CAPITOLO XI

Le strategie promozionali
che insidiano l'allattamento

È un bene che esista un sostituto artificiale per alimentare i lattanti che per qualche motivo non possono ricevere latte dalle loro madri o da altre donne; difatti per proteggere i genitori e i lattanti, il Codice prevede che questi sostituti siano disponibili senza però che ne venga in alcun modo promosso l’utilizzo a discapito dell’allattamento. Eppure, da quando sono comparsi i primi latti artificiali, i produttori hanno fatto di tutto per convincerci, in maniera più o meno evidente, che i loro prodotti erano indispensabili per un numero molto maggiore di bambini rispetto a quelli che davvero non potevano essere allattati. Lo hanno fatto con investimenti promozionali sempre più cospicui e mirati, creando un mercato oggi molto fiorente di alimenti per lattanti e bambini piccoli e contribuendo a creare nel corso degli anni quella “Cultura del biberon” di cui si è parlato nella seconda parte di questo libro. La promozione dei sostituti del latte materno ne ha fatto crescere a dismisura l’uso negli anni, facendo precipitare i tassi di allattamento a livelli ancora più bassi di quelli attuali, e oggi si sta a fatica recuperando. Le ditte hanno investito molto denaro per guadagnarsi la complicità, più o meno consapevole, degli operatori sanitari considerati un canale privilegiato e autorevole per giungere alle madri. Il legame che si è creato è così forte che oggi praticamente quasi ogni congresso o attività formativa vengono più o meno sovvenzionati dalle compagnie produttrici di sostituti del latte materno.


Il monitoraggio delle violazioni del Codice dimostra che oggi le aziende, seppure con tecniche meno dirette che in passato, continuano a promuovere i loro prodotti e a cercare sempre nuovi modi per farlo. Vediamo come.

Le ditte idealizzano l’alimentazione artificiale

Una delle principali strategie usate dalle aziende è quella di rendere allettante l’alimentazione al biberon, presentandola come facile, sicura, comoda e normale. Le ditte lo sanno benissimo che l’allattamento è la scelta migliore, infatti lo scrivono anche nelle pubblicità, salvo precisare subito che “qualora il latte materno diventi insufficiente” o “quando l’allattamento non è possibile”, le madri non devono preoccuparsi, perché c’è il latte artificiale, che ormai è quasi uguale a quello della mamma. Così facendo, suggeriscono che il passaggio al biberon sia la soluzione per tutti i problemi di allattamento, anche i più banali, e che sia del tutto normale che il latte di mamma finisca o comunque a un certo punto non sia più sufficiente. Si dà quindi per scontato che l’allattamento sia breve, e che tutti i lattanti debbano passare prima o poi da un latte formulato.


Un altro modo di idealizzare i sostituti del latte materno è quello di presentarli sotto un alone di scientificità, come quando nelle pubblicità compaiono figure di medici o esperti in camice, o vengono citati studi scientifici (che spesso sono inconsistenti, non pertinenti oppure di parte, in quanto si tratta di studi condotti o sponsorizzati dalle ditte stesse).

Ecco un esempio di come le pubblicità idealizzano l’alimentazione artificiale.

Vantaggi-svantaggi1


Le ditte sanno bene che i genitori sono intelligenti, e proprio per questo le loro campagne promozionali sono studiate a tavolino da persone esperte di comunicazione e di tecniche persuasive. Una di queste tecniche è quella di usare immagini, come ad esempio foto, di bambini belli e paffuti, spesso biondi, immagini che suscitano affetto e tenerezza in chi le guarda. Un’altra tecnica si basa sulla ripetizione del messaggio, ovvero nel farlo diventare familiare e quindi in grado di suscitare atteggiamenti positivi. Anche il presentare l’allattamento in chiave positiva è una tattica che ha il preciso scopo di conquistarsi la fiducia delle madri confermando informazioni che loro hanno già, per renderle più ricettive verso i messaggi che seguono, ad es. “il meglio per il tuo bambino, ma qualora non sia sufficiente…”.


Parlare di allattamento in termini di vantaggi per la salute, e viceversa di non parlare mai di alimentazione artificiale mettendone in evidenza rischi, carenze, imperfezione non è un modo per non far sentire in colpa le madri che “non possono allattare”, bensì una strategia commerciale precisa, basata sul principio secondo cui una perdita provoca nelle persone maggiore dispiacere di quanto piacere provochi un uguale beneficio. Si tratta anche di un modo fuorviante di presentare un prodotto senza che chi riceve il messaggio venga bene informato circa le implicazioni legate al suo uso.

Diversificazione dei prodotti

Mai come oggi le madri sono circondate da una serie interminabile di latti artificiali, tutti differenti o perché “migliorati” rispetto al prodotto standard (ci riferiamo a tutti i prodotti “plus” o “premium”) o perché indicati per specifiche condizioni quali ad esempio il reflusso, le coliche, la diarrea, per favorire il sonno, la digestione ecc.


Questo è possibile perché le normative fissano la composizione dei latti artificiali specificandone gli ingredienti sia in quantità che in qualità entro un range compreso fra precisi limiti, lasciando le compagnie libere di variare leggermente la composizione delle formule. Le ditte non si fanno sfuggire l’opportunità, sfruttando le ansie dei genitori intorno a problemi comuni come rigurgito, costipazione o coliche, e facendo loro credere che tali problemi vadano affrontati usando un certo tipo di latte artificiale che quindi viene ad essere promosso quasi a livello di “farmaco”, molto più sofisticato e scientifico rispetto a quello di semplice alimento. Secondo Helen Crawley e Susan Westland, autrici di una accurata inchiesta sui latti artificiali commercializzati nel Regno Unito e in Europa2 è sorprendente constatare la povertà della ricerca scientifica su cui si basano i cambiamenti di formulazione dei latti artificiali, attinenti il tipo e la quantità di ingredienti aggiunti. I pochi studi esistenti inoltre sono spesso effettuati o finanziati dalle ditte stesse, e quindi molto meno attendibili, dal punto di vista dei risultati, rispetto agli studi indipendenti. Secondo le due ricercatrici, non c’è paragone fra le cifre investite dalle ditte in ricerca scientifica e quelle spese per la promozione pubblicitaria dei prodotti.

A cosa servono i latti di proseguimento…

Nei Paesi europei è ormai vietata la pubblicità al pubblico dei latti formulati di partenza (indicati anche con la dicitura alimenti per lattanti o latti 1). Le ditte hanno pensato allora di inventare i cosiddetti latti di proseguimento (detti anche alimenti di proseguimento o latti 2) Queste formule sono presentate come adatte ai lattanti dai sei mesi di vita fino all’anno, per i quali dovrebbero rappresentare l’alimento principale nell’ambito di una dieta diversificata. Nella composizione, i latti 2 si differenziano da quelli 1 principalmente per il maggior contenuto di proteine, vitamine e sali minerali, fra cui ferro. È noto infatti che dal 6° mese è importante che la dieta del lattante comprenda cibi ricchi di ferro.


Di fatto, però, l’OMS giudica i latti di proseguimento completamente inutili dal momento che:


- il latte materno continua ad essere quello più adeguato;


- i bambini alimentati artificialmente possono tranquillamente continuare a ricevere latte di partenza fino all’anno di vita, data comunemente raccomandata per l’introduzione di latte vaccino. Infatti, secondo l’OMS, non esiste necessità di un latte diverso da quello di partenza, per il fatto che eventuali maggiori fabbisogni rispetto ad alcuni micro-nutrienti nel secondo semestre vengono soddisfatti grazie alla diversificazione della dieta del lattante, che pertanto può continuare a ricevere lo stesso artificiale. L’OMS si è pronunciata già nel 1986 sull’inutilità dei latti di proseguimento, e lo ha fatto di nuovo recentemente. Anche il Comitato Scientifico sulla Nutrizione del Regno Unito (SACN) si è pronunciato in proposito e nel 2007 ha affermato che: “Non sono state pubblicate evidenze circa il fatto che l’uso di formula di proseguimento sia vantaggioso dal punto di vista nutrizionale o della salute rispetto all’uso di formula per lattanti per i bambini alimentati artificialmente”.


Si può quindi affermare che in realtà la necessità di creare un latte di proseguimento riflette strategie di mercato volte ad aumentare le vendite, piuttosto che un bisogno effettivo dei lattanti alimentati artificialmente. Avete notato che spesso le confezioni di latte 1 e 2 sono molto simili? Certo non è un caso, e alcune indagini dimostrano che i genitori non differenziano i due tipi di prodotto, nei messaggi pubblicitari.

Confezioni di latte 1 e 2 a confronto.Ecco due esempi di etichette assolutamente simili. Con la pubblicità del latte 2 si promuove di fatto anche l’1.
Oggi molti produttori pubblicizzano le loro formule di proseguimento come buone fonti di ferro, ma è davvero così? In realtà gli esperti concordano sul fatto che per assicurare ai lattanti un buon apporto di ferro è opportuno offrirgli una dieta variata contenente cibi ricchi di ferro e vitamina C, piuttosto che arricchire ulteriormente di ferro il latte artificiale. Anche perché non è affatto scontato che aggiungendo ferro alla formula ne verrà assorbito di più dal lattante, mentre non è dimostrato che troppo ferro aggiunto non abbia effetti indesiderati, quali ad esempio quelli di aumentare i processi ossidativi. Uno studio inglese, che ha coinvolto 500 bambini fra 9 e 18 mesi, ha evidenziato che non vi erano vantaggi per la crescita o per lo sviluppo dall’uso di formula di proseguimento arricchita di ferro3.
“È ora di crescere…” ma il latte materno rimane quello da preferire. Inoltre, che i bambini siano o meno allattati, la diversificazione della dieta assicura l’apporto di tutti i nutrienti necessari, pertanto anche l’OMS afferma che i latti di proseguimento sono inutili. Sarà un caso che sono nati proprio quando la legge ha proibito di pubblicizzare i latti di partenza?
Pubblicità su rivista destinata alle mamme: latte di proseguimento arricchito di ferro. Ma chi lo dice ai genitori che il ferro dovrebbe essere assunto non dal latte, bensì da una dieta variata?

…e quelli di crescita

Con gli investimenti fatti dai governi per promuovere l’allattamento, il mercato dei latti di partenza non è probabilmente destinato a grandi ulteriori sviluppi, almeno in Europa, ma le ditte non si sono perse d’animo: se non si può aumentare il numero di bambini alimentati artificialmente, si può magari convincere i genitori a usare il latte artificiale più a lungo! Detto, fatto: ecco che negli ultimi anni sono comparsi, a fianco dei latti 1 e 2, i cosiddetti latti di crescita o latti 3, destinati a bambini oltre l’anno di vita.


A fronte del fatto che il latte della mamma rimane sempre il più adatto per il bambino anche dopo l’anno di vita e che, comunque sia, verso l’anno di età si può offrire al bambino latte vaccino, i formula 3 vengono presentati come più adeguati al bambino perché arricchiti con alcune vitamine, ferro e zinco. I dati mostrano che, nonostante il prezzo sensibilmente alto se confrontato al latte fresco vaccino, il mercato dei latti 3 è in grande espansione, e la cosa non sorprende se si pensa alle martellanti campagne pubblicitarie: oggi praticamente ogni marchio vende e pubblicizza il proprio latte 3! Eppure questi prodotti sono qualitativamente molto inferiori rispetto al latte vaccino fresco, per molti motivi. Contengono, oltre al solito latte disidratato, anche zucchero o dolcificanti artificiali; il buon senso e le evidenze suggeriscono che il consumo di bevande dolci e dolciumi può creare abitudini alimentari scorrette nei bambini piccoli, predisponendoli all’obesità. Includono anche grassi aggiunti e additivi come aromi e conservanti. La rivista “Altroconsumo” ha analizzato 13 latti di crescita prodotti da altrettante marche giudicandone il profilo nutrizionale come pessimo in ben 5 casi, scoraggiandone quindi l’utilizzo poiché li ritiene non soltanto inutili ma addirittura potenzialmente dannosi4. Ma chi tutela i genitori dalle campagne pubblicitarie martellanti che li presentano come prodotti comodi, pratici e che stanno facendo di tutto per farceli sembrare indispensabili?

Pubblicità latte 3 (pronto all’uso, arricchito di ferro e vitamine… le pubblicità cercano di promuovere un prodotto più costoso e scadente del comune latte vaccino di centrale (per non parlare di quello della mamma, che continua ad essere il più adatto in assoluto per i bambini).

Indicazioni nutrizionali o sulla salute

Invece di immettere sul mercato nuovi prodotti, da qualche anno le aziende hanno adottato una nuova strategia promozionale: quella di aggiungere ingredienti cosiddetti “funzionali” a prodotti già esistenti, allo scopo di migliorarne le proprietà a vantaggio della salute e soprattutto in modo da pubblicizzarli con più efficacia. Ecco quindi che sia i latti artificiali sia i prodotti per l’alimentazione infantile vengono oggi arricchiti con ogni sorta di integratori: antiossidanti, prebiotici, probiotici, acidi grassi e via dicendo. Tale strategia si è rivelata evidentemente efficace, dal momento che oggi i latti artificiali che vantano proprietà particolari sono più la norma che l’eccezione. I genitori non sanno resistere alla tentazione di offrire al loro bambino un prodotto che potrebbe migliorare le sue prestazioni di salute, anche se devono pagare di più; purtroppo però queste affermazioni (dette in gergo “health claims”) nella maggior parte dei casi sono soltanto mere trovate pubblicitarie in quanto gli studi che dovrebbero comprovarne la veridicità sono per lo più inconsistenti e/o di parte. Alcuni ricercatori denunciano il fatto che a guidare le ditte produttrici nello stabilire la composizione delle formule lattee siano più considerazioni di tipo commerciale che effettive scoperte ed evidenze scientifiche5. È stato riconosciuto, inoltre, che questi “health claims” contribuiscono a idealizzare l’alimentazione artificiale a discapito dell’allattamento. In effetti, risulta quanto meno strano che il latte artificiale, il cui utilizzo è collegato a esiti negativi per la salute a breve e lungo termine, possa riportare sull’etichetta affermazioni come “aiuta a rafforzare le difese immunitarie” – sarebbe un po’ come dire che le sigarette al mentolo fanno bene ai polmoni! Che la cosa sia assurda lo conferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che dal 2005 chiede ai Governi di proibire tali asserzioni per tutti i sostituti del latte materno (Risoluzione AMS 58.32 del 2005).


“Coloro che fanno affermazioni volte a presentare il latte artificiale in modo da minare la fiducia delle donne nell’allattamento, non devono venire considerati abili imprenditori che fanno il loro lavoro ma individui della peggiore specie che violano i diritti umani.”


Stephen Lewis, Vice Direttore Esecutivo UNICEF 1999
(Da Breaking the Rules 2004, IBFAN Penang)

L’EFSA6 definisce indicazioni nutrizionali (nutritional claims) quelle che esaltano proprietà nutrizionali, come ad esempio: “ricco di fibre”, “povero di grassi” ecc. mentre le indicazioni sulla salute (health claims) sono quelle riferite a precisi esiti di salute derivanti dal consumare un alimento o una sostanza, come ad esempio: “rafforza le difese immunitarie”. Queste affermazioni sono attualmente regolamentate da due direttive europee:


il Regolamento EU 1924 del 2006 che riguarda i cibi industriali generici, esclusi tutti i latti: non vieta le affermazioni ma dice che devono essere veritiere e scientificamente provate; quelle sulla salute necessitano di una specifica autorizzazione da parte dell’EFSA, come anche tutte quelle relative a cibi per bambini.


La Direttiva 141 del 2006 è quella di riferimento per gli alimenti per lattanti e di proseguimento (ovvero i latti di formula). Questa direttiva riduce molto la possibilità di usare affermazioni nutrizionali e di salute, limitandola a casi e condizioni stabilite all’allegato IV della direttiva.


In pratica, ogni nuovo claim deve ricevere un parere positivo dell’EFSA e successivamente deve essere inserito tra i claims permessi da uno speciale regolamento della Commissione Europea. Quelli vecchi, cioè quelli che venivano già usati dalle ditte precedentemente all’entrata in vigore delle direttive suddette, vengono via via valutati dall’EFSA, il cui parere deve essere ratificato sempre dalla Commissione Europea mediante regolamenti che vengono emanati a cadenza di qualche mese.


Per quanto riguarda i sostituti del latte materno, uno dei problemi è relativo al fatto che la letteratura scientifica a riprova della veridicità delle affermazioni di salute spesso è prodotta o comunque finanziata dalle ditte stesse, con un alto rischio di condizionamento. Inoltre l’EFSA non è tenuta, quando deve esprimere un parere, a visionare studi scientifici diversi da quelli forniti dalla ditta che richiede l’autorizzazione al claim. È interessante notare che tuttavia la stragrande rmaggioranza dei claims viene respinta, e che il motivo più comune per cui l’EFSA si esprime negativamente riguarda proprio la mancanza di dati statistici significativi a dimostrare l’effetto dichiarato, come ad esempio è accaduto alla Danone nel febbraio 2010 per il claim secondo cui i prebiotici aggiunti alla formula Immunofortis – già il nome è un claim! – “rinforzano naturalmente il sistema immunitario del lattante”.


Questo significa che, quando ingredienti nuovi vengono aggiunti alle formule o quando si variano le quantità degli ingredienti già presenti, nella maggior parte dei casi non esiste una consistente letteratura scientifica alla base di queste scelte, ovvero i bambini diventano a tutti gli effetti protagonisti involontari di veri e propri esperimenti.


Occorre poi tenere presente che l’EFSA esprime un parere sul claim in sé per sé, senza considerare l’uso che ne viene fatto dalle ditte, ad esempio può riconoscere che “la vitamina x favorisce lo sviluppo del sistema immunitario” ma questo è ben diverso dall’aggiungere la vitamina x a un alimento y e dire che “chi consuma l’alimento y avrà un sistema immunitario più forte” che è quello che percepiscono i consumatori quando si fa uso degli health claim. Questo diventa addirittura paradossale se al posto di “alimento y” ci mettiamo i sostituti del latte materno! Per questo, l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (antitrust) ha scritto una lettera alla Commissione Europea e all’EFSA, mettendoli in guardia sul fatto che le aziende fanno un uso spesso fuorviante e strumentale dei claim, usandoli non tanto per fornire informazioni esaurienti sul prodotto quanto per “esaltarne l’efficacia in termini non proporzionati alla sua natura e agli effetti ragionevolmente ottenibili dal suo consumo”7. L’Antitrust quindi auspica che vengano prodotte linee guida a livello comunitario per regolamentare l’uso che le industrie fanno delle indicazioni nutrizionali e di salute.


Recentemente, contro il parere del Parlamento Europeo che si è espresso prima attraverso il suo Comitato Scientifico e poi in votazione, l’EFSA ha dato parere positivo alla Mead Johnson per un claim sull’aggiunta di DHA (acido docosaesaenoico) ai suoi latti formulati. Il claim in questione recita “Il DHA ha un ruolo strutturale e funzionale nella retina, e l’assunzione di DHA contribuisce allo sviluppo visivo nei lattanti fino ai 12 mesi di età”. Recentemente è arrivato il Regolamento della Commissione Europea che insersce il claim fra quelli approvati. L’autorizzazione della Commissione sancisce per questa azienda il diritto di affermare che il suo latte addizionato di DHA favorisce l’acuità visiva nei lattanti contro il parere del Parlamento Europeo, di molte autorità scientifiche che si sono espresse al riguardo, della letteratura scientifica indipendente e dei gruppi in difesa dei consumatori (fra cui quelli appartenenti alla rete IBFAN) ma soprattutto contro il parere degli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità!


In realtà, come abbiamo già affermato, non esistono sufficienti evidenze che il DHA aggiunto alle formule provochi veramente l’effetto di compensare il più lento sviluppo dell’acuità visiva dei lattanti alimentati artificialmente rispetto a quelli allattati; ma soprattutto, se veramente tale effetto fosse dimostrato da ricerche indipendenti, sarebbe allora più giusto che il DHA fosse aggiunto obbligatoriamente a tutti i latti formulati (cosa che ricordiamo ad oggi non avviene) senza che l’operazione venga utilizzata a scopi promozionali.

Ecco come la Mead Johnson dal suo sito pubblicizza il suo latte artificiale contenente DHA.

Dis-informare le mamme

Mentre oggi molte donne non hanno accesso alle giuste informazioni per iniziare e proseguire bene l’allattamento, è praticamente impossibile che una madre riesca a sfuggire al materiale informativo prodotto dalle compagnie! Questo infatti viene diffuso tramite internet, attraverso le riviste cosiddette specializzate e tramite opuscoli e libricini vari in distribuzione nei negozi e nelle farmacie. È ancora pratica diffusa che questo materiale dis-informativo arrivi alle mamme anche attraverso gli ambulatori pediatrici, i consultori o i reparti maternità, mediante distribuzione diretta, o perché vengono fatti compilare alle mamme dei buoni per richiedere questo materiale.


Questo materiale (opuscoli, pagine web, dvd) contiene, insieme a informazioni corrette su come avviare l’allattamento, frasi messe ad arte per confondere le mamme. Talvolta si insinua più o meno velatamente che l’allattamento sia un processo difficile, doloroso e stressante, altre volte si danno indicazioni errate sulla dieta della nutrice o sulle pratiche di pulizia del seno (classico il consiglio – erroneo – di lavare il seno prima e dopo ogni poppata). Quasi sempre si danno indicazioni errate sul momento giusto per iniziare l’alimentazione complementare.


Un altro modo di creare confusione nelle madri è quello di creare aspettative infondate su come si comportano i bambini piccoli, come ad esempio quando viene suggerito che la poppata dovrebbe durare pochi minuti, o che dopo la poppata i bambini dovrebbero stare delle ore senza richiedere il seno. Le mamme rimangono disorientate e pensano che il loro latte non sia più sufficiente. Le ditte vengono subito in loro aiuto: con la solita premessa – “il latte della mamma, si sa, è quanto di meglio, ma i latti artificiali sono validi sostituti” le invitano tacitamente a interrompere prima del tempo l’allattamento esclusivo, in contrasto con tutti gli sforzi delle istituzioni e delle organizzazioni non governative.

Guida Mellin in distribuzione su internet.Ecco un esempio di guida contenente informazioni non sempre aggiornate. Ad esempio, sono ancora presenti consigli sugli alimenti da evitare durante l’allattamento, perché responsabili di dare al latte un cattivo sapore, o quello di lavare il seno prima e dopo la poppata. Queste affermazioni non hanno base scientifica e possono contribuire a rendere l’allattamento più complicato.

Le violazioni attraverso i sistemi sanitari

I sistemi sanitari sono considerati dalle aziende produttrici la via di accesso privilegiata per arrivare alle madri. Le ditte li usano per promuovere i loro prodotti in modo diretto, quando ad esempio attraverso consultori o reparti maternità vengono veicolate alle madri valigette contenenti materiale pubblicitario, o campioncini di prodotti. Ma la promozione nelle strutture sanitarie avviene anche indirettamente, ad esempio attraverso l’esposizione di poster e calendari riportanti il logo della compagnia.


Forse però la strategia più efficace e capillare è quella di offrire ai reparti maternità latte artificiale gratis, anche perché poi – guarda caso – la stessa marca di latte sarà indicata nella prescrizione di latte in polvere sulla lettera di dimissioni, pratica che oggi riguarda la maggior parte delle madri, che allattino o meno.


Le forniture gratuite di latte artificiale ai reparti maternità o ad altre strutture del sistema sanitario hanno rappresentato una delle principali cause di abbandono dell’allattamento in molti Paesi non industrializzati, con tutte le conseguenze che ciò ha comportato e comporta.


Poniamoci una semplice domanda: quale altro prodotto viene donato agli ospedali? Si devono acquistare cerotti, bende, carta igienica, medicinali, forniture alimentari e tutto il resto; perché allora si dovrebbe accettare il latte artificiale, in teoria necessario solo per una bassissima percentuale di bambini? Inoltre, quale azienda spenderebbe denaro per fare regali di questo genere, se non ci fosse un tornaconto molto maggiore?


Lungi dall’essere una pratica umanitaria, quella di donare il latte artificiale agli ospedali è uno dei principali mezzi inventati dalle industrie per spingere all’uso dei loro prodotti fin dall’inizio dell’allattamento, poiché è più probabile che le mamme che hanno iniziato in ospedale a dare l’aggiunta continuino anche a casa (dove però il latte non è più gratis), usando la stessa marca adoperata in ospedale, o comunque consigliata dal personale ospedaliero.


Oggi non solo il Codice ma anche la legge vieta le forniture gratuite; tuttavia queste rappresentano un tale incentivo alle vendite che le aziende sono molto restie ad abbandonare questa consuetudine, e questo risulta dal monitoraggio delle violazioni del Codice e lo affermo anche in base a comunicazioni personali ricevute da persone che lavorano nei punti nascita. Un ruolo di guida per l’acquisto di latte artificiale in condizioni di trasparenza lo ha assunto la Rete Italiana di Ospedali Amici dei Bambini, coordinata dal Comitato Italiano per l’UNICEF.

Il ruolo chiave degli operatori sanitari

Anche se spetta alle aziende il compito di rispettare il Codice, e ai governi quello di farlo rispettare, è chiaro che gli operatori sanitari hanno un ruolo fondamentale perché sono loro i primi referenti delle mamme per l’alimentazione infantile. Di solito, infatti, sarà il pediatra a consigliare la mamma in materia di allattamento o sulla marca di latte in polvere da usare, come anche durante l’introduzione di alimenti complementari.


Si è già detto che molti pediatri non sono adeguatamente formati e informati su come favorire l’allattamento esclusivo fino a sei mesi di vita e protratto fino a due anni e oltre, secondo le attuali raccomandazioni. Questa mancanza di formazione riguarda anche i princìpi del Codice Internazionale e delle Risoluzioni che l’hanno seguito, anche quando i pediatri sono motivati8. Sebbene il Codice preveda la possibilità per le aziende di fornire informazioni concrete e scientifiche agli operatori sanitari, inclusi quindi anche campioni dei prodotti per valutazione personale e scientifica, nel corso dei vari monitoraggi si è rivelato che in realtà gli operatori sono letteralmente sommersi di materiale pubblicitario (che non ha niente di scientifico) prodotto a prima vista per loro, ma in realtà fatto apposta per essere trasmesso alle mamme. Inoltre, come già detto, gli operatori sanitari, e i pediatri in particolare, sono oggetto delle abbondanti e interessate attenzioni da parte delle aziende, che fanno a gara per offrire loro omaggi e premi di ogni tipo ed entità, dalla penna a sfera e altri piccoli oggetti da scrivania, riportanti il marchio aziendale, a testi scientifici e materiale informatico, per non parlare delle sponsorizzazioni per la partecipazione ai costosi congressi di aggiornamento professionale. Di fronte a una simile realtà, non stupisce che anche nel nostro Paese sia proprio attraverso i consultori, i reparti maternità e gli ambulatori pediatrici che arriva alle mamme una parte del materiale promozionale9.


Un aspetto interessante ma anche poco rassicurante delle sponsorizzazioni e dei doni è che sovente i pediatri sono convinti di essere immuni dalla tentazione di prescrivere un prodotto di una ditta da cui hanno ricevuto piccoli o grandi favori. Al contrario, un famoso articolo pubblicato sul “Journal of American Medical Association” sul conflitto di interessi mette in evidenza come anche omaggi di modesto valore (penne, gadgets, calendari e simili) creino un legame inconscio e non intenzionale fra medico e donatore, che si concretizza in maggiori prescrizioni dei prodotti di quella ditta10. Gli autori concludono che i doni da parte delle industrie nei confronti dei medici, grandi o piccoli, andrebbero proibiti. In Italia un orientamento di questo tipo esiste già, ed è offerto dai numerosi medici e altri operatori sanitari che aderiscono a “No grazie pago io”, una associazione i cui membri hanno deciso di rinunciare ai privilegi derivanti dall’accettazione di doni e sponsorizzazioni da parte delle case farmaceutiche e dei produttori di latte artificiale, in nome della autonomia del loro operato professionale11.


Negli scorsi anni diversi pediatri hanno richiamato l’attenzione del pubblico e dei colleghi sull’entità che il fenomeno delle sponsorizzazioni dei congressi di presunto aggiornamento scientifico ha assunto in Italia. Oggi le sponsorizzazioni dei congressi scientifici e degli eventi formativi in genere sono regolamentate dall’articolo 13 del Decreto 82 del 2009.

Le ditte non rispettano né il Codice né la Legge

È comune trovare ogni tipo di violazione del Codice Internazionale, e ognuno se ne può accorgere andando a vedere i siti delle aziende produttrici di sostituti del latte materno e biberon, o sfogliando una qualsiasi rivista per mamme. I monitoraggi dimostrano però che ad oggi molte aziende continuano anche a violare la legge italiana, ad esempio con:


- etichette dei prodotti ancora non sempre conformi alle prescrizioni;


- istruzioni sulla preparazione e la conservazione del latte in polvere non sempre in accordo con le attuali raccomandazioni OMS;


-lettere di dimissione ancora di prassi contenenti il nome del latte artificiale da usare “giusto in caso che…”;


- promozione dei latti di partenza (latti 1) attraverso i loro siti internet; confezioni di latti 1 e 2 praticamente identiche.

Perché le aziende sono tanto riluttanti ad adeguarsi

Se confrontiamo le indicazioni del Codice Internazionale, e tutti i reiterati richiami da parte di OMS e UNICEF al rispetto del Codice stesso, con i risultati del Monitoraggio IBFAN sulle violazioni sia a livello internazionale sia nel nostro Paese, viene da chiedersi come mai le ditte produttrici rifiutano di adeguarsi, mentre invece continuano con creatività e accanimento a studiare modi nuovi e sempre più fantasiosi per promuovere i loro prodotti. Basta dare un’occhiata alle cifre che stanno dietro al mercato mondiale del Baby Food e diventa evidente qual è il motivo di tutto questo impegno. Per rendersi conto di cosa stiamo parlando, basti pensare che il mercato mondiale del cibo per l’infanzia era nel 2007 di 22,5 miliardi di dollari, di cui il 40% (9 miliardi di dollari) rappresentato dai latti artificiali, per un totale di 907.000 tonnellate12. Le vendite in Italia sono illustrate nella tabella a pagina 70. La tendenza delle vendite è stabile o in leggera crescita mentre gli investimenti pubblicitari sono cresciuti in misura esponenziale. Poiché la legge vieta di pubblicizzare il latte artificiale di partenza, le aziende si orientano oggi sulla promozione massiccia dei latti di proseguimento e di crescita, e dei cibi per l’alimentazione complementare, primi fra tutti gli omogeneizzati13.


È difficile quantificare esattamente gli investimenti in attività di marketing, ma è noto che la maggior parte delle spese promozionali non riguarda, come si potrebbe pensare, la propaganda rivolta al pubblico attraverso mass-media, distribuzione di opuscoli, campioni e vari omaggi ecc, ma viene assorbita dagli investimenti rivolti al sistema sanitario, dalle sponsorizzazioni a omaggi e forniture gratuite di formula ai reparti maternità.


I produttori non si limitano a violare Codice e normative locali, ma attraverso le loro associazioni di categoria fanno pressione sui singoli stati e addirittura su organi come l’Assemblea Mondiale della Salute o Codex Alimentarius, per influenzarne le decisioni, facendo leva sul loro potere economico e minacciando più o meno velatamente di dislocare altrove investimenti e posti di lavoro.


Possiamo concludere affermando che nello sforzo volto a sostenere il diritto di ogni bambino alla miglior nutrizione possibile e quello dei genitori a informazioni corrette, stanno da una parte industrie multinazionali i cui bilanci superano spesso quelli di interi Stati e dall’altra gli sforzi di alcuni operatori sanitari più informati e motivati, alcune associazioni di volontariato, e gli investimenti delle istituzioni.


Salute o profitto, l’eterno dilemma

  • Il latte per il biberon di un bambino costa circa 14 euro la settimana.
  • Ogni anno nascono in Italia poco più di 500.000 bambini.
  • Se ognuno fosse allattato una settimana in più, qualcuno perderebbe 7 milioni di euro.
  • Se ognuno fosse allattato un mese di più, qualcuno perderebbe 28 milioni di euro.
  • E se tutti fossero allattati al seno in maniera esclusiva fino a 6 mesi?

(Carlos Gonzalez,
Il ruolo del personale sanitario e il Codice OMS – 2000)

Tutte le mamme hanno il latte - 2a edizione
Tutte le mamme hanno il latte - 2a edizione
Paola Negri
Quello Quello che tutti dovrebbero sapere su allattamento e alimentazione artificiale.Allattamento e alimentazione artificiale: quali sono i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale? Il latte materno ha da sempre costituito il nutrimento per la specie umana, sostenendola da tempi remoti.Allora perché nel ventesimo secolo si è assistito a una drammatica diminuzione dell’allattamento al seno, a favore del latte artificiale?Quali implicazioni sta avendo questo cambiamento di stile di vita sulla salute psico-fisica e sullo sviluppo dei bambini?È proprio vero che allattare è una questione di fortuna, o sono altri i motivi che portano molte mamme a ritenere di non avere latte a sufficienza, o che il loro latte non sia adeguato?Paola Negri, consulente professionale IBCLC ed educatrice perinatale, in Tutte le mamme hanno il latte vuole dare una risposta a queste domande, spiegando in modo chiaro ed esauriente i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale.Non si tratta di un testo rivolto esclusivamente a genitori e futuri genitori, ma anche a educatori, medici, operatori sanitari e a tutti coloro che hanno a che fare con mamme e bambini piccoli. Conosci l’autore Paola Negri si occupa di allattamento da oltre 15 anni; è stata consulente volontaria per La Leche League Italia e successivamente è diventata consulente professionale IBCLC ed Educatrice Perinatale, lavorando con donne in attesa e madri, e nella formazione specifica a gruppi di auto-aiuto e operatori sanitari. Opera da anni in associazioni come MAMI e IBFAN Italia (di cui è presidente) in attività di sostegno, promozione e protezione dell’allattamento.Si occupa inoltre di decrescita e di alimentazione, per cui ha scritto diverse pubblicazioni.