CAPITOLO XIV

Malattie della madre

Nella maggior parte dei casi né la malattia né la sua terapia possono danneggiare il bambino attraverso il latte del seno, né l’allattamento può nuocere alla madre. Un’altra cosa è che la madre non possa fisicamente allattare, o che stia così male tanto da non provare il desiderio di farlo; ma questo è qualcosa che deve decidere ogni madre, non il medico al posto suo.

Anemia

L’anemia è frequente dopo il parto, a causa della perdita di sangue. Naturalmente, se la madre è anemica, dovrà seguire la cura corrispondente (di solito ferro, anche se esistono altri tipi di anemia). Non solo può continuare ad allattare, ma le conviene proprio, e per il maggior tempo possibile. Perché quanto più allatterà, tanto più tarderà il ritorno del ciclo mestruale, e la mestruazione è la principale via attraverso la quale le donne perdono ferro.


Il ferro che assume la madre non passa nel latte; il livello di ferro nel latte si mantiene costante.


Allattare in sala parto contribuisce a prevenire l’anemia della madre, perché l’ossitocina fa sì che si contragga l’utero e diminuisca la perdita di sangue.


Si è osservato che un’importante anemia nel post-parto (meno di 10 mg/ dl di emoglobina) si associa con l’abbandono precoce dell’allattamento, cosa che potrebbe essere dovuta alla diminuzione della quantità di latte. Se la madre era fisicamente normale durante la gravidanza, e si ritrova con un’anemia importante dopo il parto, vuol dire che durante il parto ha perso molto sangue. Si pensa che tale perdita possa influenzare l’ipofisi e provocarle uno stato di intontimento, lasciandola incapace di produrre sufficiente prolattina per qualche giorno. Ma, con ogni probabilità, il problema è transitorio e si può superare attraverso un’adeguata gestione del percorso d’allattamento (posizione corretta, allattamento a richiesta, estrazione del latte in caso di necessità).

Asma

Potete allattare, e potete curarvi con qualsiasi inalatore (salbutamolo, terbutalina, cortisonici, ipratropio…). La dose per via inalatoria è molto bassa e passa in quantità minima nel sangue, quindi sia per voi che per il bambino (soprattutto per voi, perché per il bambino non fa molta differenza) è meglio l’inalatore. Anche se avete bisogno di cortisonici in pastiglie, non ci sono problemi. Addirittura assumendone dosi molto alte (come quelle che si somministrano in caso di malattie autoimmuni), la quantità di corticoide nel latte è di molto inferiore a quella che lo stesso bambino produce ogni giorno.

Allergie

È esplicitamente raccomandato che i bambini con antecedenti familiari di allergia vengano allattati il più a lungo possibile. Vari antistaminici (prometazina, loratadina, desclorfeniramina, cetirizina…) sono compatibili con l’allattamento. Con altri antistaminici si sono rilevati casi di sonnolenza nel bambino. In qualsiasi caso, per la rinite (starnuti e muco), gli inalatori nasali di cortisonici sono molto più utili e provocano meno effetti secondari (per la madre e per il bambino).

Miopia

Non siamo riusciti a trovare alcuna spiegazione che giustifichi il curioso mito secondo cui le donne miopi non possono allattare. Dei più di 20.000 articoli sulla miopia che raccoglie PubMed dal 1840, solo uno (del 1969) fa riferimento all’allattamento materno e alla miopia della madre. I trattati di oftalmologia non fanno alcun riferimento a una relazione tra l’allattamento e l’evoluzione della miopia.

Carie nella madre

È molto diffusa la convinzione secondo cui la gravidanza e l’allattamento provochino la formazione di carie nella madre per decalcificazione dei denti. Ma lo smalto dentario non ha nutrimento sanguigno, e pertanto non può decalcificarsi a causa dei cambiamenti metabolici che colpiscono il resto dello scheletro. Il maggior rischio di carie che in alcuni studi si associa alla gravidanza sembra dovuto a cambiamenti nel pH (acidità) della saliva, e si può prevenire con un’igiene dentale adeguata.


Laine MA, Effect of pregnancy and dental health, in “Acta Odontol Scand”, num. 60, 2002, pp. 257-264.

Epilessia

La carbamazepina, l’acido valproico, la fenitoina e altri medicinali sono compatibili con l’allattamento. Se avete preso il fenobarbital durante la gravidanza, non solo potete, ma vi conviene allattare, perché questo può evitare convulsioni al neonato (può soffrire di una sindrome di astinenza, perché ha ricevuto il medicinale nell’utero). È stato pubblicato il caso di una bambina che soffrì di convulsioni a sette mesi, quando la madre (perfettamente monitorata in un ospedale) la svezzò di colpo, mal consigliata da un altro medico. Dovette somministrarle il fenobarbital col biberon per più di un anno. È importante che lo svezzamento sia molto lento (mesi), come quello che si produce naturalmente man mano che il bambino mangia altre cose.


Non vi passi per la testa di smettere il medicinale o di ridurre la dose senza un controllo medico. La maggioranza degli antiepilettici non possono fare alcun danno al bambino; invece una convulsione mentre tenete in braccio vostro figlio o mentre gli fate il bagno può essere molto pericolosa.


Knott C, Reynolds F, Clayden G, Infantile spasms on weaning from breast milk containing anticonvulsants, in “Lancet”, num. 2, 1987, pp. 272-273.

Dolore

Potete prendere paracetamolo, ibuprofene, diclofenac, metamizolo… e moltissimi altri.


Ho dovuto, invece, eliminare la codeina da questo elenco. La codeina era principalmente usata contro la tosse e per un certo periodo divenne popolare come analgesico, spesso in combinazione con il paracetamolo. Di recente, però, sono stati riscontrati diversi casi di gravi complicazioni nei bambini trattati con codeina e persino in lattanti le cui madri assumevano codeina (di solito neonati con pochi giorni di vita). Sembra possa essere una questione genetica: alcune persone sono più sensibili alla codeina di altre. Ad ogni modo, si raccomanda che i minori di dodici anni e le madri che allattano non assumano codeina in nessun caso.

Influenza e raffreddore

Non hanno terapia. Guariscono da soli, dopo qualche giorno. Purtroppo in Spagna si abusa di cure inutili, specialmente antibiotiche. Esistono solo terapie sintomatiche, cioè che non curano la malattia, ma possono far sì che ci si senta meglio se si stava molto male. Per la febbre o il mal di testa, paracetamolo o ibuprofene. Anche se la tosse è insopportabile, non assumete codeina. Sembra che un altro medicinale antitussigeno, il destrometorfano, non sia pericoloso, ma non sia nemmeno particolarmente efficace. La verità è che i medicinali per la tosse in pratica non funzionano quasi mai. Gli antibiotici, gli antistaminici, i mucolitici e gli espettoranti non fanno niente in questi casi, e non vale la pena prenderli, né durante l’allattamento, né durante il resto della vita (ma, se doveste assumerli, non farebbero comunque male al bambino). Il vaccino antinfluenzale si può somministrare durante l’allattamento.

Ulcera allo stomaco

Potete prendere, senza alcuna preoccupazione, omeprazolo, ranitidina, famotidina… e antiacidi. La cura per l’Helicobacter pylori (solitamente omeprazol, claritromicina e amoxicillina) è assolutamente compatibile con l’allattamento.

Amalgama dentale

Un curioso mito afferma che gli amalgami sono tossici e che ricoprirsi un dente durante l’allattamento è pericoloso. È assurdo. Se l’amalgama fosse tossico, le intossicate sareste voi, che lo portate in bocca per tutta la vita, e non il bambino, che poppa solo dal seno (e non succhia l’amalgama). Neanche l’anestesia locale è dannosa per il bambino. Se vostro marito vi sta aspettando con il bambino, potete allattare nella stessa sala d’attesa del dentista.

Diabete

Per la madre diabetica è conveniente allattare. Si è osservato che le diabetiche gestazionali (quelle che si sono ammalate durante la gravidanza) hanno meno della metà delle possibilità (4 contro un 9%) di convertirsi in diabetiche per tutta la vita se allattano, e questo inoltre aumenta il loro colesterolo buono e abbassa quello cattivo. E le donne che erano già diabetiche prima della gravidanza di solito hanno bisogno di una minor dose di insulina se allattano. Regolate tale dose a seconda dei risultati dei controlli, e non sorprendetevi se avete bisogno solo dei tre quarti di quanto vi iniettavate prima.


Il latte delle madri diabetiche è normale. Ci possono essere leggere alterazioni senza importanza e una leggera diminuzione della quantità nei primi giorni se non sono ben tenute sotto osservazione; ma se la glicemia è controllata, il vostro latte è assolutamente normale. Quello di cui avete bisogno quindi è un buon controllo diabetologico, un inizio precoce di allattamento e una maggior frequenza delle poppate.


Sembra che le madri diabetiche, se non sono perfettamente controllate, siano più soggette a mastiti e infezioni del capezzolo; per prevenirle è importante un allattamento frequente in posizione corretta, senza applicare pomate sul capezzolo.


Il neonato di una madre diabetica ha bisogno di essere strettamente controllato nei primi giorni, con ripetute misurazioni della glicemia. Questi esami possono essere eseguiti mentre il bambino sta con la madre. Sia il contatto pelle a pelle sia l’allattamento frequente aiutano a evitare l’ipoglicemia del bambino. Ricoverare il neonato, separandolo dalla mamma, non solo non è necessario, ma è pericoloso per il figlio di una donna diabetica.


Kjos SL, Henry O, Lee RM, Buchanan TA, Mishell DR, The effect of lactation on glucose and lipid metabolism in women with recent gestational diabetes, in “Obstet Gynecol”, num. 82, 1993, pp. 451-5.


Davies HA, Clark JDA, Dalton KJ, Edwards OM, Insulin requirements of diabetic women who breast feed, in “Br Med J”, num. 298, 1989 pp. 1357-8.


Neubauer SH, Ferris AM, Chase CG, Fanelli J, Thompson CA, Lammi-Keefe Cjet Al, Delayed lactogenesis in women with insulin-dependent diabetes mellitus, in “Am J Clin Nutr”, num. 58, 1993, pp. 54-60.


van Beusekom CM, Zeegers TA, Martini IA, Velvis HJR, Visser GHA, van Doormaal JJ, Muskiet FAA, Milk of patients with tightly controlled insulin-dependent diabetes mellitus has normal macronutrient and fatty acid composition, in “Am J Clin Nutr”, num. 57, 1993, pp. 938-43.


Ostrom KM, Ferris AM, Prolactin concentrations in serum and milk of mothers with and without insulin-dependent diabetes mellitus, in “Am J Clin Nutr”, num. 1993;58:49-53.


Ferris AM, Dalidowitz CK, Ingardia CM, Reece EA, Fumia FD, Jensen RG, Allen LH, Lactation outcome in insulin-dependent diabetic women, in “J Am Diet Assoc”, num. 88, 1988, pp. 317-22.


Christensson K, Siles C, Moreno L, Belaustequi A, De La Fuente P, Lagercrantz H, Puyol P, Winberg J, Temperature, metabolic adaptation and crying in healthy fullterm newborns cared for skin-to-skin or in a cot, in “Acta Pædiatr” num. 81, 1992, pp. 488-93.

Cancro alla mammella

Non è consigliabile allattare durante la chemioterapia (quasi tutti gli antitumorali sono controindicati per l’allattamento). Non è neanche possibile allattare durante la cura con tamoxifen, perché è un potente inibitore della produzione di latte. Ma le mamme che hanno già terminato la terapia possono allattare: si è osservato che dopo la chirurgia conservativa e la radioterapia è possibile allattare col seno sano, e a volte anche con quello malato.


Il cancro alla mammella ha una componente ereditaria, ed è più frequente in donne le cui madri l’avevano già avuto. Anni fa si lanciò l’ipotesi che questo poteva essere dovuto a qualche virus trasmissibile da madre a figlia durante l’allattamento; se fosse così le madri col cancro alla mammella non dovrebbero allattare. Ma si è dimostrato che quella teoria è falsa. L’eredità si deve ai geni, non a un virus, e le donne che sono state allattate al seno hanno la stessa incidenza di tumori alle mammelle, sia maligni che benigni, delle donne che hanno preso il biberon.


Le madri che hanno allattato per più tempo corrono un rischio minore di soffrire di cancro alla mammella (pag. 348).


Helewa M, Levesque P, Provencher D, Lea RH, Rosolowich V, Shapiro HM; Breast Disease Committee and Executive Committeee and Council, Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada, Breast cancer, pregnancy, and breastfeeding, in “J Obstet Gynaecol Can” num. 24, 2002, pp. 164-80.

Fibrosi cistica

Sempre più bambine affette da fibrosi cistica raggiungono l’età adulta e hanno figli. Quelle che hanno un peso normale e una situazione clinica stabile possono allattare. La concentrazione di cloro e sodio nel loro latte è normale. Anche se in alcuni casi la concentrazione di acidi grassi essenziali nel latte è ridotta, la maggior parte dei bambini allattati da madri malate si sviluppa normalmente. La gravidanza e l’allattamento non colpiscono negativamente lo stato nutrizionale e clinico delle pazienti, né peggiorano la loro sopravvivenza.


Gilljam M, Antoniou M, Shin J, Dupuis A, Corey M, Tullis DE, Pregnancy in cystic fibrosis. Fetal and maternal outcome, in “Chest”, num. 118, 2000, pp. 85-91.


http://journal.chestnet.org/article/S0012-3692(15)39007-3/pdf

Malattie infettive

In generale, le infezioni della madre (influenza, raffreddore, infezione urinaria, polmonite, diarrea…) non colpiscono la produzione di latte né la sua composizione, e non si trasmettono attraverso l’allattamento, tanto che potete continuare ad allattare tranquillamente.


In molti casi, dopo pochi giorni compaiono nel latte anticorpi contro la malattia, che riescono a proteggere il bambino totalmente o parzialmente. Il bambino non solo può poppare, ma gli conviene farlo.


Zavaleta N, Lanata C, Butrón B, Brown KH, Lonnerdal B, Effect of acute maternal infection on quantity and composition of breast milk, in “Am J Clin Nutr”, num. 62, 1995pp. 559-63.

Epatite B

L’epatite B non si trasmette con l’allattamento materno. Anche quando non esisteva il vaccino, era già stato dimostrato che non si poteva trasmettere in questo modo. Non avviene neanche durante la gravidanza, salvo rarissime eccezioni, perché il virus non può passare alla placenta. L’epatite si trasmette da madre a figlio nel momento stesso del parto, perché con le contrazioni si producono piccole rotture della placenta attraverso le quali può passare il virus. Per questo, è possibile evitare il contagio curando il bambino appena nato: ha solamente pochi virus che sono appena entrati nel suo organismo, ed è possibile distruggerli prima che provochino qualche danno. Se il bambino si fosse infettato settimane prima del parto, non ci sarebbe più soluzione.


A tutte le donne vengono eseguiti esami per rilevare l’epatite B. Se la madre è portatrice, al neonato si somministra immunoglobulina e vaccino antiepatite. È molto importante che sia fatto entro ventiquattro ore, meglio ancora entro dodici. Se si ritarda può non servire a nulla.


Potete allattare senza alcun timore, sia prima che dopo le vaccinazioni del bambino.


Castillo E, Murphy K, van Schalkwyk J. No. 342, Hepatitis B and Pregnancy, in “J Obstet Gynaecol Can”, num. 39, 2017, pp. 181-190.


http://comingsoon.jogc.com/article/S1701-2163(16)39793-6/fulltext

Epatite C

Numerosi studi dimostrano che l’epatite C non si trasmette con l’allattamento materno. In generale, il contagio da madre a figlio è molto raro.


Per esempio, Thomas e collaboratori riesaminarono undici studi effettuati in Paesi diversi. In sei di questi, su un totale di 227 bambini, di cui 168 avevano poppato dal seno, non se ne contagiò neanche uno. Cioè, non erano stati infettati né con la gravidanza, né col parto, né con l’allattamento. In altri cinque studi (197 bambini, di cui 114 vennero allattati al seno) si manifestarono alcuni casi di contagio, che probabilmente si produssero durante la gravidanza o durante il parto, perché l’incidenza dell’allattamento al seno o col biberon risultava la stessa.


È possibile misurare la quantità di virus che ha nel sangue una persona portatrice; avere la viremia alta equivale a essere molto contagioso. A volte, alle madri con viremia alta viene prescritto di non allattare. Ma non c’è alcun motivo. In un piccolo studio, ad Hong Kong, delle undici madri estremamente contagiose che allattarono, neanche una contagiò il proprio bambino.


C’è anche chi consiglia alle madri che in caso di ragadi sanguinanti non dovrebbero allattare, perché in quel caso il bambino potrebbe essere contagiato. Il ragionamento è ingegnoso, ma non esiste la benché minima prova che sia vero. Al contrario, quando diciamo che l’epatite C non si trasmette attraverso l’allattamento, non lo facciamo sulla base di ragionamenti teorici, non si tratta di “non c’è virus nel latte” né di “lo distruggono i succhi gastrici”, né nulla del genere. Lo diciamo sulla base di studi eseguiti su centinaia di madri in carne e ossa che hanno allattato, e i cui figli non sono stati contagiati. Logicamente, tra quelle madri ci sarà stata di certo qualcuna con le ragadi al seno, e nonostante questo i bambini non sono stati contagiati. Se siete portatrici di epatite è ragionevole che cerchiate di evitare le ragadi (anche se non siete portatrici; perché a nessuno piace avere ragadi), e nel capitolo sulla posizione spieghiamo come farlo. Ma anche se doveste averle potreste continuare ad allattare.


Esiste un’eccezione: le mamme che sono contemporaneamente portatrici di epatite C e di HIV (virus dell’AIDS). In questo caso, l’epatite C può essere trasmessa, sia durante la gravidanza, sia durante l’allattamento. È come se i due virus fossero amici e si aiutassero reciprocamente a realizzare il contagio.


Thomas SL, Newell M-L, Peckham CS, Ades AE, Hall AJ, A review of hepatitis C virus (HCV) vertical transmission: risks of transmission to infants born to mothers with and without HCV viraemia or human immunodeficiency virus infection, in “Internat J Epidemiol” num. 27, 1998, pp. 108-17.


Lin HH, Kao JH, Hsu HY, Ni YH, Chang MH, Huang SC et al., Absence of infection in breast-fed infants born to hepatitis C virus-infected mothers, in “J Pediatr”, num. 126, 1995, pp. 589-591.

AIDS

L’AIDS si trasmette attraverso il latte materno. Quando non si faceva niente per evitare il contagio, approssimativamente un 15% dei bambini di madri portatrici si contagiava attraverso la gravidanza e il parto; e un altro 15% attraverso l’allattamento materno.


Alla fine degli anni Novanta, alcuni studi condotti in Africa dimostrarono che l’allattamento materno esclusivo (esclusivo al 100%, senza neanche un po’ d’acqua) poteva evitare il contagio. Successivamente sono comparse diverse cure che, somministrate alla madre, al bambino o a entrambi, prevenivano il contagio con crescente efficacia.


L’OMS e l’UNICEF hanno raccomandato nel 2010 e poi confermato nel 2016 alle autorità di ciascun paese di scegliere, a seconda della propria situazione, tra due opzioni: consigliare alle madri portatrici del virus l’allattamento artificiale, o consigliare l’allattamento al seno, con le cure e il sostegno adeguati. In generale, i Paesi più industrializzati hanno optato per raccomandare l’allattamento artificiale. Levison e i suoi colleghi avvertono che è possibile che una madre decida di allattare al seno nonostante tutto, e che, dunque, i professionisti hanno il dovere di aiutarla a limitare il rischio di contagio, per quanto possibile.


OMS, UNICEF. Aggiornamenti su HIV e alimentazione infantile.


http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/246260/1/9789241549707-eng.pdf


Levison J, Weber S, Cohan D, Breastfeeding and HIV-infected women in the United States: harm reduction counseling strategies, in “Clin Infect Dis”, num. 59, 2014, pp. 304-309.


http://cid.oxfordjournals.org/content/59/2/304.long

Tubercolosi

La tubercolosi non si trasmette attraverso il latte, tranne forse in caso di mastite tubercolotica, una complicazione che non si vede in Spagna da molti decenni. La forma abituale di tubercolosi, che è quella polmonare, contagia attraverso l’aria; il bambino può essere infettato allo stesso modo venendo allattato al seno o con il biberon. La questione, quindi, non è se il bambino può poppare o meno, ma se il bambino può rimanere con la madre.


A volte si ritarda la diagnosi di tubercolosi per evitare di fare una radiografia durante la gravidanza. È un grave errore. La tubercolosi attiva non trattata è, per la madre e per il feto, un rischio di gran lunga maggiore rispetto alla minima irradiazione di una radiografia al torace. Se si sospetta che una donna gravida possa avere la tubercolosi bisogna fare una radiografia e iniziare la terapia.


Se, nel momento del parto, la madre è in cura da diverse settimane, non risulta più contagiosa e non ci sono rischi per il bambino. Se, invece, la tubercolosi viene diagnosticata qualche giorno dopo il parto (per esempio: entrando in ospedale qualcuno nota che la mamma tossisce molto, le viene fatto l’esame della tubercolina, bisogna aspettare tre giorni per avere i risultati, allora si richiede una radiografia, si tarda ancora un paio di giorni…), il bambino è già stato esposto al contagio, e non serve separarlo dalla madre. Quel bambino dovrà prendere isonazide per almeno dieci settimane, sia che stia o non stia con la madre.


Se, quando nasce il bambino, la madre è in terapia da meno di due mesi, si potrebbe pensare di separare il bambino dalla madre per evitargli il contagio. Ma il prezzo psicologico da pagare per tutta la famiglia è molto alto, e inoltre bisognerebbe avere la garanzia che chi si prende cura del bambino non sia stato contagiato (se la mamma è malata, sono già stati eseguiti gli esami necessari ai nonni e ad altri familiari?). Per quel che abbiamo detto, sia l’OMS che la Società Americana per le Malattie Toraciche che i Centri per il Controllo delle Malattie raccomandano che il bambino resti con la madre e venga allattato al seno.


Se la tubercolosi non è polmonare (per esempio, tubercolosi renale o ossea) non c’è nessun motivo per interrompere l’allattamento né per separare il bambino dalla madre; non è contagiosa.


Organizzazione Mondiale della Sanità. Linee Guida per il Trattamento della Tubercolosi (Guidelines for treatment of tuberculosis). Quarta edizione. WHO.


http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/44165/1/9789241547833_eng.pdf


Blumberg HM, Burman WJ, Chaisson RE, et al., American Thoracic Society/Centers for Disease Control and Prevention/Infectious Diseases Society of America: treatment of tuberculosis, in “Am J Respir Crit Care Med”, num. 167, 2003, pp. 603-662.


http://www.atsjournals.org/doi/full/10.1164/rccm.167.4.603

Diarrea

Normalmente, la madre non ha bisogno di alcun medicinale (a parte in alcuni casi molto specifici in cui si prendono antibiotici, di solito dopo aver fatto una coltura). Questo sì, avrete bisogno di bere abbondantemente per compensare le perdite. Alcune donne con una diarrea grave che non assumono sufficiente quantità di liquidi notano una diminuzione del latte. Se la diarrea è seria, prendete un siero reidratante per via orale. E continuate ad allattare.


Sarebbe irresponsabile svezzare un bambino proprio mentre la madre ha la diarrea, perché si tratta del momento più pericoloso: dove ha preso la diarrea? C’è un’epidemia? Forse l’acqua è contaminata? Con che acqua preparerà i biberon, allora?

Varicella-herpes zoster

L’herpes zoster e la varicella sono provocati dallo stesso virus. Quando ci ammaliamo di varicella, il virus rimane silente nel nostro corpo, e può manifestarsi di nuovo dopo molti anni, approfittando di un abbassamento delle difese, e dando luogo all’herpes zoster.


All’inizio della gravidanza (prima della ventesima settimana), la varicella può provocare malformazioni al feto. Nel neonato, la varicella è una malattia molto grave, spesso mortale. Invece, in un bambino di un mese o più, così come in un bambino più grande, la varicella è una malattia leggera. Per questo si prendono precauzioni molto rigorose quando una donna gravida ha la varicella.


Quel che spiegherò qui di seguito sono le regole della società australiana per le malattie infettive. Potete consultarle per esteso in Internet; in caso di bisogno, potete stamparle e portarle al vostro medico.

  • Una donna gravida che non ha contratto la varicella ma che è stata a contatto con un caso di varicella deve ricevere immunoglobulina specifica entro settantadue ore dall’esposizione. Ricordate che la varicella è contagiosa da prima della comparsa delle vescichette; se venite a sapere che il nipotino con cui stavate giocando l’altro ieri ha la varicella, chiamate immediatamente il vostro ginecologo. Se non siete sicure di aver contratto in passato la varicella, vi faranno un esame per scoprirlo.
  • In alcuni casi, possono darvi una terapia antivirale.
  • Se la donna gravida si ammala di varicella sette o più giorni prima del parto, ha avuto il tempo di produrre anticorpi che passano alla placenta e proteggono il bambino. Non ci sono problemi.
  • Se la madre si ammala di varicella da una settimana prima del parto a ventotto giorni dopo, il neonato deve ricevere immunoglobulina antizoster entro settantadue ore (meglio entro le ventiquattro) dalla nascita o dal contatto. Ma in questo caso le raccomandazioni australiane erano troppo caute: nel 2012 la Società di Ostetricia e Ginecologia del Canada ha raccomandato di somministrare immunoglobulina solo quando la varicella della madre comincia nell’arco di tempo compreso tra cinque giorni prima e due giorni dopo il parto. Si tratta di un’urgenza. Questo significa che, se avete partorito da meno di ventotto giorni e prendete la varicella, dovete chiamare immediatamente il medico o far portare vostro figlio all’ospedale perché gli facciano l’iniezione. Non pensate minimamente di andare personalmente al pronto soccorso di ostetricia, potreste contagiare altre donne incinte.
  • Se avete l’herpes zoster, durante la gravidanza o dopo, non preoccupatevi: significa che avete fatto la varicella da anni, e pertanto vostro figlio ha ricevuto gli anticorpi attraverso la placenta. Non c’è pericolo né per il feto né per il neonato.
  • In qualunque caso, non bisogna separare la madre dal bambino, e non bisogna interrompere l’allattamento materno. È possibile che si debbano isolare i due insieme in ospedale, separandoli dagli altri bambini e dalle altre mamme.

Euchan AM, Isaacs D, The management of varicella-zoster virus exposure and infection in pregnancy and the newborn period. Australasian Subgroup in Paediatric Infectious Diseases of the Australasian Society for Infectious Diseases, in “Med J Aust”, 2001,288-92.


https://goo.gl/8aFsCW


Shrim A, Koren G, Yudin MH, Farine D, Maternal Fetal Medicine Committee. Management of varicella infection (chickenpox) in pregnancy, in “J Obstet Gynaecol Can”, num. 34, 2012, pp. 287-292.


www.jogc.com/article/S1701-2163(16)35190-8/pdf

Herpes simplex

Nel neonato (che ha meno di quindici giorni) l’herpes simplex provoca un’infezione generale e potenzialmente mortale. Normalmente il contagio avviene durante il parto, ma sono stati descritti alcuni casi di contagio attraverso il seno. Nel primo mese, la presenza di lesioni da herpes simplex sul capezzolo è una controindicazione all’allattamento da quel seno, fino alla guarigione. L’allattamento può proseguire dall’altro seno. Allo stesso modo, le persone affette da un herpes labiale non devono baciare un neonato. Dopo un mese, l’herpes del lattante non rappresenta più un caso particolarmente grave, e di fatto è frequente che sia proprio il bambino infettato a trasmettere l’herpes alla madre; l’allattamento può continuare.


García-Loygorri MC, de Luis D, Torreblanca B et al., La leche materna como vehículo de transmisión de virus, in “Nutr Hosp”, num. 32, 2015, pp. 4-10.


www.aulamedica.es/nh/pdf/8794.pdf

Ipertiroidismo

Normalmente si cura con medicinali antitiroidei, come il carbimazolo e il metimazolo. Durante il primo trimestre della gravidanza, molti specialisti preferiscono usare il propiltiouracile, che non è in vendita in Spagna e si importa solo per le donne incinte. Tempo fa alcuni lo raccomandavano anche durante l’allattamento, ma ormai non lo si consiglia più a causa della sua tossicità.


Sono stati pubblicati moltissimi casi di madri che allattano, curate con metimazolo anche per più di un anno, e i livelli ormonali dei bambini sono sempre stati normali.


Non è facile indovinare la dose esatta per ogni paziente; bisogna fare controlli periodici e modificarla a seconda dei risultati. Ma anche nel periodo in cui la mamma soffriva di ipotiroidismo perché assumeva una dose troppo alta di medicinale, il bambino non ne pativa.


Molti autori raccomandano di controllare periodicamente i livelli ormonali del bambino. Probabilmente è una precauzione inutile, e in ogni caso bisognerebbe farlo solo nei primi mesi, tenuto conto che il bambino prende sempre meno latte (e quindi meno farmaco) per chilo di peso. Se non ha avuto niente nei primi mesi, non gli succederà nulla neanche dopo.


Se un medico vi dice che non potete allattare, consultatene un altro. Se insiste, stampate il seguente articolo da Internet e portateglielo:


Azizi F, Khoshniat M, Hedayati M. Thyroid function and intellectual development of infant nurse by mothers taking methimazole, in “Clin Endocrinol Metab”, num. 85, 2000, pp. 3233-8.


http://jcem.endojournals.org/cgi/content/full/85/9/3233

Ipotiroidismo

La cura dell’ipotiroidismo consiste nel prendere ormoni tiroidei. L’obiettivo della cura è raggiungere gli stessi livelli ormonali di una persona sana, e quindi nel latte ci sarà la stessa quantità di ormoni di qualsiasi altra madre. Potete allattare, senza il minimo dubbio. Il latte materno contiene sempre l’ormone tiroideo, è un componente normale.


E se per errore la madre prende una dose troppo alta di ormone per un periodo, non potrebbe danneggiare il figlio? No. La quantità di ormone nel latte è talmente bassa che, anche se fosse il doppio o il triplo, non avrebbe comunque importanza. L’eccesso di ormone tiroideo ha effetti molto visibili: nervosismo, iperattività, tachicardia… la madre sarebbe sovreccitata, se ne renderebbe conto e ridurrebbe la dose, e in tutto questo il bambino sarebbe comunque tranquillo.


L’ipotiroidismo, e più raramente l’ipertiroidismo, possono provocare una diminuzione della produzione di latte (pag. 164), ma con la giusta cura la quantità di latte si normalizza.

Ipertensione e cardiopatia

Ogni tanto viene ancora proibito di allattare a qualche madre perché soffre di cuore e l’allattamento sarebbe uno sforzo eccessivo.


È falso. Già da molti anni si è dimostrato che nelle madri che allattano al seno e in quelle che danno il biberon non c’è differenza di frequenza cardiaca, di portata cardiaca (la quantità di sangue che pompa il cuore in un minuto), né di pressione arteriosa. Allattare non rappresenta alcuno sforzo eccessivo. E i medicinali che si usano in questi casi sono solitamente compatibili con l’allattamento.


I diuretici (il tiazide, il furosemide) non recano danni al bambino, ma qualcuno pensa che in certi casi potrebbero provocare una diminuzione della secrezione di latte; anche se c’è da dubitarne. Bisogna stare attenti; probabilmente la risposta del bambino sarebbe quella di poppare più spesso, e la produzione di latte tornerebbe ad aumentare.


Di solito si raccomanda di evitare le statine (farmaci che servono per abbassare il colesterolo) durante l’allattamento, per paura di una loro ipotetica interferenza con il metabolismo del bambino e perché non esistono dati relativi al loro utilizzo. Sarebbe, però, un errore svezzare il bambino per poter assumere statine. Se non esistono dati è proprio perché, essendo un trattamento a lungo termine, ed essendoci soluzioni alternative per controllare il colesterolo e altri fattori di rischio cardiovascolare su cui intervenire, nessuno si è mai preso il disturbo di condurre uno studio sull’impiego di statine durante l’allattamento. Semplicemente si consiglia di interrompere la cura e di riprenderla dopo lo svezzamento. Sarebbe assurdo decidere di evitare o abbreviare il periodo di allattamento, perché proprio questa scelta può aumentare il rischio cardiovascolare della madre. In una ricerca condotta da alcune infermiere nordamericane, che prevedeva il monitoraggio di più di 60.000 persone all’anno, il fatto di non allattare al seno era associato a un maggiore rischio di ipertensione materna. In uno studio demografico norvegese che interessava più di 20.000 donne con figli, il fatto di non allattare al seno era associato a un maggiore indice di massa corporea, una maggiore circonferenza addominale, una maggiore pressione arteriosa, un aumento del numero di trigliceridi e un innalzamento del colesterolo cattivo (LDL).


Stuebe AM, Schwarz EB, Grewen K, et al., Duration of lactation and incidence of maternal hypertension: a longitudinal cohort study, in “Am J Epidemiol”, num. 174, 2011, pp. 1147-1158.


www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3246687


Natland ST, Nilsen TI, Midthjell K, et al., Lactation and cardiovascular risk factors in mothers in a population-based study: the HUNT-study, in “Int Breastfeed J”, num. 7, 2012, p. 8.


www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3489591

Depressione

Nelle prime due settimane, la maggior parte delle mamme soffre momenti di tristezza, irritabilità e pianto facile, fenomeno conosciuto come malinconia o tristezza postparto. La vera depressione postparto è quella che provoca gravi sintomi per la maggior parte del tempo, per più di due settimane.


La vera depressione è una malattia grave e ha bisogno di trattamento. La madre depressa non risponde in modo adeguato a suo figlio: gli parla poco, gli sorride poco, non è in grado di prestargli attenzione e di dargli sicurezza, e questo a sua volta danneggia lo sviluppo del bambino.


L’appoggio degli altri è importante per prevenire la depressione. Non va bene che la madre stia sola con il figlio per la maggior parte della giornata. Le visite delle nonne, di altri familiari e di amiche possono essere di grande aiuto, così come la partecipazione a gruppi di appoggio all’allattamento, o di ginnastica postparto. È stato dimostrato che la semplice visita settimanale di un’infermiera a domicilio aiuta a prevenire e a curare la depressione.


La depressione non è un motivo valido per svezzare. Al contrario, diversi studi dimostrano che l’allattamento può diminuire il rischio di depressione. Si conoscono casi in cui madri si sono suicidate proprio dopo che era stato proibito loro di allattare. Potrebbe essere una coincidenza, certo, ma è anche facile comprendere che lo svezzamento non migliora lo stato d’animo della madre. La depressione è caratterizzata proprio da sentimenti di inutilità e fallimento, ci manca solo dire alla madre che sta portando avanti male anche il suo allattamento, che il suo latte fa male a suo figlio…


Esistono numerosi antidepressivi perfettamente compatibili con l’allattamento. Sembra che i più adeguati siano la paroxetina, la sertralina e la nortriptilina. Si considerano sicuri anche la amitriptilina, la desipramina, la clomipramina e la dotiepina. Sì, si sono manifestati effetti collaterali (lievi) in alcuni neonati le cui madri prendevano dossepina o fluoxetina. Quello dovuto alla fluoxetina (Prozac) è un po’ confuso; si è dimostrato che la quantità che passa nel latte è bassissima, e molti pensano che questo farmaco sia compatibile con l’allattamento e che i suoi presunti effetti collaterali siano stati osservati proprio perché è l’antidepressivo più usato.


Figueiredo B, Dias CC, Brandão S, et al., Breastfeeding and postpartum depression: state of the art review, in “J Pediatr (Rio J)”, num. 89, 2013, pp. 332-338.


www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0021755713000892


Gjerdingen D, The effectiveness of various postpartum depression treatments and the impact of antidepressant drugs on nursing infants, in “J Am Board Fam Pract”, num. 16, 2003, pp. 372-82.


www.jabfp.org/cgi/reprint/16/5/372

Prolattinoma

Il prolattinoma è un tumore benigno dell’ipofisi, a volte microscopico, che secerne prolattina. Può provocare amenorrea (mancanza di mestruazioni) e galattorrea (produzione spontanea di latte in una persona che non sta allattando). Se si manifesta l’amenorrea, è necessario curare la donna attraverso inibitori dell’allattamento, in modo tale che possa ovulare e avere figli.


Allattare non aggrava la malattia, né favorisce la crescita del tumore.


Domingue ME, Devuyst F, Alexopoulou O et al., Outcome of prolactinoma after pregnancy and lactation: a study on 73 patients, in “Clin Endocrinol (Oxf)”, num. 80, 2014, pp. 642-648


http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/cen.12370/full

Ricovero ospedaliero

Se una madre viene ricoverata in ospedale (per esempio per un trauma o perché deve operarsi alla vescica), il suo bambino dovrebbe seguirla, sia che lo allatti al seno, sia che gli dia il biberon. Per un bambino minore di tre anni, separarsi dalla madre è molto doloroso, ancor più se si tratta di un periodo di diversi giorni. Non si tratta solo di mantenere l’allattamento, non basta che la madre si tolga il latte perché lo diano a suo figlio. Il bambino ha bisogno del latte, ma ha molto più bisogno di sua madre.


A volte si proibisce la visita dei bambini ai pazienti ricoverati per paura dei germi presenti in ospedale. Ma se è pericoloso entrare in ospedale, come si fa a permettere che i bambini ci nascano e che si ricoverino proprio quelli malati? La separazione sarebbe giustificata solo in casi molto particolari, per esempio se la madre dovesse essere isolata a causa di una grave malattia infettiva. D’altra parte, si dovrebbe insistere affinché i bambini facciano visita alla propria madre per tutto il tempo che lo stato fisico della stessa lo può sopportare (lo stato della paziente, non il pregiudizio o la comodità del personale sanitario).


Un cesareo è un intervento serio di chirurgia addominale. Se una donna che ha partorito col cesareo può tenere il neonato nella sua camera e allattarlo, una donna operata d’appendicite, per una vescica o di cisti alle ovaie può ugualmente tenere in camera il proprio figlio, sia che abbia quattro o quindici mesi, per poterlo allattare.


Probabilmente, anche la mamma riposa meglio se può vedere suo figlio con frequenza piuttosto che non vederlo per diversi giorni.


In caso di intervento chirurgico potete allattare non appena vi svegliate dall’anestesia (fatto che indica che l’anestetico è stato quasi tutto eliminato).


Se l’entrata in ospedale è programmata, oltre a cercare di ritardarla il più possibile, potete togliervi il latte qualche giorno prima e lasciarlo nel congelatore, per quei momenti in cui è impossibile allattare (se il bambino è già più grande e mangia altri alimenti, probabilmente non è neanche necessario togliersi il latte). Informatevi in diversi ospedali della vostra città, e scegliete quello che vi permette più facilmente di stare con vostro figlio. Se ci sono proibizioni senza fondamento, è il momento di parlare con il direttore, il primario o con chiunque sia necessario per poter far valere i vostri diritti.


Se per diverse ore risulta materialmente impossibile allattare (perché siete in sala operatoria, o in rianimazione, o vi stanno facendo esami…), è importante che vi svuotino il seno perché il vostro stato non si complichi con un ingorgo o una mastite. Che i vostri familiari lo ricordino all’infermiera.

Colite ulcerosa (come cercare informazioni in Internet)1

Non possiamo passare in rassegna una ad una tutte le malattie di cui potrebbe soffrire una madre mentre allatta, così dovrete imparare a cercare informazioni da sole. Utilizzeremo la colite ulcerosa come esempio pratico.


Internet è una fonte inesauribile di informazioni. Disgraziatamente, qualsiasi persona può pubblicare qualunque stupidaggine, e bisogna saper trovare e riconoscere l’informazione corretta.


Per saperne di più sulla malattia, è una buona idea iniziare da Medline Plus, una fonte di ricerca per non professionisti del governo nordamericano. Fornisce solo informazioni serie:


http://medlineplus.gov/spanish/


Vedrete che si può cercare in inglese o in spagnolo. Se sapete leggere l’inglese, provate con entrambe le lingue, perché solo una parte delle informazioni è tradotta.


Altre pagine riportano conoscenze complete per medici. Ma prima di leggere queste pagine tecniche, ricordate che il linguaggio utilizzato è, di solito, poco comprensibile, che non è scritto proprio per tranquillizzare i pazienti, e che è molto facile cadere nella sindrome da studente di medicina: immaginarsi di avere tutti i sintomi di cui state leggendo.


Per esempio, emedicine.com offre eccellenti articoli davvero completi:


http://emedicine.medscape.com/article/183084-overview


È probabile che dopo tutto questo non abbiate ancora trovato la risposta esatta alla domanda “Posso allattare?” È un argomento altamente specifico che non verrà neanche preso in considerazione in molti libri di testo di gastroenterologia. Così dovremo andare alla fonte e cercare in PubMed (pag. 264). Cercate:


ulcerative colitis AND (breastfeeding OR breast-feeding OR lactation)


Troverete più di cento studi. Se darete un’occhiata ai riassunti capirete che potete allattare anche se avete una colite ulcerosa, che sono state pubblicate ricerche effettuate su molte donne che lo hanno fatto, che la maggior parte dei farmaci utilizzati sono compatibili con l’allattamento. Scoprirete anche che l’allattamento materno diminuisce il rischio di colite ulcerosa e di malattia di Crohn nel bambino, cosa che bisogna assolutamente prendere in considerazione quando vi consigliano allegramente di non allattare. Potete stampare i riassunti più interessanti e portarli al vostro medico.

Un dono per tutta la vita - 2a edizione
Un dono per tutta la vita - 2a edizione
Carlos González
Guida all’allattamento materno.Un vademecum indispensabile, con tante informazioni pratiche per aiutare le madri che desiderano allattare a farlo senza stress e con soddisfazione. Dopo i bestseller Bésame mucho e Il mio bambino non mi mangia, Carlos González, in una seconda edizione ampliata e aggiornata, con Un dono per tutta la vita torna a parlare di una delle sue grandi passioni: la difesa dell’allattamento materno.Il suo obiettivo non è convincere le madri ad allattare, né dimostrare che allattare al seno sia meglio, bensì offrire informazioni pratiche per aiutare quelle mamme che desiderino allattare a farlo senza stress e con soddisfazione.Nel seno, oltre al cibo, il bimbo cerca e trova affetto, consolazione, calore, sicurezza e attenzione.Non è solo una questione di alimentazione: il bimbo reclama il seno perché vuole il calore di sua madre, la persona che conosce di più.Per questo motivo, la cosa importante non è contare le ore e i minuti o calcolare i millilitri di latte, ma il vincolo che si stabilisce tra i due, una sorta di continuazione del cordone ombelicale.L’allattamento è parte del ciclo sessuale della donna; per molte madri è un momento di pace, di soddisfazione profonda, in cui riconoscono di essere insostituibili e si sentono adorate.È un dono, sebbene sia difficile stabilire chi dia e chi riceva. Conosci l’autore Carlos González, laureato in Medicina presso l’Università Autonoma di Barcellona, si è formato come pediatra presso l'ospedale Sant Joan de Déu.Fondatore e presidente dell’Associazione Catalana per l’Allattamento Materno, tiene corsi sull’allattamento per personale sanitario e traduce libri sul tema. Dal 1996 è responsabile del consultorio sull’allattamento materno e da due anni cura la rubrica dedicata della rivista Ser Padres.È sposato, padre di tre figli e vive a Hospitalet de Llobregat, in provincia di Barcelona.