CAPITOLO XIII

Medicinali e altre sostanze

Se il mondo fosse quel luogo armonioso e tranquillo che ci avevano promesso, un libro per le mamme sull’allattamento materno non dovrebbe contenere un capitolo sui medicinali. Non si dovrebbe proprio nominare l’argomento. La possibilità che un medicinale che prende la madre possa pregiudicare la salute del bambino è talmente remota che non vale neanche la pena di prenderla in considerazione. È più facile vincere alla lotteria (ad ogni sorteggio vince qualcuno) che avere problemi con una medicina durante l’allattamento. E in questi casi assolutamente eccezionali, il medico che prescrive il medicinale in questione dovrebbe sapere cosa fare.


Ma il mondo è matto. I medicinali non provocano quasi nessuna complicazione durante l’allattamento; ma la paura dei medicinali (la paura dei medici e delle mamme) causa infiniti problemi, al punto tale che mi sono sentito in obbligo di scrivere questo capitolo.


Viviamo in una situazione che rasenta l’orlo dell’isteria collettiva. Lo stesso medico che prescrive una cura a un bambino senza pensarci due volte, si sente invece obbligato a consultare grossi libri e a soppesare i pro e i contro prima di dare una cura alla madre. La stessa madre che, senza vacillare, dà a suo figlio qualsiasi medicina che gli abbiano prescritto (e altre che non sono neanche state prescritte!) guarda con diffidenza quel che prescrivono a lei, verifica su qualche pagina di Internet che sia compatibile, chiede a due o tre medici prima di decidersi… Cosa sarà? Forse il medicinale è molto più tossico se viene sciolto nel latte piuttosto che preso sotto forma di pastiglia? La posologia di molti medicinali mette in guardia da presunti pericoli falsi o immaginari. Molti professionisti raccomandano lo svezzamento ogni volta che la madre deve prendere qualche medicinale comune (alcuni, credendosi moderni, non consigliano lo svezzamento, ma solo l’interruzione dell’allattamento per il tempo della cura per poi tornare ad allattare, come se fosse una cosa facile). Molte madri patiscono il dolore e la malattia senza seguire una terapia, solo perché stanno allattando. Vediamo qualche esempio:

  • Maria è obbligata a svezzare perché deve assumere un antibiotico potente. La settimana successiva il suo bambino ha la febbre… e gli prescrivono lo stesso antibiotico.
  • Silvia ha un’ernia al disco, soffre di terribili dolori e il suo medico le dice solamente: “Siccome stai allattando, non posso darti niente”. Dopo tre mesi di tortura, il medico le spiega che non è più necessario che allatti, perché il suo latte “non nutre più” e le prescrive finalmente un antinfiammatorio. Leggendo la posologia, Silvia scopre che è la stessa cura che avevano prescritto a suo figlio dopo la vaccinazione nel caso avesse avuto febbre.
  • A Lola hanno fatto una semplice radiografia al torace, e le hanno consigliato di non allattare per ventiquattro ore. Questo medico forse penserà che, dopo la radiografia, il paziente diventi verde fosforescente, come nei cartoni animati?
  • Lucia è asmatica. Negli ultimi mesi ha avuto vari attacchi lievi, che le hanno permesso di non ricorrere ad alcuna terapia. Potete immaginare cosa significa camminare affaticandosi, dormire superficialmente, notare che ti manca il fiato, rendersi conto di ogni respiro, sapendo che tutto potrebbe passare con uno spruzzo di inalatore e non poterlo fare? Da quattro giorni la situazione è diventata insostenibile: “Devi svezzare la bambina in questo momento e usare l’inalatore ogni quattro ore”. Vi immaginate cosa significhi svezzare di colpo, da un giorno all’altro, una bambina di sette mesi? I pianti inconsolabili, le nottate in bianco? Dopo diversi mesi di tortura asmatica e quattro giorni di lacerante svezzamento, Lucia scopre che l’inalatore è perfettamente compatibile con l’allattamento, si rende conto che avrebbe potuto usarlo fin dall’inizio senza correre alcun pericolo.
  • Anna ha un’infezione urinaria. Anche se il suo medico le aveva assicurato che avrebbe potuto prendere l’antibiotico senza alcun problema, il foglietto del medicinale diceva che “non è stata dimostrata la sua innocuità durante l’allattamento”. Così, per cautela, invece di tre pastiglie al giorno, ne ha prese solo due. Peccato che non sia guarita l’infezione.

L’origine del mito

Credo che tutta questa isteria intorno ai farmaci derivi dalla confusione tra gravidanza e allattamento. Vero che sembra impossibile confonderli? Durante la gravidanza, il bambino sta dentro; durante l’allattamento, il bambino sta fuori; chiunque può vederlo. Ma nel foglietto illustrativo di qualsiasi medicinale troverete un paragrafo intitolato “gravidanza e allattamento”. Tutte le altre circostanze hanno diritto a una spiegazione differenziata: non si trova mai “bambini e anziani”, né “guida di veicoli e insufficienza renale”. Ma la gravidanza e l’allattamento sono sempre associati, come se fossero la stessa cosa.


E non lo sono. Le differenze tra gravidanza e allattamento sono abissali, e non solo per quanto riguarda il consumo di medicinali.


Durante la gravidanza il bambino si sta ancora formando. Alcuni medicinali possono provocare effetti secondari completamente diversi da quelli che provocano in un adulto. Questo risultò molto chiaro con il terribile disastro del talidomide. Era un buon analgesico, con pochissimi effetti secondari, per cui si utilizzò ampiamente fra le donne gravide. Presto iniziarono a nascere bambini senza braccia, o con le braccia affette da gravi malformazioni. Ci furono migliaia di bambini colpiti in tutto il mondo. Il problema può presentarsi solo se la madre prende il medicinale proprio nel momento in cui si stanno formando le braccia di suo figlio. Quando il farmaco viene assunto da un adulto, da un bambino grande, da un lattante o anche un feto le cui braccia siano già formate, non accade nulla. Il talidomide non può far sì che le braccia si distorcano e si stacchino.


Gli effetti di un medicinale durante la gravidanza sono completamente imprevedibili, e non hanno niente a che vedere con gli effetti secondari che possono provocare in un adulto. Anche se si tratta della medicina più innocua del mondo, anche se il prospetto dice: “Effetti secondari: di rado un leggero mal di testa che scompare spontaneamente”, nessuno è in grado di sapere se può provocare una malformazione. In laboratorio si fanno esperimenti su topi, cagne e conigli femmine incinte, ma non sono una garanzia, perché ogni specie è diversa dalle altre. Alcuni medicinali sono molto pericolosi per il feto del cane, e non hanno effetto sul feto del coniglio.


Così, la prima volta che si prescrive un medicinale a una donna incinta, è un salto nel buio. Nessuno sa cosa accadrà. Le verrà prescritto solamente se è molto malata e se la sua malattia non si può curare con un altro medicinale meno recente e meglio conosciuto. Solo quando un medicinale è stato somministrato a centinaia, migliaia di donne, e non è accaduto nulla, possiamo affermare che non si corre alcun rischio.


Invece, quando si dà un medicinale a un lattante, in linea generale gli effetti secondari sono all’incirca quelli che si presentano in un adulto. Ci può essere qualche variazione; i bambini piccoli possono essere più (o meno) sensibili ad alcuni effetti concreti, o può essere che il fegato e i reni ci mettano più tempo a eliminare alcuni prodotti. Ma, ad ogni modo, un medicinale i cui peggiori effetti sono “nausea, mal di testa, capogiri” potrà essere dato senza timore ad un bambino; mentre altri farmaci che possono provocare “epatite fulminante, insufficienza renale, convulsioni e coma” ci farebbero paura sia per un bambino che per un adulto, e li useremmo solo per curare gravi malattie.


Un’altra importante differenza tra la gravidanza e l’allattamento è il quantitativo di medicinale che riceve il bambino. Quasi tutti i medicinali passano tranquillamente attraverso la placenta, e la concentrazione di farmaco nel sangue della madre e in quello del bambino è esattamente la stessa. Ovvero, se il medicinale ha un effetto sul cuore della madre, avrà il medesimo effetto sul cuore del feto (sempre che il suo cuore sia già formato e in grado di reagire). Se il feto avesse un’infezione, potremmo curarlo dando un antibiotico alla madre.

Invece, la quantità di medicinale che riceve il bambino attraverso il latte è molto piccola. Alcuni medicinali passano nel latte con difficoltà e la loro concentrazione nel latte è molto inferiore alla concentrazione nel sangue della madre. Altri passano con molta facilità, addirittura si concentrano nel latte, raggiungendo livelli di gran lunga superiori a quelli del sangue. Questo si misura mediante la relazione latte/plasma (il plasma sanguigno è quello che rimane del sangue dopo che è stato centrifugato e dopo che sono state eliminate le cellule: globuli rossi e bianchi, e piastrine):

Un esempio di medicinale che passa in minima quantità nel latte: l’amoxicillina, un antibiotico molto utilizzato (in Spagna anche troppo). La relazione latte/plasma è approssimativamente di 0,03. Ovvero, la concentrazione è 33 volte superiore nel plasma sanguigno della madre che nel suo latte. La concentrazione nel latte risulta poco meno di un milligrammo al litro. Mentre la madre assume 1.500 milligrammi al giorno (25 mg/kg, se pesa 60 kg), il suo bambino ne assume meno di un milligrammo al giorno, 0,3 mg/kg se pesa 3 chili. L’amoxicillina si usa, per esempio, per curare l’otite dei lattanti, a una dose pari a 80 mg per chilo di peso. Quindi, se un bambino di cinque chili avesse l’otite, avrebbe bisogno di bere più di 400 litri di latte al giorno per ricevere una quantità sufficiente di antibiotico.


Un esempio di medicinale che passa nel latte in gran quantità: la ranitidina, usata per curare l’ulcera gastrica. La relazione latte/plasma è di dieci (approssimativamente, perché la relazione vera varia col tempo); ovvero, il medicinale è dieci volte più concentrato nel latte che nel plasma della madre. Anche così, la concentrazione nel latte è inferiore a 3 mg/lit. Cioè, mentre la madre assume 300 milligrammi al giorno, circa 5 mg/kg, il bambino assume meno di 1 mg/kg. La ranitidina è un medicinale sicuro (cioè, con pochi effetti secondari), e a volte si somministra ai bambini (per trattare l’esofagite da riflusso), in una dose da 2 a 4 mg/kg. La madre può prendere la ranitidina senza timore.


La ranitidina è uno dei medicinali che ha la sua più alta concentrazione nel latte; di fatto esistono pochi casi in cui la relazione latte/plasma sia superiore a uno.


Tutte queste cifre e questi calcoli servono a smentire un’idea abbastanza diffusa. Quando si dice “si concentra nel latte materno” o “dieci volte superiore nel latte rispetto al plasma”, molti si spaventano: “Ma allora il bambino assume più medicinale della madre!”. Avete visto che non è così. Il bambino non assume mai una dose di farmaco superiore a quella della madre. È del tutto impossibile. In termini assoluti, l’impossibilità è ovvia: se la madre prende 10, nel latte non ci può essere 11. Quel che passa nel latte è solo una piccola quantità rispetto a quel che ha assunto la madre. Ma è anche impossibile in termini relativi: la dose di medicinale per chilo di peso che assume il bambino attraverso il latte è sempre molto inferiore a quella assunta dalla madre. Quando il medicinale passa in quantità al latte, la dose per il bambino è di gran lunga inferiore (meno della sesta parte, nel caso della ranitidina). Quando il medicinale passa in piccola quantità (la stragrande maggioranza dei casi), la dose diventa ridicola.


Un’importante conseguenza: è impossibile curare un lattante dando il farmaco alla madre. Se madre e figlio hanno la stessa malattia e devono prendere la stessa medicina, al bambino bisognerà dare la sua dose completa. Con la quantità di medicinale che si concentra nel latte il bambino non può neanche iniziare a curarsi. Viceversa, per avere sufficiente medicinale nel latte, la madre dovrebbe prenderne una quantità tale che si intossicherebbe.

Alcune idee generali

  • Se si può dare un farmaco al bambino senza timore, allora si può dare anche alla madre. Esistono medicinali che si danno ogni giorno a centinaia di bambini per motivi banali, per la tosse, il raffreddore o l’otite. Altri medicinali si usano più raramente per i bambini, per curare la tubercolosi, l’insufficienza cardiaca o l’epilessia; ma quando li utilizziamo, nessuno si spaventa e di solito non ci sono effetti secondari. In generale, questi medicinali saranno del tutto compatibili con l’allattamento. Invece, se un medicinale è espressamente controindicato nei bambini piccoli, o se viene usato solo per malattie molto gravi (come il cancro) perché ha pericolosi effetti secondari, è giusto continuare a cercare informazioni. Anche un medicinale pericoloso può essere compatibile con l’allattamento se passa in piccole dosi nel latte; ma se passa in una dose elevata, potrebbe provocare problemi.
  • Se si può prendere un farmaco durante la gravidanza senza correre alcun pericolo, si può prendere anche durante l’allattamento. Esistono medicinali che si assumono durante la gravidanza solo per questione di vita o di morte, perché non c’è altra soluzione. Ma tutti quelli che si possono prendere tranquillamente e senza alcun timore durante la gravidanza, si potranno prendere a maggior ragione durante l’allattamento. Alcuni esperti non saranno d’accordo su questo punto; in teoria, un medicinale potrebbe essere pericoloso per il bambino ma non per il feto. Per esempio, in caso provocasse insufficienza respiratoria: dato che il feto non respira, non gli può fare male. Ma quel che è certo è che, anche se in teoria può esistere, non conosco un solo esempio pratico di medicinale che si possa prescrivere senza pericolo durante la gravidanza (“non si preoccupi, non succede niente”) e che sia invece pericoloso durante l’allattamento.
  • Se non si assume per via orale, non può arrecare danni al bambino. Non esistono pastiglie di eparina, insulina, gentamicina… esistono solo iniezioni. Non importa se passano o non passano nel latte, perché a vostro figlio non verrà mai fatta un’iniezione di latte. Altri medicinali si danno per via orale, ma proprio perché non vengano assorbiti, perché agiscano direttamente sull’intestino: antiacidi, molti lassativi, alcuni antibiotici usati (di solito abusati) per curare la diarrea…
  • Se gli effetti secondari sono lievi, non importa che il farmaco passi nel latte o meno. Per esempio, nel prospetto dell’omeprazolo (per l’ulcera allo stomaco) leggiamo: “È ben tollerato. Raramente si sono manifestati nausea, mal di testa, diarrea, stitichezza o flatulenza. In alcuni pazienti ha provocato eruzione cutanea. Generalmente, questi sintomi sono lievi e passeggeri”. Anche se passasse al latte in grande quantità (e non passa), che problema c’è se il bambino soffre di una lieve diarrea? Se non verrà più allattato, a parte quanto piangerà, è facile che abbia una diarrea molto forte.
  • Esiste un maggior numero di dati sui medicinali meno recenti. Quando un farmaco esce sul mercato, nessuno ne conosce l’effetto sul latte, semplicemente perché ancora nessuna madre l’ha provato. Tra due medicinali simili, generalmente si usa quello che si conosce meglio. Ma in alcuni casi sarà opportuno utilizzare il farmaco nuovo, anche se è poco conosciuto, per esempio se è più sicuro (ha molti meno effetti secondari) di quello vecchio.
  • Tutti i farmaci a effetto topico si possono utilizzare durante l’allattamento. Con effetto topico intendo che agisce solo sulla parte del corpo in cui si applica. Per esempio, non sono la stessa cosa la penicillina, che si inietta sulla natica perché si assorba e passi al sangue e agisca su tutto il corpo, e un’anestesia locale, che addormenta solo una piccola zona intorno al punto dell’iniezione. Se la madre non si addormenta completamente, ma le anestetizzano solo una parte, significa che il farmaco non passa nel sangue, e pertanto non passa neppure nel latte. Non è neanche lo stesso una pomata che si usa per curare una malattia della pelle o un cerotto di nicotina o di nitroglicerina, che si mette sulla pelle perché il farmaco si assorba e si distribuisca per tutto il corpo. (La penicillina, la nicotina e la nitroglicerina sono compatibili con l’allattamento… ma non perché il loro effetto sia topico, per altri motivi.) Tutte le pomate, gocce per gli occhi, gocce per le orecchie, inalatori nasali, inalatori bronchiali, ovuli vaginali… si possono usare senza alcun timore durante l’allattamento. Sicuramente si assorbe sempre una piccola quantità di questi prodotti; ma quel che passa nel sangue è già una quantità minima, quel che passa nel latte è ancora meno. Concretamente, l’asma o la rinite allergica si curano se possibile con inalatori, che sono molto più sicuri di qualsiasi medicinale che si assume per via orale.
  • Quando il bambino cresce, il rischio diminuisce. Il neonato non ha ancora le capacità, che hanno un bimbo più grande o un adulto, di eliminare certi farmaci, perché i suoi reni e il suo fegato non lavorano ancora a pieno rendimento. Inoltre, il neonato assume sempre una dose maggiore. Un bimbo di sei chili beve più latte di un bambino di tre, ma non ne beve il doppio, pertanto la dose di latte (e di qualsiasi cosa sciolta nel latte, come i medicinali) in rapporto al peso, è inferiore. Un bambino di nove chili prende meno latte di un bambino di sei, perché sta già mangiando altri alimenti. Un bambino di dodici chili assume meno latte di un bambino di tre. Tutto ciò che riferiscono i testi sui farmaci e l’allattamento è sempre rapportato al più grave dei casi, per un neonato. Se si avverte che una certa medicina va somministrata con precauzione (per esempio, se la madre assume barbiturici, bisogna stare attenti che il bambino non manifesti sonnolenza), ci si riferisce alle conseguenze in cui può incorrere il neonato. Con i bambini più grandi, solitamente, non è necessario prendere alcuna precauzione. Salvo, forse, qualche rarissima eccezione in cui un medicinale risulta eccessivamente tossico, è assurdo dire a una madre di svezzare il proprio figlio di due anni, che poppa appena un paio di volte al giorno, solo perché sta assumendo un medicinale; probabilmente chi dà un consiglio del genere ha forti pregiudizi contro l’allattamento a due anni, e utilizza il farmaco come un semplice pretesto.
  • Per lo stesso motivo, quando la madre prende il medicinale in modo continuativo il rischio è sempre minore. Per esempio, alcuni esperti raccomandano di fare controlli di ormoni tiroidei al lattante se la madre assume antitiroidei. Ma se facciamo una verifica dopo un mese, e risulta tutto nella norma, un’altra dopo tre mesi, ed è ancora tutto normale, non ha senso continuare a fare verifiche. Se si fossero presentati effetti secondari, questo sarebbe successo nell’immediato. Non ha neanche senso dire a una madre che si cura per una malattia cronica: “Allattalo solo per tre mesi, per le difese, e poi svezzalo”. Se ci fosse realmente un pericolo, lo si riscontrerebbe proprio in questi primi mesi; se non è accaduto nulla, potete continuare per tutto il tempo che volete.
  • In generale, l’ora in cui si assume il medicinale non è di alcuna importanza in relazione all’allattamento. Solo in alcuni casi specifici, per quei medicinali che si possono prescrivere solo con grandi precauzioni, sarà il vostro medico a raccomandarvi un orario preciso. Si tratta di far coincidere il picco massimo di concentrazione nel sangue (diverso per ogni farmaco) con il periodo più lungo in cui vostro figlio normalmente non poppa (spesso accade di notte, ma non sempre). Tuttavia per la stragrande maggioranza dei farmaci, che sono completamente compatibili con l’allattamento, non bisogna dare la minima importanza all’orario. Cosa cambia se passa un po’ più o un po’ meno medicinale? Il doppio di una quantità ridicola continua ad essere un’altra quantità ridicola.
  • È un grave segno di irresponsabilità lasciare una madre senza terapia, solo perché sta allattando. E non vi passi per la testa di prendere una dose minore di farmaco o di assumerlo per un tempo più ridotto di quanto vi è stato raccomandato; vostro figlio non starà né meglio né peggio se prendete un po’ più o meno medicinale; ma sia voi che vostro figlio starete molto peggio se non vi curate.
  • Lo svezzamento presenta dei rischi (si veda il cap. 19, Allattamento e salute). Un medicinale deve essere realmente pericoloso perché la sua assunzione giustifichi la necessità di svezzare il bambino.

Come cercare informazioni

A volte una madre chiede al pediatra qualcosa del tipo: “Ho una colite ulcerosa (o una psoriasi, o un’ipertensione, o un lupus…), cosa posso prendere?”. Ma il pediatra non è in grado di rispondere; queste malattie devono essere curate da un medico per adulti, e molto spesso da uno specialista. È questo specialista che deve proporre la cura (o meglio, diverse cure alternative). Allora sì, è probabile che il pediatra abbia modo di scegliere quale di questi medicinali è possibile assumere.


In un mondo ideale, sarà il medico della madre che si preoccuperà di cercare una terapia compatibile con l’allattamento. In alcuni casi parlerà con il pediatra, o gli scriverà un appunto, per accordarsi sull’argomento. Ma ci sono ancora molti medici che proibiscono l’allattamento senza alcuna motivazione, o privano la madre delle cure di cui ha bisogno.


In questi casi, chiedete: “E se non stessi allattando, che medicina mi prescriverebbe? Esistono altri medicinali simili che si possono comunque usare nella mia situazione?”. Chiedete sempre le varie opzioni e segnatevi i nomi. Poi, un altro medico che mostri più interesse verso l’allattamento potrà aiutarvi nella scelta della terapia. In certi casi, la madre si vede obbligata a ricercare l’informazione per suo conto e a parlarne poi al suo medico.

Posologia e vademecum

Il peggior posto in cui ricercare informazioni sull’allattamento è il foglietto del medicinale. Un autentico disastro. Quasi tutti i medicinali avvisano della possibile esistenza di pericoli, che il tale farmaco non si deve usare, che è controindicato. Molti se ne escono con vaghi ammonimenti del tipo: “Durante l’allattamento si userà solamente quando i possibili benefici superino, secondo il medico, i rischi potenziali”; una frase che spaventa molto le mamme, ma che in realtà non è altro che un’ovvietà (per tutto l’allattamento, e per tutta la vita, è chiaro che un medicinale si usa solo se i benefici che porta superano i rischi).


Molte volte capita che un medico verifichi con cura che un medicinale sia perfettamente compatibile con l’allattamento e lo prescriva alla madre… alla quale, arrivando a casa e leggendo la posologia, viene uno spavento tale che decide di non prenderlo, o di assumerne una dose minore o per un tempo più breve. Non fatelo. Se non assumete la dose necessaria è facile che non vi curiate. In caso di dubbi, chiamate il vostro medico e spiegategli quel che dice la posologia. Se non potete mettervi in contatto in quel preciso momento, prendete il farmaco, continuate ad allattare normalmente, e chiamatelo il giorno dopo. Ci sarà sempre tempo per svezzare il bambino o per smettere di prendere il medicinale. Non c’è nessun farmaco talmente tossico che, per aver continuato ad allattare per un paio di giorni, possa provocare qualcosa di grave al bambino (ricordate che qualsiasi medicina è più pericolosa per la madre che prende una pastiglia che per il figlio che prende il suo latte; se il foglietto illustrativo non dice: “Fate testamento prima di assumere questo medicinale”, allora magari non è il caso).


In Spagna, sulla scrivania dei medici, c’è di solito un grosso libro rosso, il vademecum, che contiene il prospetto illustrativo di tutti i medicinali. Per questo è zeppo di errori.

Informazioni su Internet1

Su Internet esistono due eccellenti fonti di informazione su medicinali e allattamento; una è il database “e-lactancia”, dell’associazione APILAM:


www.e-lactancia.org


Offre informazioni sia in spagnolo che in inglese su medicine, piante officinali, sostanze inquinanti e altri prodotti. Consente di cercare il nome commerciale dei medicinali di tutto il mondo. Assegna a ciascun prodotto un livello di rischio (bassissimo, basso, alto, altissimo). È importante segnalare che questa pagina non ha la categoria dei medicinali “a rischio nullo”. Spesso alcune madri molto preoccupate si rivolgono a me perché hanno letto che il rischio di un dato medicinale è basso o addirittura bassissimo: “Ma allora un po’ di rischio c’è”. Vediamo, se su questo sito comparissero azioni come masticare una gomma alla fragola, lavarsi i denti o mangiare una mela durante l’allattamento, sarebbero tutte etichettate come “a bassissimo rischio”. La denominazione “a basso rischio” non ha alcuna importanza, e persino i medicinali “ad alto rischio” si possono assumere nella maggior parte delle situazioni, se sono necessari e se non si trova una soluzione migliore. Sono i medicinali “ad altissimo rischio” che normalmente sono da considerarsi controindicati.


L’altra fonte di informazione è LactMed, un database gestito dalla Biblioteca Nazionale di Medicina degli Stati Uniti:


https://toxnet.nlm.nih.gov/newtoxnet/lactmed.htm


Le informazioni relative a ogni farmaco sono molto esaustive ma sono scritte unicamente in inglese.

PubMed (Medline), la madre di tutte le informazioni

Molto spesso non troverete informazioni su un determinato medicinale, e neanche il vostro medico troverà informazioni sui testi, o l’informazione risulterà incompleta oppure vorrete rassicurazioni. In questi casi, la cosa migliore è andare alla fonte: Medline.


Medline è una gigantesca banca dati che contiene informazioni su milioni di articoli di riviste mediche pubblicati a partire dal XIX secolo. Centinaia di riviste mediche in dozzine di lingue. Nella maggioranza dei casi, viene offerto un riassunto dell’articolo in inglese. In alcuni casi, è possibile leggere il testo completo dell’articolo in Internet.


L’unica pecca è che è tutto in inglese.


Si può accedere a Medline attraverso il sito di PubMed:


www.pubmed.gov


Un esempio pratico. Supponiamo che soffriate di una forte depressione postparto e vi abbiano prescritto la paroxetina, un antidepressivo. Il primo problema è: come diavolo si dirà in inglese? Non sono parole che compaiono normalmente nei dizionari. Per fortuna, i nomi delle medicine in spagnolo [e italiano] e in inglese sono molto simili, così ci possiamo buttare: scrivete paroxetina e date l’Invio.


Medline, molto gentilmente, ci chiede se abbiamo voluto dire paroxetine e ci mostra i primi venti di 5.845 articoli (quando starete leggendo questo libro, sicuramente ce ne saranno di più).


Se in qualche caso avete difficoltà a trovare il nome del medicinale in inglese, potete prima cercarlo su e-lactancia, dove troverete di certo la traduzione.


Chiaramente non dovete andare a guardare i 5.845 articoli. Andrete a cercare quelli che parlano di paroxetina e allattamento. Nella finestrella in alto, scrivete breastfeeding (allattamento materno) dopo paroxetine. Non è importante che mettiate una virgola in mezzo. Potete anche scriverci la parola AND, in maiuscolo, e il risultato sarebbe lo stesso. Schiacciate Invio, e questa volta compariranno solo 45 articoli che contengono entrambe le parole contemporaneamente, nel titolo, nel riassunto o addirittura nel nome degli autori. Nella parte superiore della pagina vedrete che potete ordinare gli articoli secondo diversi criteri; io di solito li ordino per data, con i più recenti per primi.


Ripassate i titoli e cliccate su quello che vi interessa per leggerne un riassunto. Il quarto articolo che mi compare sulla pagina si intitola “Identification and management of peripartum depression”, è del 2016 e reca l’indicazione “free article”, cioè si può leggere interamente su internet in forma gratuita. Spiega che la paroxetina è raccomandata durante l’allattamento perché passa solo in minima quantità nel latte.


Facendola breve, troverete molti più articoli, alcuni dei quali si potranno leggere per intero. Tutti concordano sul fatto che si può prendere la paroxetina durante l’allattamento (anche se non tutti lo esprimono esplicitamente; alcuni preferiscono dire: “Non sono state rilevate controindicazioni”; “bassa concentrazione nel latte”, e cose simili).


Anche così, ancora non abbiamo trovato tutte le informazioni sull’argomento. Gli inglesi a volte scrivono breastfeeding unito, a volte in due parole, breast feeding e a volte col trattino, breast-feeding. PubMed non distingue il trattino in mezzo, quindi non è necessario provare con quello. Può anche succedere che l’articolo cercato non utilizzi la parola breastfeeding, almeno nel titolo e nel riassunto, perché non parla di bambini che vengono allattati, ma del periodo di allattamento della madre (lactation). Quest’ultima parola viene anche usata per riferirsi ad animali. E qualcuno può non aver parlato di allattamento né di lattanti, ma di “paroxetina nel latte materno” (human milk o breast milk). Perché non ci sfugga nulla, possiamo scrivere nella finestrella questo (alla lettera, comprese le parentesi):


paroxetine AND (breastfeeding OR breast feeding OR lactation OR milk)


Compariranno tutti gli articoli che menzionano la paroxetina e almeno una delle parole che seguono. In questo momento sono 60. Cercando latte, senza specificare se sia materno o meno, è possibile che esca un articolo che dice di prendersi la pastiglia con un bicchiere di latte, ma ad ogni modo 60 non sono troppi, e li possiamo guardare tutti.


Trucco delle frasi: lo stesso che per Google, quando volete cercare due o più parole insieme, formando una frase, dovete scriverle tra virgolette. Nel caso di breast feeding non è necessario, perché PubMed ha un dizionario interno e riconosce che queste due parole formano un’espressione; se volete trovarle anche separate, dovrete separarle con una virgola. Invece, paroxetine levels (livelli di paroxetina) non è un’espressione del dizionario; se le cercate separate troverete 760 articoli; se le cercate come frase tra virgolette, solamente 18.


E se non si trova neanche un articolo? Anche se non sappiamo se il medicinale passa nel latte o no, possiamo trovare informazioni utili. Per esempio, se cerchiamo:


indomethacin infant


Compaiono più di mille articoli. Basta dare un’occhiata ai primi per rendersi conto che l’indometacina si somministra frequentemente non solo ai bambini, ma anche ai prematuri. Essendo così, è evidente che si può certamente prendere durante l’allattamento.

Giorni impiegati ad assumere una pastiglia

I dati sui farmaci nel latte materno risultano a volte di difficile comprensione anche per i professionisti. Per esempio, se avete trovato una concentrazione di digossina nel latte pari a 0,00096 mg/L. Il che è la stessa cosa che trovare 0,00096 µg/ml, o 0,000096 mg/100 ml, o 0,000096 mg/dl, o 0,96 µg/L, o 0,096 µg/dl, o 96 ng/dl… e in libri diversi lo troverete spiegato in differenti maniere. È forse follia? Possiamo immaginare un chilo di riso o cento grammi di prosciutto, ma nessuno può immaginare 96 nanogrammi per decilitro. Sarà tanto o poco?


Immaginate che una delle pastiglie che state prendendo vi cada per terra, e vostro figlio la trovi e la ingerisca. Pensate che con una sola pastiglia si potrà intossicare? E ora immaginate che, invece di mangiarsela, le dia una leccata, la nasconda e il giorno seguente le dia un’altra leccata… Sapete quanto ci metterebbe a prendere una pastiglia?


Realizzo il calcolo con la massima concentrazione di farmaco nel latte (che è un’esagerazione, perché la massima concentrazione si raggiunge solo in un determinato momento, mentre per il resto della giornata la concentrazione risulta più bassa), considerando che il lattante prende ogni giorno 750 millilitri di latte materno (alcuni ne prendono un po’ di più a quattro o cinque mesi, però sia i neonati sia i bambini più grandi che mangiano già altri alimenti prendono in realtà meno latte). Nella seguente tabella diamo i risultati per alcuni farmaci; le concentrazioni nel latte sono prese dal libro di Hale.


Tabella 5.ALCUNI MEDICINALI NEL LATTE MATERNO


FARMACO


CONCENTRAZIONE NEL LATTE (mg/L)


PASTIGLIA (mg)


GIORNI IMPIEGATI AD ASSUMERE UNA PASTIGLIA


Alprazolam


0,0037


0,5


180


Amoxicillina


1,3


500


513


Atenonolo


1,8


50


37


Carbamazepina


2,5


400


213


Cloxacillina


0,4


500


1.667


Digoxina


0,00096


0,25


347


Naproxene


2,37


550


309


Nifedipina


0,046


10


290


Paroxetina


0,1


20


267


Pirazinamide


1,5


250


222


Ranitidina


2,6


150


77


Come si può osservare, il lattante ha bisogno di più di un mese per prendere una sola pastiglia di atenololo (meglio usare il propanololo, il labetalolo o il metropronolo); due mesi e mezzo per una pastiglia di ranitidina, quasi un anno per una pastiglia di digoxina, quattro anni e mezzo per prendere una sola pastiglia di cloxacillina (supponendo che la madre prenda cloxacillina per tutto questo tempo). E vediamo ancora situazioni in cui si sospende l’allattamento in caso di mastite, perché la cloxacillina passa nel latte!


Quando il medicinale si usa nei lattanti, possiamo anche osservare quali sono le dosi che daremmo al bambino se fosse in cura, e per quanti giorni dovrebbe poppare per raggiungere tali dosi. Per esempio, la dose normale di digoxina è di 0,015 mg/kg/giorno; un lattante di 5 chili dovrebbe prendere 0,075 mg. Per ottenere questa quantità dal latte, dovrebbe arrivare a prenderne 78 litri, e ci impiegherebbe 104 giorni. È più facile che muoia affogato nel latte, o schiacciato dal suo stesso peso, che non per intossicazione da digoxina.


Hale TW, Medications and mothers’ milk, 11th ed Pharmasoft Publishing, Amarillo, Texas 2004.

Alcool

L’alcool passa facilmente e rapidamente dal sangue della madre al latte, e viceversa, tanto che la concentrazione in entrambi i liquidi risulta la stessa. La relazione latte/plasma è 1.


Il limite legale di alcool nel sangue per guidare è di 0,5 g al litro di sangue, equivalenti a 0,25 g al litro di aria espirata. Nel sangue, 0,5 g al litro corrisponde allo 0,05%. Alcuni decenni fa, il limite legale era 0,08%. Con un livello superiore a 0,15% la persona è visibilmente ubriaca. Con un livello superiore a 0,55%, si muore. Così, semplicemente, cadi a terra morto. Molti muoiono anche prima.


Anche le persone abituate a bere reagiscono allo stesso modo di fronte agli stessi livelli di alcool. Se i bevitori abituali reggono di più, è perché eliminano l’alcool più rapidamente, e ci mettono maggior tempo a raggiungere un livello alto; ma quando arrivano a uno 0,15 si ubriacano, e a 0,55 muoiono, come tutti gli altri.


Pertanto, è assolutamente impossibile che il latte materno contenga più di uno 0,55% di alcool, e perché accada la madre dovrebbe essere ricoverata per intossicazione etilica acuta. In pratica, una madre ubriaca potrebbe avere uno 0,2 o uno 0,3% di alcool nel latte, e una madre che beve con moderazione non arriva neanche a uno 0,05%.


Il vino ha un 10 o 12% di gradazione alcolica. I liquori, un 30 o 40% (alcuni addirittura di più). La birra un 4 o 6% di gradazione. La birra analcolica può contenere legalmente fino a un 1% di alcool. Una persona con un 1% di alcool nel sangue sarebbe morta da tempo. Pertanto, anche il latte di una madre completamente ubriaca potrebbe essere imbottigliato con l’etichetta “latte senz’alcool”. E il latte di una madre che ha bevuto un drink, anche se al controllo della polizia stradale arriva a uno 0,04%, risultando quasi positivo, si potrebbe comunque vendere come “latte senz’alcool 0,0”, perché 0,04 si arrotonda a 0,0 (se siamo puristi, 0,06 si arrotonda a 0,1; non so se i produttori di birra siano tanto precisi).


In conclusione, il latte è, nel peggiore dei casi, una bibita alcoolica molto, ma molto leggera, ed è quasi impossibile che bere alcool durante l’allattamento pregiudichi la salute del bambino.


Dico quasi perché i neonati sono molto sensibili all’alcool, lo metabolizzano molto lentamente e inoltre bevono come spugne. Più di mezzo litro di latte al giorno, con poco più di tre chili, è come per un adulto di 60 chili bere dieci litri al giorno. Un’amica ostetrica mi ha raccontato che nel suo ospedale, a Barcellona, una volta le capitò di curare un neonato che era arrivato al pronto soccorso in stato di eccessiva sonnolenza e ipotonia; l’unica causa apparente era che la madre beveva circa mezzo litro di birra prima di ogni poppata. La cosa triste è che la madre era astemia e si sforzava a bere tanto, perché aveva sentito dire che la birra serviva per avere più latte.


Il consumo di alcool si misura in grammi al giorno; ma in pratica si misura in “unità alcoliche”, equivalenti a circa dieci grammi di alcool puro. Convenzionalmente le bevande a maggiore gradazione alcolica si servono nei recipienti più piccoli: la birra si beve nei boccali, il vino in bicchieri grandi, il vino liquoroso in bicchieri più piccoli, il cognac in bicchierini, la tequila in recipienti minuscoli [chupito]. In questo modo un bicchiere piccolo di vino, una pinta di birra e un caffè corretto contengono una sola unità alcolica, mentre un bicchiere di cognac equivale a due unità. Non è corretto dire, quindi, che la tequila sia più pericolosa della birra, sempre che sia nella dose di un bicchierino. Ovviamente, un boccale di tequila sarebbe di certo molto, molto pericoloso.


In uno studio si rilevò un lieve ritardo nello sviluppo psicomotorio dei bambini quando le mamme consumavano più di due unità alcoliche al giorno. Basandosi su questo dato, molti testi raccomandano “massimo due bevande alcoliche al giorno” durante l’allattamento. In realtà, è una regola prudente non solo durante l’allattamento, ma per tutta la vita. L’alcool è dannoso per la salute, per quella della madre come per quella del padre, ed è buona cosa non superare mai i due bicchieri (e non bere affatto bevande alcoliche sarebbe addirittura meglio).


Ma se siete di quelle che bevono tre o quattro bicchieri al giorno, e non riuscite o non volete smettere, non credo che stiate per questo compromettendo la salute di vostro figlio. Recate danno a voi stesse, ma non al bambino. È molto meglio allattare, anche se la madre beve tre bicchieri al giorno, che non pensare al biberon. È difficile che questa quantità di alcool nuoccia al bambino, e gli stessi scienziati, quando ripeterono lo stesso esperimento anni più tardi, non trovarono una relazione tra alcool e sviluppo psicomotorio. Probabilmente succede che molte mamme che bevono durante l’allattamento, abbiano bevuto anche in gravidanza ed è questo che ha danneggiato lo sviluppo dei figli.


In gravidanza, l’alcool è pericoloso. Molto pericoloso. Non c’è nessuna quantità di alcool che possa essere considerata sicura durante la gravidanza. L’obiettivo deve essere consumo zero, neanche una goccia di alcool. Certo, una birra a settimana sarà meno dannosa che una birra al giorno, ma nessuno può garantire che “con una birra a settimana non succeda niente”.


Se un giorno, durante una festa, bevete più del solito, è prudente non allattare mentre siete visibilmente brille, soprattutto se il bambino ha poche settimane. Se una madre è brilla, l’alcool nel latte rimane comunque il minore dei suoi problemi. Sarà capace di badare a suo figlio in quello stato? Non lo farà cadere a terra? Non commetterà l’imprudenza di mettersi al volante? Nessuno dovrebbe mai ubriacarsi, men che meno chi ha la responsabilità di prendersi cura di un bambino. Quando sarete di nuovo tranquille vorrà dire che il vostro livello nel plasma, quindi il livello nel latte, si sarà riabbassato di uno 0,15. Ricordate, l’alcool passa facilmente nei due sensi, non si accumula nel seno. Quindi non è necessario togliersi il latte e buttarlo (a meno che non abbiate il seno troppo pieno e che vi infastidisca); il latte si purifica da solo.


Nel 2002, il canadese Koren pubblicò una tabella per calcolare quante ore doveva aspettare una donna prima di allattare, a seconda della quantità di alcool che aveva bevuto. Per esempio, una donna di 60 kg che avesse bevuto due bicchieri avrebbe dovuto aspettare quasi cinque ore. Purtroppo le sue raccomandazioni, calcolate per fare in modo che il livello di alcool nel latte scendesse a zero, hanno trovato ampia diffusione. Dare a un bambino latte artificiale nelle ore in cui la madre aspetta di eliminare l’alcool ingerito può essere una scelta peggiore per la sua salute che prendere latte materno con una percentuale minima di alcool (inoltre, la madre sarà in grado di preparare correttamente un biberon sotto l’effetto dell’alcool?). Nel 2013, dopo aver esaminato a fondo la questione, la danese Haastrup è giunta alla conclusione che le raccomandazioni canadesi “sembrano rappresentare un approccio eccessivamente cauto che non è sostenuto da dati oggettivi”, e che il consiglio per le madri che allattano deve essere lo stesso che si dà alle donne adulte in generale: meglio non superare le due unità alcoliche al giorno.


Che sia chiaro, però, che queste due unità alcoliche rappresentano la quantità massima ammissibile, non una raccomandazione. Sono anni che i produttori di alcool cercano di convincerci che bere un bicchiere di vino al giorno è un’abitudine sana, abbassa il colesterolo, allunga la vita e altre stupidaggini del genere. Non fateci caso. L’alcool non fa bene alla salute, in nessuna circostanza. Qualsiasi ipotetico effetto benefico del vino si potrebbe ottenere ugualmente mangiando uva, senza correre rischi.


Little RE, Northstone K, Golding J, ALSPAC Study Team, Alcohol, breastfeeding, and development at 18 months, “Pediatrics”, num. 109, 2002, E72-2


http://pediatrics.aappublications.org/cgi/content/full/109/5/e72


Koren G, Drinking alcohol while breastfeeding. Will it harm my baby?, in “Can Fam Physician”, num. 48, 2002, pp. 39-41.


www.cfp.ca/content/48/1/39.full.pdf


Haastrup MB, Pottegård A, Damkier P, Alcohol and breastfeeding, in “Basic Clin Pharmacol Toxicol”, num. 114, 2014, pp. 168-173.


http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/bcpt.12149/full

Tabacco

Come l’alcool, anche il tabacco è dannoso per la salute. Sarebbe meglio che la madre che sta allattando non fumi. E anche quella che usa il biberon. E pure il padre. E quelli che non hanno figli. Fumare fa male a tutti.


Nonostante questo, se fumate, come con l’alcool, è meglio che continuiate ad allattare. Il fumo fa male, ma non in modo tale da poter trasformare il latte materno in qualcosa di peggio del latte artificiale.


I figli di genitori fumatori soffrono maggiormente di problemi respiratori; bronchite, polmonite, otite. È stato dimostrato che l’allattamento materno protegge in parte da questi problemi. Ovvero, il fumo del tabacco combinato con il biberon è il peggior binomio per la salute del bambino. Se non riuscite a smettere di fumare, almeno continuate ad allattare.


Disgraziatamente molta gente (familiari, conoscenti, e addirittura qualche medico) spinge la madre fumatrice a smettere di allattare. Forse è per questo che le madri che fumano svezzano, statisticamente, prima delle altre.


La nicotina passa nel latte. Addirittura anche nel latte di alcune madri non fumatrici c’è presenza di nicotina, perché sono fumatrici passive. Ma ricordate che la nicotina è il minore dei problemi del fumo. Il cancro, la bronchite e l’enfisema non sono causati dalla nicotina, ma dal catrame e da altri componenti. Per questo vengono utilizzati cerotti di nicotina per smettere di fumare: perché il fumo del tabacco è molto più pericoloso della nicotina presente nel cerotto.


Pertanto, se la madre fuma, il pericolo per il bambino non è il latte contaminato, ma il fumo. Se non fumate in casa, vostro figlio non sarà esposto al fumo, e la nicotina nel latte non gli farà alcun male. Invece, se lo fate dentro casa, vostro figlio respirerà la stessa quantità di fumo, sia prendendo il biberon che con l’allattamento al seno.


Chiaramente, il fumo che produce il padre o qualsiasi altra persona è pericoloso come quello della madre. La legge proibisce di fumare in tutti i luoghi di lavoro per proteggere i nostri colleghi che non fumano. Non vi sembra che la salute di vostro figlio meriti la stessa protezione? Non è abbastanza non fumare nella stessa stanza; gli appartamenti sono molto piccoli e il fumo li invade completamente. Insistete che nessuno fumi in nessun luogo della casa. Se proprio non se ne può fare a meno, andate sul balcone.


Non si può nemmeno approfittare dei momenti in cui il bambino è al nido per fumare in casa. I prodotti tossici del fumo del tabacco non scompaiono magicamente, ma si depositano su mobili, pavimenti e pareti, impregnano vestiti, tende e tappezzeria. Quando ci si siede sul divano di un fumatore si è avvolti da un’invisibile nube tossica. Se è vietato fumare al bar dell’angolo, perché dovreste fumare dentro casa vostra? Mai e poi mai!


E se per smettere di fumare avete bisogno di cerotti o gomme da masticare di nicotina, usateli. Potete continuare ad allattare senza timore. Questi cerotti sono prodotti calcolando che la quantità di nicotina nel sangue sia all’incirca la stessa di quando si fuma, quindi non è pericolosa per il bambino.


DiFranza JR, Aligne CA, Weitzman M, Prenatal and postnatal environmental tobacco smoke exposure and children’s health, in “Pediatrics”, num. 113, 2004, pp. 1007-1015.


http://pediatrics.aappublications.org/content/113/Supplement_3/1007.long

Caffè

La caffeina passa nel latte, ma in piccole quantità. Secondo uno studio, con madri che bevevano cinque tazze di caffè al giorno, con 100 milligrammi di caffeina a tazza, non si alterava né il sonno, né la frequenza cardiaca dei bambini, che ricevevano attraverso il latte meno di un milligrammo per chilo al giorno di caffeina.


Quindi potete bere caffè tranquillamente. C’è però la possibilità che un esagerato consumo di caffè, sommato alle bevande tipo coca cola, al tè, al mate e al cioccolato, possa alterare qualche bambino particolarmente sensibile. Se vi sembra che vostro figlio dorma poco o che sia molto nervoso, provate a bere decaffeinato e a ridurre altre fonti di caffeina.


Ryu JE, Effect of maternal caffeine consumption on hearth rate and sleep time of breastfed infants, in “Dev Pharmacol Ther”, num. 8, 1985, pp. 355-363.

Isotopi radioattivi

Se si fa una gammagrafia con isotopi radioattivi, è possibile che dobbiate interrompere l’allattamento per qualche ora. L’agenzia per l’energia atomica degli Stati Uniti ha dato regole molto precise su quante ore bisogna stare senza allattare a seconda del tipo di isotopo e della dose. Le troverete su:


NUREG – 1556, Consolidated guidance about materials licenses. Washington, 2008


https://scp.nrc.gov/narmtoolbox/nureg1556vol9_rev2_012408.pdf


Non so cosa succeda sempre a questo documento, ma tutte le volte che lo vado a cercare in rete, il sito web è cambiato. Forse è più semplice cercare soltanto “NUREG 1556”. Quando lo trovate, andate all’Appendice U, tabella U.3.


Quando la colonna 3 della tabella è vuota, significa che potete allattare senza dover interrompere. E queste regole sono calcolate con un ampio margine di sicurezza, non c’è alcun motivo di attendere del tempo in più. In molti ospedali sembra che si ignori l’esistenza di queste norme, e si raccomanda di stare diversi giorni senza allattare, cosa che non ha alcuna giustificazione. Potete stampare queste pagine e portarle al vostro medico. È diverso l’utilizzo dello iodio radioattivo non per fare una gammagrafia, ma per distruggere la tiroide in caso di ipertiroidismo. La dose è molto più alta e bisogna svezzare il bambino. Di fatto bisognerebbe svezzare il bambino due o tre settimane prima che vi sia somministrato lo iodio radioattivo, perché la ghiandola mammaria attiva potrebbe captare lo iodio ed essere a sua volta colpita dalla radiazione.

Contaminanti ambientali

Ogni tanto i direttori di qualche testata giornalistica (a volte spinti da organizzazioni ecologiste) mettono in guardia sui pesticidi nel latte materno, seminando il panico fra le madri.


Perché gli scienziati dedicano il loro tempo a cercare contaminanti nel latte materno? Sarà che l’argomento è preoccupante? Non esattamente. Il fatto è che alcuni contaminanti, come il DDT, la diossina o i PCB, si accumulano nel tessuto grasso. Quindi, un’analisi del sangue sarebbe poco utile per conoscere il livello di contaminazione di un individuo; bisognerebbe ricorrere a una biopsia. Il latte materno riflette la contaminazione del tessuto grasso, e offre una maniera molto più semplice di calcolare il livello di contaminazione di una determinata popolazione. Per questo motivo sono state realizzate in tutto il mondo dozzine di studi sui contaminanti nel latte materno: è un semplice marcatore epidemiologico, un modo di sapere come si sviluppa il problema della contaminazione di un Paese.


La contaminazione del latte materno non è nuova, è decenni che vengono pubblicati studi su questo tema. Di fatto, i livelli della maggior parte dei contaminanti (PCB, DDT…) sono diminuiti negli ultimi decenni, grazie ai provvedimenti legali che ne hanno limitato o proibito l’uso.


Le centinaia di studi pubblicati, in cui si dimostra che il latte materno diminuisce l’incidenza di infezioni, allergie, diabete, leucemia e anche il tasso della mortalità globale negli USA (pag. 346), sono stati effettuati su madri il cui latte era contaminato, più di quello di oggi. Anche quando è contaminato, il latte materno è di gran lunga migliore per la salute rispetto al biberon.


Vari studi in Olanda (Koopman-Esseboom, Boersma, Patandin) mostrano che l’esposizione ai PCB, soprattutto attraverso la placenta, danneggia lo sviluppo psicomotorio e l’intelligenza del bambino a medio termine. Ma l’allattamento materno contrasta in parte questo effetto, e lo sviluppo dei bambini allattati al seno, anche se il latte è contaminato, è migliore di quello dei bambini che prendono il biberon.


A meno che la madre non sia stata esposta a qualche contaminazione accidentale di massa, i suoi livelli di contaminanti riflettono semplicemente l’esposizione di qualsiasi persona della sua età nella sua stessa comunità. Se vostro figlio respira la stessa aria, mangia lo stesso cibo e beve la stessa acqua, alla vostra età sarà contaminato esattamente quanto voi. L’aver ricevuto in più una piccola quantità di contaminanti che immagazzinava la madre aumenterà solo di poco i suoi livelli. L’unico modo di diminuire la contaminazione dei nostri figli è lottare perché il nostro ambiente sia meno contaminato.


L’ingerimento di acqua contaminata da nitrati non aumenta la contaminazione di nitrati nel latte materno. Invece, il lattante corre davvero un grosso rischio se gli viene preparato un biberon con la stessa acqua contaminata.


Alcune mamme sono molto preoccupate perché lavorano con prodotti chimici e magari qualcuno ha detto loro che non possono allattare. È una sciocchezza. Come succede per qualsiasi medicinale, quel che riceve il bambino attraverso il latte è solo una piccolissima parte di quel che ha preso la madre. Se siete esposte a quantità così grandi di una sostanza tossica, tanto che il vostro latte avvelena il bambino, allora quel che dovete fare non è smettere di allattare, ma andarvene e cambiare lavoro. È un suicidio lavorare per anni in un posto così pericoloso. E se voi non correte pericolo, se si seguono tutte le misure di sicurezza perché possiate lavorare in perfetta salute fino a sessantacinque anni, allora potete allattare senza problemi.


Solomon GM, Weiss PM, Chemical contaminants in breast milk: time trends and regional variability, in “Environ Health Perspect”, num. 110, 2002, pp. A339-347.


www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1240888


Landrigan PJ, Sonawane B, Mattison D, McCally M, Garg A, Chemical contaminants in breast milk and their impacts on children’s health: an overview, in “Environ Health Perspect”, num. 110, 2002, pp. A313-315.


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Pronczuk J, Akre J, Moy G, Vallenas C, Global perspectives in breast milk contamination: infactious and toxic hazards, in “Environ Health Perspect”, num. 110, 2002, pp. A349-351.


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Koopman-Esseboom C, Weisglas-Kuperus N, de Ridder MA, Van der Paauw CG, Tuinstra LG, Sauer PJ, Effects of polychlorinated biphenyl/dioxin exposure and feeding type on infants’mental and psychomotor development, in “Pediatrics”, num. 97, 1996, pp. 700-706.


Boersma ER, Lanting CI, Environmental exposure to polychlorinated biphenyls (PCBs) and dioxins. Consequences for longterm neurogical and cognitive development of the child lactation, in “Adv Exp Med Biol”, num. 478, 2000, pp. 271-287.


Patandin S, Lanting C, Mulder PG, Boersma ER, Sauer PJ, Weissglass-Kuperus N, Effects of environmental exposure to policlorinated biphenyls and dioxins on cognitive abilities in Duch children at 42 months of age, in “J Pediatr”, num. 134, 1999, pp. 33-41.


Dusdieker LB, Stumbo PJ, Kross BC, Dungy CI, Does increased nitrate ingestion elevate nitrate levels in human milk?, in “Arch Pediatr Adolesc Med”, num. 150, 1996, pp. 311-314.

Un dono per tutta la vita - Seconda edizione
Un dono per tutta la vita - Seconda edizione
Carlos González
Guida all’allattamento materno.Un vademecum indispensabile, con tante informazioni pratiche per aiutare le madri che desiderano allattare a farlo senza stress e con soddisfazione. Dopo i bestseller Bésame mucho e Il mio bambino non mi mangia, Carlos González, in una seconda edizione ampliata e aggiornata, con Un dono per tutta la vita torna a parlare di una delle sue grandi passioni: la difesa dell’allattamento materno.Il suo obiettivo non è convincere le madri ad allattare, né dimostrare che allattare al seno sia meglio, bensì offrire informazioni pratiche per aiutare quelle mamme che desiderino allattare a farlo senza stress e con soddisfazione.Nel seno, oltre al cibo, il bimbo cerca e trova affetto, consolazione, calore, sicurezza e attenzione.Non è solo una questione di alimentazione: il bimbo reclama il seno perché vuole il calore di sua madre, la persona che conosce di più.Per questo motivo, la cosa importante non è contare le ore e i minuti o calcolare i millilitri di latte, ma il vincolo che si stabilisce tra i due, una sorta di continuazione del cordone ombelicale.L’allattamento è parte del ciclo sessuale della donna; per molte madri è un momento di pace, di soddisfazione profonda, in cui riconoscono di essere insostituibili e si sentono adorate.È un dono, sebbene sia difficile stabilire chi dia e chi riceva. Conosci l’autore Carlos González, laureato in Medicina presso l’Università Autonoma di Barcellona, si è formato come pediatra presso l'ospedale Sant Joan de Déu.Fondatore e presidente dell’Associazione Catalana per l’Allattamento Materno, tiene corsi sull’allattamento per personale sanitario e traduce libri sul tema. Dal 1996 è responsabile del consultorio sull’allattamento materno e da due anni cura la rubrica dedicata della rivista Ser Padres.È sposato, padre di tre figli e vive a Hospitalet de Llobregat, in provincia di Barcelona.