CAPITOLO I

Mangiare sano, mangiare tutti

Sguardi sul cibo

Mi piace camminare dentro una cosa giusta, una buona regola.
Sadia Khudaldi

L’arrivo di un bambino fa sorgere nuove domande, induce nuove aperture. Non c’è aspetto del quotidiano sul quale la fragilità del neonato non getti la luce di una differente consapevolezza. “Avere figli… è stato come passare dal cinema in bianco e nero al cinema a colori”, ha detto il poeta Fabio Pusterla1: “Lo sguardo dei bambini mi ha mostrato un mondo molto più complesso e variegato di quello che io conoscevo”.


È uno sguardo che ci interroga sull’assurdo: delle ingiustizie e delle guerre, delle sopraffazioni e dell’indifferenza, ma anche dell’aria grigia che si respira, degli asfittici parchi dove si va a passeggiare, delle automobili che falciano i pedoni, del cibo plastificato di cui sempre più ci nutriamo.


Tuttavia, non sempre alle tante domande siamo capaci di far seguire azioni coerenti. Lentamente, insieme alla crescita dei figli, tornano le vecchie abitudini, spesso di comodo, e gli interrogativi dei primi tempi sbiadiscono come le fotografie del tempo che fu. Se prima ci infastidivano le automobili, adesso portiamo nostro figlio a scuola in macchina; se ieri volevamo cibo di prima qualità, adesso riempiamo senza problemi il freezer di congelati e precotti. Eppure i bambini portano con loro l’energia necessaria al cambiamento: perché allora non afferrare l’occasione della nascita (che è del bambino, ma anche di noi come genitori) per ripensare al rapporto che intratteniamo con questa casa comune che è la Terra?


Attorno al cibo si muovono emozioni e vissuti che hanno a che fare con la nostra storia, che è una storia individuale ma anche familiare e sociale, fatta di convinzioni morali o religiose, di una più o meno consapevole filosofia di vita, di un più o meno ricco immaginario. Per rendersene conto basta pensare a quanto è mutata la percezione di alimenti quali il latte intero o il burro, un tempo ingredienti importanti dell’alimentazione infantile, o a quanti genitori italiani si oppongano all’inserimento di menù etnici nelle mense scolastiche2. Nella preparazione di un piatto, anche di una semplice pappa di farina di avena e brodo vegetale, oltre alla qualità degli ingredienti (come è stata coltivata l’avena, da dove vengono le verdure scelte per il brodo e così via), entra infatti in gioco la cultura degli ingredienti, ossia la ricetta vera e propria, un tempo condensato di saperi antichissimi.

Quando si pensa all’alimentazione, oggi si pensa soprattutto alla salute, agli alimenti che ci fanno stare in forma (cioè magri) e che possono far funzionare correttamente il nostro intestino. Predomina, cioè, lo sguardo principale odierno, lo sguardo dietetico, il cui limite principale è di essere totalmente autocentrato, e quindi altamente diseducativo, come spesso è lo sguardo occidentale. Esso, per esempio, ci dice che l’hamburger con patatine fritte non va acquistato perché i grassi saturi della carne, come pure degli oli delle fritture industriali, fanno male alla salute. Ma non ci dice nulla sulla vita degli animali, sulla deforestazione, sulle condizioni dei lavoratori, in altre parole sul costo effettivo che quel cibo ha in termini ambientali, animali e umani.


A questi quesiti può rispondere solo un altro modo di guardare la questione, che non elimina lo sguardo dietetico, ma lo precede, lo ingloba. Ci riferiamo allo sguardo etico, decisamente decentrato, secondo il quale l’esito è spesso il medesimo, ma diverse sono le motivazioni: non si tiene, infatti, conto solo della nostra salute, ma anche di quella degli altri, animali inclusi.


L’esempio dell’hamburger, piuttosto banale e anche molto sfruttato, aiuta a centrare subito la questione. Oggi siamo sempre più consapevoli del fatto che ciò che mettiamo sulla tavola è solo l’ultimo atto di una lunga catena di azioni che coinvolgono, spesso brutalmente, altri individui, altre specie animali, altre terre. Scrive Peter Singer, professore di bioetica presso l’Università di Princeton, da anni promotore di un approccio meno violento al mondo animale: “Di solito non pensiamo a quello che mangiamo come a una questione etica. Il furto, la menzogna, l’offesa: è ovvio che queste sono le azioni rilevanti per il nostro carattere morale. (…) Ma il mangiare, un’attività perfino più essenziale del sesso, alla quale tutti partecipano, è visto in genere in maniera assai diversa”. E se invece lo fosse?

La necessità di ri-orientare il nostro approccio al mondo dell’alimentazione è tanto più impellente quanto più la globalizzazione alimentare tende a distruggere i saperi locali. Come ha scritto Vandana Shiva, “si sta imponendo alla gente una monocultura globale definendo tutto ciò che è fresco, locale e fatto in casa un rischio per la salute. Le mani umane diventano i peggiori contaminatori e si mette fuori legge il lavoro che esse svolgono, sostituito da macchine e da prodotti chimici comprati dalle società globali. Non sono ricette per nutrire il mondo, ma per sottrarre mezzi di sussistenza ai poveri, onde creare mercati per i potenti”3.


Parole eccessive? Pensiamo alla legge che vieta di portare nelle scuola semplici torte casalinghe a vantaggio delle confezionate; oppure alla fatica per mantenere in vita tradizioni secolari come il formaggio da latte crudo (fra cui l’amatissimo parmigiano) o il pane cotto in forno a legna.


Si dirà: ma cosa c’entra tutto questo con l’alimentazione del bambino? Molto. Anzi, moltissimo.


Come abbiamo accennato, la nascita del bambino ma anche di noi come genitori, è un occasione straordinaria per ripensare al rapporto che intratteniamo con questa casa comune che è la Terra. I piccoli portano con loro vita nuova, energia di cambiamento e non sono poche le coppie che iniziano a riflettere sulle proprie scelte durante i mesi dell’attesa. Michel Odent4, il ginecologo che da almeno trent’anni lavora per restituire la nascita alle donne e alla fisiologia, in un piccolo, fondamentale libro, ha messo chiaramente in luce quanto stretti siano i legami fra la salute dell’ambiente intrauterino e l’ambiente esterno: “La nostra salute si crea in larga parte durante la vita fetale. (…) Alcuni studi indicano che l’inquinamento intrauterino causato da pesticidi e altri composti chimici usati in agricoltura ha molteplici conseguenze a lungo termine, e arrivano perfino ad ipotizzare che sia la principale minaccia per la salute delle generazioni future”. Aggiunge la scienziata Vandana Shiva “All’origine di tutto c’è la trasformazione dell’idea di natura: da Terra Madre a Terra Nullius. Una terra vuota e una materia inerte sono il risultato dell’idea di industrializzazione e dello ‘sviluppo’ come progetto economico. La dittatura della scienza meccanicistica e delle tecnologie industriali ha condotto al disprezzo della donna e della natura… In origine l’economia era la gestione della terra come casa. Con l’affermarsi del modello capitalistico, ci limitiamo a misurare la distruzione delle risorse e dei processi ecologici e definiamo tutto ciò ‘crescita’”5. È la voce di una donna, da anni impegnata a favore degli ultimi, che ci chiama – e chiama soprattutto le donne, le madri – al senso di responsabilità verso le generazioni future.


Se sguardo dietetico e sguardo etico portano spesso a compiere le medesime scelte, la radicale diversità delle motivazioni che sta alla loro base determina approcci educativi profondamente diversi. Scrivono Alessandra Di Pietro e Paola Tavella: “Sopportiamo estati torride, non possiamo bagnarci nel mare né bere l’acqua dai fiumi, in montagna la neve è artificiale, il sole che amavamo tanto ci fa male, l’aria è irrespirabile. Maciniamo chilometri per procurarci verdura e frutta senza pesticidi o modificazioni genetiche, i bambini soffrono di asma e allergie. Abbiamo inquinato tutto. I nostri figli adolescenti risparmiano acqua e energia, dividono rifiuti, controllano le etichette dei prodotti, diventano vegetariani, leggono il protocollo di Kyoto e ci chiedono: «Che cosa facevate voi, mentre questo succedeva? Dove eravate? Dormivate?» Ci accorgiamo con dolore e allarme, come se accadesse al nostro stesso corpo, che la terra si ribella al pessimo trattamento che le abbiamo riservato”6.

Questi sguardi sulla realtà ci aiutano a mettere a fuoco quanto i criteri di un’alimentazione sana coincidano con quelli ecologici. Di questi, il primo è senza dubbio:

  • non inquinare – Secondo quanto suggerisce l’amica Ilaria Biganzoli, che da anni cerca di tradurlo in un agriturismo alle porte di Verona, dovrebbe diventare l’ideale, anzi, lo scopo del terzo millennio. Stefano Montanari, farmacista di fama internazionale impegnato nel campo della ricerca medica, quando illustra i suoi studi relativi all’inquinamento da polveri inorganiche, le più terribili per la nostra salute proprio a partire dalla vita intrauterina, non manca di definire l’uomo come l’unico animale della terra che produce rifiuti7, molti dei quali neanche biodegradabili. C’è l’inquinamento che si vede – quello delle bottiglie di plastica nei fiumi, dei kleenex nella sabbia del Sahara, delle cicche di sigaretta fra gli scogli del mare – e c’è quello invisibile, e perciò tanto più pericoloso, delle polveri sottili che produciamo ogni qual volta bruciamo qualcosa, quando costruiamo le case e asfaltiamo le strade perché tutto prima o poi si sbriciola e si sfalda, niente scompare: semplicemente si trasforma.

    Non inquinare è un principio molto stimolante dal punto di vista pratico e centra l’attenzione su noi e la Terra come elementi di un insieme unico. Nel momento in cui mi preoccupo dell’ambiente in cui vivo, mi preoccupo dell’inquinamento del mio ambiente intrauterino, così come del mio latte e del cibo che porto in tavola: vedo e riconosco le intime interconnessioni che legano l’uno e gli altri e cerco di agire per lo meno sulle fonti di inquinamento sulle quali ho presa diretta partecipando attivamente come cittadino alle scelte politiche del territorio dove vivo, consumando meno e in modo più oculato. Se da un lato scelgo di andare a piedi, di usare i mezzi pubblici o la bicicletta tutte le volte in cui questo è possibile, dall’altro faccio il possibile per acquistare prodotti coltivati vicino casa, secondo le regole dell’agricoltura biologica o biodinamica8. Ugualmente acquisto plastica solo se strettamente necessario privilegiando materiali biodegradabili o riciclabili e impiego il tempo necessario a suddividere correttamente la spazzatura. Al tempo stesso cerco di mangiare quanto basta e di limitare il consumo di proteine animali, perché più costose da un punto di vista ambientale, perché sono attenta al dolore delle altre specie viventi: ben venga il vantaggio per la salute personale, visto che il loro eccesso provoca un carico di lavoro a danno dei reni.

    Si tratta quindi di un criterio semplice, ma molto preciso e che non riguarda solo il cibo. Provate a entrare in un megastore del giocattolo tenendo a mente di non inquinare e a meno che non sia giunto il momento della prima bicicletta – nel qual caso, se non altro per il piacere di dare il proprio denaro a qualcuno di diverso dai soliti proprietari dei megastore, sarebbe bene scovare un negozio di biciclette dove sia possibile anche portarla a riparare in caso di guasto o rivenderla quando il bambino cresce –, uscirete a mani vuote. È davvero impressionante l’uso/abuso della plastica nel mondo del giocattolo e, in generale, nei prodotti rivolti all’infanzia. Nulla è costruito per durare o per sviluppare il senso del bello. E questo senza entrare nel merito di quel circolo vizioso fatto di televisione e negozi, di cui si avvantaggiano soprattutto i pubblicitari. I bambini rischiano di vivere in una realtà (anzi: in una vera irrealtà) totalmente virtuale e tragicamente monotona, senza peso e senza odori, dove tatto e vista sono sottoposti sempre ai medesimi stimoli, sessualmente definiti: il rosa confetto dei prodotti destinati alle bambine aspiranti modelle/mogli/mamme/anoressiche di bebè capricciosi che prendono ovviamente il biberon; l’acciaio e i colori squillanti dei prodotti destinati ai maschi: armi di ogni genere e dimensione, robot, macchine da guerra…

    Mercato e pubblicità sono particolarmente attenti al mondo infantile. Fin da piccoli i bambini vengono bersagliati da una quantità di immagini e suggestioni il cui scopo principale è renderli consumatori mansueti e poco critici: l’appiattimento del gusto attraverso la monotonia dei sapori e degli odori, le confezioni che riproducono un’idea d’infanzia infinita (di tutta una vita?) che oscilla fra i mondi disneyani e i finti casolari di campagna, dove bambini felici, e mamme altrettanto gioiose, attendono papà scattanti e in piena forma che arrivano in supermacchine, certo di ritorno da importanti viaggi di affari.

Gli altri criteri sono:

  • Naturale – Questa semplice parola, che l’abuso sembra avere svuotato di senso, ha in realtà un significato preciso e ci aiuta a scegliere ingredienti non artificiali. Per esempio, il baccello essiccato della vaniglia al posto della vaniglina sintetizzata chimicamente; il colore fornito dal succo di barbabietola invece del colorante; la ricotta invece del formaggino a pasta fusa; il burro invece della margarina. Ma anche la lana e il cotone invece delle fibre sintetiche, il detersivo biodegradabile al posto di quello ricco di tensioattivi. Ciò non significa che tutto ciò che è naturale sia sano, ma questo criterio aiuta a farci tenere gli occhi ben aperti su quanto è artificiale.
  • Integrale Ecco un’altra parola che rischia di perdere l’originario significato. Qui lo intendiamo in maniera semplice: più un alimento è vicino al suo stato originario, più lo preferiamo. Scegliamo allora riso integrale, cioè chicchi completi anche del tegumento esterno, invece di riso bianco; farina integra invece di farina raffinata; cereale intero invece di farina; olio extra vergine di prima spremitura a freddo contro olio di oliva (o semi) generico; frutta fresca e non succo; e così via. Attenzione, però: è bene consumare cereali integrali solo se di sicura provenienza biologica.
  • Biologico È il criterio che rimanda ai metodi di produzione e che ci consiglia di scegliere alimenti coltivati (o derivati da animali allevati) secondo i princìpi dell’agricoltura integrata, biologica, biodinamica. È il criterio che ci tiene lontani dai cosiddetti cibi transgenici, sui quali l’Europa sembra non riuscire purtroppo a mantenere un atteggiamento di cautela, e sulla diffusione dei quali ogni cittadino è chiamato a tenere lo sguardo aperto9.
  • Locale/di stagione Potrebbe sembrare un controsenso parlare di prodotti locali in un libro che vuole avere un’ottica interculturale. Non lo è. Si tratta solo di ragioni, di quantità, di tempi. Il “desiderio di esotico” che spinge a comprare frutti e ortaggi che da noi non crescono e che sono costati ore e ore di aereo, non ha nulla a che fare con il bisogno di ritrovare alcuni sapori del proprio passato, di ricostruire almeno sulla tavola un pezzetto della propria storia. È facile, col tempo abituarsi alla nuova cucina, integrarla con i propri saperi. Anzi, le ricette di cucina sono spesso testimoni di migrazioni e integrazioni trascorse, del sincretismo da cui originano tutte le culture. Ciò non toglie che preferire prodotti di stagione e locali (coltivati nel raggio di duecento chilometri o addirittura a chilometro zero, secondo il più ambizioso obiettivo della Coldiretti10) è una delle forme più semplici di controllo dell’inquinamento che abbiamo a nostra disposizione. Come ci ha giustamente ricordato Milena Gabanelli “nessuno può impedire ad un supermercato di vendere delle fragole fuori stagione perché inquinano e hanno poche proprietà nutritive, però noi possiamo non comprarle. E cosa impedisce alle mense aziendali o scolastiche di cucinare pasti a chilometri zero? A quella della Rai per esempio, cosa impedisce di comprare tutto quello che serve nelle campagne romane, dove si produce e si alleva di tutto… Certo bisogna entrare in altre logiche…”

A questi criteri, aggiungiamo pochi consigli utili per l’alimentazione del bambino e della famiglia:

  • Mangiare meno, mangiare semplice. Scontato? Purtroppo no. Lo dimostrano i continui allarmi sulle patologie legate all’eccesso di cibo che, invece di indurci a semplificare la nostra alimentazione, la complicano sempre più immettendoci in un’altra abbondanza: quella dei prodotti dietetici. E se invece fossero proprio l’abbondanza di prodotti e l’eccesso di scelta a creare tanti guai? Se mettere in tavola troppi piatti, se offrire continuamente ai bambini la possibilità di scegliere fra cibi comunque troppo conditi e saporiti, predisponesse alla confusione e ai tanti guai che ruotano intorno all’alimentazione? Optare per una cucina frugale, fatta di poco, potrebbe essere una soluzione e anche la via preventiva. Le cucine tradizionali sono ricchissime di piatti “di poche pretese”, e guarda caso sono tutti sanissimi. Basti pensare alle ricette che combinano legumi e cereali; oppure ai pani arricchiti di frutta secca, veri e propri concentrati di proteine biologiche; all’uso, davvero sapiente, dei cereali (dalla pasta in tutte le sue forme e condimenti alle infine varietà di riso; dal grano saraceno dei pizzoccheri e dei blins, al cous cous della Sardegna e del Maghreb; dalla segale del Trentino e dei freddi paesi del nord, all’orzo dei paesi mediterranei e al mais del Veneto e di tante regioni dell’Africa subsahariana). Se proprio dobbiamo riscoprire la tradizione, riscopriamo una tavola quotidiana semplice. Per l’abbondanza ci sono le feste.
  • Mangiare ogni giorno frutta e verdura. L’importanza di consumare molti vegetali crudi è stata messa a punto ormai più di cento anni fa da due padri dell’alimentazione naturale, i medici Paul Carton e Max Bircher-Benner, quando nessuno riconosceva la funzione protettiva che i vegetali svolgono rispetto a una gamma impressionante di patologie. Tuttavia, ancora pochi mettono in pratica il semplice consiglio di Attilio Giacosa11, direttore del reparto di gastroenterologia e nutrizione clinica all’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova: cinque porzioni di vegetali al giorno, abitudine che è bene insegnare fin dai primi anni di vita semplicemente dando il buon esempio.

Involtini di lattuga


Scegliete quattro grandi foglie di lattuga, sciacquatele e asciugatele premendole delicatamente contro un panno. A parte, in una insalatiera, grattugiate una mela e 1 barbabietola cruda, affettate sottilmente un finocchio. Condite con una salsa fatta mescolando due cucchiai di yogurt con un cucchiaio di maionese (facoltativa), sale, pepe, semi di girasole tostati (per i grandi: gocce di tabasco o aceto balsamico). Mettete un po’ di composto al centro della foglia e richiudetela come un pacchetto regalo. C’è chi la chiude con fili di erba cipollina.


  • Ridurre il consumo dei grassi saturi. La via è una sola: mangiare meno proteine animali. Meno carne, meno insaccati, fra l’altro ricchi di sale, meno latticini, imparando a considerare questi ultimi una fonte proteica vera e propria, un secondo completo, e non, come ricorda un antico proverbio bergamasco, un sostituto del dolce con cui concludere il pasto: la boca non l’è straca se non la sa di vaca. Fra le donne che abbiamo ascoltato, predomina l’uso di dare la carne solo a dentizione avvenuta. Talvolta si dà il brodo. Viola, originaria della provincia di Taiwan, ricorda l’abitudine delle mamme e delle nonne di masticare la carne o il pesce prima di darlo al bambino, vuoi per sminuzzarlo, vuoi per predigerirlo attraverso la saliva.

    Potreste anche decidere di diventare vegetariani, scelta nella quale, ancor prima delle ragioni legate alla salute personale, entrano in gioco importanti questione etiche12. Sebbene il dibattito, fra chi sostiene che senza carne non si può vivere (soprattutto produttori di carne e macellai) e coloro che invece dimostrano che senza carne si vive meglio, sia sempre aperto, qualche punto fermo si può mettere:

    – Gli studi dicono che lo stato di salute dei vegetariani è pari se non migliore di quello degli onnivori.
    – I bambini crescono bene senza carne. Possono crescere anche senza proteine animali, ma il regime vegano richiede cultura e preparazione.
    – Durante la fase dello svezzamento, per lo meno finché il bambino continua a prendere almeno due pasti al seno, una buona quota proteica continua a derivargli dal latte materno.
    – Dobbiamo imparare ad attenerci ai Livelli di Assunzione giornalieri raccomandati di Nutrienti per la popolazione italiana, L.A.R.N. (www.sinu.it/larn/vit_idro.asp). Per quanto riguarda le proteine animali, entro l’anno occorrono 15-19 grammi di proteine al giorno, di cui metà vegetali. Fra il primo e il terzo anno, cioè da 9 a 16 chili, occorrono 13-23 grammi di proteine al giorno, di cui ancora metà vegetali. A cosa corrispondono? Le vegetali a 60 grammi di ceci o a 100 grammi di riso integrale; le animali a 1 uovo o una tazza di latte. Il resto è tutto in più13.
    – Al posto delle proteine animali, preferire le vegetali fornite dai legumi, importante ingrediente delle cucine tradizionali di tutto il mondo, e alcuni germogli (ad esempio gli alfa-alfa).
    – Controverso è invece oggi il consumo di soia, fino a pochi anni fa considerata una valida alternativa alla carne e ai latticini, utilissima a chi sceglieva un regime alimentare vegano, cioè privo di qualunque prodotto di origine animale, miele incluso. La maggior parte della soia coltivata (soprattutto in Argentina) è infatti di origine transgenica.
    – In Italia i vegetariani sono circa 6 milioni14 e il loro numero è destinato ad aumentare. Negli Stati Uniti, patria delle steak e degli hamburger, il 20 marzo si celebra il meat out day, giorno durante il quale a tutti è richiesto di non mangiare carne e di riflettere sul possibile cambio di alimentazione.
  • Consumare preferibilmente grassi insaturi e polinsaturi di origine vegetale. Questi hanno infatti una funzione protettiva. Ci si riferisce agli oli vegetali (l’olio extra vergine di oliva ma anche gli oli spremuti a freddo dai semi di girasole e di lino, veri e propri toccasana secondo la dottoressa Kousmine15), agli ormai noti omega-3 e 6, rintracciabili soprattutto nelle alghe, a lungo studiati da Michel Odent16.

Crema Budwig


La colazione messa a punto da Elizabeth Kousmine si prepara mescolando frutta a pezzetti, un cucchiaio di cereale e di semi di lino macinati al momento (perfetto il macinino da caffè), il succo di mezzo limone, una fonte proteica: yogurt, ricotta.


  • Ridurre il consumo di zucchero. Oltre a contribuire ad alterare il peso corporeo, l’eccesso di zucchero provoca una progressiva demineralizzazione dell’organismo: si fa più lenta l’assimilazione del calcio e in bocca si crea l’ambiente chimico favorevole al diffondersi della carie. Se pensiamo che nei bambini il sistema osseo è in formazione, ci rendiamo subito conto quanto sia importante limitarne al massimo il consumo, visto che esiste una discreta gamma di dolcificanti naturali in grado di soddisfare il palato: miele (non sempre tollerato nella prima infanzia), sciroppo d’acero, malto d’orzo e di riso, mosto, concentrati di frutta17, la cui comune caratteristica è di non essere pura caloria, ma alimenti ricchi di vitamine, minerali, talvolta anche fibra.

Miele di fichi di Anna


Per preparare questo miele di fichi, Anna, che ha la fortuna di vedere il mare di Cinisi dalle finestre di casa sua, consiglia di utilizzare almeno 5 chili di fichi. Messi in una pentola e coperti per metà d’acqua, si schiacciano un poco e si fanno cuocere finché diventano poltiglia. A questo punto, si scola il liquido in un’altra pentola (un tempo rigorosamente di alluminio) e si lascia cuocere per 2-3 ore, finché diventa scuro. Si conserva poi in vasetti di vetro, come una marmellata. Ottimo con la ricotta, è ingrediente importante dei Ravioli di San Giuseppe.


Una valida alternativa alla merendina è la frutta secca, fra cui un posto di rilievo potrebbero occupare i datteri naturali, che si conservano per mesi diventando via via simili a canditi. Sono molte amate dai bambini le albicocche, i fichi e le mele, da sgranocchiare.

Mele essiccate di Ilaria18


Lavate e tagliate a fette di 1 cm quattro mele golden. Otterrete almeno una ventina di dischi di differente diametro. Immergetele per pochi istanti in una ciotola di acqua a cui avrete aggiunto un pizzico di sale, di modo che non anneriscano durante il processo di essiccazione. Infilate poi uno spago alimentare in un ago da lana e passatelo al centro di ogni fetta, fino a ottenere quattro, cinque ghirlande che appenderete nel forno tiepido (50°-70°) per 4-5 ore, lasciando lo sportello socchiuso. Infine, lasciatele asciugare tutta la notte su un calorifero acceso. Quando ben secche, mettetele in un barattolo chiuso con una semplice garza, altrimenti tendono a fare la muffa.


  • Ridurre il sale. Un tempo lo si usava con estrema parsimonia, oggi se ne abusa: malamente educato, il nostro gusto confonde il salato con il saporito, a tutto danno della salute. È infatti accertata la correlazione fra il suo eccessivo consumo e un aumento del rischio di ipertensione e malattie cardiocircolatorie. Esistono diversi modi per dare sapore, quali l’utilizzo di spezie ed erbe aromatiche o la preparazione casalinga di brodi concentrati e di gomasio.

Gomasio


Il gomasio è di semplicissima preparazione: basta infatti tostare in una padella dal fondo piuttosto alto 7 parti di sesamo e una di sale marino integrale. Il sesamo inizia presto a scoppiettare: coprite la padella con un coperchio ma continuate a smuoverla affinché i chicchi si tostino in modo uniforme. Infine, riducete tutto in polvere nel mortaio – pratica che i bambini amano fare già a un anno e mezzo.


Tuttavia, l’unico vero sistema per ridurre il consumo di sale (come per altro di zucchero), consiste nell’abituarci lentamente ad usarne meno. Difficile?

Cambiare abitudini

La vita comunitaria a scuola e la manipolazione pubblicitaria fanno sì che i bambini (e noi genitori!) si abituino a una triste omogeneità di sapori: la friabilità del cracker in confezione monodose; il pan di spagna di tutte le merendine; la crema alla vaniglia chimica; il cioccolato aromatizzato al gusto di nocciola; la fragola chewing-gum e il caramello mou degli snack salva fatica. Questa omologazione, sostenuta da confezioni “infantili”, risponde alle esigenze delle industrie alimentari, ma mal si accorda alla salute e alla varietà di sapori che possiamo sperimentare grazie alla capacità di accostarci a ingredienti e culture diverse. Fa sì che i bambini non percepiscano più il dolce del concentrato di pere, il saporito delle erbe aromatiche o di un brodo di verdura e che abbiano bisogno, già da piccoli, di continui “rinforzi” del sapore. Dolce e salato sono però percezioni educabili: adulti e bambini grandicelli possono riabituarsi al sapore naturale degli alimenti semplicemente diminuendo progressivamente la dose di zucchero e sale aggiunti ed eliminando gli alimenti che contengono aromatizzanti, glutammato, dolcificanti, addensanti, lieviti 19. Si tratta di un processo lento, ma fattibile e dal risultato sicuro.


L’educazione del gusto è il primo passo per cambiare abitudini alimentari. Si tratta di una piccola sfida (con noi stessi, con gli amici o i parenti che ci prenderanno in giro), di una scoperta interessante. Albina, per esempio, dopo aver a lungo confrontato la cucina del suo paese (Ucraina) con quella italiana, ha deciso di optare per quest’ultima, perché le sembra più leggera e adatta alla salute dei figli. Ovviamente, quando si attua un cambiamento c’è sempre qualcuno che storce il naso e dice che non ne vale la pena. Soprattutto se la nostra è una scelta etica, non mancherà chi sottolineerà l’inutilità dei gesti individuali, così piccoli da somigliare a una goccia nel mare. A questo modo di vedere le cose non si può che opporre la prova dei fatti, segnalando quanto spesso i grandi cambiamenti nascano dalle piccole azioni.

Ri-fare la spesa…

Cambiare il modo di fare la spesa è certamente una di queste piccole azioni. Il sistema delle “sottrazioni salutari”, ovvero togliere un alimento dannoso alla volta, smettendo semplicemente di comprarlo, è uno dei più efficaci e lo si ottiene preparando la lista a casa e cercando di limitare al massimo la pressione della pubblicità. Non comprare è infatti il modo migliore per non consumare e per non inquinare. Basta ridurre o eliminare ciò che si ritiene non debba comparire sulla tavola: un etto di burro invece di mezzo chilo; miele invece di zucchero; frutta fresca invece di bibite gassate, e così via.


Si possono poi cercare nuovi luoghi20 dove comprare (per esempio i mercatini settimanali del biologico, diffusi ormai in tutte le città) e nuovi modi di fare la spesa, fra cui un posto speciale hanno i GAS, (i Gruppi di Acquisto Solidale) che, a partire dalla loro nascita nel 1994, hanno fatto molta strada. I GAS connettono il produttore al consumatore senza intermediari, vantaggio quanto mai importante in caso di spesa biologica perché consente di tenere sotto controllo i prezzi. Mercati e GAS sono inoltre luoghi di socialità: passeggiare per le bancarelle chiacchierando con i venditori e altri come noi alla ricerca di qualità e relazioni, è esperienza ricca e stimolante anche per i bambini, che hanno così modo di imparare a valutare i prodotti, a porre domande sulla loro origine e qualità, a contrattare sul prezzo.

Era una creatura così piccola, che stava comodamente sulle due mani della levatrice, come in una canestra. E dopo essersi affermato in quell’eroica impresa di venire al mondo aiutandosi da se stesso, non gli era rimasta nemmeno la voce per piangere. Si annunciò con vagito così leggero che pareva un caprettino nato ultimo e scordato fra la paglia. Tuttavia, nella sua piccola misura, era completo, e anche caruccio, ben fatto, per quanto se ne capiva. E aveva intenzione di sopravvivere: tanto è vero che, al momento dato, cercò di propria iniziativa, ansiosamente, le mammelle di sua madre.1
Elsa Morante

Un mondo di pappe
Un mondo di pappe
Sara Honegger
I saperi delle mamme nell’alimentazione del bambino da 0 a 6 anni.Una carrellata sulle conoscenze trasmesse da madre in figlia riguardo lo svezzamento e l’alimentazione dei bambini. Con moltissime ricette etniche. Il passaggio da un’alimentazione lattea a una che comprende cibi solidi è una tappa fondamentale nello sviluppo naturale del bambino. Sempre più spesso, però, lo svezzamento viene vissuto da molti genitori con ansia e frustrazione, mentre, in realtà, dovrebbe essere un piacere che nasce dall’esplorazione e dalla scoperta del bambino delle sue nuove competenze e capacità che gli permettono di entrare in relazione con il mondo esterno. Un mondo di pappe non ha la presunzione di dire ai genitori “come si fa”, ma promuove, sostiene e rafforza le loro competenze e quelle dei loro bambini in un processo di facilitazione e non di imposizione, facendoci conoscere e apprezzare cibi, sapori e momenti di condivisione.Mai come nei primi mesi di vita di nostro figlio saremo altrettanto attenti alla qualità degli alimenti che compriamo. Questa attenzione può diventare il primo gradino di un modo ecologico di porsi nei confronti del mondo, nonché il primo passo verso un percorso educativo attento all’altro e alla ricchezza offertaci dalle tante diversità. Questa è la convinzione che ha sostenuto Sara Honegger nel suo viaggio a tutto tondo nell’alimentazione infantile. Dal latte della mamma alla tavola di famiglia, dai primi approcci alle pappe alla cucina vissuta come entusiasmante laboratorio, questo libro ci accompagna in un fantastico viaggio fra ricette, consigli e ricordi di mamme provenienti da diverse parti del mondo. Un viaggio interculturale, compiuto senza mai dimenticare i princìpi di un’alimentazione attenta alla salute, nostra, ma anche degli altri e della Terra che abitiamo. Un testo di grande aiuto non soltanto ai genitori, ma anche agli educatori degli asili nido e a tutti i pediatri attenti a promuovere la salute dei loro piccoli pazienti.