La frequenza e la durata delle poppate
Forse avrete già sentito dire da qualche parte che il seno si dà a richiesta. Ma è facile che vi sia stato spiegato male.
Sembra molto complicato sradicare dalla nostra cultura questa ossessione collettiva degli orari delle poppate. Sembra che sia qualcosa che esiste da sempre. Alcune persone, sentendo parlare di allattamento a richiesta, pensano che si tratti di una nuova invenzione degli hippy, e che con la stessa sfrenata libertà cresceremo una generazione di selvaggi indisciplinati. In realtà è esattamente il contrario; l’allattamento a richiesta è quel che esiste da sempre, e gli orari sono l’invenzione moderna. Sicuramente qualche medico dell’antica Roma avrà parlato di orari, ma si sarà trattato di un caso isolato e inoltre a quel tempo le madri non chiedevano al medico come si faceva ad allattare. Praticamente tutti i medici fino al XVIII secolo raccomandavano l’allattamento a richiesta (o non raccomandavano niente, perché dato che l’allattamento non è una malattia, i medici non si occupavano molto dell’argomento). Solo all’inizio del XX secolo iniziarono quasi tutti a consigliare un orario; e anche allora poche madri lo seguivano, perché non esisteva la mutua e i poveri non andavano dal dottore se non a causa di gravi malattie. Solo quando, verso la metà del secolo scorso, le visite dal pediatra cominciarono a convertirsi in una cerimonia regolare le madri iniziarono a cercare di seguire un orario, ottenendo pessimi risultati.
Pensiamoci un po’. Fino a un’ottantina di anni fa solo i ricchi portavano l’orologio da polso. Fino a due secoli fa, pochissime persone avevano l’orologio in casa, ci si orientava con i rintocchi della chiesa. Sei secoli fa, gli orologi erano meridiane, e la maggioranza della gente non ne aveva mai vista una o non era in grado di interpretarla. Vi sembra che si possa contare dieci minuti ogni quattro ore con una meridiana? I soldati romani, i vichinghi, i marinai di Colombo, tutti erano stati allattati a richiesta; vi sembra che fossero eccessivamente mammoni e viziati?
Molta gente (madri, familiari, medici, infermiere) legge o sente questa cosa della richiesta e pensa: “Sì, certo, non bisogna essere rigidi con le tre ore; se piange un quarto d’ora prima glielo si può dare o se sta dormendo non c’è bisogno di svegliarlo apposta”. O meglio: “Sì, certo, a richiesta, quel che ho sempre detto io, mai prima di due ore e mezzo né oltre le quattro”. Tutto questo non è a richiesta; sono solamente orari flessibili, che dopotutto non sono così deleteri come gli orari rigidi, ma continuano a causare problemi. A richiesta significa in qualsiasi momento, senza guardare l’orologio, senza pensare al tempo, sia che il bambino abbia poppato da cinque ore, sia che abbia poppato da cinque minuti.
Però, come può avere ancora fame dopo cinque minuti? Immaginatevi di alimentare vostro figlio col biberon. Di solito prende 150 ml; improvvisamente, un pomeriggio, il bambino ne beve solo 70. Se dopo cinque minuti sembra che abbia di nuovo fame, gli darete gli 80 che rimangono o gli direte: “Non puoi avere ancora fame, hai mangiato cinque minuti fa”? Sono sicuro che tutte le madri gli darebbero il resto del biberon senza dubitare un solo momento; di fatto, molte passerebbero più di un’ora tentando di infilargli in bocca il biberon ogni cinque minuti. Quindi, se un bambino si stacca dal seno e dopo cinque minuti sembra che abbia ancora fame, è possibile che abbia mangiato solo la metà. Magari aveva ingoiato aria e si sentiva infastidito, e ora ha fatto il ruttino e può continuare a poppare. O magari si è distratto vedendo volare una mosca, e ora la mosca se n’è andata e lui si rende conto di avere ancora fame. O magari si è solo sbagliato, pensando di aver già mangiato abbastanza e ora ha cambiato idea. In qualsiasi caso solo quel bambino, in quel momento, può decidere se ha bisogno di poppare o no. Un esperto che ha scritto un libro rinchiuso nella propria casa, l’anno scorso o un secolo fa, o la pediatra che ha visitato il bambino giovedì scorso e vi ha raccomandato un orario, non potevano sapere se vostro figlio, oggi, alle 14.25 avrebbe avuto fame. Questo significherebbe attribuire loro poteri soprannaturali. Se conoscete qualcuno in grado di predire a che ora avrà fame vostro figlio, non perdete tempo a chiedere una cosa così inutile; meglio sapere che numero uscirà alla lotteria.
Non gli farà male mangiare così presto dall’ultima poppata? Non bisogna aspettare che si svuoti lo stomaco? Non deve riposare l’apparato digestivo? Ma certo che no.
Quello del riposo digestivo l’ho sentito raccomandare con autentico entusiasmo. Dando retta a qualcuno, chiunque direbbe che lo stomaco si infiamma e finisce per scoppiare. E il cuore, quando riposa? E i polmoni, il fegato, i reni? Non esiste un solo organo all’interno del nostro corpo che abbia bisogno di riposare, anzi, meglio per noi che non riposino mai. Non riposa né il cervello (di notte sogniamo, e in ogni caso il cervello continua a controllare l’organismo), né i muscoli (ci muoviamo durante il sonno). Perché dovrebbe riposare proprio lo stomaco?
E quella di svuotare lo stomaco è un’altra convinzione assurda, disgraziatamente molto diffusa tra i pediatri. I pediatri non studiano nei centri di salute, ma negli ospedali. Passano quattro anni facendo la specializzazione, ma in generale non escono dall’ospedale. Ciò significa che hanno visto molte meningiti e molte tubercolosi, ma pochi bambini raffreddati e quasi nessuno sano. La loro formazione sull’alimentazione infantile è puramente teorica; quando un bambino entra in ospedale devono solo impartire l’ordine “dieta normale per la sua età” e in cucina sanno già quel che c’è da fare. L’unica occasione in cui al pediatra dell’ospedale è richiesto di occuparsi personalmente dell’alimentazione di un bambino è nel periodo di tempo che passa con i prematuri. Si sa che dar da mangiare a un prematuro, specialmente a un gran prematuro (cioè a un bimbo molto piccolo, di meno di un chilo) non è cosa semplice. Bisogna calcolare esattamente quanti millilitri di latte somministrargli e ogni quante ore, e non si può dargliene neanche uno in più. I più piccoli non riescono a succhiare, e bisogna mettere loro un sondino nasogastrico. E a volte il loro apparato digestivo non funziona ancora (in fin dei conti, avrebbero dovuto stare ancora nella pancia della mamma, e lì non c’è bisogno di mangiare). All’inizio, prima di dar loro il latte, bisogna aspirare dal sondino per controllare se è rimasto nello stomaco del latte avanzato dalla poppata precedente. L’eccessiva ritenzione è un brutto segno, e continuare a dare latte quando lo stomaco non si svuota completamente può essere pericolosissimo. Per disgrazia alcuni pediatri dimenticano che questo è un problema specifico dei grandi prematuri, e mantengono poi la convinzione che non si possa mangiare finché lo stomaco non è vuoto.
Ma, nel migliore dei casi, lo stomaco è vuoto solo durante il primo sorso. Dopo un minuto, il bambino non ha più lo stomaco vuoto. Quando mangiamo il secondo piatto lo stomaco non è vuoto. Ce l’abbiamo pieno di zuppa, o di insalata, o di pasta; come ci azzardiamo a buttarci dentro una bistecca? Quando un bambino si attacca a un seno, fa il ruttino (o non lo fa) e poi si mette a poppare dal secondo seno, solo un minuto dopo che aveva finito col primo. Se si può poppare dopo un minuto senza alcun pericolo, perché non si può poppare dopo cinque o quindici minuti, mezz’ora o un’ora e mezza?
E se in realtà non aveva fame, se piangeva per un altro motivo, non gli farà male mangiare ancora? Certo che no. Primo, il seno non si prende solo quando si ha fame, ma anche per altre ragioni. Secondo, se non vuole succhiare non succhierà. Il modo più semplice per sapere se un bambino ha fame o no, è offrirgli il seno e vedere cosa succede.
E il tempo massimo? Bisogna svegliarlo? Quante ore può stare senza poppare? Di regola, quante ne vuole. Un bambino sano, che ingrassa normalmente, non ha bisogno di essere svegliato. Popperà quando avrà fame. Stare per delle ore senza poppare non gli produrrà un’ipoglicemia. Addirittura, alcuni decenni fa, era obbligatorio che rimanesse otto ore senza poppare ogni notte; curiosamente oggi ad alcune madri dicono che è obbligatorio svegliarli ogni quattro ore.
È diverso il caso di un bimbo malato, o che non ha un normale aumento di peso. Un bimbo può essere così debole da non avere la forza di chiedere il seno. In questi casi bisognerà offrirglielo più spesso. Questa soluzione si può applicare anche ai neonati (si veda a pag. 93).
Quando un bambino dorme troppo, molte volte non serve svegliarlo, basta stare attenti ai suoi segnali di fame. A richiesta non significa dargli il seno ogni volta che piange. Da una parte, i bambini possono piangere per tanti motivi; se è chiaro che piange per un’altra cosa, non serve dargli il seno (ma in caso di dubbio, diciamo, la cosa più semplice è provare a darglielo. E molte volte, anche se piangono per paura, dolore o qualsiasi altro motivo, il seno è il modo migliore di calmarli). D’altra parte, il pianto è uno degli ultimi segnali della fame. Se un adulto stesse tre o quattro giorni senza mangiare, probabilmente anche lui piangerebbe dalla fame. Ma mangiamo molto prima di arrivare a questo punto, vero? Da quando un bambino più grande ha fame a quando piange possono passare diverse ore. Da quando un lattante ha fame a quando si mette a piangere possono passare alcuni minuti, o qualcosa in più, dipende dal carattere del bambino. Però è raro che appena senta lo stimolo della fame si metta a piangere. Prima di arrivare a questo avrà mostrato segnali precedenti: un cambiamento nel livello di attività (svegliarsi, muoversi), movimenti con la bocca, movimenti di ricerca con la testa, rumorini, portarsi le manine alla bocca… è in questo momento che bisogna attaccarlo al seno, non aspettare che pianga. Se un bambino che è debole perché ha perso peso è solo nella sua stanza, fuori dalla vista dei genitori, è probabile che di questi segnali non si accorga nessuno e il bimbo si riaddormenterà per sfinimento. Tanto vale tenerlo sempre vicino, o meglio in braccio, per poterlo allattare subito.
Un commento di passaggio. Perché i bambini, quando vogliono poppare, aprono la bocca e muovono la testa verso i lati? È un gesto? Un modo di comunicare? Credo di no. Da sempre i bambini sono stati in braccio alla madre. Anche se oggi in molte culture si usa portarli sulla schiena, questo non è stato possibile fino a che i nostri antenati non hanno imparato a tessere tele o corde. Prima di allora, i bambini si tenevano con un braccio, quindi non stavano sul dorso, ma davanti. E la madre era nuda. Che dormissero o fossero svegli, il capezzolo si trovava sempre a pochi centimetri dalla loro bocca. Quando cercavano il seno, di solito lo trovavano. Non è un gesto, non stanno facendo come se cercassero, stanno effettivamente cercando.
Allattare a richiesta non significa che il bimbo succhi come e quando voglia, e tutto sia sempre normale. Anche lo zucchero nel sangue o la pressione arteriosa sono a richiesta; vale a dire ognuno ha quello che ha. Però non tutti i valori sono normali; se la pressione è troppo alta ci troviamo di fronte a una malattia. Un medico non può dire al paziente: “Che fa lei con la pressione così alta? Non le avevo detto che doveva averla più bassa? A partire da questo momento non oltrepassi mai i 140/90”. Il paziente non ha scelto di avere la pressione alta, non dipende dalla sua volontà. Quel che deve fare il medico è raccomandargli una cura adeguata, e allora la pressione si abbasserà.
Pertanto, esistono dei valori normali anche per la durata e la frequenza delle poppate. Per conoscere i valori normali per una specie di mammifero, basterebbe osservare un numero sufficiente di femmine con i loro piccoli. (Sorprendente, vero? Gli zoologi e i veterinari lasciano che le madri e i loro cuccioli facciano quel che vogliono, e decidono che questo è normale. Non hanno mai pensato di scrivere in un libro: “Le giraffe devono poppare dodici minuti ogni cinque ore” e poi di andare a convincere le mamme giraffe a obbedire. Questo è successo solo con la specie umana.). Di sicuro nessuna specie allatta guardando l’orologio, ma c’è un modello; se sappiamo che i cuccioli di drago poppano da tre a cinque volte al giorno, uno che lo fa sei volte è semplicemente un’eccezione; ma uno che lo fa quattordici non è proprio normale.
Il problema è che non sappiamo quali siano i valori normali nell’essere umano. Perché l’essere umano non si trova più allo stato selvaggio, tutti viviamo in società, in civiltà, con le nostre convinzioni e le nostre norme. Le Spagnole, verso la metà del XX secolo, allattavano dieci minuti ogni quattro ore. Non facevano ciò che volevano, il normale, ma quel che aveva indicato loro il medico o il libro. Se nell’Alto Orinoco c’è una tribù che allatta cinque minuti ogni ora e mezza, questo sarà naturale o è quel che raccomanda lo stregone della tribù? Così all’essere umano non basta, come agli altri animali, l’osservazione per stabilire i valori normali dell’allattamento. Bisogna usare anche un criterio di efficacia: se con le madri che fanno così funziona, bisognerà ammettere che, se non è normale, come minimo è compatibile con le nostre necessità.
In Occidente, i bambini che poppano a richiesta di solito lo fanno una decina di volte in ventiquattro ore (la maggioranza tra otto e dodici, alcuni poche di più, altri poche di meno), distribuite irregolarmente. Di regola lo fanno a raffica: poppano due o tre volte a distanza abbastanza ravvicinata, e poi dormono per un periodo più lungo… I neonati, siccome non sanno ancora poppare, a volte stanno attaccati a un seno quindici o venti minuti o anche più; ma quando ci prendono la mano vanno sempre più veloce, e verso i tre mesi molti poppano per cinque o sette minuti, o addirittura per due o meno. Le dieci poppate al giorno si mantengono, più o meno, per tutto il primo anno e parte del secondo. Arriva un momento in cui il bambino comincia a poppare sempre meno, una o due volte al giorno; ma verso i due o tre anni è preso da una sorta di frenesia, si attacca a tutte le ore, addirittura ogni quindici minuti (non per ventiquattro ore, chiaramente. Poppano molte volte di seguito e poi restano molte ore senza mangiare). È come se stessero giocando a prendere il latte. Familiari e amici, sempre così amabili, ne approfittano per nuocere al vostro stato d’animo con il tipico: “Te l’avevo detto che questo bambino è viziato; si sposerà e dovrai andare in chiesa a dargli la tetta”. (Uno dei fattori che fanno sì che i bambini di questa età si mettano a poppare tutto il tempo può essere il fatto di stare a contatto con estranei… quindi familiari e amici hanno molte opportunità per osservare questo fenomeno.) Tranquille, è lo stadio finale; dopo alcune settimane (o mesi) di voracità, alcuni bambini si staccano dal seno quasi di colpo, e altri mantengono un allattamento quasi simbolico (una o due poppate al giorno) ancora per qualche anno.
In altre culture, i bambini poppano molto più spesso. Sembra che il record del mondo sia detenuto dai Kung, o Boscimani del Kalahari, che si attaccano al seno circa sei volte all’ora nell’arco di una giornata, ma ogni poppata dura solo all’incirca novanta secondi. Perché vi facciate un’idea, gli antropologi si dedicavano a osservare per quindici minuti i bambini più piccoli di due anni con le loro madri, per prendere nota di quel che facevano. Solo in un 25% dei casi il bambino restava quindici minuti senza poppare. Quelli più piccoli di tre anni poppavano sempre di notte. Senza arrivare a queste cifre, i popoli nativi dell’Africa, Asia, o America hanno l’abitudine di allattare più spesso rispetto alle madri occidentali.
Potremmo quindi affermare che esistono due modelli di allattamento che funzionano nell’essere umano: poche poppate (cioè solo una decina al giorno) ma relativamente lunghe, o molte poppate ma più brevi. Con tutte le varietà intermedie. Ciò che non è normale, né qui né nel Kalahari, è che ci siano tante poppate molto lunghe, che il bambino stia appeso al seno. Questo, di solito, indica che il bambino non riesce a poppare bene, forse perché la posizione non è corretta o a causa del frenulo linguale troppo corto, o per la combinazione dei due fattori, come vedremo più avanti.