno. Parlo di scelta perché in realtà per legge, chi fa scuola parentale (homeschooling), non è obbligato a fare l’esame di fine anno, a meno che non intenda entrare o rientrare nel circuito scolastico.


Noi preferiamo, comunque, affrontare la verifica di fine anno (magari un giorno spiegherò il perché).


Questo, inevitabilmente, entra in conflitto con il nostro approccio, che vorrebbe essere indipendente da scadenze fisse e programmi preimpostati. Ma ce ne faremo una ragione!


Trattandosi di scuola primaria e sopratutto del primo anno, fortunatamente contano di più le competenze dei rigidi programmi. In parole povere sappiamo che Grande dovrà imparare a leggere e scrivere abbastanza fluentemente, entro Giugno. Sulle competenze di matematica non ci sono sforzi da fare, visto il suo vivo interesse. Al momento non gli stiamo facendo pressione; vediamo che, giorno per giorno, nella sua testa si sta dipanando il mistero della lettura e della scrittura. Sono certa (abbastanza!) che arriveremo alfabetizzati a Giugno: sarà a modo nostro, secondo i nostri ritmi e seguendo i nostri sentieri.


Non tutto è semplice.

Non tutte le giornate scorrono senza intoppi.

Momenti di dubbio e riflessione non mancano.

Ma siamo qui:

nel pieno delle nostre vite,

nel pieno delle nostre scelte, pensate e consapevoli.


Navigando in rete

- Scuole libertarie


http://www.educazionelibertaria.org/


http://www.educazionelibertaria.org/scuole/in-italia/


http://snacksofmarketing.wordpress.com/2013/08/07/educazione-cambiamentoscuola-serendipita/


http://mareggen.jimdo.com/il-progetto-educativo/


Una riflessione di F. Codello: http://www.youtube.com/watch?v=PYnrA0DAIac


- Istruzione parentale


http://www.controscuola.it/


http://www.lapappadolce.net/


http://educazioneparentale.org/


http://scuolainsoffitta.com/


http://www.beingandbecomingfilm.com/#Trailers


http://buntglas.wordpress.com/homeschooling/


http://provedipensierolibero.blogspot.it/2013/11/il-nostro-unschooling.html


http://www.controscuola.it/prodotto/homeschooling-leducazione-parentale-in-italia/

Qualche buona lettura

Codello F., Stella I., Liberi di imparare, AAM Terranuova, 2011.


Codello F., La buona educazione, FrancoAngeli, Milano, 2005.


Codello F., Vaso, creta o fiore? Né riempire, né plasmare ma educare, La Baronata, Lugano, 2005 (esaurito).


Denti R., Conversazioni con Marcello Bernardi, Elèuthera, Milano, 1991.


Illich I., Descolarizzare la società, Mondadori, Milano, 1972.


Neill A., I ragazzi felici di Summerhill, Red, Como, 1990.


Neill A., Il fanciullo difficile, (a cura di A. Pinter), La Nuova Italia, Firenze, 1992.


Trasatti F., Lessico minimo di pedagogia libertaria, Elèuthera, Milano, 2004.


Korczak J., Il diritto del bambino al rispetto, Luni Editrice 2004.


Juul J., Il bambino è competente, Feltrinelli 1995.

Esperienze, nomi e volti

Sia la rete delle scuole libertarie sia le famiglie che praticano l’istruzione famigliare organizzano ogni anno raduni nazionali e periodicamente locali.


Questi appuntamenti vengono pubblicizzati sui siti di riferimento già indicati in sitografia. Credo che la partecipazione ad uno o più di questi momenti sia una preziosa occasione di conoscenza delle esperienze in corso e della loro trasferibilità. Anche una visita alle scuole libertarie già attive può essere un’esperienza preziosa per capire come davvero “si può fare” e per osservare “in diretta” come un’alternativa così radicale rispetto alla scuola tradizionale sia davvero possibile e virtuosa.

Un'altra scuola è possibile?
Un'altra scuola è possibile?
Sonia Coluccelli
Autori, esperienze e prospettive educative verso percorsi scolastici in ascolto dei bambini.Un panorama delle alternative alla scuola tradizionale e dei diversi modi di approciarsi all’istruzione, tra visione pedagogica e traduzione pratica. Il sistema educativo odierno non sembra incoraggiare il pensiero olistico, intuitivo e immaginativo, ma predilige di gran lunga quello fondato sulla verbalizzazione. Il clima che si respira nella scuola provoca forte stress agli alunni, a causa di pressioni e attese didattiche che non si conformano alla loro natura. Nelle scuole si formano perlopiù conoscitori, non pensatori.Un’altra scuola è possibile mette in evidenza la necessità di promuovere all’interno della scuola una riflessione per “vedere” sempre meglio i bambini, attraverso la possibilità di vivere esperienze didattiche fuori dall’edificio scolastico; il tutto visto non come una fuga da un’esperienza avvilente, ma come la messa in atto di progetti educativi con una loro specificità e diritto di espressione.Sulla base di una critica alla scuola convenzionale, l’autrice Sonia Coluccelli intende offrire un ventaglio di proposte alternative, prospettando per ciascuna sia gli assunti teorici sia le effettive realizzazioni. Da Rudolf Steiner a Don Lorenzo Milani, da Maria Montessori a Mario Lodi, fino all’educazione parentale, ogni capitolo prende in esame una visione pedagogica e ne presenta la relativa traduzione pratica.È così offerto un panorama di scelte possibili a chi stenta a riconoscere nei sistemi scolastici convenzionali una risposta adeguata ai reali bisogni di apprendimento, crescita e sviluppo di ciascun bambino. Conosci l’autore Sonia Coluccelli è insegnante, formatrice e mamma di quattro figli. Da vent’anni coltiva una riflessione pedagogica in ambito scolastico, approfondendo la conoscenza dei diversi approcci educativi, ricercando sguardi attenti nei bambini e attenzione alle loro domande.Dal 2012 si occupa di promuovere esperienze montessoriane nella scuola pubblica collaborando con Fondazione Montessori Italia.Vive a Omegna, sulle rive del lago d’Orta.