CAPITOLO V

Inizio dell'allattamento

Ospedali amici dei bambini

Nel 1989, l’OMS e l’UNICEF pubblicarono insieme un documento intitolato “L’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L’importanza del ruolo dei servizi per la maternità.”, in cui per la prima volta venivano presentati i dieci passi per il successo dell’allattamento al seno:


Tutti i servizi per la maternità e di attenzione ai neonati dovranno seguire i seguenti dieci punti per promuovere un felice allattamento naturale:

  1. Definire un protocollo scritto per l’allattamento, di cui sia informato tutto il personale.
  2. Offrire a tutto il personale le competenze necessarie ad applicare il protocollo scritto.
  3. Informare tutte le donne durante la gravidanza dell’importanza dell’allattamento e fornire loro indicazioni corrette per praticarlo.
  4. Aiutare le madri a iniziare l’allattamento entro mezz’ora dal parto.
  5. Mostrare alle madri come mantenere l’allattamento in caso di separazione dal bambino.
  6. Non somministrare al neonato altri liquidi diversi dal latte materno, se non dietro espressa prescrizione medica.
  7. Praticare il rooming-in, cioè lasciare mamma e bambino nella stessa stanza, 24 ore su 24.
  8. Incoraggiare l’allattamento a richiesta.
  9. Non usare tettarelle o succhiotti.
  10. Favorire la creazione di “gruppi di sostegno”, a cui le mamme possano rivolgersi dopo le dimissioni dall’ospedale.

Più tardi, nel 1991, l’OMS e l’UNICEF lanciarono l’Iniziativa Ospedale Amico dei Bambini (IOAB, in inglese BFHI, Baby-Friendly Hospital Initiative), con l’obiettivo che tutti gli ospedali del mondo mettessero in pratica questi dieci punti. In ogni Paese si designò un comitato che amministrasse e seguisse l’iniziativa. Il comitato spagnolo è formato da rappresentanti dell’UNICEF, del Ministero della Salute, delle organizzazioni di professionisti sanitari, di gruppi di madri e di associazioni di appoggio all’allattamento. In Spagna (ma non negli altri paesi ispanofoni) il nome è stato tradotto mantenendo la stessa sigla: IHAN, ovvero “Iniciativa para la Humanización de la Asistencia al Nacimiento y la Lactancia”.

Gli ospedali che volontariamente lo richiedono sono messi sotto esame (che è molto rigoroso). Se rispettano questi dieci passi, viene concesso il titolo di Ospedale Amico dei Bambini. In Spagna ci sono attualmente (2017) diciassette ospedali IHAN, più altri ottanta ospedali in fasi diverse del processo; inoltre, questi dieci passi sono stati adottati per valutare in maniera analoga anche i centri sanitari, di cui quattro sono del tutto accreditati e più di cento sono in corso di valutazione. Potete consultare la lista nel sito www.ihan.org.es1.


Se nella vostra zona esiste un ospedale amico dei bambini, vale la pena partorire lì. Se non c’è, non disperate. Eseguire esattamente i dieci passi e ottenere il titolo è molto difficile, ma per fortuna esistono molti altri ospedali che, anche se non raggiungono la perfezione, vi si avvicinano sufficientemente.


Chiedete al vostro ginecologo e alla vostra ostetrica, chiedete ad amiche e conoscenti che abbiano partorito recentemente, e non esitate a visitare di persona gli ospedali e chiedere informazioni.


Vi interesserà sapere com’è il trattamento per il parto, se potrete camminare durante la dilatazione e mettervi coccoloni o nella posizione che desiderate durante il parto stesso, e se potrà essere presente vostro marito o la persona che voi vorrete, se hanno l’abitudine di rasare, di fare clisteri o episiotomie… Parlare in dettaglio di come dovrebbe essere un parto normale si allontana dalle finalità di questo libro. Troverete numerose informazioni alle seguenti pagine:

  • Trattamento per il parto normale. Ministero della Sanità e delle Politiche Sociali
    http://www.msssi.gob.es/organizacion/sns/planCalidadSNS/atencionParto.htm
  • Organizzazione Mondiale della Sanità
    World Health Organization. Pregnancy, childbirth, postpartum and newborn care: A guide for essential practice, 3rd ed., WHO, Ginevra 2015
    www.who.int/reproductivehealth/publications/maternal_perinatal_health/pcpnc-guide/en
  • Improving Birth Coalition (Coalizione per il miglioramento delle condizioni del parto)
    www.motherfriendly.org
  • Iniziativa “Parto Normale”. Federación de Asociaciones de Matronas de España
    http://www.federacion-matronas.org/ipn
  • El parto es nuestro
    www.elpartoesnuestro.es

Risulta anche molto interessante la descrizione che fa la dottoressa Nylander sull’assistenza al parto in Norvegia, nel suo libro Becoming a mother.


È importante conoscere anche qual è la percentuale di cesarei nel vostro ospedale. In alcuni casi il cesareo è imprescindibile, e permette di salvare la vita alla madre, al bambino o a entrambi. Ma si eseguono anche molti cesarei che non sono necessari. In Spagna, la media nazionale è del 20%2. Per logica le piccole cliniche e gli ospedali regionali, che non ospitano gravidanze ad alto rischio, dovrebbero presentare meno cesarei; i grandi ospedali, dove invece si gestiscono quelle ad alto rischio, dovrebbero registrare più cesarei. E nonostante questo ci sono grandi ospedali nel nostro Paese con meno del 15% di cesarei, e piccole cliniche con più del 35%. Non abbiate timore a chiedere qual è stata la percentuale di cesarei nel vostro ospedale l’anno precedente; è un dato che dovrebbe facilitarvi la scelta.


Ma torniamo al nostro argomento: l’allattamento. Verificate quali dei dieci passi precedenti eseguono gli ospedali della vostra zona. È particolarmente importante sapere se già in sala parto appoggerano il bambino al seno, e se potrete tenerlo nella vostra stanza giorno e notte. Accertatevi, chiedendo ad altre madri, se davvero rispettano quel che han detto o se sono solamente belle teorie. Verificate anche se il personale è disponibile, se è favorevole all’allattamento, se sono stati in grado di risolvere i piccoli problemi delle madri.


Se non avete altra scelta che partorire in un ospedale in cui la madre non può tenere il figlio se non dopo molte ore dal parto, o in cui il bambino viene separato durante la notte (può essere che addirittura ci siano ospedali in cui il bambino è riportato solamente ogni tre ore per la poppata), o in cui somministrano siero glucosato a tutte, siete ancora in tempo a cambiare le cose. Vi restano molti mesi di gravidanza; lottate per la vostra salute e per quella di vostro figlio.

Contate su due armi importanti, la ragione e le raccomandazioni dell’Associazione Spagnola di Pediatria, che chiunque può consultare sul sito www.aeped.es/comite-lactancia-materna3. Se è necessario potete stamparle e distribuirle a chi ne ha bisogno. I medici non sono obbligati a seguirle (non è una legge, solo una raccomandazione scientifica), ma almeno non potranno dire: “Queste sono le stupidaggini dei fanatici dell’allattamento”. Dovranno ascoltarvi, e forse darvi retta, e come minimo cercare di spiegare la loro obiezione.


Se il problema è che la madre o il bambino devono stare due ore (o quelle che siano) in osservazione dopo il parto, molto bene, chiedete che vi “osservino” insieme. Per l’ospedale dovrebbe essere più comodo, non serve che un’infermiera si occupi del bimbo e un’ostetrica della madre, ma basta una sola persona per tutti e due. Se il problema è che “qui abbiamo sempre fatto così” o “sono le regole”, chi detiene l’autorità per permettere un’eccezione? In questo momento non state chiedendo che vengano cambiate le regole; non state chiedendo che mettano tutti i bambini insieme alle loro madri. Chiedete solo che vostro figlio stia con voi. Il primario di pediatria non ha l’autorità sufficiente per permetterlo? O il direttore medico? Arrivate dove dovete arrivare. Se porranno molta resistenza, ma alla fine cederanno, conviene chiedere che venga scritto sulla vostra cartella clinica (non dite che è questione di fiducia; certo che vi fidate!… però, se partorisco una domenica e i medici di guardia non sanno che il capo ha dato la sua autorizzazione?). Se per tenere vostro figlio con voi tutta la notte avete dovuto pregare e supplicare, cercate di far sì che qualcuno (vostro marito o vostra madre, per esempio) vi accompagni durante le notti per aiutarvi col bambino. Perché se dopo aver rotto le scatole vi viene in mente di dar fastidio a mezzanotte per qualsiasi cosa, immaginatevi i commenti.


Più di vent’anni fa venni a conoscenza di una clinica in cui dicevano che avrebbero lasciato il bambino in stanza con la madre solo se questa avesse firmato un documento che liberasse l’ospedale dalla responsabilità in caso di morte del bimbo durante la notte. Come se i neonati non facessero altro che morire! Non era altro che un colpo basso per sottomettere le madri col terrore. Naturalmente un documento del genere non ha alcun valore legale; l’ospedale è obbligato ad occuparsi di vostro figlio per qualsiasi problema. E le sale nido non sono unità di vigilanza intensiva, i bambini passano la notte soli senza che nessuno li controlli se non di tanto in tanto e da lontano. Venni a sapere anche di una clinica privata in cui il problema, in definitiva, era economico. Il servizio di nursery si pagava a parte; se la madre accettava di pagarlo comunque, poteva tenere il bambino con sé in stanza. Voglio credere che questi abusi non esistano più nel nostro Paese4.

La montata lattea

Verso il terzo giorno, la madre inizia a sentire i seni più pieni, fenomeno che si conosce come montata lattea (in molti paesi americani lo chiamano “discesa”). Decenni fa, quando non mettevano il bimbo al seno prima di ventiquattro o quarantotto ore dal parto (o più), e addirittura, a quei tempi, con stretti vincoli, le montate lattee erano spettacolari. Alle nostre madri o nonne venivano seni come pietre, e addirittura avevano febbre (la febbre da latte, che non è dovuta a un’infezione, ma a un’infiammazione, alla rottura dei condotti a causa della pressione del latte accumulato, che fuoriesce e agisce come un corpo estraneo). Alcune nonne raccontano queste storie con lo stesso entusiasmo con cui i nonni raccontano delle loro guerre, e il risultato è che alcune madri si sentono deluse e preoccupate. Perché oggigiorno, anche negli ospedali in cui non si fa tutto in maniera perfetta, le cose sono cambiate. Si inizia l’allattamento nelle prime ore, il bambino sta con la madre almeno durante il giorno e l’orario è come minimo flessibile, se non completamente a richiesta. Siccome il bambino svuota il seno, non si arriva ad accumulare tale quantità di latte. Quei seni come pietre si considerano oggi una malattia, l’ingorgo mammario (vedi pag. 153), e la maggioranza delle madri si accorge solo di un aumento lieve o moderato della dimensione del seno. Alcune non notano nulla. Più di una madre mi ha detto, dopo quindici o venti giorni, che ancora non le era montato il latte. Se il bambino stesse perdendo peso, potrei crederlo; ma quando il bambino ingrassa ed è felice come una pasqua, e non prende biberon, allora da qualche parte si starà pur nutrendo.


In alcune occasioni si producono due montate del latte. Per esempio, se un neonato è attaccato in modo sbagliato al seno, o non succhia in modo corretto e non aumenta di peso, e dopo una o due settimane inizia a succhiare bene (o la madre inizia a estrarsi in continuazione il latte con un tiralatte), è possibile che dopo due o tre giorni dal cambiamento la madre si senta le mammelle improvvisamente molto piene. È importante saperlo, perché qualche mamma, spaventata, è andata al pronto soccorso. Se le dicono solamente con un sorriso “Non si preoccupi signora, è la montata lattea”, avrà solo perso del tempo. Ma si è verificato almeno un caso in cui le è stata diagnosticata una mastite (primo errore, perché non era vero), le hanno somministrato amoxicillina (secondo errore, questo antibiotico agisce raramente contro la mastite) e le hanno detto che avrebbe dovuto smettere di allattare il bambino (terzo errore, perché con la mastite non bisogna svezzare).


Ci sono state anche madri che hanno avvertito un’altra montata lattea quando il figlio, di diversi mesi o anni, ha aumentato di colpo la frequenza delle poppate. Per esempio, una bambina di due anni che era in vacanza e che non trovava di suo gradimento nessuno dei piatti del buffet dell’hotel.

La perdita di peso

I neonati perdono peso, e dopo alcuni giorni lo recuperano di nuovo. Tutto questo è normale.


Di solito perdono da un 4 a un 6% del peso della nascita, e lo recuperano nell’arco di una settimana. Alcuni perdono qualcosa in più, o ci mettono più giorni a recuperarlo, ma si accetta comunque come un fenomeno normale. Fino a quando (e fino a quanto) si può considerare normale? Per molto tempo i pediatri hanno affermato che il bambino poteva perdere massimo un 10 o addirittura un 12% del peso. Alcuni bambini che nascono con un peso molto elevato (come quattro chili o più) possono perderne un po’ di più, circa il 14 o 15%. Il peso così consistente alla nascita è dovuto a volte alla ritenzione idrica, e si perde tutto attraverso l’urina; questi bambini diminuiscono maggiormente e ci mettono più tempo a recuperare. Quando è stata somministrata un’elevata dose di soluzione fisiologica alla madre durante il parto, il bambino nasce a volte gonfio, e in poche ore perde molto peso che era dovuto solamente a un eccesso di liquidi. Come si capisce se ha perso grasso o solo acqua? Perché il grasso non si può perdere da un giorno all’altro, e il peso cala gradualmente in diversi giorni.


Sorprendentemente, fino all’inizio del XXI secolo non sono mai stati effettuati studi scientifici approfonditi sul tema della perdita di peso normale nei bambini allattati al seno. La dottoressa Bertini, in un ospedale italiano dove suppongo che sia davvero meraviglioso partorire (rispetto per il parto, contatto pelle a pelle, allattamento immediato e a richiesta…), rilevò che neanche uno tra più di 1.700 neonati aveva perso fino a un 10% del proprio peso; la media della perdita di peso era sotto il 6%. Si trattava solo di bambini nati con parto vaginale, senza complicazioni.


Poco dopo, negli Stati Uniti, la dottoressa Flaherman raccolse i dati di più di 100.000 bambini nati in vari ospedali che potremmo definire “normali”, che non fanno un grande sforzo per promuovere l’allattamento al seno. Riscontrò che molti bambini perdevano più del 10% del loro peso iniziale: 5 su 100 tra i nati con parto vaginale, e fino a 25 su 100 tra i nati con parto cesareo.


Per quanto riguarda la data limite per recuperare il peso della nascita, ci sono ancora meno dati. Alcuni autori parlano di due settimane al massimo, altri di tre, la maggioranza non dice semplicemente nulla. Sono evidentemente cifre arbitrarie e arrotondate. Personalmente ho seguito due bambine che ci hanno messo ventidue giorni a recuperare il peso della nascita.


Quel che non si può fare è restare a braccia conserte aspettando che il neonato ingrassi da solo. Di sicuro molti dei bambini che perdono un 8 o 10% di peso recupereranno spontaneamente in pochi giorni, indipendentemente da quel che fa la madre. Ma ce ne sono altri che continuano a diminuire, fino ad accusare gravi problemi. Arriva il momento in cui si entra in un circolo vizioso: il bambino è talmente debole che non piange, dorme soltanto, sembra tranquillo; e se, nonostante non pianga, lo attaccano al seno, quasi non succhia perché non ha la forza per poppare. Ci sono stati bimbi ricoverati in terapia intensiva dopo aver perso circa il 30% di peso. Altri sono morti. Non dico tutto questo per spaventare le future mamme; questi problemi sono rari e, soprattutto, prevedibili. Un bambino non perde il 30% di peso, così, da un giorno all’altro. Prima avrà perso un 10, un 15, un 20%. Ci vogliono molti giorni. Durante questi giorni, una persona che abbia esperienza nota che il neonato non sta poppando bene, che il suo comportamento non è normale, che è troppo addormentato. E, se manca l’esperienza, una semplice bilancia ci avverte con sufficiente anticipo che bisogna prendere provvedimenti. Bisogna fare qualcosa molto prima che perda un 10%. Bisogna fare qualcosa se non recupera il peso in alcuni giorni. Bisogna verificare che stia poppando nella posizione corretta e con un’adeguata frequenza, almeno otto o dieci volte al giorno (meglio se sono 12 o più). Non distraetelo perché “resista un po’ tra poppata e poppata”; al contrario. Non fategli perdere tempo con un succhiotto: il succhiotto non ingrassa! Non aspettate che pianga dalla fame per attaccarlo al seno. Bisogna stare attente ai segnali anticipati della fame: si sveglia, si agita, gira la testa in cerca di qualcosa, emette versi, muove labbra e lingua, porta le manine alla bocca…


Se nonostante tutto perde un 8%, conviene praticare la compressione mammaria (si veda più avanti), e se anche questo non funziona (o se vi rimane tempo), estraetevi il latte per darglielo dopo in un bicchierino o con un contagocce.


Quando un bambino sta succhiando male, quale che sia il motivo, togliersi il latte porta molti vantaggi: si stimola la produzione, si vede il latte (e questo può mettere a tacere tutti quelli che dicono: “Non hai latte”), si può dare con altri metodi e far sì che ingrassi. Se si estrae il latte e si prova a darlo al bambino ma lui lo rifiuta e non lo beve, se si deve buttare il latte perché non si sa che cosa farsene, allora potete stare sicure che il problema non è la mancanza di latte, e che non si potrà risolvere con un biberon. Se il bimbo non ingrassa, ma nello stesso tempo non vuole una maggior quantità di latte, probabilmente gli sta succedendo qualcosa. Il vostro pediatra dovrà osservarlo a fondo.


Molto importante: togliersi il latte non è semplice, e all’inizio non esce niente. Questo non vuol dire che non avete latte, ma solo che non lo sapete estrarre. Avrete bisogno di alcuni giorni per imparare. Una cosa fondamentale: cominciate a togliervi il latte non appena sperimentate le prime difficoltà con l’allattamento, e fatelo varie volte al giorno, almeno sei o otto, continuando a insistere anche se esce solo qualche goccia. È molto triste osservare un bambino di poche settimane o pochi mesi di vita con un grande deficit di peso. “Ti sei tolta il latte?”, “Ci ho provato un paio di volte, tre settimane fa, ma siccome sono riuscita a estrarre solo 5 ml alla fine ho lasciato perdere”. Beh, se solo questa mamma si fosse tolta 5 ml per otto volte al giorno, ora avrebbe ben 40 ml. E se lo avesse fatto per molti giorni di seguito, presto avrebbe ottenuto forse 10, 20, o 30 ml a ogni sessione. Quando il bambino smette di poppare rimane sempre un po’ di latte. Soprattutto se il bambino poppa male (motivo per cui non prende peso, perché se poppasse nella maniera corretta sarebbe già ingrassato). Estraendo quegli ultimi 5 ml di latte si trasmette al seno l’ordine di produrre più latte. Se il latte non viene tolto, il seno pensa: “Non c’è bisogno di produrre più latte, sono avanzati 5 ml”. Il seno non ha modo di sapere se il bambino sta prendendo peso o meno, tutto ciò che “sa” è quanto ha poppato. Se il bambino, per qualsiasi motivo, poppa troppo poco, il seno crede che sia avanzata una gran quantità di latte e decide che non è necessario produrne così tanto. Inoltre, durante le prime settimane, il seno solitamente reagisce molto bene: non appena si comincia ad estrarre il latte con regolarità, la produzione aumenta rapidamente. Anche dopo qualche mese è possibile aumentare la produzione di latte, ma il processo è molto più lento e richiede sforzi maggiori.


Quando il problema è serio e richiede un aumento rapidissimo della produzione di latte, è molto utile iperstimolare il seno mediante l’estrazione intensiva del latte, quella che ora viene chiamata “estrazione potente”. Il procedimento consiste nell’estrarre il latte per dieci minuti (cinque minuti a seno) ogni ora, oppure ogni tre quarti d’ora, nell’arco della giornata, e almeno una volta durante la notte. Oltre a continuare ad allattare. Quando si ottengono circa 15 o 20 ml all’ora, bisogna passare a estrarre il latte per 10 minuti a seno, ogni due ore. E solo quando si ottengono 40 ml da ogni estrazione si può tornare al ritmo normale: quindici minuti a seno, sei o otto volte al giorno. Di norma, in pochissimi giorni si può ottenere tantissimo latte. Troverete maggiori dettagli digitando l’espressione “extracción poderosa” sul sito www.albalactanciamaterna.org. Ma attenzione! Questa stimolazione intensiva è necessaria solo quando il problema è estremamente serio. Se il bambino ha solo bisogno di ingrassare “un pochino di più”, allora limitatevi a dargli un po’ più di latte: non è necessario ritrovarvi con un’eccedenza di mezzo litro al giorno.


Bertini G, Breschi R, Dani C, Physiological weight loss chart helps to identify high-risk infants who need breastfeeding support, in “Acta Paediatr”, 4 Ott 2014.


http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/apa.12820/pdf


Flaherman VJ, Schaefer EW, Kuzniewicz MW, et al., Early weight loss nomograms for exclusively breastfed newborns, in “Pediatrics”, num. 135, 2015, pp. 16-23.


http://pediatrics.aappublications.org/content/135/1/e16

Compressione del seno

La compressione mammaria è una tecnica molto utile quando un bimbo non succhia bene. Magari perché è molto addormentato, o perché ha perso peso ed è debole, o perché non riuscite a metterlo nella posizione corretta, o perché non coordina bene la lingua, o perché è malato o è prematuro e si stanca di succhiare o perché ha problemi con il frenulo linguale… È utile anche per accorciare le poppate quando la madre ha ragadi o dolore ai capezzoli.


Quando un bambino succhia bene, alza e abbassa la mandibola con movimenti ampi e lenti (più o meno una volta al secondo). Prestando un poco di attenzione è possibile sentirlo deglutire il latte. Compie vari movimenti accompagnati da un rumore continuo, che si alterna a brevi pause. Di solito il bambino succhia bene (o almeno in modo accettabile) per alcuni minuti, poi rimane con il seno in bocca senza fare niente per un tempo molto lungo (non si tratta solo di una breve pausa). Non lo lascia, ma neanche succhia. Alcuni non fanno assolutamente niente. Altri continuano a poppare a lungo, ma non per nutrirsi (i movimenti sono rapidi e superficiali, circa un paio al secondo). Oppure muovono rapidamente le labbra, ma non la mandibola. Può essere che rimanga attaccato mezz’ora o tre quarti d’ora per ogni seno, ma la maggior parte del tempo non sta succhiando. Non serve a niente tenere la mammella in bocca senza poppare; è meglio comprimere il seno; e se neanche questo è sufficiente, toglietevi il latte.


Questi primi minuti in cui il bambino succhia in forma attiva, lasciatelo fare. Quando smette di poppare in maniera efficace, con cura e senza togliergli il seno dalla bocca, comprimete la mammella dalla base (toccando le costole) tra il pollice e l’indice. Una stretta bella forte, ma senza farvi male. Non si tratta di pompare, premendo e lasciando andare. Comprimete e lasciate premuto. Nel momento della compressione di solito esce uno spruzzo di latte e il bambino, che non stava collaborando, si trova una piacevole sorpresa e si mette a succhiare ancora. Finché vedete che sta poppando tenete premuto, senza lasciare. Quando ritornerà tranquillo (o quasi), lasciate andare il seno (a volte, lasciando il seno, esce una maggiore quantità di latte e il bimbo succhia un po’ di più). Quando sarà di nuovo quieto, comprimete ancora. Quando si calmerà, lasciate andare. Potete continuare ad alternare la posizione: in alto e in basso, da lato a lato, in alto e in basso… Ripetete l’operazione fino a che smette di funzionare, fino a che, premendo il seno, vostro figlio continuerà a non collaborare perché dalla mammella non uscirà più latte: è il momento di staccarlo da quella mammella e ricominciare con l’altra. Questa è un’eccezione al principio dell’allattamento a richiesta, di lasciarlo succhiare finché non si stacca. Ma non è neppure un’eccezione: una cosa è lasciarlo succhiare e un’altra cosa è lasciarlo con il seno in bocca senza succhiare. È meglio fare una poppata breve, e dopo un’ora ridargli il seno, che stare un’ora intera col bambino attaccato senza ottenere nulla. Se le suzioni sono frequenti, ma non troppo lunghe, avrete tempo di riposare, e addirittura, se è necessario e avrete tempo e voglia, di togliervi il latte.

Aggiunte

In qualche caso, quando la perdita di peso è eccessiva, o ci mette troppo a recuperare, e tutto ciò che abbiamo detto prima non ha funzionato, bisogna dare al bambino un’aggiunta di latte artificiale. Certo, è meglio che sia latte materno; ma a volte la madre non riesce a togliersene in quantità sufficiente e arriva un momento in cui non si può più aspettare.


Non esiste una regola fissa. Non si può dire: “Ha bisogno di un’aggiunta se perde un 12%”. Alcuni ne hanno bisogno prima, altri no. Dovrà decidere il medico in ogni caso. Dipende dal suo stato generale, dalla crescita. Per esempio, per un bambino che ieri ha perso 100 grammi e oggi 20, si può dire che “sta continuando a diminuire”. Ma non è la stessa cosa di uno che ieri ne ha persi 20 e oggi 100. Nel primo caso si può forse aspettare e vedere se continua a migliorare, ma nel secondo bisogna dargli immediatamente un’aggiunta.


Per i bambini con precedenti familiari di allergia che necessitino di un’aggiunta di latte artificiale per qualche giorno si raccomanda l’uso del latte idrolizzato ad alto grado o totalmente idrolizzato, il tipo che normalmente si dà ai bambini allergici al latte di vacca (non una di quelle qualità di idrolizzato parziale o “latte ipoallergenico” che non servono quasi a niente). Pare che il consumo continuativo di latte di vacca produca un fenomeno di tolleranza immunologica, mentre il fatto di prenderlo solo per qualche giorno e poi smettere di consumarlo per mesi aumenti il rischio di allergie. Tuttavia gli studi su cui si basa la raccomandazione di usare latte idrolizzato non sembrano particolarmente accreditati; non so se fra vent’anni affermeremo ancora le stesse cose.


All’inizio, è meglio dare il supplemento con un bicchierino perché il bambino non si abitui al biberon (inoltre, molti bambini allattati al seno rifiutano del tutto il biberon). Si può usare un bicchierino della più piccola dimensione possibile e, sostenendo il bambino in verticale, inserirlo bene nella bocca del bimbo, toccando le commessure. Si può usare anche un dispositivo di allattamento supplementare. Ne vendono di già pronti (fig.12), ma si possono fare anche in casa, con una siringa e una “farfallina” per la flebo a cui viene tagliato l’ago. Dunque, se il bambino ha perso molto peso, e non c’è modo di dargli il latte con questi metodi, o se si perde troppo tempo per farlo oppure si fa colare troppo latte dalla bocca del bambino, non esitate a usare il biberon. Non è la fine del mondo, glielo toglierete più avanti.

Quando si arriva a dover somministrare un supplemento, è importante essere generosi. Quando è davvero giustificato dare un supplemento, è perché la situazione è seria, e non si può risolvere con 30 millilitri al giorno. A un bambino che ha bisogno solamente di 30 millilitri probabilmente non occorre nulla. Non vogliamo prolungare la situazione, e il bambino non può aumentare solo di 30 o 40 grammi ogni sette giorni, per due o tre settimane. Vogliamo che ingrassi rapidamente, che diventi sano e forte. Allora popperà meglio, uscirà più latte e potremo metter via i supplementi. Pertanto offritegli fin da subito 30 o 60 ml all’incirca ogni tre ore, sempre appena dopo la suzione (non intendo “dopo ogni suzione”, perché si suppone che il bambino faccia molte più poppate, non una ogni tre ore e basta). E se mangia tutto e sembra che ne voglia ancora, allora 30 in più.


Penso sia preferibile suddividere le aggiunte nell’arco della giornata: meglio quattro biberon da 30 ml che un solo biberon da 120 ml. Dopo aver terminato un biberon così grande, il bambino si sentirebbe troppo pieno e in seguito rimarrebbe molte più ore senza poppare, cosa che potrebbe interferire ulteriormente con il buon funzionamento del seno.


Un avvertimento importante. Come sempre stiamo dicendo che il latte materno è meraviglioso, ma non vorrei che qualcuno avesse capito che il latte artificiale è dannoso. Ho visto genitori che sembravano decisi a dare al figlio qualsiasi cosa che non fosse latte artificiale (“formula”, latte da biberon). Preferiscono usare latte di soia, latte di mandorle, latte di riso, latte di capra…


È un errore grave. Esiste latte di soia adattato, fatto apposta per lattanti allergici al latte di vacca, ma non conviene darlo se non sotto indicazione medica. La soia contiene fitoestrogeni naturali di cui non conviene abusare. E questo per quanto riguarda la soia per bambini, che vendono in farmacia e con l’etichetta “preparato per lattanti”. Il latte di soia normale, per adulti, che vendono in qualsiasi negozio, non assomiglia per nulla al latte per bambini, e non si deve mai somministrare a un bambino. Quando ha compiuto un anno, il bambino che beve latte artificiale può già passare al comune latte intero di mucca. Invece il bambino che beve latte di soia non può passare al latte di soia per adulti: fino ai due o tre anni, se il bambino ha bisogno di latte di soia, bisogna scegliere un tipo di latte specifico per bambini. Conosciamo la composizione del latte di vacca e sappiamo che un bambino di due anni è in grado di digerirlo, ma non conosciamo la composizione del latte di soia per adulti, perché ogni produttore fa come vuole. Al contrario, il latte di soia per bambini deve essere soggetto a una regolamentazione rigorosa e contiene tutte le sostanze nutritive di cui necessita un bambino piccolo. Ancora peggio, il latte di mandorla, il latte di riso o il latte di avena. Questi prodotti non assomigliano per niente al latte materno, e se un neonato assumesse solamente questi morirebbe. Di solito hanno poche proteine, quasi niente grassi, e un sacco di zucchero… e di vitamine, minerali e altri nutrienti è meglio non parlare. Vengono chiamati latte perché sono liquidi di colore bianco, ma non hanno nulla a che vedere con il latte. Sarebbe più corretto parlare di orzata di mandorla, orzata di riso… Da qualche anno si trova in commercio anche un latte di riso speciale per bambini allergici che si vende in farmacia e non è da confondersi con il latte di riso normale che bevono gli adulti. Questo latte di riso per bambini è adeguato, ma è meglio utilizzarlo solo dietro prescrizione medica. Per quanto riguarda il latte di capra, è molto simile a quello vaccino e non assomiglia affatto al latte materno. Tempo fa è uscito sul mercato un latte di capra adattato per i bambini. Cioè, gli venivano tolte un sacco di cose e aggiunte tante altre, come si fa con il latte di vacca, per trasformarlo in qualcosa che i bambini possono bere. Non presenta alcun vantaggio rispetto al latte adattato che si basa sul latte di vacca. In ogni caso, prima di offrire al vostro bambino del latte di capra, assicuratevi che sull’etichetta sia ben specificato che si tratta di un latte adattato per bambini. A partire dal compimento dell’anno, è indifferente che il bambino beva latte intero di vacca o latte intero di capra.

Per favore, non mettete in pericolo la salute di vostro figlio con invenzioni esotiche. È più di un secolo che l’industria sta facendo ricerche e sta migliorando il latte artificiale, ed esiste una legislazione internazionale molto rigida che ne regola la composizione. Quando un bambino non può prendere il latte materno, la cosa migliore è dargli il latte adattato per lattanti5.


Ultimamente sta andando di moda la vendita di latte materno su internet. Sembra che lo comprino persino alcuni sportivi adulti, convinti che in questo modo correranno più veloce (ignoro quale sia l’origine di questa credenza: di solito i neonati corrono pochissimo). Questo latte non offre nessuna garanzia riguardo a origine, requisiti di sicurezza, norme igieniche o condizioni di trasporto. Sono stati trovati numerosi campioni contaminati da virus e batteri, diluiti con acqua o adulterati con latte di vacca.


Altro promemoria importante. Pensavo di averlo già chiarito nella prima edizione, ma spesso mi è capitato di incontrare persone che, anche se avevano già letto il libro, non avevano ben capito questa cosa, per cui mi ripeto: se un bambino ha bisogno di un’aggiunta, bisogna dargliela. Per tutto il tempo che occorre, senza lesinare. E prima che arrivi ad aver bisogno di un’aggiunta è necessario fare anche altre cose. A volte vedo bambini che dopo il primo mese non hanno ancora recuperato il peso della nascita, o che al secondo mese sono ingrassati pochissimo, solo 300 o 400 g, e nessuno è intervenuto. In alcune occasioni il pediatra ha raccomandato ai genitori di dare un’aggiunta al bambino, ma questi si sono rifiutati (e a volte me lo raccontano pure con orgoglio: “Ma noi non gliel’abbiamo data!”, e io, morto di paura davanti al peso di quel povero bambino, penso che se solo avessi un biberon a portata di mano glielo darei immediatamente!). In altre, il pediatra non ha nemmeno consigliato un’aggiunta, ma si è limitato a fare un “controllo del peso”. Alcuni professionisti sembrano avere una fede cieca nel controllo del peso: se ingrassa poco, lo si pesa una volta a settimana; se ingrassa pochissimo, lo si pesa due volte a settimana; se non ingrassa affatto, lo si pesa tutti i giorni… come se ci si aspettasse una guarigione miracolosa o come se la bilancia fosse la sola cosa in grado di far ingrassare il bambino.


No, non si può stare fermi senza fare niente, in attesa di un miracolo. Bisogna individuare la causa del problema e porre rimedio. Come ho già detto in precedenza, quando ci si accorge che un bambino perde troppo peso o ingrassa poco bisogna agire subito. Migliorando la posizione, comprimendo il seno durante la poppata, offrendo il seno più di frequente (senza cercare di distrarlo con ciucci o canzoni perché “prolunghi l’attesa tra poppata e poppata”), controllando che il bambino non abbia il frenulo linguale troppo corto, svegliandolo anche di notte, se necessario, verificando che la madre non abbia qualche problema che possa far pensare a un’ipogalattia… e cominciando a togliersi il latte per aumentare la produzione; questa soluzione va sempre bene, e prima cominciate e meglio è. Il controllo del peso non deve servire a vedere se il bambino per caso è ingrassato, ma a verificare che le soluzioni adottate diano effettivamente dei risultati. E se non è così, se nonostante tutti gli sforzi fatti il bambino non ingrassa abbastanza, allora bisognerà dargli un’aggiunta, e contemporaneamente insistere nel tentativo di migliorare la suzione e aumentare la produzione di latte, nella speranza di poter sospendere l’aggiunta col tempo.


Attenzione anche alle aggiunte non necessarie di latte materno. Qualche volta mi è capitato che una madre benintenzionata che ancora allattava mi dicesse che la sorella, cugina o migliore amica, stava per partorire e si era proposta di “aiutarla” con l’allattamento, offrendo il proprio latte al bambino, in maniera diretta o con un biberon. No, vi prego. Dare il seno a vostro nipote non aiuterà vostra sorella ad avere più latte. Anzi, il contrario: il bambino si sentirà pieno e popperà sempre meno dalla madre, che nei primi giorni rischia maggiormente di avere un ingorgo mammario a causa del mancato svuotamento del seno e più avanti potrà subire un calo della produzione di latte per mancanza di stimolo.


Zeiger RS, Food Allergen Avoidance in the Prevention of Food Allergy in Infants and Children, in “Pediatrics”, num. 111, 2003, pp. 1662-1671.


http://pediatrcs.aappublications.org/cgi/reprint/11176/S2/1662.


Bhatia J, Greer J and the Committee of Nutrition, Use of soy-protein based formulas in infant feeding, in “Pediatrics”, num. 121, 2008, pp. 1062-1068.


http://pediatrics.aappublications.org/content/pediatrics/121/5/1062.full.pdf


von Berg A, Filipiak-Pittroff B, Schulz H, et al., Allergic manifestation 15 years after early intervention with hydrolyzed formulas-the GINI Study, in “Allergy”, num. 71, Feb 2016, pp. 210-219.


http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/all.12790/epdf


St-Onge M, Chaudhry S, Koren G, Donated breast milk stored in banks versus breast milk purchased online, in “Can Fam Physician”, num. 61, 2015, pp. 143-146.


www.cfp.ca/content/61/2/143.long

Un dono per tutta la vita - Seconda edizione
Un dono per tutta la vita - Seconda edizione
Carlos González
Guida all’allattamento materno.Un vademecum indispensabile, con tante informazioni pratiche per aiutare le madri che desiderano allattare a farlo senza stress e con soddisfazione. Dopo i bestseller Bésame mucho e Il mio bambino non mi mangia, Carlos González, in una seconda edizione ampliata e aggiornata, con Un dono per tutta la vita torna a parlare di una delle sue grandi passioni: la difesa dell’allattamento materno.Il suo obiettivo non è convincere le madri ad allattare, né dimostrare che allattare al seno sia meglio, bensì offrire informazioni pratiche per aiutare quelle mamme che desiderino allattare a farlo senza stress e con soddisfazione.Nel seno, oltre al cibo, il bimbo cerca e trova affetto, consolazione, calore, sicurezza e attenzione.Non è solo una questione di alimentazione: il bimbo reclama il seno perché vuole il calore di sua madre, la persona che conosce di più.Per questo motivo, la cosa importante non è contare le ore e i minuti o calcolare i millilitri di latte, ma il vincolo che si stabilisce tra i due, una sorta di continuazione del cordone ombelicale.L’allattamento è parte del ciclo sessuale della donna; per molte madri è un momento di pace, di soddisfazione profonda, in cui riconoscono di essere insostituibili e si sentono adorate.È un dono, sebbene sia difficile stabilire chi dia e chi riceva. Conosci l’autore Carlos González, laureato in Medicina presso l’Università Autonoma di Barcellona, si è formato come pediatra presso l'ospedale Sant Joan de Déu.Fondatore e presidente dell’Associazione Catalana per l’Allattamento Materno, tiene corsi sull’allattamento per personale sanitario e traduce libri sul tema. Dal 1996 è responsabile del consultorio sull’allattamento materno e da due anni cura la rubrica dedicata della rivista Ser Padres.È sposato, padre di tre figli e vive a Hospitalet de Llobregat, in provincia di Barcelona.