Un nuovo ospite

Migrare è un po’ come nascere
(D. Bertani)

Ho scritto la prima versione di questo libro1 quando i miei figli erano piccoli e insieme trascorrevamo molto tempo in cucina, anche con i compagni di scuola, i cuginetti e i figli dei vicini di casa. Impastare, lavare, travasare, tagliare, cuocere, assaggiare, dire “Bleah!” o “Che buono!”: che si poteva fare di meglio? La cucina era un laboratorio caldo, vitale, e attraverso il cibo e la sua preparazione passavano fra di noi il piacere di sperimentare e di chiacchierare facendo qualcosa con le mani, la soddisfazione di vedere a tavola ciò che avevamo cucinato, la fatica del riordino, momento di chiusura dell’esperienza del giorno.


Da allora sono trascorsi molti anni. I figli sono cresciuti e di tempo per stare insieme in cucina ce n’è sempre meno. Lo si ritaglia soprattutto nelle grandi occasioni, quando, intorno ai fornelli della nonna, si recupera un poco di tradizione e in onore alle differenti aree geografiche da cui provengono i vari membri della famiglia, si preparano crostini toscani e ravioli ricotta e spinaci, gnocchi alla romana e seadas al miele di castagno, leckerli e schiacciata all’uva.

Non è però cambiata la convinzione che la vita di una casa ruoti soprattutto attorno ai fornelli e ai suoi profumi. Anzi, più ce ne allontaniamo con cibi congelati e spuntini plastificati, più si rafforza la convinzione che il fare insieme in cucina sia un’esperienza di valore. In cucina, mentre sente le voci dei genitori, della sorella e del fratello, il neonato annusa i profumi dei cibi che ha già assaggiato nel ventre materno, assaporando i diversi aromi che il liquido amniotico assume a seconda di ciò che mangia la mamma. In cucina assaggia i primi bocconi, sperimenta il piacere di infilarseli in bocca e, aggrappandosi alle maniglie dei mobili, si solleva per le prime vertiginose esperienze su due gambe. A un anno usa mestoli e pentole per innovative esperienze sonore e qualche mese dopo apre e chiude gli sportelli, tirando fuori e mettendo dentro, quasi volesse darsi una prima immagine di come funziona la realtà. Se è abbastanza fortunato da avere genitori che non hanno come unico obiettivo ambienti lucidi e asettici, come un piccolo dio o una dea creatrice inizia a mescolare acqua e farina, a imitare il suono delle cascate versando da un contenitore all’altro mais e riso, a ritagliare pasta in forma di mamma o di gatto, ad affettare una vera zucchina, a giocare con acqua e sapone. E magari, issato come un re su una sedia davanti al lavabo, a lavare davvero, come i grandi. Una pentolina, un cucchiaio, una tazza e un pezzetto di spugna insaponata: cosa desiderano di più un bambino, una bambina di due, tre anni?


Non è cambiata neanche la convinzione che proprio in cucina molte scelte etiche possano essere trasmesse senza tante chiacchiere, solo con il fare. È qui (e in bagno!) che si impara ad usare con accortezza l’acqua e i detersivi, a differenziare con cura i rifiuti, a parlare ma anche ad ascoltare gli altri intorno alla tavola, a mangiare quanto basta e possibilmente cibi coltivati nel rispetto dell’ambiente e dell’altrui vita.


Tuttavia, quando ho iniziato a pensare a un nuovo Piccoli Golosi mi sono accorta che nel corso del tempo il mio approccio al mondo dell’alimentazione era cambiato: a fronte di alcuni princìpi costanti nel tempo, grazie anche alla presenza nel nostro paese di persone provenienti dalle più svariate parti del mondo, le domande che ruotano attorno agli alimenti sono oggi più articolate e complesse. Quando possiamo definire un cibo buono? Perché è biologico? Perché è saporito? Perché è macrobiotico? Buono perché così lo faceva la mia mamma e così si fa ancora nel mio paese? Buono perché ce n’è per tutti?


Le risposte sono tante quante le teste e questo accade perché il cibo è innanzitutto una questione culturale attorno alla quale si muovono e vivono emozioni forti, prepotenze arcaiche. Ho sentito così il desiderio di confrontarmi con altre donne, con altre mamme per integrare i princìpi di una buona alimentazione con le diverse pratiche: come si comportano o si erano comportate, cosa danno o hanno dato da mangiare ai loro figli, come vivono o hanno vissuto la gravidanza, l’allattamento e le fasi successive della vita.


Sono sorti così incontri che hanno visto discutere insieme donne provenienti da differenti aree geografiche, culturali, economiche: uno scambio appassionante, spesso divertente, dal quale sono scaturite ricette, consigli, esperienze, ma anche ricordi, narrazioni. Attorno al tavolo di una possibile cucina ideale si è creato quel clima di reciprocità che spesso consente a noi donne di sottrarci alla pressione delle regole stabilite dagli esperti secondo tabelle che nulla hanno a che fare con noi e i nostri figli, restituendoci la fiducia necessaria ad ascoltare i loro (e nostri) bisogni e iniziare così la reciproca conoscenza.

Questo sapere esperenziale materno, così in disuso in un mondo in cui la cura dei figli viene sempre più delegata agli esperti del settore2, ha arricchito moltissimo i Piccoli Golosi di tanti anni fa. Oltre a essere bello, chiacchierare fra madri è infatti istruttivo. Si imparano molte cose, soprattutto se le donne provengono da diversi paesi e ognuna porta con sé uno specifico sguardo sul mondo, un modo di vedere il bambino e un proprio bagaglio di sapori. Il nostro sguardo eurocentrico – la scienziata ambientalista indiana Vandana Shiva ha scritto una volta che le monocolture invadono la mente prima della terra3 – ci impedisce di ascoltare e quindi di cogliere gli aspetti interessanti dell’altrui sentire, e ben lo sanno le donne che pur avendo già avuto due, tre figli nel paese di origine, qui vengono trattate come incompetenti perché utilizzano saperi o alimenti che non conosciamo e che non si vuol perdere tempo a conoscere.

L’ambiente e la cultura che ci hanno formati emerge non appena iniziamo a parlare dei più piccoli: pensieri, credo, insicurezze, attitudini personali, paure e convinzioni si traducono in gesti, parole e atteggiamenti che ripetiamo senza porci troppe domande. Parlare insieme aiuta innanzitutto ad acquisire maggiore consapevolezza. Scoprire, per esempio, che in altri paesi lo svezzamento viene condotto con cibi qui considerati inadatti e constatare che i bambini stanno benissimo lo stesso, può essere molto importante ai fini di smitizzare regole alimentari calate dall’alto e a cui nostro figlio fatica a conformarsi. Sentire quanto siano poveri, ma ugualmente rimpianti, certi piatti dell’infanzia, aiuta a semplificare il contorto approccio che abbiamo al mondo del cibo, vuoi riscoprendo la bontà di un pezzo di pane e formaggio, vuoi smettendo di pensare così tanto al cibo e ai suoi effetti, soprattutto estetici, sul nostro corpo. Ascoltare dalla viva voce di altre mamme che dormire con i figli e che dare loro il seno durante la notte, anche a svezzamento iniziato, è pratica diffusissima e considerata molto importante per il benessere del bambino (e della mamma, che dorme di più), potrebbe aiutarci a non considerare il desiderio che proviamo di consolare nostro figlio con il seno come portatore di chissà quali vizi. D’altro canto, condividere l’esperienza educativa può aiutarci, e aiutare donne che hanno vissuto la migrazione come trauma non voluto, a sfuggire la trappola del “buono perché occidentale”, trappola che nella cura del bambino, caratterizzata dalla rapida perdita dei saperi tradizionali e familiari a favore di un approccio fortemente medicalizzato, è particolarmente evidente.


L’esperienza della condivisione di saperi e di pratiche avvicina più di tante parole alla comprensione di quanto sia importante, per il bambino, avere accanto genitori attenti, capaci di vero ascolto. Racconta Sabina Dal Verme, ostetrica presso l’ospedale S. Paolo di Milano, e membro della Cooperativa Crinali di Milano: “Lavorare con donne di paesi diversi ci ha insegnato quanto sia importante ridimensionare l’assolutezza del nostro sapere a favore di uno sguardo decentrato. Il tono occidentale è prescrittivo e spesso fatichiamo a comprendere il valore, anche in termini di benessere, di riti, cibi o erbe di importante significato simbolico. Penso, per esempio, ai datteri schiacciati che alcune donne egiziane passano sulle labbra del neonato affinché il suo primo sapore sia dolcissimo. O all’erba della vita, l’ho vista usare da una donna del Senegal: pare morta, ma immersa nell’acqua si riprende e aiuta il bambino a nascere e a crescere in salute”.

Il confronto, quindi, spacca le consuetudini e le regole stabilite da altri aiutandoci a rimetterci in sintonia con il nostro sentire, e questo non può che andare a vantaggio di una osservazione più attenta del nostro bambino: del suo bisogno, delle sue attitudini. Imparare ad ascoltare gli altri è infatti il primo passo per imparare ad ascoltare il più misterioso degli individui, il neonato. Se ci si pensa, nessuno è più straniero di lui, a questo mondo4, e sebbene la mamma lo conosca meglio di chiunque altro, anche per lei il suo arrivo segna l’inizio di un percorso totalmente nuovo, tutto da costruire.


Ce lo ha ricordato Lynda Hamouni, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare pochi giorni prima della nascita di suo figlio: “Ho voglia di vedere il mio bambino, di conoscerlo. Ho voglia di vederlo qui, in casa. Mio marito ha iniziato a sentirsi padre quando l’ha sentito muoversi. Abbiamo cominciato a fare bella la casa, a pulirla, ed è stato un momento molto importante per noi: un modo di dare il benvenuto a nostro figlio”. È questa l’immagine del bambino come ospite, rispettosa ma poco usuale nella società che abbiamo costruito negli ultimi decenni, che vorremmo non si dimenticasse mai durante la lettura.


Ovviamente, proprio per il loro carattere esperienziale, le pagine che seguono vogliono essere solo uno spunto dal quale partire per riflettere sulle scelte, alimentari e non, che compiamo ogni giorno affidandoci agli esperti senza considerare ciò che vogliamo, ciò che ci corrisponde. Questo non significa sperimentare qualunque cosa ci venga in mente. Purtroppo non abbiamo più un istinto a guidarci e quel che un tempo imparavamo per mimesi e tradizione, oggi dobbiamo costruirlo attraverso la cultura, l’approfondimento, lo scambio, anche con ostetriche, ginecologi, neonatologi, pediatri di cui condividiamo l’approccio scientifico ma anche l’atteggiamento, il modo di porsi. Riterrei però di aver fatto un buon lavoro se alla fine della lettura venisse voglia di avere un atteggiamento critico nei confronti delle proposte che il mercato ci mette continuamente sotto il naso convincendoci a suon di pubblicità martellante che sono la cosa migliore.


Un’avvertenza.


Di ricette ce ne sono milioni. Quelle che troverete qui hanno come caratteristiche di essere semplici, costare poco e, quando possibile, essere preparate con avanzi.


Infine, sono quasi tutte vegetariane.

Perla di rugiada:
in ognuna vedo
il mio villaggio.1

Un mondo di pappe
Un mondo di pappe
Sara Honegger
I saperi delle mamme nell’alimentazione del bambino da 0 a 6 anni.Una carrellata sulle conoscenze trasmesse da madre in figlia riguardo lo svezzamento e l’alimentazione dei bambini. Con moltissime ricette etniche. Il passaggio da un’alimentazione lattea a una che comprende cibi solidi è una tappa fondamentale nello sviluppo naturale del bambino. Sempre più spesso, però, lo svezzamento viene vissuto da molti genitori con ansia e frustrazione, mentre, in realtà, dovrebbe essere un piacere che nasce dall’esplorazione e dalla scoperta del bambino delle sue nuove competenze e capacità che gli permettono di entrare in relazione con il mondo esterno. Un mondo di pappe non ha la presunzione di dire ai genitori “come si fa”, ma promuove, sostiene e rafforza le loro competenze e quelle dei loro bambini in un processo di facilitazione e non di imposizione, facendoci conoscere e apprezzare cibi, sapori e momenti di condivisione.Mai come nei primi mesi di vita di nostro figlio saremo altrettanto attenti alla qualità degli alimenti che compriamo. Questa attenzione può diventare il primo gradino di un modo ecologico di porsi nei confronti del mondo, nonché il primo passo verso un percorso educativo attento all’altro e alla ricchezza offertaci dalle tante diversità. Questa è la convinzione che ha sostenuto Sara Honegger nel suo viaggio a tutto tondo nell’alimentazione infantile. Dal latte della mamma alla tavola di famiglia, dai primi approcci alle pappe alla cucina vissuta come entusiasmante laboratorio, questo libro ci accompagna in un fantastico viaggio fra ricette, consigli e ricordi di mamme provenienti da diverse parti del mondo. Un viaggio interculturale, compiuto senza mai dimenticare i princìpi di un’alimentazione attenta alla salute, nostra, ma anche degli altri e della Terra che abitiamo. Un testo di grande aiuto non soltanto ai genitori, ma anche agli educatori degli asili nido e a tutti i pediatri attenti a promuovere la salute dei loro piccoli pazienti.