CAPITOLO VI

Alcune curiosità sui bambini
allattati al seno

Il petto del bambino

I bambini, sia maschi che femmine, hanno di solito i seni gonfi alla nascita per effetto degli ormoni femminili che hanno ricevuto attraverso la placenta. In alcuni casi producono addirittura qualche goccia di latte, il cosiddetto latte delle streghe. È assolutamente normale, anche nei maschietti. Non bisogna fare niente. Non è necessario premere o cercare di estrarre il latte, perché l’eccesso di palpeggiamento potrebbe provocare una mastite. Non ha niente a che vedere col fatto che il bambino si nutra dal seno o attraverso il biberon, ed è scontato che può continuare a poppare dal seno.


Nelle bambine di meno di due anni si verifica a volte la crescita di uno o entrambi i seni, evento conosciuto come telarca prematuro. Le dimensioni sono variabili in tutti i sensi del termine (ovvero, non solamente è diverso in ogni caso, ma può aumentare o diminuire nella stessa bambina). Non ci sono altri segni di pubertà (non c’è il vello pubico, né ascellare…). Non si deve confondere con la pubertà precoce. In caso di dubbio, è possibile che il vostro pediatra faccia delle analisi. Nella pubertà precoce, l’età ossea è anticipata e i livelli di LH (ormone luteinizzante) aumentati, mentre nel telarca prematuro sono entrambi normali. Verso i tre o i cinque anni i seni si sgonfiano; ma in alcune bambine si mantengono sviluppati fino al raggiungimento della pubertà. È assolutamente normale, non è dovuto all’allattamento materno, e potete continuare ad allattare.

L’ombelico

Il cordone ombelicale si secca e cade in media dopo dieci giorni o meno dal parto, ma è frequente che impieghi due o tre settimane, a volte quasi un mese e mezzo a staccarsi. L’applicazione di alcool e altri disinfettanti ritarda la caduta. Non conviene applicare iodio (pag. 78) né mercurocromo (che contiene mercurio).


L’ombelico del neonato può essere una porta d’entrata per pericolose infezioni, e per questo si è presa l’abitudine di applicare disinfettanti (antisettici). Ma vari studi scientifici, effettuati su alcuni prodotti, hanno dimostrato che anzi, la maggior parte si rivela controproducente, per cui oggi si consiglia di mantenere l’ombelico pulito e asciutto. Si raccomanda, inoltre, di tenerlo fuori dal pannolino. Non è necessario applicare bendaggi. In circostanze che prevedono un alto rischio di infezione, per esempio nei paesi in via di sviluppo, pare che l’applicazione di clorexidina possa avere una sua utilità. Rivolgetevi al vostro medico se l’ombelico del bimbo presenta del pus o se la pelle attorno è molto arrossata.


Stewart D, Benitz W, Committee on Fetus and Newborn. Umbilical cord care in the newborn infant, in “Pediatrics”, num. 138, 2016, pp. 2016-2149.


http://pediatrics.aappublications.org/content/early/2016/08/25/peds.2016-2149

Il bagno

Pochi anni fa si aveva l’abitudine di lavare i bambini subito dopo la nascita, ma poi si proibiva di rifarlo fino a che non fosse caduto l’ombelico. Curiosamente, si è dimostrato che entrambe le affermazioni erano sbagliate. È meglio non lavare i bambini nelle prime ventiquattro ore (e anche oltre), fondamentalmente per il pericolo di ipotermia (raffreddamento), neanche con acqua calda. Nei minuti che passano da quando il bambino si bagna a quando si asciuga, l’acqua evapora dalla pelle, lasciandolo raffreddare rapidamente. Oggigiorno i neonati si asciugano velocemente con una salvietta bella calda, si mettono a contatto pelle a pelle con la madre e si coprono entrambi con una coperta.


Nei giorni successivi normalmente non c’è bisogno di lavare il bambino, perché si sporca pochissimo. Potete pulirlo con una spugna umida. Ma se dovesse evacuare feci molto liquide e abbondanti non esitate a fargli rapidamente un bagnetto caldo e ad asciugarlo subito. (Fargli il bagno rapidamente, perché non può stare dieci minuti a mollo nell’acqua piena di feci…).


Già che parliamo di bagno, è davvero curiosa l’ossessione, che esiste nella nostra società, di fare spesso il bagno ai bambini. Fino a che non gattonano, i bimbi non si sporcano quasi (salvo che per la cacca). Si dice che il bagno sia un momento molto gradevole e rilassante per i bambini, e che si debba fare prima di dormire. Ma quel che è certo è che a qualcuno risulta gradevole, mentre altri protestano energicamente; che qualcuno si rilassa, mentre per altri è uno stimolo ad agitarsi nell’acqua, che si possono lavare nell’orario della giornata che vi risulta più comodo e che non c’è bisogno di lavare tutti i giorni un bambino che è già pulito.


In caso di dermatite atopica, anni fa si raccomandava ai genitori di lavare i loro bambini il meno possibile. Alcuni esperti, però, insistevano nell’affermare che il bagnetto quotidiano era la miglior cura per la dermatite. Sembra che non esistano concrete prove scientifiche a sostegno dell’una o dell’altra tesi. Entrambe concordano sul fatto che il bagno deve essere breve, che il bambino va asciugato rapidamente e senza frizione e che va applicata la crema idratante.


Non serve pulire gli occhi con una garza né con nessun’altra cosa (salvo per togliere le cispe). Non bisogna pulire le orecchie con un bastoncino. I bastoncini sono pericolosi, è facile provocare danni al timpano e in ogni caso il bastoncino spinge e compatta il cerume verso l’interno, provocando la formazione di tappi. Se lasciamo in pace l’orecchio, il cerume uscirà da solo. Pulite se è necessario l’esterno dell’orecchio, ma mai il canale.


Non bisogna ritrarre il prepuzio (la pelle del pene) dei maschietti per pulirlo. Quasi tutti i neonati hanno il prepuzio chiuso, cioè che non si può ritrarre all’indietro. Il prepuzio si apre solo nel corso degli anni (anni, non mesi), e a volte non si apre mai. È normale e non dà alcun problema. I tentativi intempestivi di ritrarre il prepuzio possono provocare lesioni che, quando si cicatrizzeranno, produrranno un restringimento e una vera e propria fimosi. Insisto: non toccate il prepuzio di vostro figlio, neanche se ve lo dice il pediatra, e non permettete che il pediatra lo ritragga a forza (si vedono molti prepuzi sanguinanti a causa di assurde manovre senza senso). A questi indirizzi potete consultare le raccomandazione a riguardo delle Associazioni dei Pediatri degli Stati Uniti (in spagnolo) e della Nuova Zelanda:


Trattamento del pene non circonciso: https://goo.gl/jqnPLi


Cura del prepuzio: www.kidshealth.org.nz/foreskin-care

La cacca

La prima cacca che fa un neonato è abbastanza liquida, nera e densa come vernice e si chiama meconio. Poi, per alcuni giorni, produce le cosiddette feci di transizione, molto liquide e di colore grigiastro verdognolo. Infine appaiono le feci tipiche del bambino allattato al seno, semiliquide, di consistenza grumosa, (con grumi o fibre di mucosità), di odore gradevole (per quanto possa ritenersi gradevole l’odore della cacca, si capisce) e di colore giallo dorato (anche se si produce in versione marroncina e verdognola).


Questi mutamenti riflettono i cambiamenti nell’alimentazione del bambino. Nell’utero il bambino non mangia niente (anche se ingerisce molto liquido amniotico), e il meconio è il risultato della digestione delle cellule della mucosa intestinale che si sono squamate nell’arco di mesi (una dieta esclusiva di carne umana). Nei primi giorni dopo il parto, il bambino mangia poco (non per mancanza di latte, ma perché deve mangiare poco), e per questo le sue feci sono poco più che acqua. Le feci tipiche del bambino allattato al seno indicano che sta assumendo un’apprezzabile quantità di latte materno, e sono diverse da quelle del bambino che prende il biberon (normalmente più consistenti, più scure e maleodoranti; a volte dure come palline, che non sporcano il pannolino).


Se dopo cinque giorni dalla nascita il bambino non fa ancora la cacca tipica, gialla, grumosa e con la consistenza di un purè, c’è da sospettare che non stia poppando abbastanza. I sospetti si verificano pesando il bimbo; se sta aumentando bene, allora sarà che questa cacca in realtà è normale e non bisogna darle alcuna importanza. Quando, per qualsiasi motivo, il bambino (o l’adulto) non mangia a sufficienza può produrre di nuovo feci molto liquide, grigio-verdastre, chiamate evacuazioni di fame. Questo spiega perché molti bambini hanno otite e diarrea, muco e diarrea, angina e diarrea… non è vera diarrea, ma solo feci liquide perché, essendo malati, hanno perso appetito. Questo spiega anche perché si è abbandonata la vecchia abitudine di mettere a dieta i bambini (o gli adulti) con la diarrea. Non mangiando, o mangiando poco, la diarrea dura di più; mangiando di tutto la diarrea si cura prima.


Durante le prime settimane le evacuazioni sono normalmente molto frequenti. I bimbi fanno la cacca ogni volta che poppano (è come se entrambe le cose non potessero stare in un corpicino così piccolo; per metterci dentro qualcosa bisogna espellerne un’altra). Ma alcuni non evacuano spesso, solo quattro o cinque volte al giorno. E altri invece ne fanno ancora di più, tra poppata e poppata, e arrivano addirittura a più di venti volte al giorno. Tutto questo è assolutamente normale, non è diarrea, e quindi non bisogna intervenire: né smettere di allattare, né dargli acqua, né altri liquidi, né medicine, né niente. È difficile che un bambino che viene allattato al seno abbia davvero la diarrea; anche se, certo, può succedere. La diarrea si manifesta con un cambiamento repentino nelle evacuazioni, molto più liquide e abbondanti del giorno precedente, o con la presenza di altri sintomi, come sangue nelle feci o febbre. Senza dubbio, molte diarree lievi nei bambini allattati al seno passano completamente inosservate; che importa se fa la cacca sei volte o otto?


Successivamente, in qualsiasi momento tra il mese e mezzo e i sei mesi (alcuni poco prima o poco dopo, anche se è più frequente verso i tre o i cinque mesi) i bambini che assumono esclusivamente latte materno passano un periodo in cui quasi non si scaricano. Solo quelli che prendono latte unicamente dal seno; basta un po’ di biberon per cambiare l’aspetto delle feci. Qualche decina di anni fa erano pochissimi i bambini spagnoli che raggiungevano i tre mesi di allattamento al seno, senza riferirci solo all’allattamento esclusivo1; per questo molte madri e nonne, o pediatri e infermiere, non sanno che questo fatto è normale. Ma oggi, che sono sempre di più i bambini che vengono nutriti solo dal seno e nient’altro che dal seno fino al sesto mese, si nota che la cosa strana è che un bambino evacui tutti i giorni. La maggioranza ogni due o tre giorni, molti ogni cinque o sette. Guardando un gruppo di madri che allattano, non sarà difficile trovare bambini che stanno dieci o dodici giorni senza scaricarsi. Ho visto una bambina che è rimasta trentacinque giorni senza evacuare, e che, una volta scaricatasi, ha aspettato altri diciassette giorni per l’evacuazione successiva: che io sappia, è un record mondiale.


Quando alla fine fanno la cacca, questa è completamente normale, semiliquida o pastosa, come la facevano prima. E ne fanno uno sproposito. Non vi venga in mente di pesare il bambino prima e dopo che abbia evacuato, perché vi spaventereste a morte. È tutto assolutamente normale, non si tratta di stitichezza. Ripeto, non è stitichezza, perché non fanno palline dure e secche. La stitichezza è una malattia che si manifesta col fare palline dure e secche. Se fate delle feci che assomigliano a palle da biliardo, pregate che sia solo una per una settimana, perché se fate tre palle da biliardo al giorno siete comunque stitici, e oltretutto soffrite molto di più. Invece, chi fa le feci molli non è stitico, anche se le fa solo una volta al mese. Troverete ancora qualche pediatra che non sa che questo è normale, e tratterà vostro figlio come se fosse stitico. E alcune nonne e cognate possono diventare molto pesanti. Siate rigide. Non bisogna dargli né acqua, né succo d’arancia, né altri succhi, né camomilla o altre erbe, né rimedi naturali, omeopatici o tradizionali cinesi, né lassativi o altre medicine, né acqua dove sono state a mollo prugne secche. Non bisogna fargli clisteri, né mettergli supposte di glicerina, né di nessun altro tipo, né mettergli il termometro nel sederino, né il rametto di prezzemolo con olio di oliva, né il codino della foglia di geranio, né un cerino… Niente di niente.


Alcune madri sono certe che il figlio sia innervosito e piagnucolone quando passa qualche giorno senza scaricarsi, e quando la fa gli passano tutti i disturbi. La maggioranza, nonostante tutto, assicura che il proprio figlio sta molto bene. È un po’ rischioso mettere in dubbio quel che dicono le mamme, perché hanno quasi sempre ragione; però mi risulta molto difficile credere che queste feci molli, a volte liquide, possano causare dolore o gravi fastidi al bambino. Con la vera stitichezza ci sono certamente disturbi: espellere quella pallina dura farà male, ed è possibile che provochi dolore anche prima, a mano a mano che percorre l’intestino. Però, delle feci molli? Mi sembra che non fare la cacca sia simile alla faccenda dei denti, gli si danno colpe di cose che in realtà sono una pura coincidenza. Quando un bambino dai due ai sei mesi piange, protesta o non dorme, non è difficile che stia un paio di giorni senza evacuare, e quando un bambino dai sei ai diciotto mesi piange o protesta, è molto probabile che gli stia spuntando, gli sia appena spuntato o stia per spuntargli un dente. Quando il bimbo che piange ha due anni, siccome i denti gli sono ormai cresciuti, si parla dei terribili due anni; e a partire dai tre, qualsiasi problema si attribuisce alla preadolescenza.


Se vostro figlio non attraversa questa fase, se continua a scaricarsi molte volte al giorno durante tutto l’allattamento, non è niente, anche questo è normale.


Se, invece, durante il primo mese o mese e mezzo non evacua spesso, anche questo può comunque essere normale, ma, per precauzione, verificate il peso. A quest’età alcuni bambini fanno poca cacca perché non poppano abbastanza. Se il peso è aumentato a sufficienza, allora va bene così.


Se dallo stesso giorno della nascita vostro figlio si scarica una volta ogni qualche giorno, se non ha passato alcun periodo, né lungo né breve, in cui evacuava molte volte al giorno, consultate il vostro pediatra. Potrebbe essere normale, ma potrebbe anche avere problemi intestinali. Controllate almeno se fa dei peti; è un buon segno.

La pipì

I bambini molto piccoli normalmente fanno pipì almeno da sei a otto volte al giorno, tranne nei primi giorni, quando perdono peso, in cui la fanno meno di frequente.


Ma questo non significa che bagnino sei o otto pannolini. I pannolini degradabili assorbono molto, e a volte si può passare una giornata utilizzando dai quattro ai cinque pannolini (se non c’è bisogno di cambiarli per la cacca). Non è semplice, quando si cambia un bambino perché ha fatto la cacca, capire se ha fatto anche pipì (coi bambini più grandi la cosa si nota, ma i piccolini ne fanno poca per volta, e la madre è inesperta).


Il fatto che un bambino faccia poca pipì può far pensare che non abbia poppato a sufficienza. Ma questo va verificato mediante il peso. Lo stesso vale per la cacca (durante il primo mese) o quando le feci sono molto liquide e grigio verdastre. Se sta ingrassando normalmente, se è felice e contento, non è importante quanta pipì e quanta cacca faccia.


Importerebbe se potessimo misurarne la quantità esatta. Il bambino che urina poco è, in realtà, quello che non ha assunto una sufficiente quantità di liquidi, quindi di latte. Ma nella pratica possiamo solo contare i pannolini bagnati. Un bambino che urina dieci volte, e ogni volta fa 30 ml, ha urinato meno di quello che lo fa cinque volte, ma con 80 ml alla volta.


Inoltre, il fatto che un bambino urini molto non garantisce che stia assumendo abbastanza liquidi. I bambini allattati al seno non hanno bisogno di bere acqua; attraverso il latte prendono già acqua a sufficienza. Anzi, l’acqua è più del necessario. Se succhiano una dose di latte di poco inferiore a quella di cui hanno bisogno, continueranno a fare tanta pipì. Devono poppare proprio poco perché la quantità di urina diminuisca.


Per questi motivi, osservare e contare i pannolini bagnati non serve a molto per sapere quanto poppa un bambino. Ma questa idea è stata presentata in alcuni libri, nei capitoli Come capire se mio figlio prende latte a sufficienza, e con il passaparola ha raggiunto il livello di dogma che, senza dubbio, gli autori di quei libri non si sarebbero mai aspettati. Alcune mamme passano mesi a contare ossessivamente pannolini, quando basta invece guardare la faccia contenta del bambino per sapere se sta poppando quanto ha bisogno (e se avessimo qualche dubbio, ci sarebbe sempre la prova del peso). Altre volte, quando tutti i sintomi indicano che c’è un problema, si cerca nei pannolini una falsa (e pericolosa) conferma (“Mio figlio è aumentato solo di 250 grammi tra il primo e il secondo mese.” “Ma bagna bene i pannolini?”. “Sì, urina abbastanza.” “Bene, allora non si preoccupi.”). L’altro giorno mi si è presentato il caso opposto: un bambino di cinque mesi che poppa perfettamente, sano e rotondetto, con un perfetto aumento di peso, e nonostante tutto la madre era preoccupata (“So che ho poco latte, perché urina poco da quando è nato; ma non c’è modo di allattarlo col biberon”). Un bambino che davvero urina poco dalla nascita… dopo cinque mesi, nel migliore dei casi, è già stato ricoverato in ospedale.


Dimenticatevi dell’urina, per favore. Se vostro figlio è attivo, contento, se lo vedete sano e lo vedete poppare quanto vuole, vuol dire che va tutto bene, soprattutto se sta aumentando regolarmente. Se è tutto nella norma, ma il bimbo bagna pochi pannolini, significa semplicemente che vostro figlio trattiene l’urina per più tempo e in quantità maggiore alla volta. Se un bambino di tre mesi si trova improvvisamente affamato, non saranno certo i pannolini ad avvertirci: sarà il bimbo stesso che chiederà il seno più spesso (e se glielo si dà, gli passerà la fame e il problema sarà risolto).


L’argomento dell’urina potrebbe destare un certo interesse nelle prime settimane, quando i bambini sono molto assonnati e non si percepisce bene dal volto il loro stato di salute.


Se vi sembra che stia poppando in modo scorretto (perché rimane aggrappato per molto tempo, perché vi fanno male i capezzoli, perché non si attacca come deve), o che sia ancora affamato (perché piange tutto il giorno), o che sia debole (perché dorme tutto il giorno), può essere una buona idea controllare l’urina mentre lo si pesa. Ma ad ogni modo, che il pannolino sia asciutto o bagnato, per sicurezza dovete pesarlo.

Il sonno

Devo svegliarlo per poppare?

In generale, no.


Di solito i bambini succhiano molto bene appena nascono, ma poi passano otto, dieci o dodici ore completamente appisolati e quasi non si attaccano al seno. È normale, e se anche bisogna dare loro ogni tipo di opportunità per poppare (rimanendo vicino alla madre, possibilmente a contatto pelle contro pelle, e offrendo loro il seno alla minima occasione, non appena sembrino un po’ attivi, senza aspettare che inizino a piangere), non c’è bisogno di svegliarli. Popperanno.


Ma è chiaro che non possono neanche stare sempre senza succhiare. Dopo dieci o dodici ore si comincia a insistere un po’ di più, e se passa ancora più tempo e ancora non si sono attaccati al seno conviene, da un lato, che il pediatra visiti il bambino per assicurarsi che non gli stia succedendo qualcosa, e dall’altro che la madre si tolga il latte e provi a darglielo con un contagocce o con una siringa. Se dovessimo lasciar passare moltissimo tempo prima che il bimbo inizi a succhiare e non si facesse nulla per dargli il latte, si entrerebbe in un circolo vizioso: il bambino continuerebbe a dormire a causa della debolezza e perderebbe sempre più peso.


Rileggo il paragrafo precedente e già mi viene paura: “Sto spaventando le donne incinte”. No, non spaventatevi, la stragrande maggioranza dei neonati succhia con energia ed eleganza e non dobbiamo assolutamente preoccuparci. Ma si comprenda che il pericolo si annida proprio nelle eccezioni e, in un libro come questo, bisogna tenerle in considerazione. Non è normale che una madre, con un bambino di cinque giorni, dica: “Lo allatto a richiesta, e siccome non lo ha ancora chiesto, non l’ho ancora allattato”.


Una volta iniziato l’allattamento, dopo che il bambino ha succhiato per alcuni giorni senza problemi, e lo si vede contento, e ingrassa a un ritmo normale, non c’è alcun bisogno di svegliarlo. Se un giorno dorme per otto ore, approfittatene e riposatevi, probabilmente a quattro mesi non dormirà così tanto (ancora una volta, usiamo la ragione: se improvvisamente il bimbo dorme molto più di quanto era abituato a fare, osservatelo, controllate che respiri normalmente, toccatelo per verificare che non abbia febbre…).


Ma se sta perdendo peso, o ne sta prendendo poco, e oltretutto dorme molto, conviene certamente provare a svegliarlo. Nella maggior parte dei casi, non è necessario svegliarlo (non è facile svegliare un bambino che dorme profondamente), basta prestare attenzione non appena inizia a muoversi o sembra quasi sveglio, e approfittare della minima occasione per attaccarlo al seno. Il che significa tenerlo sempre vicino. Un bambino poco piagnucolone di carattere, o debole a causa di qualche malattia o per la perdita di peso, può saltare molte poppate se si trova lontano da sua madre. Se, mezzo sveglio, gira la testa da una parte all’altra, si lamenta leggermente e nessuno se ne accorge, il bimbo si rimette a dormire. “Ha dormito sei ore di fila”, dicono poi.


Nei primi giorni tutti i bambini perdono peso, perciò bisogna stare attenti ad offrire loro il seno molto spesso. Non si può dare loro un limite, né di quattro ore, né nient’altro. Bisogna usare il buon senso. Non è lo stesso considerare un bambino che la mattina ha poppato diverse volte e bene, che muoveva la mandibola e si sentiva deglutire, e nel pomeriggio dorme cinque ore, rispetto a un altro che dorme cinque ore, poi altre cinque, e poi ancora cinque e ancora tra una pausa e l’altra si attacca, litiga con il seno e succhia per pochissimi minuti, o se ne sta mezz’ora con la mammella in bocca, senza succhiare.

Quando dormirà tutta la notte?2

Di recente vanno di moda molti metodi per insegnare ai bambini a dormire. È una stupidaggine; tutti i bambini sanno dormire. I feti dormono già prima di nascere, e i neonati passano più di quindici ore al giorno dormendo (alcuni molto di più). Se un bambino non dormisse morirebbe in pochi giorni, così come accadrebbe a un adulto.


In realtà quel che i bambini imparano con il tempo non è dormire, ma star svegli. Devono passare dalle quindici o venti ore di sonno del neonato, alle sette o otto ore dell’adulto, ed è evidente che devono dormire sempre meno. Ma non è un vero percorso di apprendimento (cioè qualcosa che bisogna insegnare), ma un processo di maturazione, come sedersi o camminare: tutti i bambini lo faranno quando arriverà il momento, senza che i genitori facciano nulla di particolare (solo quel che fanno sempre: amarli e prendersene cura), nessuna sollecitazione intensiva o precoce può portare a far sì che imparino prima o meglio.


Una delle conquiste nel corso di questo processo di maturazione avviene verso i quattro mesi, quando i bambini iniziano a svegliarsi spesso di notte. Molte madri si stupiscono, si preoccupano, o addirittura si spaventano, perché avevano sentito che il bambino avrebbe dormito sempre di più. (Ancora di più? Entrerebbe in coma!). Ma siete avvisate: verso i due o tre mesi è possibile che vostro figlio dorma sei ore di seguito, a volte addirittura otto; ma a quattro o cinque mesi probabilmente incomincerà a svegliarsi molte volte la notte, più o meno ogni ora e mezza o due. Ricordate, è un normale processo di maturazione. Non serve che gli insegniate, che cerchiate di svegliarlo ogni due ore, lo farà già da solo. (Sembra che alcuni bambini non si sveglino, ma che dormano sempre di filata. Se per caso vostro figlio è uno di questi, non preoccupatevi, anche questo rientra nella norma.)


Da questo momento entriamo in un territorio sconosciuto; abbiamo pochissimi dati sull’evoluzione naturale del sonno normale dei bambini. Certamente è molto variabile, e ogni bambino è diverso dall’altro. Sembra che verso i due anni i bambini dormano un po’ di più, e, verso i tre anni, lo facciano in una sola tirata (almeno, la maggioranza dei bimbi che non hanno subìto esperienze traumatiche perché sono stati lasciati soli la notte, contro la loro volontà). Verso i tre anni, molti bambini che dormivano coi loro genitori accettano di dormire nel proprio lettino in camera dei genitori e, più avanti, anche in un’altra stanza, sempre che si faccia loro compagnia finché non si addormentano. Sarebbe meglio non fare pressioni al bambino; se gli dite: “Adesso sei grande e devi dormire da solo, non dormirai più con mamma e papà, perché è una cosa da neonati”, probabilmente si farà prendere dall’angoscia e vi chiamerà. Invece se gli dite: “Avrai il tuo lettino, ma di notte, quando vorrai, potrai sempre venire nel lettone, basta che non fai rumore perché mamma e papà devono riposare”, è possibile che si senta talmente al sicuro da non venire affatto in camera vostra... ma se venisse, godetevelo, finché dura, perché tra qualche anno non ci verrà neanche se lo pregate. Verso i sette anni molti bambini possono dormire da soli (come dire, date loro un bacio, la buonanotte e staranno nel loro letto senza piangere, senza protestare, senza chiamare…).

I gas

Sia i bambini che gli adulti possono avere gas nello stomaco o nell’intestino (soprattutto nell’intestino crasso). Ma sono due questioni completamente diverse.


Il gas nello stomaco è aria, aria normale che l’individuo ha ingerito (quello che i medici chiamano aerofagia, mangiare aria). I bimbi possono ingoiare aria mentre mangiano, o mentre piangono, o anche mentre succhiano il ciuccio o il dito.


Il gas che è presente nell’intestino è differente, non bisogna far altro che annusarlo per rendersene conto. Contiene azoto dell’aria ingurgitata (l’ossigeno è stato assorbito attraverso il tubo digerente) e gas che vengono prodotti nello stesso intestino durante la digestione di alcuni alimenti e che gli conferiscono il suo odore caratteristico.


Quando il bambino ingerisce troppa aria è possibile che faccia molte scoreggine, ma è più facile che l’eccesso di gas fuoriesca dall’alto attraverso i ruttini. È più probabile che un eccesso di gas nell’intestino si formi per la digestione, che non per l’aria deglutita. Quando il bambino non poppa correttamente, perché è in posizione sbagliata o ha qualche altra difficoltà, è possibile che assuma troppo lattosio e pochi grassi, e il relativo sovraccarico di lattosio provochi la produzione di gas in eccesso (si veda pag. 51). Inoltre, se è posizionato male, è molto probabile che ingoi aria mentre sta succhiando. Ma non è la posizione scorretta la maggior causa di produzione dei gas, né i gas il principale sintomo di una posizione scorretta.


L’eccesso di gas nell’intestino si può espellere solo sotto forma di peti. Per fortuna, non può fare il percorso inverso e uscire dalla bocca.


È più facile espellere aria dallo stomaco (nel senso di ruttare, senza la “e”, non come quando a eruttare è un vulcano) in posizione verticale che in posizione orizzontale. Siccome i nostri antenati stavano sempre in braccio alla madre, in posizione più o meno verticale, non dovevano avere molti problemi. Nel secolo passato si diffusero i biberon e le culle. Con il biberon il bambino può inghiottire molta aria, e nella culla gli è difficile espellerla; per questo era importante far fare il ruttino al bambino prima di metterlo a nanna.


Ma non sembra che i gas siano un fastidio per i bambini, a parte in alcuni casi estremi. Molta gente pensa che la principale causa del pianto nei bambini piccoli siano i gas; e si pensa che molte delle medicine che nell’arco della storia sono state prescritte per le coliche del lattante aiutassero a espellerli (questo è il significato della parola carminativo), o ad evitare la formazione di bolle (non ho mai capito perché, ma davvero certe gocce per le coliche sono antischiumogene).


Non tutti sono d’accordo sulla causa delle coliche (più avanti vi spiegherò qual è la mia teoria preferita), ma sembra che non esistano più seri difensori della teoria dei gas. Molti anni fa, quando non si sapeva che l’eccesso di raggi X era dannoso e si facevano radiografie per qualsiasi sciocchezza, a qualcuno venne in mente di fare radiografie ai bambini che piangevano (il gas si vede perfettamente in una radiografia come una grande macchia nera). Si dimostrò che i bambini hanno poco gas quando iniziano a piangere, ma aumenta molto quando stanno piangendo da un po’ di tempo. Quel che succede è che ingoiano aria mentre piangono, e siccome non possono ruttare e piangere contemporaneamente, tutto si accumula finché non smettono di piangere. Di solito la mamma dà questa spiegazione: “Poverino, piangeva tanto perché aveva del gas. L’ho preso in braccio e gli dato dei buffetti sulla schiena, così ha potuto fare il ruttino e tutto è passato”. In realtà, la vera spiegazione sarebbe: “Poverino, piangeva perché voleva la mamma. Quando l’ho preso in braccio e gli ho accarezzato la schiena si è calmato, e a quel punto ha fatto un rutto enorme con tutta l’aria che aveva ingerito mentre piangeva”.


Credo che questo spieghi l’importanza del rutto nel secolo scorso. Quando la madre cercava di mettere il bimbo nella culla appena finito di mangiare, il bimbo piangeva disperatamente. Invece, se lo teneva in braccio e lo cullava e accarezzava un po’ era più facile che il bambino si tranquillizzasse e si addormentasse. Mentre era in braccio il bimbo ruttava. E siccome nessuno voleva riconoscere che le braccia della madre fossero un bene per il bambino (come possono essere un bene? Le braccia della mamma sono un male, in questo modo si allevano male i figli, il bambino non deve stare in braccio, o diventerà un frignone!), preferirono pensare che ciò che aveva operato il miracolo era il rutto, e non la presenza della madre.


Il fatto è che molte mamme oggi pensano che il rutto sia importantissimo, fondamentale per la salute e il benessere del proprio figlio. Deve ruttare, costi quel che costi. Ma i bambini allattati al seno, se hanno poppato correttamente, non ingoiano quasi aria (le labbra si chiudono ermeticamente sul seno, pertanto l’aria non può entrare; e all’interno del seno non c’è aria, a differenza del biberon). I bambini allattati al seno fanno poche volte il ruttino. Invece, quando sono attaccati male, è facile che ingoino aria, facendo un rumore da sbaciucchio, perché rimane uno spiraglio tra le labbra e la mammella.


Spesso alcune mamme mi hanno confessato che al proprio figlio costa molto fare il ruttino, che bisogna stare un’ora a dargli colpetti sulla schiena, che piange e sta male, finché alla fine riesce a espellere i gas. Povera creatura, il fatto è che non ha alcun gas da espellere; piange per i tanti colpetti e pacche che gli vengono dati, e alla fine butta fuori l’aria che ha ingerito mentre piangeva.


Non ossessionatevi con il rutto. È una buona idea tenere in braccio un po’ vostro figlio dopo averlo allattato. Gli piace. Se durante questo tempo espelle i gas, bene. Se no, vorrà dire che non ha gas. Non dategli colpi sulla schiena, non dategli una camomilla, né dell’anice, né dell’acqua, né alcun rimedio per i gas (né naturale né artificiale, né da farmacia né da erboristeria, né comprato né fatto in casa).

Le coliche

I bambini occidentali piangono molto nei primi mesi, fenomeno conosciuto come colica del lattante o colica del primo trimestre. La colica è la contrazione spasmodica e dolorosa di un viscere vuoto; esistono le coliche renali, della vescica e dell’intestino. Dato che il lattante non è un viscere vuoto, e nemmeno i primi tre mesi lo sono, il nome non è molto azzeccato. È chiamata colica perché si pensava che il bambino avesse dolori di pancia; ma è impossibile saperlo. Il dolore non si vede, deve spiegarlo il paziente. Quando si chiede loro “Perché piangi?”, i bimbi si ostinano a non rispondere; quando si rifà la domanda anni dopo, sostengono sempre di non ricordarsi. Così nessuno può sapere se hanno male alla pancia, o alla testa, o alla schiena, o se prude loro la pianta del piede, o se dà noia il rumore, o se sono semplicemente preoccupati per qualche notizia che hanno sentito per radio. Per questo motivo i libri di oggi evitano di utilizzare il termine colica, e preferiscono chiamarla eccessivo pianto nell’infanzia. È logico pensare che non tutti i bambini piangano per lo stesso motivo; a volte alcuni soffrono di mal di pancia, altri avranno fame, o freddo, o caldo, e altri ancora (cosa più probabile) vorranno semplicemente stare in braccio.


Di solito, il pianto scoppia nel pomeriggio, dalle sei alle dieci, l’ora stupida. A volte dalle otto alle dodici, a volte dalle dodici alle sedici, e alcuni sembra che stiano di guardia per tutte le ventiquattro ore. Inizia di solito dopo le due o tre settimane, e migliora verso il terzo mese (anche se non è sempre così).


Quando la madre allatta e il bambino piange la sera, c’è sempre qualche anima pia che dice: “Per forza, si vede che alla sera ti finisce il latte!” Ma allora, perché hanno le coliche i bambini che prendono il biberon? (l’incidenza delle coliche sembra essere la stessa nei bambini allattati al seno e in quelli allattati col biberon). C’è forse qualche mamma che di mattina prepara biberon da 150 ml e di sera solo da 90, per fare un dispetto e perché il bambino pianga? Certo che no! I biberon sono esattamente della stessa misura, ma il bimbo che di mattina dormiva più o meno tranquillo di sera continua a piangere. Non si tratta della fame.


“Allora perché mio figlio passa tutto il tempo attaccato al seno, e io ho l’impressione che sia vuoto?” Quando un bimbo piange, la mamma che dà il biberon può fare tante cose: può prenderlo in braccio, può cullarlo, cantargli una nenia, accarezzarlo, dargli il ciuccio, dargli un biberon, lasciarlo piangere (non sto dicendo che sia conveniente o raccomandabile lasciarlo piangere, dico solo che è una delle cose che una madre può fare). Anche la madre che allatta al seno può fare tutte queste cose (incluso dargli il biberon e lasciarlo piangere), ma in più ha la possibilità di farne una esclusiva: offrirgli il seno. La maggioranza delle madri scopre che quest’ultima è la maniera più semplice e rapida per calmare il bambino (in casa mia, chiamiamo il seno l’anestesia), quindi allattano spesso durante la serata. Chiaramente il seno diventa poco consistente, ma non perché non ci sia latte, solamente perché tutto il latte è nella pancia del bimbo, il quale non ha per niente fame, anzi è pieno di latte fino alla testa.


Se la madre è contenta di allattare spesso, e non sente dolore al capezzolo (se il bambino chiede continuamente e il capezzolo fa male, è probabile che assuma una posizione scorretta), e il bimbo si calma in questo modo, allora è il caso di farlo. Potete allattarlo come e quanto volete. Potete mettervi a letto e riposare mentre vostro figlio sta poppando. Mentre se la madre è stanca, disperata, stufa di allattare tanto, e il bambino sta aumentando bene, non è neanche sbagliato che dica al padre, alla nonna o al primo volontario che trova: “Prenditi questo bambino, portalo a fare un giro in un’altra stanza, o fuori a passeggio e non tornare prima di due ore”. Perché se un bambino che succhia bene e ingrassa normalmente poppa cinque volte in due ore e continua a piangere, di una cosa possiamo perfettamente stare certi: non piange per la fame (si tratterebbe di un’altra questione se il bambino aumentasse molto poco, oppure fosse aumentato poco di peso fino a due giorni prima e ora stesse recuperando: magari quel bambino ha bisogno di essere allattato più volte di seguito). Questo sì, se trovate qualcuno che porti a passeggio il bambino, approfittatene per riposare, e se è possibile per dormire. Non lavate i piatti e non mettetevi tutto il giorno a stirare, perché allora non serve.


Succede a volte che la madre sia disperata, non fa che allattare il figlio e poi tenerlo in braccio, per poi ricominciare di nuovo. Accoglie suo marito come se fosse il settimo della cavalleria: “Per favore, fai qualcosa per questo bambino, perché sto per diventare pazza”. Papà lo prende in braccio (con una certa apprensione, date le circostanze), il bimbo appoggia la testolina sulla sua spalla e… puf!… si addormenta. Ci sono varie spiegazioni possibili per questo fenomeno. Si dice che noi uomini abbiamo le spalle più larghe, e che si dorma meglio. Siccome aveva passato due ore a ballare, è normale che il bimbo sia stanco. Magari aveva solo bisogno di cambiare aria, cioè braccia (molte volte succede il contrario: il papà non sa più cosa fare, e la mamma riesce a tranquillizzare il bambino in un secondo).


Ho l’impressione (ma è solo una mia teoria, non ho nessuna prova) che in certi casi succeda che il bambino sia stanco di poppare. Non ha fame, ma non è capace di appoggiare la testa sulla spalla della madre e riposare tranquillo. Come se non conoscesse un altro modo di relazionarsi con la madre se non quello di poppare. Forse si sente come quando ci viene offerto il nostro dolce preferito dopo un lauto pranzo. Non riusciamo a rifiutare, e poi stiamo tutto il pomeriggio con un bel peso sullo stomaco. In braccio a mamma è un continuo voglio ma non posso; invece, con papà non ci si può sbagliare: non c’è tetta, quindi si dorme.


La mia teoria ha molti punti deboli, comunque. Tanto per cominciare, la maggior parte dei bambini del mondo sta tutto il giorno in braccio (o sulla schiena) alla madre, e in generale riposa tranquillamente e quasi non piange. Ma spesso questi bambini conoscono sì un altro modo per relazionarsi alla madre, che non sia il succhiare. Nella nostra società lasciamo il bambino nella sua culla per molte ore nell’arco di una giornata; forse così gli trasmettiamo l’idea che possono stare con la mamma solo durante la poppata.

Perché la cosa certa è che la colica del lattante sembra esclusiva della nostra cultura3. Alcuni la considerano una malattia della nostra civiltà, la conseguenza di avere coi bambini un contatto fisico troppo limitato rispetto al loro bisogno. In altre società, il concetto stesso di colica è sconosciuto. In Corea, il dottor Lee non si trovò nessun caso di colica tra 160 lattanti. Al primo mese di età, i bambini coreani passavano solamente due ore al giorno da soli, in confronto alle sedici ore dei nordamericani. I bimbi coreani trascorrevano il doppio del tempo in braccio rispetto ai nordamericani, e le loro mamme rispondevano praticamente sempre al loro pianto. Le madri nordamericane ignorano deliberatamente il pianto dei loro figli quasi la metà delle volte.


In Canada, Hunziker e Barr dimostrarono che si poteva prevenire la colica del lattante raccomandando alle madri di tenere il figlio in braccio diverse ore al giorno. È una gran bella idea tenersi addosso il bambino, come fanno la maggior parte delle mamme del mondo. Oggi è possibile comprare diversi modelli di zainetti a tracolla e marsupi in cui si può portare il bimbo comodamente4 in casa o per strada. Non posate immediatamente il bimbo nella culla appena si addormenta; adorano stare con la mamma, anche se stanno dormendo. Non aspettate che il bambino inizi a piangere, dopo due o tre settimane dalla nascita, per prenderlo in braccio; potreste aver passato la soglia e neanche lo stare in braccio calmerebbe vostro figlio. I piccoli hanno bisogno di contatto fisico, di stare molto in braccio fin da quando nascono. Non conviene che siano separati dalla madre, e ancor meno che si trovino da soli in un’altra stanza. Durante il giorno, se lo lasciate dormire un po’ nella sua culla, è meglio che stia con voi nel soggiorno o in qualunque stanza voi siate, così che possiate controllare quando apre gli occhi; così entrambi (madre e figlio) vi sentirete più sicuri e riposerete meglio.

Alla nostra società costa molto riconoscere che i bambini hanno bisogno di stare in braccio, che hanno bisogno di contatto fisico e affetto; che hanno bisogno della mamma. Si preferisce qualsiasi altra spiegazione: che sia colpa dell’intestino non ancora formato completamente, che sia a causa del sistema nervoso… Si preferisce pensare che il bambino sia malato, che necessiti di una medicina. Qualche decennio fa, le farmacie spagnole vendevano medicinali per le coliche che contenevano barbiturici (Dio ci guardi… allora il bambino era fritto). Altri sceglievano di utilizzare erbe e infusioni, i rimedi omeopatici, i massaggi. Tutte le terapie che conosco hanno qualcosa in comune: bisogna avere contatto con il bambino per somministrargliele. Il bambino è nella culla e sta piangendo; la madre lo prende in braccio, gli dà la camomilla, il bambino tace. Sarebbe stato zitto lo stesso senza camomilla, con il seno, o solo stando in braccio. Se, al contrario, inventassero un marchingegno elettronico per distribuire camomilla, che si attivasse con il rumore del pianto del bambino, una microcamera che tenesse sotto controllo la culla, un computer che identificasse la bocca aperta e controllasse una siringa che lancia uno spruzzo di camomilla diretto alla bocca… pensate che il bimbo si calmerebbe in questo modo? Non è la camomilla, non è la medicina, non è il rimedio omeopatico! Sono le braccia della mamma che curano le coliche.


Taubman, un pediatra statunitense, dimostrò che alcune semplici istruzioni alla madre (tabella 1) facevano sparire le coliche in meno di due settimane. I bambini le cui mamme seguirono questi consigli passarono da una media di pianto di 2,6 ore al giorno a una di 0,8 ore. Mentre nel gruppo di controllo in cui i bimbi si lasciavano piangere, continuavano a farlo sempre di più: da 3,1 ore giornaliere passarono a 3,8. Quindi i bambini non piangono per il gusto di piangere, ma perché hanno qualcosa. Se li lasciate piangere, piangono di più, se cercate di consolarli, piangono meno (una cosa così logica! Perché tanta gente si sforza di farci credere il contrario?).


Tabella 1.ISTRUZIONI PER CURARE LE COLICHE, SECONDO TAUBMAN. “PEDIATRICS” num. 74, 1984, p. 998

1. Cercate di non lasciare mai piangere vostro figlio.

2. Per scoprire perché piange vostro figlio, prendete in considerazione le seguenti possibilità:

  • Il bambino ha fame e vuole mangiare.
  • Il bambino vuole succhiare, anche se non ha fame.
  • Il bambino vuole essere preso in braccio.
  • Il bambino è annoiato e ha bisogno di stimoli.
  • Il bambino è stanco e vuole dormire.

3. Se continua a piangere per più di cinque minuti dopo una di queste risposte, provate con un’altra.

4. Decidete voi in quale ordine provare le precedenti opzioni.

5. Non abbiate paura di nutrire troppo vostro figlio. Questo non può accadere.

6. Non abbiate paura di crescere male vostro figlio. Neanche questo può accadere.


Nel gruppo di controllo di cui sopra, le istruzioni erano le seguenti: se il bambino piange e non sapete a cosa sia dovuto, lasciatelo nella culla e andate via dalla stanza. Se dopo trenta minuti continua a piangere, rientrate, verificate (un minuto) che non gli stia succedendo niente, e uscite di nuovo dalla sua stanza. Se dopo venti minuti continua a piangere ecc. Se dopo tre ore sta ancora piangendo, dategli ancora da mangiare e ricominciate.


Le ultime due istruzioni del dottor Taubman mi sembrano particolarmente importanti: è impossibile nutrire eccessivamente un bambino dandogli troppo latte (ditelo a tutte le mamme che provano a infilare in bocca la pappina a un bambino che non vuole mangiare); ed è impossibile crescere male un bambino prendendosi troppo cura di lui. Crescere male un bambino significa picchiarlo, insultarlo, ridicolizzarlo, ignorare il suo pianto. Al contrario, dargli retta, prenderlo in braccio, accarezzarlo, consolarlo, parlargli, baciarlo, sorridergli, sono azioni fondamentali e lo sono sempre state per crescerlo bene.


Non esiste nessuna malattia mentale causata da un eccesso di braccia, di amore, di carezze… Nessuno si trova in carcere, o in manicomio, perché i suoi genitori l’hanno preso troppo in braccio, o gli hanno cantato troppe canzoncine, o lo lasciavano dormire con loro. Invece, ci sono persone in carcere o in manicomio perché non hanno avuto i genitori, o perché i loro genitori li hanno maltrattati, abbandonati o disprezzati. E nonostante questo, la prevenzione di questa presunta malattia immaginaria che è la cattiva crescita infantile cronica, sembra essere la maggior preoccupazione della nostra società. E se no, amiche lettrici, ricordate e fate un paragone: quante persone, da quando siete rimaste incinte, vi hanno avvertito dell’importanza di mettere prese elettriche di sicurezza, di conservare in luoghi sicuri i prodotti tossici, di utilizzare un seggiolino di sicurezza per le automobili o di vaccinare vostro figlio contro il tetano? Quante persone, invece, vi hanno raccomandato di non prendere in braccio il vostro bambino, di non portarlo con voi nel letto, di non viziarlo?


Lee K, The crying pattern of Korean infants and related factors, in “Dev Med Child Neurol”, num. 36, 1994, pp. 601-607.


Hunziker UA, Barr RG, Increased carrying reduces infant crying: a randomized controlled trial, in “Pediatrics”, num. 77, 1986, pp. 641-648.


Taubman B, Clinical trial of the treatment of colic by the modification of parent-infant interaction, in “Pediatrics”, num. 74, 1984, pp. 998-1003.

Chiarimenti

Di sicuro qualcuno ora dirà che per colpa del dottor González (e del dottor Taubman, chiaro!), le povere mamme saranno schiavizzate, tutto il giorno dipendenti dal proprio figlio. Bugia. Io non dico al bambino di piangere, piange da solo. Se vostro figlio piange, ci sarà chi vi dirà che c’è solo una cosa da fare: uscire dalla stanza e lasciare che pianga. Dovrete farlo sia che questo metodo funzioni, sia che non funzioni, tutte le volte, tutti i giorni. E nel frattempo, cosa fa la madre? Credete che si metta a leggere un libro, o a fare un pisolino, o a stirare? Tutti quelli che hanno sentito piangere un bambino, piangere davvero, e oltretutto il proprio figlio!, sanno perfettamente che questa madre non riuscirà a combinare nulla. Il pianto di un bambino è uno dei suoni più sgradevoli che esistano in natura (in questo consiste, il pianto di un bambino è fatto per provocare una reazione negli adulti, per non lasciare indifferente nessuno). Questa povera mamma non può far altro se non stringere i denti, guardare le lancette dell’orologio e aspettare che passino i trenta minuti. Invece, la madre a cui è stato consigliato di dare ascolto al proprio bimbo ha cinque possibilità fra cui scegliere (e se gliene viene in mente una sesta, ancora meglio), può decidere da quale di queste cominciare e, se un trucco non funziona e il bambino continua a piangere, può provare con un altro. Di fatto, una delle possibilità, il bambino ha sonno e vuole dormire, può essere interpretata come lasciatelo nella culla e andatevene; solo che, se non funziona, la madre non è obbligata ad aspettare trenta minuti per andare a prenderlo. La madre schiavizzata è quella obbligata a lasciar piangere suo figlio, mentre la madre libera ha diritto di fare quello che ritiene giusto per calmarlo. E inoltre in questo modo il figlio piangerà sempre meno.


Allora, se lasciassi piangere mio figlio, questi avrà un trauma che si ripercuoterà per tutta la vita? No, non ho detto questo. Non sto parlando di traumi a vita, ma delle coliche di un lattante. Se lasciate piangere vostro figlio, piangerà semplicemente di più.


I bambini piangono. È normale. È inevitabile. I bambini coreani, i bambini africani, tutti piangono. Anche se stanno in braccio ventiquattro ore al giorno, piangono. Solo che piangono meno. Non sto dicendo che appena il bimbo piange bisogna correre per cercare di calmarlo. È chiaro che a volte sarete sotto la doccia, o in cucina con l’olio che sta per bruciare, o starete facendo qualsiasi altra cosa. Cercate almeno di dirgli qualcosa, di guardarlo, di sorridergli. Se qualche volta un bambino deve aspettare qualche minuto prima che qualcuno risponda alla sua chiamata, non è la fine del mondo. Il problema è lasciarlo piangere di proposito e spesso. Il problema è essere prese in giro perché qualcuno che sostiene di saperne molto (un parente, una vicina, un medico, l’autore di un libro…) vi ha detto che lasciarlo piangere è la cosa giusta per vostro figlio, che se lo prendete in braccio o lo consolate, lo state crescendo male.


Anche noi adulti piangiamo, quando ne abbiamo motivo. Come i bambini. Non piangono perché sì; semplicemente le motivazioni sono diverse, e molte volte non le conosciamo. Immaginate di essere voi a piangere; una persona cara ha sofferto un grave incidente e voi siete sola in casa a piangere. Non è triste soffrire e non avere nessuno a cui appoggiarsi e che possa consolarvi? Ora immaginate di non essere sola in casa. C’è vostro marito, che sta leggendo. Voi state piangendo, e lui non alza lo sguardo dal libro neanche per sbaglio. O vi urla: “Taci una volta per tutte, sto cercando di leggere”. Non è ancora peggio che piangere sola? Oltre al dolore che state sentendo, vi sentite disprezzata, umiliata. Sentite che vostro marito non vi ama più. Quando una persona amata piange, le diamo ascolto.


Naturalmente un bambino di due mesi non può sapere se sua madre ha tardato dieci minuti a venire perché era molto occupata, o se l’ha fatto di proposito (“che aspetti un momento, deve imparare che non può fare tutto quel che vuole”). Lui non lo sa, ma voi sì. Facciamo quel che riteniamo giusto, anche se nessuno lo viene a sapere.

La dentizione

Tempo fa, una mamma mi disse che a sua figlia di un mese e mezzo stava spuntando un dente. È strano, ma non impossibile, che un dente cresca così presto, così le guardai la boccuccia incuriosito. “Ma io non vedo niente.” “No, ancora non si vede.” “E allora come lo sa che le sta spuntando un dente?”. “Perché è nervosa, piange, si mette in bocca le manine…”. “Ah, beh, ma è normale, i bimbi piangono, si mettono in bocca le manine, ma questo non significa che le stia spuntando un dente.” La scena si ripetè mese dopo mese, stava sempre spuntando quel benedetto dente, ormai non mi prendevo nemmeno più la briga di smentirla. Infine, al sesto mese, le spuntò un dente, come succede a tutti: “Vede dottore? Lo sapevo che le stava crescendo un dente!”


In uno studio approfondito, la dentizione veniva associata, solo per pochi giorni e in alcuni bambini, a lievi sintomi: sbavare, mordere, foruncolini sul viso (probabilmente per l’umidità della saliva), irritabilità, un aumento di temperatura di alcune linee il giorno dell’eruzione (che si era rilevata soltanto perché, durante l’esperimento, si misurava la temperatura due volte al giorno a tutti i bambini). La maggioranza dei bambini non manifestava nessun cambiamento, nessuno dei sintomi aumentava più del 20% durante la fase della dentizione, e nessun sintomo o combinazione di sintomi permetteva di prevedere la comparsa immediata di un dente. La dentizione non provocava febbre, né diarrea, né muco, né vomito, né arrossamento al sederino, né risvegli notturni.


Ma non era necessario uno studio per capire che la dentizione non può provocare alcun problema serio. Non solo ai bambini crescono i denti. Dai sei anni iniziano a spuntare i denti definitivi. E non tutti sostituiscono un dente da latte (si potrebbe argomentare che il buco si era già formato), perché nella dentizione da latte non ci sono i molari. Non si è mai visto un bambino di otto o dieci anni che si succhia i pugni, che piange o morde giochini di gomma perché gli stanno spuntando i denti. Nessuno gli spalma cremine sulle gengive. Provate a ripensare alla vostra infanzia: quel che ricordiamo è il giorno in cui ci è caduto un dente (grazie al topolino), ma non il giorno in cui ci è spuntato quello nuovo. Normalmente, neanche ce ne accorgiamo. Un giorno ti guardi allo specchio e… sorpresa!… c’è un dente in più. (Il caso dei denti del giudizio è diverso; alcune persone non hanno abbastanza spazio nella mandibola, e sentono particolare fastidio).


E nonostante questo, molta gente è convinta che la dentizione provochi seri problemi ai bambini. Tanto che hanno bisogno di cure. Si utilizzano medicinali della farmacia (vendono creme con anestetico locale!), medicinali naturali e omeopatici, erbe e rimedi della nonna, oggettini in plastica, gomma e altri materiali, da mordere (decenni fa si usavano gli ossi di seppia). Ultimamente sembra che vadano di moda le collane di ambra (a prima vista non sembrano da mordere, ma da mettere al collo!). Alcune madri sono entusiaste: “Gli ho messo XXX per i denti, e gli ha fatto molto bene”. Mi sono sempre chiesto come può andare male la dentizione. Vuol dire che se non fosse per il XXX, il bimbo non avrebbe avuto denti, o sarebbe morto durante il processo?


Siccome a tutti i bambini escono 20 denti in pochi mesi, ce n’è sempre qualcuno che sta per spuntare o che è appena spuntato a cui dare la colpa per qualsiasi disturbo. In parte, credo che questa sia un’altra manifestazione del timore della nostra società relativo alla relazione madre-figlio. Come per le coliche. Se il bimbo piange, non può essere perché ha bisogno della mamma. È meglio pensare che sia malato, che abbia paura, che abbia una colica, che gli facciano male i denti…


A proposito di presunte cause di pianto, per un certo periodo fui (lievemente) preoccupato perché i miei figli non piangevano quando avevano il pannolino sporco. Tutti dicono che dovrebbero piangere. Anche nei film, quando un bambino piange gli controllano sempre il pannolino. Ma i miei figli potevano essere pieni fino all’orlo e non protestavano. Lo capivo dall’odore, non dal pianto. Mi presi una rivincita quando lessi, non so dove, che alcuni decenni fa un ricercatore fece un esperimento a riguardo. Alla metà dei bambini metteva un pannolino pulito; all’altra metà rimetteva lo stesso pannolino sporco appena tolto. Si calmavano allo stesso modo! Il bambino non piangeva per la cacca; era una pura coincidenza. Si calmava perché, in un’epoca in cui i bimbi passavano ore e ore soli nella culla, la mamma lo prendeva in braccio per portarlo al fasciatoio, lo toccava, lo accarezzava (con la spugna), lo guardava negli occhi, probabilmente gli diceva parole dolci…


Ho il sospetto che il famoso effetto rilassante del bagnetto prima di andare a nanna appartenga alla stessa categoria di miti. Quello di cui vostro figlio ha bisogno per rilassarsi e dormire è stare in braccio, avere compagnia e attenzione. Per quanto riguarda il bagno, potete farglielo all’ora che più vi risulta comoda.


Mackin ML, Piedmonte M, Jacobs J, Skibinski C, Symptoms associated with infant teething: a prospective study, in “Pediatrics”, num. 105, 2000, pp. 747-752.

I morsi

Quando spuntano i primi dentini, normalmente capita che i bimbi mordano il seno diverse volte. In realtà, probabilmente stanno succhiando come al solito, solo che prima non facevano male alla mamma, mentre ora, avendo i denti, devono imparare a poppare facendo più attenzione.


È una fase fastidiosa, ma temporanea. Conviene mostrare chiaramente che avete sentito dolore (se non dite niente, il bambino come fa a sapere che vi ha fatto male?), ma senza esagerare troppo (alcuni bambini si spaventano quando la mamma reagisce in maniera eccessiva a un morso e poi si rifiutano di poppare per ore). Avvertiteli prima di ogni poppata: “Attento a non mordere la mamma”, e se vi morde lo stesso, staccatelo dal seno e ditegli chiaro e tondo “Non si fa, se mordi la mamma, niente tetta”. Ovviamente, se non la smette più di piangere, “perdonatelo” e offritegli di nuovo il seno, ripetendogli ancora che non vi deve mordere.


La cosa più importante, però, è attaccarlo bene al seno. Se il bambino ha la bocca ben aperta, con il seno inserito in maniera corretta, non può farvi troppo male. La cosa peggiore è se vi afferra solo il capezzolo. Molte madri, dopo aver ricevuto un morso, offrono il seno piene di paura, cercando di tenere il bambino distante, quando invece la tecnica richiede esattamente l’opposto, cioè di attaccarlo bene al corpo perché non riesca a mordere il capezzolo. Quando vedete che il bambino ha finito di poppare, non permettetegli di “giocare col capezzolo”, ma staccatelo del tutto. Ovvio, se a voi non dà fastidio e il bambino non inizia a mordere, può giocare col capezzolo quanto vuole, come faceva prima che gli spuntassero i dentini e come riprenderà a fare quando avrà smesso di mordere. Ma durante le settimane in cui tende a mordere è meglio lasciar perdere i giochi.

La fame

La grande preoccupazione! Sarà ancora affamato? (domanda che ne racchiude un’altra, che non sempre si pronuncia: “È cattivo il mio latte? Dovrò dargli il biberon?”). Se il bambino ha sonno, che dorma; ma se ha fame, molte mamme impallidiscono, come colte in fallo.

Il problema è che utilizziamo il termine “fame” per due cose ben distinte. Da un lato, la fame è la mancanza di alimentazione, la denutrizione. C’è fame nel mondo, bambini che muoiono di fame. Durante la guerra, i nostri padri o nonni soffrirono la fame. Per fortuna noi non l’abbiamo conosciuta. Dall’altro lato la fame è una sensazione sgradevole che ci spinge a mangiare. Io sì che so cos’è la fame, ho fame molte volte in una giornata, per questo mangio. Se non avessi fame, non mangerei mai. Che gran paradosso: un bambino (o un adulto) che non avesse mai fame morirebbe di fame.


“Mio figlio non resiste tre ore, dopo un’ora e mezza chiede già il seno; avrà fame? Sarà ancora affamato?” Certo che ha fame! Per questo chiede il seno. Ma se voi lo allattate quando lui lo chiede, smetterà di avere fame. Resterà affamato solo se non lo allatterete prima delle tre ore. Non fate patire la fame a vostro figlio; allattatelo quando ha fame.

Periodi di crescita

In molti libri sull’allattamento si dice che i bambini attraversino periodi (periodi di crescita o giorni di frequenza) in cui hanno bisogno di poppare di più. Tipicamente, il bambino che era più o meno contento con un modello stabile di allattamento, d’improvviso inizia a chiedere il seno ad ogni ora, molto più del giorno precedente. Se la madre si spaventa (“mi è andato via il latte!”) e gli dà un biberon, il bambino prenderà sempre più il biberon lasciando il seno. Se la madre non dà il biberon ma il seno a richiesta, la produzione di latte aumenta, e dopo due o tre giorni la frequenza delle poppate diminuisce di nuovo. Si pensa che si tratti di periodi in cui il bambino cresce più rapidamente, e per questo ha bisogno di più latte, e a volte si dice che questo fenomeno si manifesti in date precise, alla seconda settimana, al mese e mezzo e al terzo mese.


L’ipotesi è verosimile, e difatti alcuni autori hanno scoperto che ci sono bambini che in diverse settimane possono non crescere assolutamente, e poi li si vede aumentare di uno o due centimetri in pochi giorni. Nonostante questo, nessuno ha provato (che io sappia) che questi giorni di frequenza coincidano effettivamente con periodi di rapida crescita e nemmeno ha mai dimostrato che si manifestino alla seconda e alla sesta settimana e non alla terza o alla quinta. Diciamo che può accadare in qualsiasi momento, poiché non ne conosciamo la causa. Ma conosciamo la soluzione: allattamento a richiesta e nessun biberon.

La crisi dei tre mesi

La crisi dei tre mesi (il nome l’ho inventato io, non lo troverete in nessun libro) non è una crisi del bambino, ma della madre. Il bambino sta benissimo, non gli accade nulla. Ma la madre si spaventa ed è convinta di non avere più latte. Succede di solito tra il secondo e il quarto mese, ma non ha una data fissa.

Ci sono vari fattori che si sommano per provocare questa crisi. I seni, che all’inizio dell’allattamento si gonfiavano e sgonfiavano visibilmente a ogni suzione, sembra che in quel momento si mantengano sempre della stessa dimensione (e sempre sgonfi!). Il latte, che gocciolava dall’altro seno durante la poppata, e anche per tutto il giorno, ora non gocciola più. Il bambino, che prima aveva bisogno di poppare quindici, venti minuti o anche di più per ogni seno, ora sta attaccato cinque minuti, a volte anche solo due o meno. E per colmo… non fa la cacca (si veda pag. 101).


Tutti questi cambiamenti sono normali. Il gonfiore e il gocciolamento dei seni non indicano che c’è tanto latte; sono anzi piccoli problemi che si verificano all’inizio dell’allattamento e che spariscono quando il seno funziona a pieno rendimento. Ci mancherebbe solo che si dovessero tenere delle spugne nel reggiseno per due anni! Il bambino acquisisce sempre più forza e più esperienza, e poppa sempre più velocemente. La bilancia ci dimostra che non sussiste alcun problema… beh, ce lo dimostra se sappiamo che i bambini, mese dopo mese, ingrassano sempre meno (sembra che alcuni non ne siano a conoscenza, e spaventano la madre con la benedetta bilancia). Se una madre si aspetta che il bimbo aumenti sempre dello stesso peso, ha già un altro motivo di preoccupazione: questo mese è ingrassato meno.


Dato che è la madre che si trova in crisi, sta proprio nelle sue mani la soluzione: smettere di preoccuparsi, che non sussiste alcun problema. Allattamento a richiesta (e questo include il fatto di staccarlo dal seno quando il bimbo lo vuole lasciare) e nessun biberon.

Rifiuto del seno

I bambini possono rifiutare il seno per vari motivi. Verificate la causa e troverete la soluzione.

Falso rifiuto

Dopo il parto, normalmente i neonati succhiano bene nelle prime due ore. Ma nelle successive otto o dieci ore molto spesso sembrano appisolati e quasi non poppano. Bisogna offrire loro tutte le opportunità, tenerli a contatto pelle a pelle, avvicinarli al seno con il più piccolo pretesto… ma non bisogna neanche preoccuparsi troppo. Se passano tante ore e continuano a non poppare, bisognerà fare qualche sforzo in più per svegliarli, e se questo non risulta possibile, bisognerà togliersi il latte e darglielo con un contagocce o con un bicchierino.


Avvicinandosi al seno, i bambini si muovono come per cercarlo, con movimenti della testa da una parte all’altra. Alcune mamme dicono: “Sta dicendo che non lo vuole”. Ma un neonato non sa dire di no con la testa, sta solo cercando la mammella.


Quando qualcuno gli spinge la testa verso il seno, i neonati si spostano invece all’indietro. È un riflesso automatico. Per avvicinarlo al seno, spingetelo dalla schiena, non dalla testa.


Quando qualcosa li sfiora intorno alla bocca, sulla guancia, tra il labbro e il naso o sul mento, si muovono di riflesso verso ciò che li ha toccati. In circostanze normali, questo riflesso serve per trovare il capezzolo. Ma se quel che tocca loro la guancia è un dito della madre o di un’altra persona, o una piega del vestito, si allontaneranno dal capezzolo.


Man mano che crescono, come abbiamo detto prima, succhiano sempre più rapidamente. Si staccano dal seno e si rifiutano di continuare a poppare. Non insistete. In realtà, la causa più frequente di rifiuto del seno è che il bambino non ha fame.

Dolore o malattia del bambino

Molti bimbi alla nascita soffrono di un ematoma alla testa o di una frattura della clavicola, che possono essere dolorosi. Bisogna cercare la posizione in cui possono poppare senza avere disturbi. Può succedere la stessa cosa più avanti con le vaccinazioni; cercate di non fare pressione sulla zona dolente.


Quando sono intasati dal muco non riescono a respirare e succhiare contemporaneamente, ed è ovvio che preferiscono respirare. Potete stenderlo con la faccia rivolta verso l’alto e lasciar cadere goccia a goccia (non getto a getto) della soluzione fisiologica (vendono le fialette in farmacia) nelle narici. La mucosità secca si ammorbidisce e in pochi minuti il bimbo starnutisce e lo espelle. Attenzione con le perette per estrarre il muco: non mettetegliela nella narice perché potrebbe fargli male (ora le fabbricano smussate, ma anni fa erano appuntite), e non premete sulla narice, perché spingereste il muco ancora più all’interno.


I bambini che soffrono di una cardiopatia congenita a volte non vogliono poppare perché lo sforzo risulta essere troppo faticoso.


Se sentono dolore durante la deglutizione (otite, faringite…) non avranno molta voglia di succhiare.


Se sono nervosi e stanno piangendo da un po’, non ci sarà modo di attaccarli. Bisognerà tranquillizzarli prendendoli in braccio e allattarli dopo un momento.


Può essere che abbiano avuto un’esperienza sgradevole durante la precedente suzione; per esempio, se hanno sentito un rumore molto forte, o se vi hanno morso e vi siete arrabbiate.


Oppure risultano allergici a qualcosa che ha mangiato la madre: “Cade il latte nello stomaco e si mettono a piangere”. È importante distinguere questa situazione dalla crisi dei tre mesi. In un caso i bambini succhiano contenti e si staccano dal seno contenti, si arrabbiano solo quando si cerca di dare loro ancora del latte. Nell’altro caso, i bambini si mettono a piangere mentre stanno poppando, senza che nessuno li abbia obbligati a farlo. Si staccano dal seno piangendo, perché l’allergia provoca prurito e dolore alla bocca dello stomaco. Ma dato che non hanno ancora finito, dopo poco tempo vi cercheranno di nuovo, e torneranno a piangere… Non sa quel che vuole, litiga con il seno (pag. 106).

Problemi di tecnica

Se si è abituato a biberon e tettarelle, il bambino cercherà di prendere il seno come se fosse un biberon, spingendo con la lingua… e naturalmente il seno gli uscirà dalla bocca. (pag. 65).


Quando il bambino non è in una giusta posizione si può produrre un eccesso di ossitocina; il latte esce a getto e al bambino va di traverso (pag. 50).


Le creme sul capezzolo possono far sì che il bimbo scivoli via. A volte bisogna applicare una crema per qualche problema specifico: ragadi, funghi, infezioni al capezzolo… ma se non avete problemi, non mettetevi nessuna crema preventiva.


Se il seno è troppo pieno, non c’è un punto in cui il bimbo possa aggrapparsi. Cercate di svuotarlo un po’ prima di allattare (pag. 154).

Cambiamenti che disturbano il bambino

Alcune manovre troppo abituali in sala parto (sonde, aspirazioni, tettarelle, introduzione di un dito in bocca…) costituiscono una sgradevole esperienza, e provocano avversione orale. Il bambino non vuole più che gli sia messo qualcosa in bocca. Bisogna armarsi di tanta pazienza e tenerlo spesso in braccio.


Quando la madre è stata assente (per esempio se ha ripreso a lavorare) e ritorna, il bambino può reagire appiccicandosi a lei, o rifiutandola, o alternando i due atteggiamenti. È normale. Vostro figlio ha bisogno di molte coccole e molta attenzione per superare quel momento.


A volte, i bambini rifiutano il seno quando si accorgono che la madre non presta loro attenzione perché è impegnata a fare altro: discussioni familiari, problemi sul lavoro, preparativi per una festa, lavori in casa, visite inaspettate…


Alcuni bambini rifiutano il seno quando la madre è incinta o ha il ciclo; si dice che il sapore del latte cambi.


A qualcuno può non piacere il sapore di qualcosa che ha mangiato la madre (pag. 176), o il sapore salato della pelle se la madre sta sudando, oppure il sapore o l’odore del sapone, del profumo, di una crema o di un deodorante.


Molti bambini, un po’ più grandi, si distraggono guardandosi intorno. A volte, per un periodo, bisogna cercare un luogo tranquillo per allattare.


Se il bimbo si spaventa per un forte rumore o un brusco movimento durante la suzione, può essere che se ne ricordi alla poppata successiva e che non voglia succhiare.

Rifiuto unilaterale

È assolutamente normale che un bambino prenda un seno ogni volta. A volte chiedono il secondo, e a volte no. Altra cosa è se vogliono sempre lo stesso seno, e l’altro non lo cercano assolutamente.


Forse uno dei due seni è più difficile da prendere, perché il capezzolo è piatto, o perché è troppo grosso e non gli sta in bocca.


Magari è scomoda la posizione succhiando da uno dei due seni, perché sente dolore a un orecchio, o alla clavicola, o alla coscia in cui gli è stata fatta la vaccinazione, o perché la madre cerca di destreggiarsi a prenderlo con un braccio invece che con l’altro. In questi casi, è utile allattarlo in un’altra posizione, con i piedi dall’altro lato o sostenendolo con l’altro braccio.


In caso di mastiti, la concentrazione di sodio nel seno infetto aumenta. Il latte è salato, e alcuni bimbi lo rifiutano. Il sodio aumenta sempre quando la produzione di latte diminuisce, e siccome il latte diminuisce quando il bambino non poppa, si crea un circolo vizioso.


Inizialmente, con molta pazienza e provando diverse posizioni, è possibile che alla fine il bambino accetti l’altro seno. Nel frattempo dovrete togliervi il latte per evitare ingorghi, per mantenere costante la produzione e per evitare che aumenti il sodio nel latte. Se vostro figlio ingrassa normalmente, non dategli il latte che avete estratto (potete congelarlo per quando riprenderete a lavorare), perché se il bimbo è già sazio e oltre tutto gli offrite ancora più latte, avrà ancor meno interesse a poppare.


Se il bambino non accetta il seno per qualche giorno, forse è meglio abbandonare i tentativi, smettere di togliersi il latte poco a poco e continuare l’allattamento con un seno solo (cosa perfettamente possibile). Un seno solo può produrre latte sufficiente per un bambino, e nell’altro seno la secrezione di latte si inibirà completamente. L’unico problema sarà estetico: se la differenza di dimensioni è molto visibile, potete mettervi un’imbottitura nel reggiseno.


Anche se è molto raro, in alcuni casi, mesi dopo che il bambino rifiuta uno dei seni, vi si può scoprire un tumore. Forse questo influisce sul sapore del latte. Insisto, è molto raro, e il rifiuto è quasi sempre dovuto a un altro motivo (oppure la cosa è immotivata). Se un bambino che succhiava normalmente da entrambi i seni, improvvisamente ne rifiuta uno, e tutti i tentativi per riprendere falliscono, verificate dopo qualche giorno che non ci sia alcuna massa (dico dopo qualche giorno perché in quel momento, quando il seno sta producendo ancora latte e il bambino non succhia, ci saranno per forza dei rigonfiamenti). E ricontrollate dopo alcuni mesi.


Healow LK, Hugh RS, Oral aversion in the breastfed neonate, in “Breastfeeding abstracts”, num. 20, 2000, pp. 3-4.


www.lalecheleague.org/ba/Aug00.html


Saber A, Dardik H, Ibrahim IM, Wolodiger F, The milk rejection sign: a natural tumor marker, in “Am Surg”, num. 62, 1996, pp. 998-999.

Come superare il rifiuto

Bisogna armarsi di pazienza, porgere il seno ma senza cercare di forzare il bambino, tenerlo tanto in braccio e fargli molte coccole. Provate diverse posizioni.


Se il rifiuto persiste, dovrete togliervi il latte e darglielo con un bicchierino. Alcuni bambini rifiutano il latte se gli viene dato dalla madre, bisogna che lo faccia qualcun altro. Non prendetevela, pensate a come si deve sentire male vostro figlio se arriva a un tale comportamento.


Non cercate di vincerlo con la fame. Quando è molto affamato, probabilmente popperà ancora peggio. È meglio dargli il latte prima con un bicchiere, e allattare quando non sarà né affamato né arrabbiato. Provate con il contatto pelle a pelle.


Non cercate di attaccarlo al seno a forza, di aprirgli la bocca, di spingerlo… di solito è controproducente, finirete per piangere sia voi che vostro figlio, e la sgradevole esperienza contribuirà a perpetuare il rifiuto.

Il peso

Il peso dei bambini è causa di molte ansie immotivate. Molte volte i medici esigono un determinato peso e spaventano i genitori quando in realtà non c’è alcun problema. A volte, per reazione, alcuni arrivano all’altro estremo: “Se si attacca al seno, va bene, il peso non importa”. Certo che importa! Un bambino che aumenta solo di 200 grammi tra il primo e il secondo mese ha un problema serio. In molti casi, una persona con esperienza non ha bisogno di pesare il bambino per capire se sta benissimo o se è denutrito. Ma in caso di dubbio è necessario verificare il peso con cura attraverso i grafici, e in questo confronto si commettono di solito molti errori.

Le curve del peso non sono rette

Se lo fossero, tutti i lattanti aumenterebbero della stessa quantità ogni mese. Proprio perché non è così, perché ingrassano ogni mese di meno rispetto al precedente, sono curve. Lo stesso bambino che nei primi due o tre mesi ingrassava di 500, 1.000 o addirittura 1.500 grammi al mese, può aumentare solo di 200 al quarto mese o non aumentare affatto fra il nono e il dodicesimo. A volte sembra che i bambini che aumentano di più all’inizio siano quelli che ingrassano meno nei mesi successivi, come se ingrassassero in unica soluzione invece che a rate.

La metà dei bambini è sotto la media

Per questo si chiama media. I bambini che sono sotto la media sono tanto normali quanto quelli che si trovano sopra. Un bambino che è sotto la media non è sottopeso ma è completamente normale. Di fatto, se tutti i bambini fossero sopra la media il Ministero della Sanità dichiarerebbe l’allarme sanitario: sarebbe la maggior epidemia di obesità infantile della storia.


E il 3% dei bambini sta sotto il percentile tre (la lineetta in basso del grafico). Non il 3% di tutti i bambini, ma il 3% di quei bambini che sono stati pesati per produrre il grafico. Che, per definizione, erano bambini sani e normali: non erano prematuri, non erano ricoverati in ospedale, non soffrivano di una cardiopatia congenita. Così, nella vita reale, più di un 3% dei bimbi è sotto il percentile tre. Forse un 4 o 5%. Il pediatra deve distinguere i tre che sono sani dal quarto, che può essere malato.


Dato che in Spagna ci sono circa 400.000 nascite all’anno, ci sono 12.000 bambini e bambine sotto il percentile tre. Più altri 12.000 bambini e bambine di un anno, e 12.000 di due anni, e 12.000 di tre anni…

I grafici del peso non sono percorsi obbligati

Le lineette del grafico sono rappresentazioni artistiche (cioè, esteticamente belle) di funzioni matematiche. Non hanno nulla a che vedere con la reale crescita dei bambini. È assolutamente normale che i bambini taglino una o due linee verso l’alto o verso il basso (chiaramente non di colpo, ma nell’arco di mesi), sia nel peso che nella statura. È normale che salgano di percentile nel peso e si abbassino nella statura, o il contrario.


Mei Z, Grummer-Strawn LM, Thompson D, Dietz WH, Shifts in percentiles of growth during early childwood: analysis of longitudinal data fron the California Child Health and Development Study, in “Pediatrics”, num. 113, 2004, pp. e617-627.


http://pediatrics.aappublications.org/cgi/content/full/113/6/e617

Se davvero non ingrassa…

Se un bambino pesa davvero molto poco, o aumenta molto lentamente, ed esce dalla normalità, questo può essere dovuto a diverse motivazioni:

  1. Il bambino è molto basso o molto magro, ma è sano. Un caso particolare è il ritardo costituzionale della crescita (pag. 132).
  2. È affetto da una malattia che colpisce principalmente la crescita (deficit di ormoni della crescita, sindrome di Down…).
  3. Il bambino è denutrito, fatto che a sua volta può essere dovuto a:

a. Denutrizione conseguente a una malattia che interferisce con l’assunzione degli alimenti (diarrea, celiachia, fibrosi cistica…) o col meta-bolismo (diabete…), che aumenta il consumo energetico (febbre…), che provoca perdite di nutrimenti (sindrome nefrosica, parassitosi…) o diminuzione dell’appetito (tubercolosi, infezione urinaria, tracheomalacia, infezione virale e otite cronica…).


b. Apporto insufficiente di alimenti (denutrizione primaria).


In quest’ultimo caso, se il bambino sta assumendo esclusivamente latte materno, possiamo così distinguerne le cause:

  • tecnica errata di allattamento (durata o frequenza insufficiente delle suzioni, interferenza di succhiotti, acqua o infusioni; posizione scorretta, soppressione delle poppate notturne…), o problema fisico che ostacoli la suzione (frenulo linguale). La maggior parte dei bambini che ingrassa poco se allattato al seno non ha bisogno di biberon, ma di più seno.
  • ipogalattia primaria; cioè, scarsità di latte dovuta a cause materne e che non risponde ai provvedimenti abituali (aumentare la frequenza delle suzioni, correggere la posizione…). L’ipogalattia può essere curabile, come l’ipotiroidismo, o incurabile (al momento), come l’agenesia del tessuto mammario.

Solo in quest’ultimo e improbabilissimo caso di ipogalattia primaria non trattabile, la soluzione ottimale consisterebbe nell’iniziare un allattamento misto. In alcuni casi, può essere che l’allattamento misto sia necessario solo in forma transitoria, fino a che non si riesce a diagnosticare il reale problema e a trovare una soluzione. Non disponiamo di dati sulla frequenza relativa delle distinte cause del basso peso, tuttavia l’esperienza indica che nel nostro Paese [Spagna] le più frequenti sono: a) il bimbo è piccolo ma è sano; b) la malattia intercorrente del lattante (normalmente leggera); c) il frenulo linguale e d) la tecnica errata di allattamento (orario restrittivo, biberon di acqua…), fortunatamente sempre meno frequente.


Nonostante tutto, molti medici reagiscono automaticamente: “Ingrassa poco, gli dia un biberon”, senza far caso a nient’altro, senza pensare a nient’altro. Prima si svezza il bambino, e solo dopo averlo svezzato, se continua a non ingrassare, si prende sul serio il problema e si fanno gli esami necessari per venire a scoprire un’infezione nelle urine, una celiachia, una fibrosi cistica… È molto triste, ma alcune mamme si sentono obbligate a mentire e a negare l’allattamento al seno, affinché il medico visiti veramente il loro figlio.

I nuovi grafici con i bambini allattati al seno

Qualche anno fa in Spagna si usavano grafici del peso tracciati sulle percentuali di bambini che, per la maggior parte, prendevano poco o niente dal seno. L’OMS ha pubblicato nuovi grafici, basati esclusivamente sulla crescita di bambini con una normale alimentazione (ovvero, allattamento materno per più di un anno, senza assunzione di nessun altro alimento prima dei sei mesi). Potete consultarli al sito www.who.int/childgrowth. Non si tratta di creare grafici distinti, uno per i bambini allattati al seno e l’altro per quelli allattati con il biberon. Ci sarà solo un grafico, per tutti i bambini. L’obiettivo dell’allattamento artificiale è ottenere che i bambini crescano come se fossero stati allattati al seno. Settant’anni fa, i bambini che prendevano il biberon ingrassavano meno. Ora, a partire dal sesto mese ingrassano di più. Si dovrà continuare a fare ricerche, fino a ottenere un latte artificiale che non provochi obesità.


I grafici dell’OMS, paragonati a quelli che si usavano prima in Spagna (proposti dalla Fundación Orbegozo), sono praticamente identici fino al sesto mese. Ma a partire dal quinto o sesto mese, il grafico dell’OMS è più basso di un centinaio di grammi circa rispetto a quello spagnolo. Ogni lineetta è più bassa: la media, il percentile tre e il percentile novantasette. Ciò significa che un bambino di otto mesi, che nel grafico spagnolo scende “sotto la lineetta” di 300 g, è probabile che nel grafico dell’OMS sia “dentro la lineetta”. Ma si tratta di una differenza impercettibile che interessa solo pochissimi bambini. In molti casi, il problema non è il grafico, ma la sua interpretazione. Chi assicura che i bambini sono “sotto peso” se sono sotto la media, o che invece perdono peso quando si abbassa il percentile, continuerà a ripetere le stesse cose, spaventando senza motivo i genitori, anche con i nuovi grafici.

Non ha senso pesare i bambini tutte le settimane

Il peso aumenta dopo la suzione e diminuisce facendo cacca o pipì. In un periodo breve, le variazioni accidentali di peso e gli errori nelle misure sono così grandi in relazione all’aumento sperato che è impossibile valutare il risultato. Tranne che in casi specifici che richiedono un controllo diligente (come i primi giorni, fino a che recupera il peso della nascita, o in caso di malattia), è inutile (e si presta a gravi errori) pesare il bimbo più di una volta al mese (o più di una volta ogni due mesi fra il sesto e il dodicesimo).


Vostro figlio non ingrassa di più se lo pesate spesso. Ingrassa se lo allattate.

Ritardo costituzionale della crescita

Quando un bambino non ingrassa perché non mangia, il suo peso è insufficiente ma la statura è nella norma. A lungo termine, la denutrizione modificherà anche la statura, non però in principio. Il rapporto peso/statura è sotto il normale.


Ma se vostro figlio ingrassa poco e cresce poco, e la relazione peso/statura è nella norma, il problema è molto diverso. Probabilmente è necessario fare degli esami per scartare altre malattie, come il deficit di ormoni della crescita. Ma bisogna tenere conto di due normali variazioni, che non sono malattie, e la cui mancanza di conoscenza provoca preoccupazioni inutili.


Una è molto evidente: la piccola statura familiare. Il padre è basso, la madre è bassa, e il bambino sarà basso quando crescerà.


Il ritardo costituzionale della crescita è meno conosciuto, e causa più rompicapi. È il motivo più frequente della bassa statura e del ritardo della pubertà. Verso i tre o i sei mesi di età, la velocità di crescita in peso e statura diminuisce. Il bambino si situa nel percentile tre o inferiore sia di peso che di statura, ma il peso è proporzionale alla statura. L’età ossea è ritardata, ma concorda con la statura. Dopo i due o tre anni, la velocità di crescita torna ad accelerare, e i bambini crescono nella parte bassa della curva o sotto il percentile tre, ma in modo parallelo. La tirata puberale è posticipata, pertanto per alcuni anni escono ancor più dal grafico, ma hanno un maggior tempo per crescere. Alla fine arriva la pubertà, e la taglia adulta risulta nella norma. Di solito esistono antecedenti familiari. Può tranquillizzarvi chiedere alla nonna, che di solito vi dirà che uno o entrambi i genitori o altri membri della famiglia: “sono sempre stati bassi”, o “erano bambini malaticci”, o “il medico del paese gli dava sempre vitamine”, e alla fine sono cresciuti normalmente…


È una situazione assolutamente normale che non richiede alcuna cura. Purtroppo molti di questi bambini, quando iniziano a crescere più lentamente dopo i primi tre mesi, sono curati (naturalmente senza alcun effetto) con biberon supplementari, introduzione precoce di alimenti o svezzamento forzato.


Per chiarire, visto che abbiamo menzionato l’età ossea, parliamone: ho visto molti genitori angosciati perché era stato detto loro che i figli avevano un’età ossea ritardata. Primo, l’età ossea non coincide esattamente con l’età cronologica; un anno più o meno è semplicemente normale, e i ritardi che hanno un’importanza clinica sono di due o tre anni. Se vi parlano di un ritardo di nove mesi, potete mettervi a ridere. Secondo, in generale quel che è male non è avere l’età ossea ritardata, ma anticipata. Se un bambino è bassino e ha l’età ossea normale o, ancor peggio, anticipata, vuol dire che smetterà di crescere alla stessa età degli altri bambini, e può rimanere piccolo. Invece, se l’età ossea è ritardata di tre anni, vuol dire che potrà crescere tre anni in più e avrà, quindi, più tempo per aumentare.


Clark PA, Constitutional growth delay, 2017.


http://emedicine.medscape.com/article/919677

Un dono per tutta la vita - Seconda edizione
Un dono per tutta la vita - Seconda edizione
Carlos González
Guida all’allattamento materno.Un vademecum indispensabile, con tante informazioni pratiche per aiutare le madri che desiderano allattare a farlo senza stress e con soddisfazione. Dopo i bestseller Bésame mucho e Il mio bambino non mi mangia, Carlos González, in una seconda edizione ampliata e aggiornata, con Un dono per tutta la vita torna a parlare di una delle sue grandi passioni: la difesa dell’allattamento materno.Il suo obiettivo non è convincere le madri ad allattare, né dimostrare che allattare al seno sia meglio, bensì offrire informazioni pratiche per aiutare quelle mamme che desiderino allattare a farlo senza stress e con soddisfazione.Nel seno, oltre al cibo, il bimbo cerca e trova affetto, consolazione, calore, sicurezza e attenzione.Non è solo una questione di alimentazione: il bimbo reclama il seno perché vuole il calore di sua madre, la persona che conosce di più.Per questo motivo, la cosa importante non è contare le ore e i minuti o calcolare i millilitri di latte, ma il vincolo che si stabilisce tra i due, una sorta di continuazione del cordone ombelicale.L’allattamento è parte del ciclo sessuale della donna; per molte madri è un momento di pace, di soddisfazione profonda, in cui riconoscono di essere insostituibili e si sentono adorate.È un dono, sebbene sia difficile stabilire chi dia e chi riceva. Conosci l’autore Carlos González, laureato in Medicina presso l’Università Autonoma di Barcellona, si è formato come pediatra presso l'ospedale Sant Joan de Déu.Fondatore e presidente dell’Associazione Catalana per l’Allattamento Materno, tiene corsi sull’allattamento per personale sanitario e traduce libri sul tema. Dal 1996 è responsabile del consultorio sull’allattamento materno e da due anni cura la rubrica dedicata della rivista Ser Padres.È sposato, padre di tre figli e vive a Hospitalet de Llobregat, in provincia di Barcelona.