Prefazione

di Adriano Cattaneo

Il procedimento per conservare il latte vaccino prodotto in eccesso, trasformandolo in latte in polvere, fu inventato dall’industria chimica tedesca nella seconda metà del XIX secolo.

Il latte così conservato fu utilizzato all’inizio come integratore nei mangimi per vacche, con il risultato di far loro produrre ancora più latte e di far crollare i prezzi. Qualcuno pensò allora di servirsi del latte in polvere per alimentare i bambini. Nacquero così, attorno al 1870, le prime farine lattee, e più tardi, agli inizi del XX secolo, le prime formule lattee, ossia le progenitrici delle formule per lattanti che noi conosciamo oggi.


Henri Nestlè usò la sua prima farina lattea per un neonato “con bisogni speciali”, come diremmo ora: un prematuro che non poteva prendere il latte materno. Ma dal momento in cui, nel 1867, brevettò il suo prodotto per trarne dei profitti, fu costretto (e ciò vale per tutte le imprese che si lanciarono via via nel mercato degli alimenti per l’infanzia) a cercare di venderlo al maggior numero possibile di consumatori, e quindi anche ai bambini “normali”. Nacque così il marketing delle formule lattee e, successivamente, degli altri alimenti per l’infanzia. Marketing acriticamente accettato dai medici, dapprima negli Stati Uniti e poi negli altri Paesi, che consideravano la “formula” più moderna e misurabile, in quantità e composizione, del latte materno. Marketing che iniziò a crescere, nonostante fossero pubblicati negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Germania, nei primi venti anni del ’900, studi che dimostravano come morte e malattie fossero più frequenti nei bambini alimentati artificialmente rispetto a quelli allattati al seno.


Bisogna però aspettare la seconda guerra mondiale e il successivo baby boom per osservare una diffusione di massa del latte in polvere. Ciò fu dovuto in parte alle politiche di guerra. In Gran Bretagna, per esempio, a partire dal 1943 il governo produsse e distribuì gratuitamente, o quasi, latte in polvere (il famoso National Dried Milk, prodotto fino al 1976) per liberare le donne dall’incombenza di allattare e permettere loro di partecipare allo sforzo bellico. Non stupisce che la Gran Bretagna sia tuttora uno dei Paesi europei dove si allatta meno.


Intanto la pressione commerciale da parte delle società produttrici non smette di crescere, in pervasività e manipolazione. Attraverso campagne pubblicitarie rivolte alle mamme e un capillare sistema di “informazione” per gli operatori sanitari, le imprese inducono ad abbandonare l’allattamento al seno in favore dei loro prodotti.


Lo fanno:


- magnificando le caratteristiche del latte formulato;


- associandone l’immagine a quella di un bambino sano, roseo e paffuto;


- rappresentandolo come “facile”, “sicuro” e “moderno”;


- insinuando dubbi (“se non potete allattare…”);


- e nascondendo tutti gli aspetti negativi (nutrizione meno che ideale, possibilità di contaminazione batterica, costo individuale e sociale).


Non dicono, per esempio, che una confezione di latte in polvere su 25 è contaminata, all’uscita dalla fabbrica, con batteri potenzialmente anche molto pericolosi per neonati con scarse difese e, più raramente, anche per neonati normali. Non dicono che i cosiddetti “latti speciali” non sono efficaci nel prevenire o trattare le condizioni per le quali sono pubblicizzati (coliche, rigurgiti, allergie, disturbi non meglio specificati). Non dicono che i latti a base di soia non hanno quasi nessuna indicazione e che, quando ce l’hanno, devono in ogni caso essere usati con particolare cautela dato il loro alto contenuto in ormoni vegetali potenzialmente dannosi per il bambino. Non dicono, soprattutto, che la qualità di tutti i latti di formula, nessuno escluso, è sempre anni-luce lontana dalla qualità del latte materno; lo dimostra il fatto che tutte le imprese immettono periodicamente sul mercato latti “migliorati”, ammettendo implicitamente che il latte che avevano venduto per anni non era certo soddisfacente. Chi indennizzerà questi milioni di mamme, convinte dal sofisticato marketing a far uso di una formula lattea, poi rivelatasi “superata”, per l’alimentazione sub ottimale dei loro figli?


Una delle strategie più usate dai produttori per promuovere i loro latti di formula fu (ed è) la penetrazione nel sistema e tra gli operatori sanitari. Fino agli anni ’70 arrivavano addirittura a infiltrare il loro personale, vestito di bianco, nelle unità sanitarie per offrire direttamente alle neo-mamme il latte formulato. Ora questo modo sfacciato ed immorale di promuovere il latte in polvere è proibito. Ma ancor oggi:


- Acquistano, in qualità di inserzionisti, intere riviste per mamme e bambini influenzandone i contenuti, e premono sugli operatori sanitari per conquistare lettrici.


- Inondano gli operatori sanitari, pediatri soprattutto, di regali: dai gadget di poco valore ai viaggi per partecipare a congressi in località esotiche.


- Forniscono gratuitamente e a turno – affinché ogni compagnia abbia garanzia di una predeterminata quota di mercato – il latte in polvere ai reparti di maternità, ben sapendo che una volta somministrato in ospedale quel latte contribuirà non solo a rendere difficile l’allattamento al seno ma sarà anche con ogni probabilità usato (e spesso prescritto) alla dimissione. Questa pratica è ora vietata dalla legge ma tuttora diffusa.


Il marketing non è certo gratuito. Il suo costo, stimato a un 15% circa dei bilanci delle compagnie produttrici (ma nessuno conosce la percentuale esatta né il totale di denaro speso dalle compagnie, che si guardano bene dall’offrire quest’informazione al pubblico), è caricato sul prezzo del prodotto. In più, le società si accordano per mantenere alto il prezzo al pubblico. Poi, quando i consumatori denunciano la frode e l’Antitrust scopre il trucco, si mettono d’accordo con il governo per ridurre i prezzi. Ma chi restituirà alle famiglie l’eccedente speso per molti anni per finanziare il marketing delle compagnie, marketing che ha come obiettivo convincere le famiglie stesse ad acquistare il loro latte? Si tratta di molte centinaia di milioni di euro che le famiglie hanno sborsato e che le compagnie hanno incassato: non saranno mai restituiti. È d’altra parte vero che questo diabolico meccanismo (paghiamo una parte del prezzo di un prodotto affinché il produttore di quel prodotto ci persuada, mediante la pubblicità, ad acquistare il suo prodotto: non vi sembra irrazionale?) vale per tutte le merci.


Ma torniamo al mercato. Conquistato quello dei Paesi ricchi, le compagnie si rivolsero a quelli poveri – dove tra l’altro nascono sempre più bambini, mentre la fertilità diminuisce negli altri – e questo comportò un’impennata dei danni conseguenti all’alimentazione artificiale. Se i bambini dei Paesi occidentali nutriti con formule lattee hanno, nei confronti di quelli allattati al seno, qualche episodio di diarrea e otite in più (ma anche molti altri danni permanenti per la loro salute), quelli dei Paesi poveri muoiono come mosche. E molti di più soffrono di denutrizione e delle sue conseguenze per tutta la vita.


Questa tragica situazione risvegliò la coscienza di un numero sempre maggiore di operatori sanitari; nacquero gruppi di protesta e di pressione che, nel 1981, riuscirono a far approvare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno. Il Codice Internazionale pone dei limiti al marketing dell’alimentazione artificiale. Oltre al latte formulato, riguarda tutti gli alimenti che possono sostituire il latte materno nonché biberon e tettarelle, vieta tra l’altro:


- ogni tipo di pubblicità e promozione commerciale rivolte al pubblico;


- ogni tipo di contatto fra rappresentanti delle compagnie e donne o madri;


- doni alle madri e agli operatori sanitari;


- etichette e pubblicità che idealizzino i prodotti con termini come “umanizzato” o “maternizzato”, e con immagini di neonati e bambini.


I governi e le compagnie dovrebbero rispettare il Codice Internazionale nella lettera e nello spirito.


Purtroppo non succede. I governi dell’Unione Europea hanno adottato, nel 2006, una direttiva che non contempla il Codice Internazionale nella sua integrità. Le leggi nazionali formulate in conformità a questa direttiva sono pertanto più deboli del Codice Internazionale e permettono ai produttori di proseguire in parte con il loro marketing osceno. Le compagnie a loro volta hanno inventato e continuano a sviluppare, con le ingenti quantità di denaro investite, forme sempre nuove di promozione commerciale, per lo più indiretta, attraverso il sistema sanitario. Le spese di marketing, in ogni caso, sono comprese nel prezzo e sono pagate dal consumatore. La famiglia che acquista un latte formulato contribuisce così, senza saperlo e senza aver dato il suo assenso, a inviare il suo pediatra, a volte accompagnato da moglie e figli, a un congresso in una località marina o montana o, più benevolmente, ad attrezzare un po’ meglio il suo ospedale o il suo ambulatorio (e contribuendo a rinforzare il legame tra compagnie e operatori sanitari).


A fronte di una situazione così seria è sempre mancato uno strumento informativo in grado di mettere le mamme nella condizione di fare una vera scelta – informata e soprattutto consapevole.


Questo libro parla di tutti questi aspetti e di moltissimi altri. Forse per la prima volta viene offerta al grande pubblico un’informazione oggettiva, dettagliata, scientificamente documentata su questo tema, di estrema delicatezza e gravità. Già dal titolo (Tutte le mamme hanno il latte) si evince una ferma presa di posizione: quante volte infatti si sente parlare di mancanza o insufficienza di latte, come se fosse una situazione quasi normale quando, al contrario, è un evento rarissimo e collegato a precise patologie?


Ad oggi, bisogna riconoscerlo, le madri non ricevono quell’informazione corretta, completa e indipendente, cioè non influenzata da interessi commerciali, che consentirebbe loro di fare una scelta cosciente. E la stragrande maggioranza delle mamme, se facesse una scelta in piena consapevolezza e avesse un sostegno adeguato, deciderebbe di allattare al seno i propri figli, in modo esclusivo per i primi sei mesi e il più a lungo possibile in seguito: fino a che mamma e bambino lo desiderano, e non fino a quando lo prescrive il pediatra.


Io confido che la lettura di questo libro faccia aumentare sempre più il numero di mamme (e papà) consapevoli e autonome nelle loro decisioni.


Adriano Cattaneo

Epidemiologo
Responsabile dell’Unità per la Ricerca sui Servizi Sanitari e la Salute Internazionale
IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
Coordinatore Progetto Europeo su
“Protezione, promozione e sostegno dell’allattamento al seno: un programma d’azione”

Tutte le mamme hanno il latte - Seconda edizione
Tutte le mamme hanno il latte - Seconda edizione
Paola Negri
Quello Quello che tutti dovrebbero sapere su allattamento e alimentazione artificiale.Allattamento e alimentazione artificiale: quali sono i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale? Il latte materno ha da sempre costituito il nutrimento per la specie umana, sostenendola da tempi remoti.Allora perché nel ventesimo secolo si è assistito a una drammatica diminuzione dell’allattamento al seno, a favore del latte artificiale?Quali implicazioni sta avendo questo cambiamento di stile di vita sulla salute psico-fisica e sullo sviluppo dei bambini?È proprio vero che allattare è una questione di fortuna, o sono altri i motivi che portano molte mamme a ritenere di non avere latte a sufficienza, o che il loro latte non sia adeguato?Paola Negri, consulente professionale IBCLC ed educatrice perinatale, in Tutte le mamme hanno il latte vuole dare una risposta a queste domande, spiegando in modo chiaro ed esauriente i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale.Non si tratta di un testo rivolto esclusivamente a genitori e futuri genitori, ma anche a educatori, medici, operatori sanitari e a tutti coloro che hanno a che fare con mamme e bambini piccoli. Conosci l’autore Paola Negri si occupa di allattamento da oltre 15 anni; è stata consulente volontaria per La Leche League Italia e successivamente è diventata consulente professionale IBCLC ed Educatrice Perinatale, lavorando con donne in attesa e madri, e nella formazione specifica a gruppi di auto-aiuto e operatori sanitari. Opera da anni in associazioni come MAMI e IBFAN Italia (di cui è presidente) in attività di sostegno, promozione e protezione dell’allattamento.Si occupa inoltre di decrescita e di alimentazione, per cui ha scritto diverse pubblicazioni.