CAPITOLO VII

Problemi al seno

Capezzoli invertiti

Anni fa pensavamo che i capezzoli invertiti creassero molte difficoltà all’allattamento. Cercavamo di convincere i ginecologi della necessità di controllare i capezzoli alle donne gravide. Bisogna estroflettere il capezzolo prima che nasca il bambino! Per questo si proponevano due cure, il paracapezzolo formatore (pag. 152) e gli esercizi di Hoffman.


Per fortuna non riuscimmo a convincere i ginecologi, risparmiandoci così di dover fare la ridicola figura di doverli far tornare sulle loro primitive posizioni. Perché negli ultimi anni ci sono state date due importanti notizie: quella negativa, che le cure per il capezzolo invertito in realtà non fanno nulla (e quindi risulta inutile la diagnosi precoce); quella positiva, che si può allattare perfettamente con un capezzolo invertito.


Alla fine degli anni Ottanta un’ostetrica inglese, di nome Alexander, si chiedeva quale dei due trattamenti, se il paracapezzolo o gli esercizi di Hoffman, fosse più utile. Fece quel che si fa di solito in questi casi: cercare pubblicazioni di studi scientifici sull’argomento. Cercò e cercò, ma non trovò nulla. Sugli esercizi di Hoffman era stato pubblicato un solo articolo, quello dello stesso dottor Hoffman, che spiegava quanto bene avessero fatto i suoi esercizi a due mamme. Sul paracapezzolo non risultava nessuno studio.


La Alexander decise di svolgere personalmente una ricerca. Suddivise a caso, in quattro gruppi, un centinaio di donne incinte con i capezzoli invertiti. Un gruppo utilizzò, durante la gravidanza, i paracapezzoli formatori, un altro praticò gli esercizi di Hoffman, il terzo gruppo fece entrambe le cose e il quarto gruppo non fece nulla.


Il risultato non poteva essere più sorprendente. Primo, il 60% dei capezzoli previamente invertiti divennero normali al momento del parto, nella stessa misura nei quattro gruppi (di fatto, in percentuale maggiore nel gruppo in cui non era stato effettuato alcun trattamento, ma la differenza era talmente lieve che avrebbe potuto essere solo una coincidenza). Ciò significava che i capezzoli si curavano da soli, e il trattamento non contribuiva per niente a migliorarli. Dopo sei settimane, la percentuale delle madri che continuavano ad allattare al seno era diminuita all’interno del gruppo che aveva utilizzato solo i paracapezzoli; alcune trovarono questa soluzione talmente scomoda che decisero di smettere di allattare.


Questo è un buon esempio per far capire perché sono necessari esperimenti scientifici ben progettati. È indispensabile un gruppo di controllo per poter distinguere i risultati dovuti al trattamento da quelli che sono frutto del caso. Per anni, molte mamme (cioè il 60%) avevano affermato che queste cure avevano portato beneficio; e molti medici e ostetriche dicevano: “Io raccomando sempre l’uso dei paracapezzoli (o la pratica degli esercizi), e funzionano molto bene nella maggior parte dei casi”. È necessario inoltre che la ricerca valuti con diversa rilevanza un risultato talmente importante (come l’allattamento) rispetto a un semplice risultato intermedio come la forma del capezzolo. Immaginiamo che le mamme che usano il paracapezzolo avessero allattato per più tempo, rimanendo inalterata la percentuale del gruppo con i capezzoli curati. Questo indicherebbe che i paracapezzoli sono utili e bisogna consigliarli vivamente, solamente che non sappiamo perché sono utili. O al contrario, potrebbe essere che i paracapezzoli risultino molto utili per cambiare la forma del capezzolo, ma poi, nell’ora della verità, le madri allattino allo stesso modo in un gruppo così come negli altri; a che serve allora avere il capezzolo estroflesso?


Lo studio della Alexander arrivò come una doccia fredda. Era molto difficile pensare che quei trattamenti, che avevamo visto funzionare per anni, in realtà fossero inutili. Così fu ripetuto uno studio simile, ma a livello più esteso, con un maggior numero di donne gravide ricoverate in diversi ospedali. Il risultato fu lo stesso: dopo sei settimane, la percentuale di madri che allattavano al seno era esattamente la stessa nei quattro gruppi. Almeno questa volta i paracapezzoli non risultarono controproducenti, ma semplicemente inutili.


Alcuni sostengono che questi studi furono svolti solo con determinate marche di paracapezzoli, e che, sul mercato, ne esistono altre, differenti, che sarebbero potuto risultare più valide. Per quel che ne so, nessuno ha mai fatto ricerche con questi altri tipi, pertanto nessuno ha dimostrato che servissero a qualcosa.


Improvvisamente disarmati, abbiamo visto che il capezzolo invertito non era così terribile come lo si dipingeva. Le donne potevano continuare ad allattare, nonostante tutto. In un certo qual modo era una cosa logica; una cosa che ci ha fatto esclamare: come ho potuto non accorgermene prima! Il bambino non succhia dal capezzolo, ma dal seno. È sull’areola che deve posizionare le labbra, sull’areola dove deve spingere con la lingua. Mentre sta poppando, il bambino non può distinguere la differenza tra un capezzolo invertito e uno normale. Un’amica ostetrica, Lourdes Martinez, ha seguito una donna che allattò per mesi, nonostante le mancasse un capezzolo. Gliel’avevano estirpato da bambina, per un’infezione della pelle.


Il capezzolo non serve per allattare, ma solo a indicare al bambino dove deve succhiare. È come la bandierina che si posiziona sul campo da golf perché, da lontano, si riesca a individuare la buca. Se il seno fosse completamente liscio e omogeneo, come un pallone, il bambino non saprebbe da dove estrarre il latte. Si metterebbe a poppare da qualsiasi parte. A mia moglie capitò una notte: il bimbo si confuse e le lasciò un bel livido. Per evitare errori, la natura ha previsto un complesso sistema di identificazione, in cui intervengono quattro sensi: vista, tatto, gusto, olfatto. Il bimbo annusa il capezzolo (in un esperimento, durante il parto, lavavano col sapone uno dei seni e poi appoggiavano il bambino nel mezzo; la maggioranza si attaccava al seno non lavato); vede l’areola (che è come il cerchio che segnala il centro del bersaglio e che si scurisce proprio all’inizio dell’allattamento, quando il bambino deve imparare a poppare); sfiora il capezzolo con le guance e con le labbra e lo lecca per verificare che abbia il gusto di capezzolo. Quando i quattro sensi si trovano d’accordo, il bimbo non ha dubbi: è qui il tesoro! Se manca il segnale tattile, se il petto è completamente liscio, ci restano ancora altre tre piste.


Probabilmente, per migliaia di anni, per i nostri antenati erano sufficienti tre piste per trovare la buca, e quasi tutti i bambini poppavano perfettamente anche se il capezzolo era piatto. Oggi, come abbiamo già spiegato (pag. 63), la cosa è un po’ più complicata: anestesia durante il parto, separazione dopo i primi minuti, mamme che non hanno avuto opportunità di imparare ad allattare osservando altre mamme… Ma se qualcuno, l’ostetrica o l’infermiera, aiuta la madre ad attaccare il bambino al seno, questi succhierà normalmente, per quanto invertito possa essere il capezzolo.


Dopo un paio di giorni che il bimbo poppa, il capezzolo rimane normalmente estroflesso. La forza di un neonato, esercitata per più di due ore al giorno (suddivise in varie suzioni), può tutto. A volte, il cambiamento di forma diventa definitivo; ma molte madri scoprono con sorpresa che il capezzolo torna a invertirsi dopo lo svezzamento, e che il successivo figlio dovrà estrofletterlo nuovamente. Con la pratica acquisita, probabilmente, potrà attaccare il suo secondo figlio al seno senza nessun aiuto.


Quindi il capezzolo invertito provoca difficoltà per l’allattamento quando la madre non è aiutata. Ma se le infermiere e le ostetriche conoscono il sistema e danno una mano alla madre, il capezzolo invertito può rivelarsi quasi un vantaggio. Perché da un capezzolo estroflesso si può succhiare più o meno correttamente, e il succhiare in modo errato finirà per provocare ragadi e altri problemi. Ma da un capezzolo invertito o si succhia bene o non si succhia. Se il personale si sforza particolarmente nell’aiutare la madre, l’allattamento va liscio come l’olio fin dal principio.


Si è cercato di estroflettere i capezzoli con un apparato disegnato appositamente (Niplette®). Di regola, non credo che siano molto utili né così necessari; si può allattare senza usarli. A volte è stato raccomandato anche l’uso di una siringa tagliata e posizionata al contrario, ma non sembra che sia molto utile e in alcuni casi può arrecare danni al capezzolo.


Alexander JM, Grant AM, Campbell MJ, Randomised controller trial of breast shells and Hoffman’s exercises for inverted and non-protractile nipples, in “Br Med J”, num. 304, 1990, p. 1030.

Dolore ai capezzoli

Allattare non dovrebbe provocare dolore.


Molta gente pensa che il dolore sia inevitabile, che sia parte dell’allattamento, perciò bisogna resistere. Non è vero. Allattare non deve causare dolore. Al massimo si può sentire un leggero fastidio nei primi giorni, per mancanza di abitudine. Ma dolore no. Il dolore indica che qualcosa sta andando male, e la causa più frequente (nei primi giorni quasi l’unica) è la posizione scorretta.


Questa affermazione spesso genera un malinteso. C’è ancora qualcuno che dice: “Come è possibile che non faccia male? Certo che fa male! A me ha fatto un male cane”. D’accordo. A molte donne allattare fa male: quando hanno le ragadi, quando hanno la mastite, quando il bambino succhia in posizione sbagliata o ha il frenulo della lingua troppo corto. E in alcuni casi non sappiamo nemmeno perché faccia male. Ma non è normale. Non stiamo dicendo che “non fa male”, ma che “non dovrebbe far male”. Come camminare. Se vi dovesse far male l’anca quando camminate, andreste subito dal medico, no? Potrebbe trattarsi di artrosi, o di un’infezione… non vi sentireste di certo così tranquille da dire: “Sì, a volte fa male, ma bisogna sopportarlo”. Quindi, quando date il seno per allattare, se vi fa male bisogna chiedere aiuto, che sia al medico, all’ostetrica, all’infermiera, alla consulente per l’allattamento o al gruppo di sostegno. Bisogna cercare la causa di tale dolore e trovare una soluzione.

Ragadi al capezzolo

Le principali cause delle ragadi sono la posizione scorretta del bambino durante la suzione, il frenulo linguale corto o una combinazione di questi due fattori. In posizione scorretta, il bimbo ha la bocca poco aperta, prende solo il capezzolo, è troppo lontano dal seno. Cerca di risucchiare (invece di poppare correttamente con la lingua), e le guance gli si infossano. Sta attaccato molto tempo al seno e succhia spesso. Sovente la madre interpreta questi gesti al contrario: pensa che suo figlio stia poppando bene, molto e con molta forza, quando invece lo sta facendo proprio malissimo.


Il capezzolo è molto sensibile al dolore, proprio per avvisarci che esiste un problema. Se sentite dolore durante la suzione, modificate la posizione, cosa che spesso si può fare spostando il bambino anche senza staccarlo dal seno (spostate il bambino in direzione dei piedini, attaccatevelo bene al corpo, spingetelo mettendogli una mano nella parte alta della schiena perché pieghi bene la testa all’indietro). In altri casi bisognerà, invece, staccarlo dal seno e poi riposizionarlo (prima apritegli la bocca con un dito per rompere l’effetto ventosa). A pagina 53 abbiamo spiegato in dettaglio come assumere una posizione corretta. Le ragadi sono molto più facili da prevenire che da curare; fate qualcosa quando sentite dolore, non aspettate che si apra una ferita sanguinante. Inoltre, quando un bambino poppa da alcuni mesi in posizione errata, a volte è molto difficile che la cambi.


Non è sempre facile fargli assumere una posizione corretta. E non è molto conveniente togliergli il seno e ridarglielo cinque o dieci volte di seguito perché alla fine il bimbo si innervosisce. A volte, al terzo o quarto tentativo, bisogna adattarsi a una posizione che, anche se non è perfetta, risulta decisamente meglio della precedente, e aspettare la poppata successiva per perfezionarla.


Quando si corregge la posizione, il dolore svanisce immediatamente. O almeno diminuisce talmente che, paragonato al precedente, non lo si avverte neppure. Merita di essere osservata l’espressione di sollievo e stupore della madre quando, dopo giorni o settimane (a volte mesi) di sofferenza, raggiunge una posizione che non le provoca dolore. Naturalmente se la screpolatura non è stata curata continua ad persistere, alla base o sulla punta del capezzolo. Ma non provoca dolore, perché nella posizione corretta le gengive non premono sulla ferita, ma molto più verso l’interno.


A partire da questo momento, la screpolatura si curerà da sola in pochi giorni, come qualsiasi graffio superficiale sulla pelle. L’unico motivo per il quale la screpolatura non si è rimarginata rapidamente è dovuto al fatto che il bambino, succhiando, la torturava a ogni poppata. Quando la posizione corretta non apporta un rapido miglioramento, è probabile che il problema non fosse solo la posizione, ma che forse il bambino abbia un problema al frenulo linguale, oppure che sia subentrata un’infezione (si veda più avanti).


Se il dolore è molto intenso, e tarda ad alleviarsi, può essere utile ricorrere alla compressione mammaria (vedi pag. 90) per qualche giorno, per abbreviare il tempo di suzione e diminuire la pressione sul capezzolo. Alcune mamme arrivano a togliersi il latte per ore o per giorni, per darlo al proprio figlio con un bicchierino ed evitare la suzione diretta. Questo può risultare utile in alcuni casi disperati, ma in generale non è necessario e a volte si rivela controproducente: da una parte, il bambino non ha l’opportunità di fare pratica e imparare a succhiare meglio; dall’altra, il tiralatte può essere ancora più doloroso della suzione.


Non esiste alcuna pomata che serva a prevenire o a curare le normali ragadi (quelle non infette). Se il bambino succhia in posizione scorretta nessuna pomata impedirà la comparsa del dolore e delle ragadi. Se invece poppa nella giusta posizione, non è necessario applicare pomate antiragadi, né creme idratanti, né altro. Allo stesso modo, una volta comparse le ragadi, nessuna pomata potrà curarle se non si corregge la posizione; ottenuto questo obiettivo, la guarigione sarà talmente rapida che qualsiasi trattamento risulterà inutile.


Per molto tempo si è raccomandato l’uso di paracapezzoli per evitare il dolore delle ragadi. Può essere che si rivelino utili in qualche caso specifico, ma in generale non sono consigliabili. I modelli antichi, di caucciù (o di vetro e caucciù), creavano molte difficoltà alla suzione, e il bambino non riusciva a succhiare tutto il latte di cui aveva bisogno. Anche i modelli attuali, di silicone fine, riducono parzialmente la quantità di latte ingerita. Il bambino imparerà difficilmente a poppare meglio se non può farlo da un seno nudo (il paracapezzolo impedisce che il capezzolo e l’areola si stirino e si modellino alla bocca). In alcuni casi il dolore, invece di diminuire, aumenta con l’uso dei paracapezzoli, perché la screpolatura sfrega più volte contro la parete rigida. E, se non li si toglie, in pochi giorni l’allattamento va allo sfascio: poppare con i paracapezzoli è difficile, e anche se ho conosciuto un paio di donne che hanno allattato per alcuni mesi, è molto più facile che l’allattamento vada peggiorando e si abbandoni dopo pochi giorni. Quindi, se il dolore è talmente forte che decidete di ricorrere al paracapezzolo, tenete conto di due punti importanti:

  1. Smettete di usarlo se non sentite sollievo immediato. La sua unica presunta utilità è quella di proteggere la ferita mentre il bimbo succhia, evitando così il dolore. Se vi fa male lo stesso o di più, non vale la pena continuare a provarci; non avrete risultati migliori il secondo giorno rispetto al primo.
  2. Se sentite sollievo, usatelo solo per qualche giorno. Toglietelo non appena la screpolatura migliora.

Le ragadi compaiono di solito nei primi giorni dell’allattamento. O guariscono, o l’allattamento finisce, perché poche madri riescono a sopportare il dolore per settimane o mesi. A mano a mano che il bimbo cresce, si attacca al seno sempre meglio, sia per la pratica, sia perché ha la bocca più grande; e anche la madre trova di solito una posizione meno dolorosa. Non è raro vedere guarigioni parziali, cioè madri che dopo due o tre mesi spiegano di aver avuto ragadi, che sono guarite, ma che ogni volta che il bimbo succhia hanno ancora male. In questi casi è difficile correggere la posizione; se il bambino passa molto tempo a muovere lingua e mandibola in un determinato modo, forse non riesce o non vuole cambiare. Tenuto conto che la cosa importante è il movimento della lingua, qualche volta è possibile posizionare correttamente la bocca del bambino al seno ma, nonostante questo, il piccolo potrebbe continuare a poppare male.


Quando il bambino impara a succhiare in modo corretto, di solito continua a farlo per tutto il periodo dell’allattamento. Se, dopo aver allattato senza problemi per settimane o mesi, incominciate improvvisamente a sentire dolore ai capezzoli durante le suzioni, non sarà perché vostro figlio ha iniziato a prendere il biberon o a tenere in bocca i succhiotti? Molti bambini alternano seno e biberon senza difficoltà, per esempio quando la mamma riprende a lavorare; ma alcuni, a qualsiasi età, si confondono e cominciano a poppare male.

Frenulo corto

Alcuni bambini non riescono a poppare correttamente perché hanno il frenulo della lingua troppo corto.


Ho conosciuto una madre che aveva scoperto e diagnosticato da sola il suo problema. Era diverse settimane che sopportava il dolore e si era accorta che il frenulo era così corto che la lingua restava attaccata al pavimento della bocca, con la punta a forma di cuore. Inoltre, visto che la sorella aveva avuto un bambino quasi contemporaneamente, provarono a scambiarsi i bimbi per una poppata: lei non sentì dolore allattando il nipote, mentre la sorella vide le stelle. Purtroppo, molti medici pensano che il frenulo corto non causi problemi e che sia meglio non intervenire. Tutt’al più credono che, in alcuni rari casi, possa dare problemi di pronuncia… così, prima di tagliare, bisogna aspettare che il bambino impari a parlare, per vedere come pronuncia le parole. La nostra amica dovette peregrinare da un otorino all’altro, finché uno accettò di operare il frenulo a suo figlio.


A volte la punta della lingua spunta, ma solo verso il basso (il bambino non è in grado di sollevare la lingua, come per toccarsi la punta del naso). Altre volte il problema è localizzato nella parte posteriore della lingua che è troppo fissa e non riesce a spremere il seno correttamente. Questo tipo di frenulo, detto sottomucoso, non si nota a prima vista: si può toccare o si scopre a causa dei suoi effetti, perché impedisce che la parte posteriore della lingua si alzi.


Quando l’allattamento risulta doloroso o il bambino non aumenta di peso nonostante sia posizionato in maniera corretta, è importante che un esperto valuti se esiste un problema con il frenulo linguale.


Potrebbe sembrare che sia il frenulo a dover agganciare la lingua alla mandibola, ma in realtà è il contrario: è la mandibola che si aggancia alla lingua. La lingua di un bambino è un muscolo potente, e durante la vita fetale, se esiste già il frenulo, questo può tirare la mandibola all’indietro, ostacolandone la crescita, motivo per cui spesso si riscontra un marcato retrognatismo mandibolare (mandibola ritratta). Dopo la nascita il frenulo rende difficile l’apertura corretta della bocca, per cui il bambino non riesce ad afferrare una porzione sufficiente di seno.


Esiste un’interazione tra la posizione del seno e il frenulo linguale. I bambini senza frenulo possono poppare anche in posizione non del tutto corretta; i bambini con il frenulo corto devono stare in una posizione perfetta. Non tutti i frenuli sono uguali (possono essere più lunghi o più corti, più duri o più elastici, accompagnati da un maggiore o minore retrognatismo). Di certo, influiscono anche altri fattori come la dimensione della bocca, o la forma del seno (un seno conico entra più a fondo nella bocca del bambino di uno sferico). Alla fine ci sono bambini che possono continuare a poppare nonostante il frenulo, senza problemi o quasi, se la posizione è davvero buona. In altri casi, correggendo la posizione i problemi diminuiscono, ma continuano a essere abbastanza seri, per cui vale la pensa pensare di tagliare il frenulo. In altri casi ancora, pensare di continuare ad allattare senza prima recidere il frenulo è impossibile.


Il frenulo linguale può causare praticamente gli stessi sintomi che abbiamo spiegato in precedenza riguardo alla posizione scorretta. In fin dei conti, il meccanismo è lo stesso: il bambino poppa male perché è in una posizione scorretta, perché ha il frenulo troppo corto o per una combinazione di questi due fattori. Inoltre, più avanti il frenulo può causare anche altri problemi:

  • Anche se è raro, alcuni bambini possono avere problemi nel prendere il biberon: ci mettono troppo tempo, si stancano, il latte va loro di traverso…
  • Alcuni hanno problemi a cominciare a mangiare cibi solidi. Rischiano di strozzarsi, fanno fatica a spostare il cibo dentro la bocca e ad ingoiarlo. Alla fine imparano, certo, ma possono volerci mesi per riuscire a fare ciò che altri bambini fanno in pochi giorni.
  • Più avanti possono avere problemi di pronuncia. Di fatto, tra i professionisti che più hanno studiato il problema del frenulo linguale, si possono annoverare numerosi logopedisti, sia spagnoli che iberoamericani, come le autrici del “Test della lingua”, proposto obbligatoriamente per legge a tutti i nuovi nati del Brasile.
  • Possono anche avere problemi di malposizione dentaria. È grazie alla forza della lingua che l’arcata dentale rimane al suo posto: quando la lingua non può esercitare la sua forza verso l’esterno, gli incisivi inferiori si ammassano verso l’interno.
  • Possono essere soggetti all’insorgere di carie dentali. La malposizione in sé favorisce le carie, perché in bocca rimangono degli anfratti difficili da pulire. Inoltre, la lingua è uno spazzolino da denti naturale: ci sfreghiamo i denti tutto il giorno, quasi senza rendercene conto. Ma se c’è un punto in cui la lingua non arriva è più facile che lì si accumuli la placca dentale.

Non sappiamo chi tra questi bambini avrà problemi in futuro, o chi di loro pronuncerà perfettamente tutte le parole o avrà una dentatura ben allineata nonostante il frenulo linguale. Credo sia logico pensare (ma non posso citare studi che lo dimostrano) che i bambini che hanno più problemi durante l’allattamento forse sono quelli che hanno il frenulo più duro o più corto, e dunque sono anche quelli che rischiano maggiormente di sviluppare altri problemi col passare del tempo.


Anni fa, io stesso pensavo che il frenulo linguale potesse causare problemi durante l’allattamento solo quando interessava la punta della lingua, che non riusciva quasi a separarsi dalle gengive. Successivamente, grazie alle ricerche condotte da studiosi australiani e nordamericani ho appreso che anche i frenuli posizionati più indietro possono causare seri problemi. In particolare, quelli della sottomucosa, che non si vedono.


A volte mi è capitato di incontrare madri che anni prima mi avevano chiesto un consulto per problemi con l’allattamento e alle quali avevo detto che i figli non avevano il frenulo linguale. Ma adesso vedo che ce l’avevano. Alcune di quelle madri, quelle con i problemi più gravi (bambini che dimagrivano troppo, ragadi molto dolorose, infezioni…) hanno dovuto abbandonare in fretta l’allattamento: non sono riuscito ad aiutarle. Altre, con problemi un po’ meno gravi, hanno continuato ad allattare addirittura per anni, a volte anche a costo di svariate mastiti. “Mi fa ancora male, ma ormai mi sono abituata”, mi ha detto una mamma che continuava ad allattare il figlio di quasi tre anni.


Se la madre riesce a superare i problemi nelle prime settimane, spesso la situazione tende a migliorare in maniera spontanea. La bocca del bambino cresce assieme al corpo, può succedere che il frenulo si allunghi da solo a furia di muoverlo, e anche la madre impara, dopo numerosi tentativi, a trovare una posizione che non le faccia troppo male… Ma ho visto anche il caso opposto, molto meno frequente: un bambino di poche settimane ha il frenulo corto, ma poppa tranquillamente. La madre non sente dolore, il bambino ingrassa e sembra soddisfatto, le poppate hanno una durata ragionevole… e all’improvviso, dopo uno o due mesi, il bambino inizia a trascorrere le giornate attaccato al seno, prende poco peso, la madre prova dolore e le compaiono le ragadi. Questo episodio si può attribuire all’effetto della “montata lattea”: all’inizio il latte esce con tanta facilità che il bambino non ha quasi bisogno di sforzarsi; successivamente il bambino deve succhiare con più impegno e lì iniziano i problemi. Però questa evoluzione, ripeto, è rara ed è molto più comune che ci siano problemi fin dall’inizio. A volte si tratta di problemi fulminei: madri che dopo un giorno o due si ritrovano con le ragadi sui capezzoli.


Sembra che il frenulo linguale abbia un’importante componente ereditaria. Spesso uno o entrambi i genitori hanno a loro volta il frenulo corto. Alcuni si chiedono come possa essere tanto diffusa una malformazione che ostacola così seriamente l’alimentazione del bambino. Beh, da un lato anche se il frenulo corto provoca dolore, rallenta l’aumento di peso e genera altri problemi, raramente può portare alla morte del bambino, quindi non è necessario che venga eliminato dalla selezione naturale. Dall’altro, sono secoli che lottiamo contro questa selezione: sono stati ritrovati antichi papiri egizi che spiegavano come si recide il frenulo. La prima definizione di frenillo nel dizionario della Real Academia Española è “membrana che sostiene la lingua, posizionata sulla linea mediana della parte inferiore della bocca. Se si sviluppa troppo, impedisce di succhiare il latte o parlare con disinvoltura”, molto simile a quella del primo Diccionario de Autoridades (1726): “Impedimento con cui nascono alcuni bambini, che fa sì che la lingua rimanga attaccata al palato basso tramite una membrana, che impedisce di succhiare il latte e parlare quando si raggiunge l’età per farlo”. Che il frenulo linguale interferisse con l’allattamento si è sempre saputo; solo nel XX secolo pare che i medici se ne siano dimenticati, per cui, di fronte a qualsiasi problema legato all’allattamento, si preferiva consigliare il biberon invece di trovare una soluzione.


La recisione del frenulo è un intervento molto semplice, rapido e poco doloroso, come fare un’iniezione. Fino al quarto o al sesto mese si può praticare in forma ambulatoriale, presso un consultorio, con anestesia locale (persino in caso di frenulo sottomucoso); più si va avanti con l’età e più i bambini hanno troppa forza perché li si possa tenere tranquilli durante l’operazione, per cui sarebbe meglio anestetizzarli in sala operatoria. I risultati migliori si ottengono quando il frenulo viene reciso nei primi giorni o nelle primissime settimane di vita. I bambini che da mesi poppano in maniera scorretta qualche volta continuano a poppare male anche dopo l’intervento, e può essere molto difficile che imparino a muovere la lingua diversamente.


Trattandosi di una tecnica che per decenni è stata “dimenticata”, spesso i professionisti che cominciano a recidere il frenulo lo fanno in modo incompleto: ne incidono solo la parte anteriore, apportando poca o nessuna miglioria all’allattamento, o quasi. È necessario un secondo intervento per tagliare un altro pezzetto. D’altra parte, spesso si attribuisce al frenulo un problema che in realtà dipende solo (o essenzialmente) dalla posizione del bambino allattato al seno. Se non si corregge la posizione, recidere il frenulo non servirà a molto. In entrambi i casi, il frenulo è stato tagliato, ma i problemi dell’allattamento persistono e forse questo aiuterà a comprendere meglio la polemica che ancora interessa l’argomento: secondo alcuni l’intervento è molto efficace, mentre altri affermano che non funziona.


Dopo aver reciso il frenulo bisogna praticare per alcune settimane una serie di esercizi di riabilitazione, destinati a migliorare la mobilità della lingua e a impedire che il frenulo torni a saldarsi spontaneamente. Troverete questi esercizi (e molte altre informazioni sull’argomento) sul sito www.elfrenillolingual.com.


Il bambino poppa con le labbra estroflesse (piegate all’infuori). Molto raramente anche il frenulo del labbro (inferiore o superiore) può dare problemi per succhiare, quando il labbro rimane unito alla gengiva e non si può piegare.


Kenny-Scherber AC, Newman J, Office-based frenotomy for ankyloglossia and problematic breastfeeding, in “Can Fam Physician”, num. 62, 2016, pp. 570-571.


www.cfp.ca/content/62/7/570.long


Power RF, Murphy JF, Tongue-tie and frenotomy in infants with breastfeeding difficulties: achieving a balance, in “Arch Dis Child”, num. 100, 2015, pp. 489-494.


Martinelli RLC, Marchesan IQ, Gusmão RJ, Berretin-Felix G, El test de la lengüita, 2014.


http://cmolinternacional.com/protocolos-y-evaluaciones/

Candidosi del capezzolo

Le candide sono microscopici funghi che compaiono normalmente sulla pelle (e in molti altri punti), senza creare problemi… se sono tenuti sotto controllo e non crescono troppo.


A volte, le infezioni da candida si manifestano dopo aver assunto un antibiotico per curare un qualunque altro disturbo. Oltre a eliminare i microrganismi maligni che causano la malattia, l’antibiotico colpisce molti batteri buoni che si trovano nel nostro apparato digerente, sulla pelle, e nelle altre parti del corpo. Restano quindi zone vuote, che altri microbi si affrettano a occupare, tra questi le candide.


Nella donna adulta, le candide provocano normalmente vaginiti (flusso vaginale, bruciore e arrossamento). A volte causano balaniti nell’uomo (infiammazione del glande del pene). Possono anche produrre lesioni alla pelle, soprattutto nelle pieghe più umide del corpo (ascella, inguine, sotto i seni molto voluminosi…).


I bambini possono avere la candida nella bocca e sul sederino, ma raramente in altre zone del corpo. Nella bocca causa la comparsa del mughetto, placche bianche irregolari che si trovano sulla lingua, sulle gengive, all’interno delle labbra e delle guance o sul palato. Possono confondersi con depositi di latte coagulato; ma il latte si rimuove facilmente se si raschia via con un bastoncino o con un cucchiaino, mentre il mughetto resta saldamente attaccato alla mucosa.


Sul sederino produce normalmente una tipica lesione, distinta dal semplice arrossamento causato dall’umidità del pannolino. Si tratta di una zona rossa, irregolare, più rossa sui bordi che nel centro, con confini ben definiti (quindi, c’è un brusco cambio dalla zona rossa alla pelle normale, mentre l’arrossamento va sfumando poco a poco). Si hanno di solito lesioni satellite, piccoli cerchi rossi vicino alla lesione principale, come schizzi di colore.


Per anni abbiamo creduto che la candida fosse una delle cause più frequenti del dolore al capezzolo. Studi recenti rivelano che la maggior parte dei problemi del capezzolo, che prima si attribuiva alla candida, in realtà è causata da batteri diversi. Le infezioni provocate dalla candida, a quanto pare, sono molto rare. Fatto sta che, finché credevamo dipendesse da quello, molte infezioni venivano curate mediante l’uso di antimicotici (medicine contro i funghi). Qualcuna guariva semplicemente con il passare del tempo (poche infezioni durano per sempre, anche se non vengono trattate); altre guarivano perché gli antimicotici spesso uccidono anche altri batteri, a seconda delle tipologie… altre guarivano perché si trattava davvero di candida… e altre ancora non guarivano affatto, e quindi si diceva: “La candida è proprio tremenda, resiste ad ogni tipo di cura”.

Dolore profondo (infezione) del capezzolo

I dolori del capezzolo, che prima si attribuivano a un’infezione da candida, ora pare siano dovuti piuttosto a un’infezione batterica. I batteri responsabili possono essere di diverse specie, tra cui lo stafilococco epidermidis, cioè della cute, che di norma appartiene alla flora batterica saprofita (i milioni di batteri che normalmente vivono nel nostro corpo ma non provocano alcun danno). In alcune occasioni si nota arrossamento, irritazione o suppurazione nella zona del capezzolo, ma più di frequente non si nota nulla perché i batteri si trovano all’interno dei dotti galattofori. Il trattamento locale con pomate antibatteriche non sempre funziona e si deve ricorrere ad antibiotici per via orale.


In molte occasioni (ma non sempre), il dolore causato dall’infezione del capezzolo è diverso dal dolore causato dalle ragadi.


Normalmente le ragadi possono provocare un dolore intenso, anche se superficiale (cioè, il seno fa male al di fuori, non all’interno). Comincia subito, non appena il bambino si attacca e inizia a succhiare (la prima morsicatura); durante la suzione diminuisce un po’, e quando finisce di poppare, la madre tira un sospiro di sollievo: “Finalmente!”


Il dolore dell’infezione (solitamente batterica, ma qualche volta dovuta forse alle candide) è molto più intenso. La prima morsicatura non fa male; il dolore nasce durante la suzione e aumenta d’intensità, ma non serve pensare: “Che finisca, che finisca subito”, perché dopo che il bimbo ha lasciato il seno fa ancora più male, e il dolore persiste per un bel po’ di tempo dopo la suzione. Sembra profondo, penetrante, come se ti conficcassero qualcosa nei capezzoli (alcune mamme così lo descrivono: “È come se ti iniettassero fuoco liquido nei capezzoli”). Ad alcune madri il dolore continua, quasi incessantemente, per tutto il giorno.


Questo è un campo del tutto nuovo e probabilmente nei prossimi anni cambieranno moltissime teorie a riguardo. L’ideale sarebbe poter fare una coltura per i casi sospetti, così da poter stabilire con esattezza quale microbo ha causato l’infezione e quale cura è più indicata. Sono sempre di più i professionisti che effettuano colture: è possibile che in futuro, quando saremo in possesso di un maggior numero di dati riguardo alle cause abituali di infezione, le colture si riserveranno solo a quei casi che non migliorano dopo un primo trattamento.


Se vi sono croste o pus conviene lavare il capezzolo molte volte al giorno con acqua e sapone.


Una precisazione sulla terminologia. Tradizionalmente si definiva la mastite per la presenza di un’infiammazione (massa) nel seno. Io seguo ancora questo criterio, per cui chiamo “infezione del capezzolo” queste infezioni che non presentano nessuna massa. Penso che fare distinzione sia utile per il lettore: da una parte, i problemi che presentano come sintomo principale il dolore ai capezzoli; dall’altra, quelli il cui sintomo principale è la presenza di una massa. In generale, gli articoli scientifici in inglese usano la parola “mastite” per lo stesso campo ristretto, solo in presenza di una massa infiammata. Alcuni studiosi spagnoli, però, parlano di “mastite” o “mastite subacuta” in riferimento a ciò che io ho chiamato “infezione del capezzolo” o “dolore profondo del capezzolo”, e affermano che semplicemente la maggior parte delle mastiti non genera alcuna massa. Che sia chiaro: si tratta di una semplice differenza terminologica e stiamo facendo riferimento alla stessa cosa.


Se non c’è accordo sulla terminologia, figuriamoci sulla cura. Alcuni studiosi mettono in dubbio il fatto che il dolore profondo dipenda da un’infezione; altri raccomandano l’uso di antibiotici e probiotici (lattobacilli). Premesso che molte forme classiche di mastite (la metà o più, secondo alcuni studi) si possono curare senza ricorrere ad antibiotici, ma solo svuotando spesso il seno, risulta difficile credere che tutte queste infezioni del capezzolo abbiano bisogno di un trattamento farmacologico. Naturalmente, i probiotici avranno meno effetti collaterali degli antibiotici.


In molti casi l’infezione dei condotti è causata in ultima analisi da un allattamento scorretto: da una posizione sbagliata, dal frenulo linguale o da una combinazione di entrambi. Proprio come ci dicevano durante l’adolescenza: “Non tormentarti i brufoli che ti si infettano”; in questo caso è il bambino che poppa male a “tormentare” il capezzolo della madre, sfregandolo e schiacciandolo con la lingua, ogni giorno per ore. Prima di ricorrere ad altre cure, è fondamentale correggere la posizione del bambino e valutare lo stato del frenulo linguale.


Delgado S, Arroyo R, Jiménez E, Fernández L, Rodríguez JM, Mastitis infecciosas durante la lactancia: un problema infravalorado (I), in “Acta Pediatr Esp”, num. 67, 2009, p. 77. https://goo.gl/GKZMV5


Jiménez E, Delgado S, Arroyo R, Fernández L, Rodríguez JM, Mastitis infecciosas durante la lactancia: un problema infravalorado (II), in “Acta Pediatr Esp”, num. 67, 2009, p. 125. https://goo.gl/rL89TA

Sindrome di Raynaud del capezzolo

Il fenomeno di Raynaud è un’alterazione della circolazione sanguigna in quelle parti del corpo che terminano a punta: punta delle dita, lobi delle orecchie… e capezzoli. Colpisce molto di più le donne che gli uomini; sembra che una donna su cinque, tra i venti e i cinquant’anni, ne abbia sofferto. A volte, la madre ha avuto per anni problemi in altre zone del corpo; altre volte il capezzolo è il primo ad essere colpito.


In alcuni casi (o, forse, in molti casi, non saprei dire), la sindrome di Raynaud può essere scatenata da una scorretta posizione o dal frenulo linguale che ha causato traumi ai tessuti.


Il problema può presentarsi in qualsiasi momento; a differenza del dolore delle ragadi o dell’infezione, non si presenta solo durante o dopo la suzione, ma anche nel tempo che intercorre tra una e l’altra. I vasi sanguigni del capezzolo si contraggono, e questo rimane senza sangue e senza ossigeno; il dolore è molto intenso (pensate che la mancanza di ossigeno nel cuore provoca l’angina al petto). Il capezzolo diventa completamente bianco, e dopo alcuni secondi cambia di colore e diviene azzurro. A volte, in una terza fase, finisce per essere rosso. Si possono manifestare vesciche, ragadi o ulcere difficilmente curabili (dovute in parte alla scorretta posizione originale, e accentuate dalla mancanza di nutrimento sanguigno).


Il freddo scatena il problema; e quando il dolore si produce durante la poppata, probabilmente la causa più verosimile è l’aver esposto il seno all’aria, e non la suzione stessa. Alcune madri descrivono intensi dolori in inverno uscendo di casa, aprendo la ghiacciaia o attraversando il corridoio dei surgelati del supermercato. Il fumo peggiora la situazione.


La terapia si basa nel correggere la posizione, nell’evitare il freddo e nello smettere di fumare (e che nessuno fumi in casa). Bisogna applicare una terapia del calore in maniera decisa: procuratevi una borsa dell’acqua calda o un cuscinetto elettrico, e, evitando ovviamente di bruciarvi, appoggiateli sul seno non appena il bambino si stacca. Se non si risolve, il vostro medico vi prescriverà un medicinale (come la nifedipina). Alcune mamme hanno dovuto assumere nifedipina per mesi.


Lawlor-Smith, Lawlor-Smith C, Vasospasm of the nipple-a manifestation of Raynaud’s phenomenon: case reports, in “Br Med J”, num. 314, 1997, pp. 644-645.


http://www.bmj.com/content/314/7081/644.full


Anderson JE, Held N, Wright K, Raynaud’s phenomenon of the nipple: a treatable cause of painful breastfeeding, in “Pediatrics”, num. 113, 2004, pp. e360-364.


http://pediatrics.aappublications.org/content/113/4/e360.full


Barrett ME, Heller MM, Stone HF, Murase JE, Raynaud phenomenon of the nipple in breastfeeding mothers: an underdiagnosed cause of nipple pain, in “JAMA Dermatol”, num. 149, 2013, pp. 300-306.

Eczema del capezzolo

Oltre ai problemi propri dell’allattamento, il seno può soffrire delle stesse malattie di qualsiasi altra zona della pelle.


Con l’eczema, la pelle è arrossata, gonfia e squamosa (la forfora è un tipo di eczema). Si possono avere vesciche e lesioni da raschiamento.


Un altro tipo di eczema è quello chiamato atopico, che a volte (ma non sempre) viene causato da un’allergia a qualcosa. Può capitare che la madre cha ha un eczema al capezzolo ne abbia avuti in precedenza in altre parti del corpo.


Come prima cosa, bisogna verificare che non si tratti di una reazione a qualcosa che è stato a contatto con la pelle. Eliminate qualsiasi pomata o crema (a parte quella che state utilizzando per un problema serio, come un’infezione; in questo caso consultate il medico che ve l’ha prescritta), incluso creme idratanti o antirughe. Avete recentemente cambiato sapone, deodorante, detersivo per vestiti? Portate da troppo tempo un assorbente bagnato nel reggiseno?


Se l’eczema non migliora con questi semplici rimedi, è probabile che il vostro medico vi dia una crema a base di cortisone. Applicatela dopo la suzione, e non è necessario lavarla prima di allattare di nuovo.


E se la situazione continua a non migliorare, dopo alcuni giorni tornate dal medico. La stragrande maggioranza degli eczemi al capezzolo sono semplicemente eczemi, ma esiste anche un tipo di cancro particolare, molto raro, che assomiglia a un eczema. Si tratta della malattia di Paget della mammella, che costituisce l’1 o 2% dei cancri al seno, e si manifesta normalmente intorno ai cinquant’anni, ma potrebbe comparire prima e coincidere con l’allattamento. Nella metà dei casi non ci sono masse nel seno, solo lesioni sul capezzolo. Un eczema persistente al capezzolo non si può prendere alla leggera.

Vescica bianca di latte

Chiamata anche punto bianco nel capezzolo, è liscia e brillante, delle dimensioni di una capocchia di spillo. Durante la suzione fa molto male e a volte sembra gonfiarsi. In alcune occasioni si associa all’ostruzione di un dotto. La cura consiste nel bucarla con un ago sterile, meglio dopo una poppata, quando è più visibile. Ha la tendenza a ritornare. Dopo averla bucata, è meglio massaggiare la zona, e a volte è possibile estrarre una sostanza spessa, simile a un tappo di latte coagulato.

Paracapezzoli

Esistono due tipi di paracapezzoli: quelli che si usano durante la poppata e quelli che si usano nel periodo che intercorre tra una suzione e l’altra (paracapezzoli formatori).


In origine il paracapezzolo era, secondo il dizionario, un “pezzo rotondo, con un foro al centro, che usano le donne per formare i capezzoli quando allattano”. Quindi, si utilizzava tra poppata e poppata. Questi paracapezzoli caddero in disuso, e il nome passò a definire una tettarella che si applica sul seno, attraverso la quale il bambino può succhiare. Più tardi, tornarono di moda i paracapezzoli formatori, ribattezzati con diversi nomi, incluso quello di scudi. Aumentò così la confusione, perché in inglese nipple shield (scudo per il capezzolo) è il paracapezzolo da cui succhia il bambino, e breast shell (conchiglia per il seno) è quello che si utilizza tra una poppata e l’altra.


Il paracapezzolo formatore (breast shell) si usa teoricamente durante la gravidanza per correggere i capezzoli invertiti. Non funziona, come abbiamo già visto a pagina 135.


I paracapezzoli da cui succhia il bambino, nella versione moderna di silicone sottile, sembra che possano essere utili in alcuni rari casi, come per le prime suzioni di bambini prematuri di pochissimo peso. In alcune occasioni, risultano utili quando la madre ha le ragadi (vedi pag. 138).


Un altro utilizzo possibile del paracapezzolo è in caso di capezzolo invertito; ancora una volta, la sua efficacia in questa situazione non è dimostrata, di solito non è necessario e a volte è controproducente. Si sfrutterà solo come ultima risorsa.


In alcuni ospedali si abusa dei paracapezzoli, e si raccomandano a un terzo o più delle madri. Alcune infermiere interne all’ospedale credono che siano molto utili, perché permettono di continuare a far succhiare il bambino per due o tre giorni dopo l’applicazione. Altre infermiere extraospedaliere invece li detestano, perché ne vedono le conseguenze dell’uso alcuni giorni dopo: suzione inefficace, confusione del capezzolo, scarso aumento di peso, abbandono dell’allattamento…


In alcune zone della Spagna godono di grande considerazione i paracapezzoli di cera, che si utilizzano tra una suzione e l’altra per curare le ragadi. Non conosciamo nessuno studio sulla loro efficacia, e altrove se la cavano abbastanza bene anche senza il loro utilizzo.

Infiammazioni del seno

Quasi tutti i futuri medici del mondo imparano, all’inizio dei loro studi, quattro parole latine che, fortunatamente per gli studenti ispanici, sono passate allo spagnolo senza subire modifiche: calor (calore), dolor (dolore), rubor (rossore) e tumor (tumefazione). Si tratta della convincente definizione dell’infiammazione che propose il romano Celso, contemporaneo di Cristo. Se avete una caviglia gonfia, arrossata e calda, e in più vi fa male, significa che avete la caviglia infiammata.

Esistono vari tipi di infiammazione del seno. I più frequenti sono l’ingorgo mammario (che colpisce di solito entrambi i seni contemporaneamente e completamente), l’ostruzione di un condotto e la mastite (che colpiscono solamente una parte di uno dei due seni).

Ingorgo mammario

A volte i seni si gonfiano troppo, si riempiono fino a traboccare, diventano enormi, turgidi, dolorosi. Succede di solito nella prima settimana, a causa dell’interazione di vari fattori. Circa tre giorni dopo il parto si produce la cosiddetta montata lattea (in molti paesi americani la chiamano discesa del latte). Non si tratta di un brusco aumento della produzione di latte, perché tale aumento non è di fatto brusco, ma graduale. Ciò che si nota bruscamente, quel che fa dire alla madre: “Questa notte mi è salito”, è più che altro l’infiammazione del seno. Quando il seno si risveglia dal suo lungo riposo, mostra autentici cambiamenti infiammatori: le cellule secretrici si moltiplicano e si gonfiano; i vasi sanguigni si ramificano e si dilatano per contenere un maggior apporto di acqua, nutrimenti e ossigeno; i leucociti abbandonano il sangue e si installano fra le cellule secretrici per produrre le immunoglobuline del latte; l’acqua filtra dai capillari sanguigni e imbeve i tessuti.


Quando il bambino succhia normalmente, il seno si gonfia poco. A volte pochissimo. Alcune madri affermano che non è salito il latte, nonostante il bambino abbia due o tre settimane e stia ingrassando a vista d’occhio. Ma quando questi non poppa a sufficienza (perché glielo impediscono, o perché è in posizione scorretta), il latte si accumula e si va a sommare alla normale infiammazione da allattamento, provocando così un fastidioso ingorgo. Nei casi estremi si crea un circolo vizioso: la pressione del latte accumulato rompe alcuni degli acini e dei dotti mammari per la troppa forza, e il latte si sparge nel tessuto interstiziale, agendo come un corpo estraneo e provocando una maggiore infiammazione. Come accade per una puntura d’insetto o per la reazione a un’iniezione. Si possono manifestare in questo caso i sintomi caratteristici di un’infiammazione: malessere generale (come nell’influenza), e addirittura febbre (pag. 85).


La cura dell’ingorgo mammario consiste nell’estrarre il latte. Mettere il bambino a poppare con frequenza, in posizione corretta, e poi cercare di estrarre il latte che avanza, a mano o con un tiralatte.


A volte, il seno è talmente grande e rotondo che il bambino non sa dove attaccarsi; allora bisognerà togliersi un po’ di latte prima della poppata, per ammorbidire il seno in modo tale che gli possa entrare nella bocca.


Ma se mi tolgo il latte, non ne produrrò di più? Beh, sì. Ma se sentite dolore e non vi togliete il latte, vi farà ancora più male. Il trucco non è svuotare il seno (cosa, tra l’altro, impossibile), ma toglierne la quantità sufficiente perché non vi dia fastidio. E se ne produrrete di più, lo toglierete di nuovo.


Ma ricordate che l’ingorgo ha due componenti, il latte accumulato e l’infiammazione. Il latte si può togliere, ma l’infiammazione no. Se provate a estrarre latte da un seno infiammato, quando non c’è più niente da togliere, l’unica cosa che otterrete sarà farvi del male (e pertanto aumentare l’infiammazione). Se avete il seno molto gonfio, cercate di togliervi il latte, ma se non riuscite con le buone, fatelo in un altro momento.


In alcuni casi succede che l’infiammazione, nella parte dell’areola, comprima i condotti e impedisca la fuoriuscita del latte. La zona è gonfia a causa del liquido trattenuto (edema), e premendo con le dita rimane una depressione del tessuto (fovea). Togliere il latte risulta molto difficile, sia a mano, che col tiralatte, così come quando il bambino succhia, perché i dotti sono quasi chiusi. Utilizzare un tiralatte in questo caso può essere controproducente, perché la pressione del vuoto tende a concentrare l’edema nella zona del capezzolo, che si gonfia ancora di più. Quel che bisogna fare è svuotare la zona, non verso l’esterno, ma verso l’interno. Comprimete in maniera decisa e ripetutamente la zona verso l’interno, tra l’indice e il pollice oppure con la punta delle cinque dita, fino a che non sarà leggermente più morbida (potete metterci anche venti o trenta minuti); allora potrete attaccare il bambino al seno, o provare a togliervi il latte (meglio a mano che con il tiralatte).


E cosa ne faccio del latte che tolgo? Dipende se il bambino ha poppato a sufficienza oppure no. Quando il problema è l’eccesso di latte, può essere che il bimbo sia sano e non ne abbia bisogno. In questo caso, starà aumentando di peso, facendo pipì e popò, e sarà più o meno contento. Se gli date anche il latte che vi siete tolte, otterrete solo che il bambino poppi di meno e che il seno torni a essere troppo pieno. Invece, quando il problema è l’infiammazione, o quando l’ingorgo è dovuto proprio al fatto che il bambino poppa in modo sbagliato e non sta aumentando di peso, dovete dargli il latte che avete tolto, con un contagocce, con una siringa o con un bicchierino (se questi metodi non funzionano, va bene anche il biberon. Se il bambino non aumenta di peso, la cosa più importante è che prenda il latte a tutti i costi). In caso di dubbio (magari il numero di giorni non è ancora sufficiente per giudicare l’aumento del peso, oppure come madri inesperte non siete molto sicure se il vostro neonato è nella norma o debole), offritegli il latte; se lo prende, bene, altrimenti probabilmente non ne ha bisogno.


Fate attenzione a questo probabilmente. Con un bambino di molte settimane o molti mesi, che ingrassa normalmente e che è visibilmente sano e felice, possiamo stare sicuri: se non vuole il latte è perché ne ha preso già abbastanza. Ma con un neonato, e i neonati già di per sé non sono molto agitati checché se ne dica, il quale può essere indebolito a causa del calo di peso o intontito dall’anestesia del parto o traumatizzato da un parto complicato, non possiamo esserne del tutto certi. A volte non è che il bimbo non abbia fame, ma gli mancano le forze per mangiare, e bisogna continuare a insistere. Se non siete sicure, se vi sembra che vostro figlio sia debole, o strano, o avete l’impressione che mangi poco e che dorma troppo, parlatene con qualcuno che abbia più esperienza coi bambini (come la nonna o un’altra madre), e non fatevi problemi a consultare un pediatra o l’infermiera tutte le volte che ne avrete bisogno. Sono lì per questo.


E questa è la base della cura: far sì che il bambino poppi, cercare di svuotare leggermente il seno e aspettare. Se vi fa molto male, potete prendere qualche analgesico o antinfiammatorio, come l’ibuprofene (che è pienamente compatibile con l’allattamento; la quantità di ibuprofene che assume un bambino poppando tutto il giorno è di circa 500 volte meno di quella che dovreste dargli se avesse la febbre).


Altre possibili cure sono sintomatiche. Il freddo e il caldo, per esempio. Ogni trattamento ha i suoi sostenitori; un suggerimento abbastanza comune è il freddo secco (per esempio, un sacchetto di verdura congelata o di cubetti di ghiaccio, avvolto in un asciugamano) tra poppata e poppata, per alleviare il dolore. Invece, un momento prima di allattare o di togliervi il latte, sembra che il calore umido (un panno imbevuto di acqua tiepida, mettere il seno in una bacinella, o addirittura farsi una doccia o un bagno) aiuti a far sì che esca più latte. Ma dato che si tratta di trattamenti sintomatici, dovete applicarli solamente se li trovate utili. Se non provate alcun sollievo con il ghiaccio, non mettetelo. E se, al contrario, ciò che vi dà sollievo è il caldo, allora continuate a utilizzare il calore.


In altri Paesi si raccomandano molto le foglie di cavolo, che si portano dentro al reggiseno. Fredde da ghiacciaia, lavate, con un buco al centro per il capezzolo, e un poco piegate e stropicciate perché si rompano le nervature (della foglia, non della madre!). Se le trovate utili, non abbiate dubbi nell’usarle; ma non conosco nessuno studio scientifico che dimostri che sono più utili del semplice ghiaccio.


E da ultimo, un avvertimento importante: due trattamenti che non si devono usare sono smettere di bere acqua e bendare i seni.


È dimostrato che bendare stretto il seno non fa diminuire l’ingorgo mammario, ma aumenta solo il dolore.


Smettere di bere acqua è inutile (la madre dovrebbe essere completamente disidratata perché diminuisca l’ingorgo), fastidioso (avere sete e non poter bere è un vero tormento) e pericoloso (una madre che beve davvero molto poco, può disidratarsi sul serio).


Arora S, Vatsa M, Dadhwal V, A comparison of cabbage leaves vs. hot and cold compresses in the treatment of breast engorgement, in “Indian J Community Med”, num. 33, 2008, pp. 160-162.


https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2763679/

Ostruzione di un condotto

Questo si capisce subito, vero? Certo, uno dei condotti del seno si tappa, la definizione stessa spiega tutto.


Ma non è così semplice (perché le cose non sono mai così facili come sembrano?). In realtà ne sappiamo molto poco… succede che a volte si forma una massa rossa, calda e dolorosa in un settore del seno (e uso il termine settore nella sua accezione geometrica, di porzione di un cerchio compresa tra due raggi, come un formaggino). Si tratta di un’infiammazione che non colpisce tutta la ghiandola, ma solo uno (o molti) dei suoi lobuli.


La spiegazione classica è che il condotto si è ostruito (perché?) e il latte si è accumulato. All’inizio aumenta solo leggermente il volume, ma se la ritenzione di latte è consistente finisce che si rompono gli acini, e il latte sparso produce una reazione infiammatoria. In alcuni casi, massaggiando e spremendo pazientemente la zona infiammata, si espelle dal capezzolo un vero e proprio tappo, come un sottile cilindro bianchiccio. Ma esiste un’altra spiegazione alternativa: il latte si è accumulato (perché?), l’acqua si riassorbe e i componenti solidi si concentrano fino a seccarsi e a costituire il tappo. Cosa viene prima, il tappo o la ritenzione? Forse una combinazione di entrambe le cose, o un circolo vizioso, o forse alcuni casi sono dovuti al tappo e altri alla ritenzione.


Negli anni Ottanta il dottor Yamanouchi, a Okayama (Giappone), analizzò una quantità di questi tappi, e verificò che erano formati principalmente da grassi saturi. I grassi insaturi sono solitamente liquidi a temperatura ambiente, come l’olio; i grassi saturi sono invece solidi, come il burro. Nel latte materno i grassi insaturi sono i più abbondanti. I grassi insaturi si saturano attraverso l’idrogeno; è così che gli oli vegetali si trasformano in margarina (e per questo potete leggere sull’etichetta qualcosa come olio vegetale parzialmente idrogenato). Il dottor Yamanouchi ipotizzava che i dotti si ostruissero quando la madre assumeva troppi grassi di origine animale, carne e burro, e quindi raccomandava di tornare alla tradizionale dieta giapponese a base di verdura e pesce (con grassi insaturi). Ma, a parte l’analisi dei tappi, non aveva nessuna prova che il burro causasse ostruzioni né che il pesce potesse evitarle. È possibile anche la teoria opposta: il grasso era normale (principalmente insaturo), ma essendosi il latte accumulato e concentrato, per qualche meccanismo si è saturato e ha finito per solidificarsi, producendo il tappo.


Se il problema iniziale è la ritenzione del latte, non sappiamo cosa la provochi. In alcuni casi la colpa può essere di un reggiseno troppo stretto; non usate mai un reggiseno che vi risulti scomodo o vi lasci segni. Dato che i bambini poppano con la lingua, la parte del seno che vi sta a contatto è quella che si svuota meglio, e le ostruzioni si producono di solito nella parte del seno che si trova più lontana: verso la zona dell’ascella (inoltre, siccome il seno non è simmetrico, verso l’ascella c’è molto più tessuto ghiandolare che in altre zone del seno). Se il bambino poppa male, a causa della posizione scorretta o perché ha il frenulo linguale troppo corto, è più facile che si produca un’ostruzione.


Il trattamento è più o meno lo stesso dell’ingorgo: fare massaggi, cercare di togliersi il latte, allattare spesso, applicare il freddo tra una poppata e l’altra se si sente sollievo, e calore prima della suzione perché il latte esca con più facilità. Cercate di trovare una posizione per allattare in cui la lingua del bambino si appoggi sulla zona dell’ostruzione… cosa che spesso richiede molta immaginazione e qualche esercizio ginnico. Quando la madre è stesa a letto supina con il bambino addosso, a pancia in giù, è possibile posizionarlo in qualsiasi direzione. Lo stesso succede con la posizione della lupa romana: il bimbo supino in mezzo al lettone, e la mamma sopra a quattro zampe.


Oltre a continuare ad allattare, è meglio togliersi il latte, a mano o con un tiralatte. Alcune mamme trovano che il tiralatte faccia più male del bambino quando succhia; se questo è il vostro caso, potete togliervi il latte dal seno sano e buttarlo, e lasciare che vostro figlio si concentri sul seno malato.


Una madre mi raccontò una volta un trucco della nonna (di sua nonna!) che funzionò molto bene per un’ostruzione: attaccare il bimbo al seno e staccarlo bruscamente (ovvero, senza rompere la ventosa con il dito) mentre stava succhiando. Il seno si stappò all’istante.

Mastite

La mastite è l’infiammazione (una massa calda, arrossata e dolorosa) della ghiandola mammaria prodotta da un’infezione (anche se alcuni specificano mastite infettiva, e chiamano mastite non infettiva quel che in questo libro abbiamo chiamato ostruzione di un condotto).


Un’ostruzione che non si cura in tempo può fare infezione e trasformarsi in una mastite. Forse ci sono mastiti che cominciano come tali fin dal primo momento.


La mastite di solito provoca febbre e un intenso malessere generale, che noi medici chiamiamo sindrome influenzale (stanchezza, disagio, dolore in tutto il corpo). Un antico aforisma (così noi medici chiamiamo i proverbi che fanno riferimento alla nostra professione) dice: “Un’influenza in una donna che allatta è una mastite fino a prova contraria”. Ed è vero, alcune mamme sentono un così gran dolore alle gambe e alla schiena, un così gran malessere generale, che non si accorgono della massa rossa sul seno. Ma anche l’ostruzione di un condotto e l’ingorgo mammario possono, anche se di rado, provocare febbre e malessere generale a causa di un processo puramente infiammatorio, senza infezione.


Cosicché non è possibile distinguere, solamente dai sintomi, la semplice ostruzione di un condotto da una mastite. Bisognerebbe fare un esame del latte, ma in pratica in Spagna non si fa, e la malattia si diagnostica ad occhio.


È dimostrato che la metà delle mastiti (di quelle vere, comprovate attraverso un esame) si curano senza bisogno di antibiotici, solo coi metodi già indicati per l’ostruzione e l’ingorgo: attaccare il bambino al seno con frequenza ed estrarre il latte accumulato, fra poppata e poppata. Così molti medici preferiscono non dare subito antibiotici, a meno che lo stato della madre non sia molto grave, ma raccomandare l’estrazione del latte e aspettare ventiquattro ore. Se la febbre scompare, significa che già sta migliorando. Se la febbre continua, viene prescritto l’antibiotico (perché una metà si cura da sé… ma l’altra metà no). A seconda delle situazioni, o delle abitudini di altri specialisti, si prescrive l’antibiotico fin da subito.


L’antibiotico dev’essere attivo contro lo stafilococco (che è il germe più frequente, resistente alla penicillina e all’amoxicillina). Il decorso normale è che la febbre e il malessere spariscano assumendo per due o tre giorni l’antibiotico; ma è importante che continuiate a prendere il medicinale per tutto il periodo che vi è stato indicato, anche se state meglio. Se si interrompe la terapia a metà, è facile che si vada incontro a una ricaduta. Se, al contrario, prendete l’antibiotico per tre giorni e continuate ad avere la febbre, tornate dal medico. È possibile che abbiate un batterio resistente, e che dobbiate sostituire l’antibiotico con un altro. Questa seconda volta bisognerebbe fare un esame del latte, per una maggiore sicurezza.


Potete continuare ad allattare anche se avete una mastite. Da entrambi i seni. Non c’è nessun pericolo di contagio per il bambino e gli antibiotici con cui si cura non sono controindicati. Se vi dicono che non dovete più allattare, o smettere per qualche giorno, o che dovete allattare solo dal seno sano, si sbagliano. Inoltre, se il seno non si svuota, la mastite può peggiorare e trasformarsi in un ascesso. Non solo potete allattare, ma si tratta dell’unico caso in cui dovete continuare a farlo. Anche se stavate pensando di svezzare il bambino, non fatelo in questo momento; aspettate che la mastite sia completamente guarita.


D’altra parte, è possibile che il bambino rifiuti il seno malato. Con la mastite, la quantità di sodio nel latte aumenta. Questo non provoca alcun danno al bambino; ma il latte è più salato, e ad alcuni bimbi non piace. Se così fosse, continuate a offrire entrambi i seni senza insistere, e non preoccupatevi se vostro figlio succhia solo da uno; presto la produzione aumenterà nel seno sano, e vostro figlio non rimarrà affamato. Ma dovrete togliervi il latte dal seno malato, molte volte al giorno. Primo, per evitare che si formi un ascesso; secondo, perché il seno continui a produrre latte, e terzo, perché il sapore del latte torni ad essere normale. Quando un seno produce pochissimo latte, il sodio aumenta. Alcune mamme che non hanno preso la precauzione di togliersi il latte si sono trovate in un circolo vizioso: il bimbo rifiutava il seno a causa della mastite, e poi continuava a rifiutarlo perché usciva poco latte e con uno strano sapore; così hanno dovuto continuare ad allattare da un seno solo. Cosa assolutamente possibile che non pregiudica né il bambino né la madre; ma, chiaramente, risulta un po’ strana (si veda pag. 126).


Departamento de Salud y Desarrollo del Niño y del Adolescente, Mastitis. Causas y manejo, Organizaciòn mundial de la Salud, Ginebra, 2000. Doc. WHO/FCH/CAH/00.13


http://www.who.int/maternal_child_adolescent/documents/fch_cah_00_13/es/

Ascesso mammario

Quando la mastite non si cura in modo adeguato (allattare con frequenza e togliersi il latte) si può generare un accumulo di pus, un ascesso. Bisogna bucarlo e far uscire il pus. Di solito si aspira con una siringa, molto raramente è necessaria un’incisione un po’ più grande per mettere un drenaggio, un tubicino di gomma attraverso il quale esce il pus. Nonostante tutto il bambino può poppare dai due seni, sempre che l’orifizio da cui esce il pus sia sufficientemente lontano dal capezzolo. Evitate che il viso del bimbo entri a contato con il pus (proteggendo la ferita con una garza).


Se l’orifizio del drenaggio si trova troppo vicino al capezzolo, il bambino dovrà succhiare solo dal seno buono per qualche giorno; ma nel frattempo dovrete continuare a togliervi il latte da quello malato.

Troppi seni

Molte persone hanno seni in più. Di solito si tratta di un capezzolo atrofizzato, in un qualsiasi punto tra l’ascella e l’inguine, e il fortunato crede che si tratti di un neo o di una verruca.


A volte, sotto questo capezzolo in soprannumero c’è un autentico tessuto mammario, che si gonfia e produce latte dopo il parto. Se la mammella ha una conformazione normale, il latte può uscire all’esterno. Si sa di mamme che hanno allattato con tre seni (o meglio, con due seni e un quarto; di solito sono molto piccoli). Ma se non volete girare per il mondo con un seno in più, è meglio che non cerchiate di togliervi il latte né che facciate succhiare il bambino. In altri casi, la mammella è atrofizzata, e il latte non può uscire. Nei primi giorni si sente un po’ di dolore; ma se si mette del ghiaccio (se vi procura sollievo), non lo premete e resistete con pazienza, presto la secrezione di latte si inibisce e il seno di troppo torna a sgonfiarsi.


Alcune donne hanno una zona della ghiandola mammaria, normalmente sull’ascella, che non comunica col capezzolo e non si può svuotare. Seguite le stesso trattamento di cui prima abbiamo parlato: armarsi di pazienza, applicare ghiaccio per calmare il dolore e aspettare alcuni giorni che si inibisca, mentre continuate ad allattare normalmente.

Un dono per tutta la vita - 2a edizione
Un dono per tutta la vita - 2a edizione
Carlos González
Guida all’allattamento materno.Un vademecum indispensabile, con tante informazioni pratiche per aiutare le madri che desiderano allattare a farlo senza stress e con soddisfazione. Dopo i bestseller Bésame mucho e Il mio bambino non mi mangia, Carlos González, in una seconda edizione ampliata e aggiornata, con Un dono per tutta la vita torna a parlare di una delle sue grandi passioni: la difesa dell’allattamento materno.Il suo obiettivo non è convincere le madri ad allattare, né dimostrare che allattare al seno sia meglio, bensì offrire informazioni pratiche per aiutare quelle mamme che desiderino allattare a farlo senza stress e con soddisfazione.Nel seno, oltre al cibo, il bimbo cerca e trova affetto, consolazione, calore, sicurezza e attenzione.Non è solo una questione di alimentazione: il bimbo reclama il seno perché vuole il calore di sua madre, la persona che conosce di più.Per questo motivo, la cosa importante non è contare le ore e i minuti o calcolare i millilitri di latte, ma il vincolo che si stabilisce tra i due, una sorta di continuazione del cordone ombelicale.L’allattamento è parte del ciclo sessuale della donna; per molte madri è un momento di pace, di soddisfazione profonda, in cui riconoscono di essere insostituibili e si sentono adorate.È un dono, sebbene sia difficile stabilire chi dia e chi riceva. Conosci l’autore Carlos González, laureato in Medicina presso l’Università Autonoma di Barcellona, si è formato come pediatra presso l'ospedale Sant Joan de Déu.Fondatore e presidente dell’Associazione Catalana per l’Allattamento Materno, tiene corsi sull’allattamento per personale sanitario e traduce libri sul tema. Dal 1996 è responsabile del consultorio sull’allattamento materno e da due anni cura la rubrica dedicata della rivista Ser Padres.È sposato, padre di tre figli e vive a Hospitalet de Llobregat, in provincia di Barcelona.