prima parte -capitolo iii

Il neonato, questo sconosciuto

Il neonato è puro oro spirituale.

Deepak Chopra

Colui la cui grazia, sovrabbondante, tracima, il Perfetto, costui è simile al bambino neonato.

Lao Tsu

Fatevi ambasciatrici dei neonati perché è da lì che bisogna cominciare per un mondo nuovo.

Adele Costa Gnocchi

Eccolo qui, il bambino è arrivato. Come un marziano da un pianeta lontano è atterrato nel nostro mondo, su questa terra. Tutto è nuovo per lui, tutto è diverso. Si parla una lingua sconosciuta, difficile da capire. Per vivere qui, in questo paese straniero, bisogna imparare tante cose e bisogna farlo in fretta: respirare prima di tutto.


La novità quasi stordisce, sembra far girare la testa. Datemi tempo, vorrebbe dire il neonato, ce la farò ma un po’ per volta. Devo prima capire dove sono finito, se sono arrivato nel posto giusto. Chi è venuto ad accogliermi? C’è qualcuno che mi aspettava? Sono a casa? Ho vissuto per nove mesi ascoltando il rumore del mare, immerso dolcemente nelle acque materne, avvolto in un morbido abbraccio e ora dove sono?


Fa freddo, ho fame, ma soprattutto non ho più confini intorno a me. E la mamma, dov’è?

Come ci ricorda il neonatologo Alessandro Volta, il problema più grande del neonato è la difficoltà di stabilire nuovi legami con il mondo che lo circonda. “La difficoltà di funzionamento dei suoi organi è minima se confrontata con la difficoltà della sua vita di relazione. …Il vero problema di ogni neonato, anche fisiologico, è l’ambiente e il suo maggiore bisogno è riuscire a collocarsi in un ambiente che sia giusto per lui. E “l’ambiente più favorevole al neonato, probabilmente l’unico per lui comprensibile, è quello più simile a quello della vita prenatale: in una parola, la sua mamma.”[1]


È tra le braccia della mamma, a contatto con il calore della sua pelle, avvolto nel morbido nido del suo corpo, che il bambino può ritrovare “casa”, può sentirsi accolto, arrivato nel posto giusto per lui. Scoprire l’“odore” della madre, riconoscerne la voce ormai familiare dopo i nove mesi di stretta convivenza uterina, rappresenta per il neonato una fonte di sicurezza, quella di cui ha così tanto bisogno per affrontare l’esplorazione di un mondo a lui totalmente ignoto.


“Per evitare al neonato la paura, bisogna rivelargli il mondo con una lentezza infinita, un’infinità progressiva. E non dargli sensazioni nuove se non nella misura in cui è in grado di sopportarle e integrarle. Facendo questo, occorre moltiplicare i riferimenti al passato, le impressioni del passato, per stabilire una connessione. Affinché, in questo universo totalmente ignoto e quindi ostile, qualcosa di familiare venga a tranquillizzarlo e a calmarlo.” (Leboyer).[2]

Solo in questo modo egli riuscirà a raggiungere uno stato di benessere, a smettere di piangere o addirittura a sorridere beato. Allora sapremo che ha superato il trauma della nascita, che ha ritrovato l’equilibrio momentaneamente perduto ed è nato completamente e definitivamente.


Trovo in questo senso geniale l’idea proposta da Volta di estendere il punteggio di Apgar, che misura lo stato di salute del neonato, aggiungendo altri due “voti”, l’11 e il 12, per valutarne lo stato di benessere, il grado di soddisfazione. Quando “il neonato non piange più, non ha più bisogno di fare domande e sembra addirittura aver trovato le risposte che cercava”, quando “appare riappacificato col mondo, sembra aver capito che la tempesta è terminata e che un nuovo equilibrio è possibile”, “a questo punto, soltanto a questo punto, possiamo esser certi che non sta soffrendo, che non è disperato, che non sente più alcuna minaccia. Mentre piangeva era nato secondo il nostro punto di vista, ora invece possiamo essere sicuri della sua nascita secondo il suo punto di vista.

Ora possiamo colmare l’abisso che si era creato tra noi e lui, ora anche lui può condividere la nostra gioia. È a questo punto del parto, quando lui è ‘emotivamente’ con noi, che abbiamo il diritto di essere felici e di congratularci.” (A.Volta).[3]

Il neonato, una persona

Il neonato è stato per molto tempo un grande sconosciuto. I medici lo hanno considerato a lungo poco più che un tubo digerente da nutrire. È solo negli ultimi decenni che le ricerche scientifiche hanno messo in evidenza la complessità del neonato, la ricchezza della sua vita psichica e sensoriale, le sue innumerevoli competenze che ne fanno, fin dalla nascita, una persona sotto tutti gli aspetti. Come dice Restak, “Non possiamo capire i neonati se insistiamo a vedere in loro delle creature ‘semplici’, che progrediscono gradualmente verso livelli di organizzazione più complessi. Il neonato è invece incredibilmente complesso fin dal primo giorno”.[4]

Il bambino alla nascita è un essere dotato di un infinito potenziale di sensibilità, di capacità di conoscenza e di adattamento. Egli nasce già con un capitale di miliardi di cellule nervose.


Oggi noi sappiamo che il neonato è in grado di compiere tutti gli adattamenti necessari per sopravvivere al passaggio da un ambiente acquatico a uno terrestre.


Ma non solo. Il neonato ha moltissime altre competenze: è in grado per esempio di riconoscere il volto e la voce materna già dalle prime ore di vita. È capace di distinguere gli oggetti e di esprimere preferenze: se gli vengono mostrati un disegno geometrico e quello di un volto umano, segue con gli occhi quest’ultimo, ma tra il disegno di un volto e il volto reale della madre non ha dubbi: è quello della mamma ad attirare la sua attenzione. Il neonato inoltre è dotato di memoria visiva, è in grado cioè di ricordare ciò che ha appena visto, tant’è vero che se gli viene mostrata la stessa immagine per un periodo di tempo prolungato il suo interesse decresce ed egli si annoia. Se invece, dopo un breve intervallo di tempo, gli viene mostrata una figura nuova la sua attenzione si risveglia.


Fin dai primi istanti di vita il neonato sa distinguere diversi tipi di suoni, alti e bassi, familiari o estranei e può riconoscere anche la direzione dalla quale provengono. Inoltre mostra netta preferenza per voci dai toni alti (e infatti istintivamente i genitori in tutte le culture usano toni di voce in falsetto per parlare ai loro bambini appena nati) e ha una netta predilezione per la voce materna che sa riconoscere dalla nascita tra tutte quelle che ode intorno a sé. I neonati sono molto reattivi nei confronti della voce umana. Parlare a un neonato, lentamente e a bassa voce, produce immediatamente in lui un impressionante stato di concentrazione e attenzione. La voce umana ha un grande potere nel calmare e rassicurare un bambino.


Il neonato è capace inoltre di arrivare da solo al seno materno attraverso il riconoscimento dell’odore della mamma: se lasciato a contatto del suo ventre, libero di muoversi, per un tempo sufficiente, è in grado di compiere lievi, impercettibili movimenti che lo portano ad arrampicarsi fino al capezzolo. Il neonato sa conquistarsi il cibo in piena autonomia se gli vengono offerte le condizioni per fare da solo. È egli stesso a stabilire attraverso la suzione non solo la quantità di latte di cui ha bisogno di volta in volta ma anche la qualità di questo, scegliendo così il menu della giornata su misura per lui. I suoi bisogni infatti mutano da un giorno all’altro e da un pasto all’altro, a seconda per esempio del dispendio energetico, ed egli vi si adatta modificando le modalità di suzione. Se ha prevalentemente sete si attacca al seno molto spesso ma per breve tempo (la prima parte di latte contiene infatti più acqua), se invece ha soprattutto fame succhierà per tempi più prolungati (la parte lipidica viene in fondo) ma farà pause più lunghe.


Il neonato è capace anche di discriminare i sapori: prova piacere quanto più il cibo è dolce e disagio quanto più questo è salato, acido o amaro. Se il latte della mamma sa di curry o di cavolfiore non ha importanza: per lui sono sapori già noti, sperimentati nell’utero attraverso il liquido amniotico.


Il neonato inoltre è in grado di stabilire legami e avviare relazioni.

Si è scoperto per esempio che i movimenti del neonato non sono casuali come parrebbe a prima vista ma seguono schemi ben precisi e hanno lo scopo di invitare l’adulto a relazionarsi con lui, a rispondere alle sue esigenze. È sorprendente vedere, osservandolo attraverso speciali riprese filmate al rallentatore, come il corpo del neonato si muova in sincronia con la voce materna, in una specie di danza impercettibile. Il che dimostra che i neonati sono in qualche modo programmati per reagire alla voce umana. Sono fin dall’inizio “esseri di linguaggio”. Un altro potente mezzo di comunicazione del neonato è rappresentato dal sorriso. Ci sono neonati che sorridono fin dalle prime ore di vita.


Se il sorriso passa inosservato, se non suscita alcuna reazione o viene interpretato come una smorfia o un riflesso muscolare, difficilmente verrà ripetuto dal bambino nel corso delle prime settimane di vita, cosicché tutti rimangono convinti che un neonato non sorrida volontariamente che al termine del secondo mese. Invece il fatto è che senza riscontro il dialogo avviato si interrompe per mancanza di interlocutori.


Il neonato ha anche bisogno di parole: è un essere affamato di linguaggio e lo assorbe molto prima di iniziare a parlare. Non è, come si crede, troppo piccolo per capire. A un neonato si può dire tutto.


Il neonato inoltre è capace di riprodurre una vasta gamma di espressioni del viso, quasi tutte le espressioni emotive dell’adulto, è capace per esempio di imitarlo quando questi gli fa la linguaccia e non è infrequente scorgere sul volto del bambino espressioni comunemente usate da qualche membro della famiglia.


Un neonato è dunque un essere che prova emozioni complesse e anche che sogna e che ricorda. È stato calcolato che metà circa delle ore passate a dormire il neonato le trascorre sognando. Un bambino prematuro sogna addirittura per il 100% delle sue ore di sonno!


Ma non solo, ci sono numerose testimonianze che rivelano come il meccanismo della memoria sia già in funzione nei neonati: non è infrequente per esempio il caso di bambini di 2-3 anni che ricordano perfettamente tutti i dettagli relativi alla loro nascita.

I bisogni del neonato

Il bambino è qui, davanti a noi, per la prima volta. Come possiamo aiutarlo a superare la nostalgia del paradiso perduto? Come possiamo accoglierlo per farlo sentire a suo agio nel nuovo mondo?


Di che cosa ha bisogno questo essere “piccolo nel corpo ma grande nella mente” (Quattrocchi Montanaro)[5] quando atterra sul nostro pianeta?

Ogni cucciolo d’uomo che viene al mondo necessita, a mio avviso, di pochi, semplici, ma sostanziali elementi, che, guardacaso, ancora una volta sono quattro…:

  • contatto
  • contenimento
  • comunicazione
  • cibo

È questo che egli ci chiede, null’altro.

Contatto significa per lui ritrovare il calore e la morbidezza del corpo materno, riunirsi nuovamente con la mamma dopo la separazione avvenuta al momento del parto.


All’inizio sarà semplicemente uno stare a contatto con il ventre della madre, poi, una volta ambientato, delicate, lievissime carezze potranno fargli ricordare il massaggio uterino.


Ancora meglio sarà immergerlo dolcemente nell’acqua, non per motivi igienici, ma per permettergli di rilassarsi e schiudersi a contatto con l’elemento in cui è vissuto per nove mesi e che ha appena lasciato. Leboyer, grande interprete del neonato, ci insegna come fargli questo primo delicato bagnetto.


Il bisogno di contatto è ancora più forte per i bambini nati prima del tempo, come testimoniato per esempio dalla storia di due gemellini americani prematuri, uno dei quali con un arresto di crescita, sbloccatosi solo dopo essere stato messo nella stessa incubatrice con il fratello gemello che poggiava il suo braccio su di lui quasi a volerlo abbracciare e proteggere.


Il contenimento è invece il bisogno di sentirsi avvolto in uno spazio ristretto, proprio come quello uterino appena abbandonato. È un bisogno fortissimo, forse il più importante in assoluto per un bimbo appena nato. Essere contenuti dà sicurezza e permette anche all’io psichico del bambino di rimanere integro e non frammentarsi in mille pezzi. Avere dei confini, dei limiti, non duri ma morbidi e avvolgenti, ecco cosa chiede il neonato. Le braccia della mamma, una fascia o un marsupio, ma anche una cestina il cui spazio sia reso più ristretto per esempio da un cuscino a “serpentone”, sono la risposta più adatta a questa esigenza del bambino. Nelle culture tradizionali di tutto il mondo sarà il cappuccio della giacca materna o una stoffa legata sulla schiena ad assicurare al piccolo il contatto e il contenimento di cui ha così tanto bisogno.

Comunicare è una funzione vitale: così come ogni cellula del nostro organismo ha bisogno di scambi con l’esterno per mantenersi in vita, anche il neonato necessita di un continuo “import-export” con l’ambiente che lo circonda. La comunicazione è plurisensoriale: tattile, visiva, uditiva, olfattiva. Avviene infatti attraverso la pelle, attraverso lo sguardo, attraverso la voce, attraverso l’olfatto che permette per esempio al neonato di arrivare da solo al seno materno. Ma c’è anche un altro livello di comunicazione, molto più sottile, che passa attraverso un sesto senso: è la comunicazione spirituale, quella che permette di provare “la delizia suprema che consiste nell’adagiarsi in contatto anima ad anima” (Montessori).[6]


Il neonato ha infine bisogno di cibo e l’unico su misura per lui è il latte materno. Ma il nutrimento non è, come parrebbe a prima vista, la necessità primaria del cucciolo d’uomo. Come dimostrato dai famosi esperimenti di Harlow sulle scimmie, i piccoli appena nati preferiscono il contatto con una mamma morbida piuttosto che il cibo fornito da una madre fredda. Il latte nutre il corpo del bambino ma l’amore materno nutre la sua anima e questa ha la priorità assoluta.


Se i quattro bisogni di base che abbiamo appena descritto non vengono soddisfatti ecco che il neonato piange.


Il suo pianto può essere considerato un separation distress call, come lo definisce il sudafricano Nils Bergman: un richiamo da stress di separazione. “La risposta di protesta è un’attività intensa che ha come obiettivo di permettere al bebè di ritrovare il suo habitat. La risposta di disperazione è una risposta di sopravvivenza alla privazione con diminuzione della temperatura del corpo e del ritmo cardiaco indotta da un aumento massivo dei tassi di ormoni dello stress. La prima violazione, la situazione peggiore per i neonati è la separazione dalla madre, il loro habitat naturale.”[7]

Come ci ricorda Eva Reich, nei primi tre mesi di vita è fondamentale lasciare il bambino vicino alla mamma, pena l’alterarsi di un delicato equilibrio che si farà fatica poi a ripristinare. Quando il bambino nasce, infatti, si ritrova in un mondo completamente nuovo per lui e ha bisogno di essere protetto dal campo energetico della madre, altrimenti per la paura e lo spavento può rischiare di perdere il proprio.


La separazione dalla madre è uno shock per il neonato e – come ci ricorda Osho – si traduce in una separazione dalla vita stessa, perché per un neonato non esiste altra vita al di fuori della propria mamma.


Il neonato dunque non piange unicamente per fame, come spesso si crede, o per dolore o per fastidio, piange soprattutto per bisogno di contatto, di calore umano, di contenimento. Dopo nove mesi passati nello spazio ristretto dell’utero il neonato ha bisogno di ritrovare dei confini, ha bisogno di rivivere le rassicuranti esperienze prenatali del dondolio e del battito del cuore materno.

Ma il neonato piange anche per noia, per deprivazione sensoriale. Scriveva la Montessori già un secolo fa: “Se il bambino fin dalla nascita deve creare a spese dell’ambiente, dovrebbe essere messo a contatto del mondo, della vita esterna degli uomini. Dovrebbe partecipare, o meglio assistere, alla vita degli adulti. … Se il bambino è un recluso nelle nurseries, sottratto alla vita sociale, egli verrà represso, menomato, deformato…”[8] Ciò non significa però bombardare il bambino di stimoli: esporre un neonato o un bimbo di pochi mesi a musiche assordanti, rumori forti e per lui spaventosi, o stimolarlo continuamente con immagini, vezzeggiamenti o attività programmate significa disturbarlo.


“Il pianto – scriveva Montessori – esprime un malessere reale che turba il suo animo. Per costruire la sua vita interiore il bambino ha bisogno di pace e di tranquillità. Noi invece lo disturbiamo continuamente con il nostro intervento brutale. In più si abbatte su di lui una valanga di impressioni che si susseguono con rapidità tale da non lasciargli il tempo di assimilarle. Allora il bambino piange come quando un pasto eccessivo gli provoca difficoltà a digerire. Se lasciamo che il bambino asciughi da solo le sue lacrime trascuriamo i suoi veri bisogni. La ragione essenziale del suo pianto ci sfugge perché troppo sottile e tuttavia è in essa che si trova la spiegazione di tutto”.9


Si è visto che, mentre presso i Kung del Kalahari la risposta al pianto di un neonato è immediata, occorrono cioè meno di 30 secondi perché questo venga consolato e coccolato, la metà degli episodi di pianto di un bambino entro il primo anno di vita negli Stati Uniti viene sistematicamente ignorata dai genitori. Nell’errata convinzione di abituarlo all’indipendenza, si mina in questo modo la sua fiducia nel mondo e negli altri, gettando le basi per futuri disordini psichici.


Un neonato non fa capricci, ha esigenze fisiologiche che esigono risposte immediate. Un neonato non ha il senso del tempo: la madre che non risponde al suo richiamo per lui non esiste, non c’è più, è sparita per sempre e questo è fonte di grande angoscia. Il bisogno non soddisfatto al momento giusto si perpetua nel tempo, rimane come un debito da pagare per tutta la vita. Il bambino che non ha avuto risposta cercherà ciò di cui necessitava per il resto della sua esistenza. Diceva Lorenzo Braibanti: “Il bambino viziato non è il bambino che è stato accontentato quand’era piccolo nei suoi bisogni fisiologici, ma quello che non ha avuto quanto la madre gli doveva dare, che non ha trovato risposta al suo bisogno profondo di latte, di contatto, di calore materno. Per tutta la vita questo bambino cercherà ciò che non ha avuto”.[10]

Essere neonato nel mondo

Nelle culture tradizionali di tutto il mondo il neonato è considerato un dono di Dio ed è accolto con gioia e riconoscenza.


Come riferisce una levatrice Mohawk, quando un bambino nasce nelle Sei Nazioni della Confederazione Irochese, il Clan delle Madri dà il benvenuto al neonato dicendo: “Grazie per essere arrivato al nostro villaggio, speriamo che resterai con noi”.[11]


Il neonato è ritenuto un “ospite”, che viene da lontano, che ha fatto un lungo viaggio per portarci un messaggio, il messaggio degli antenati e per svolgere la missione a cui è stato destinato. Presso gli indiani Lakota la bambina appena nata viene definita “viaggiatrice femmina”, presso i Mossi del Burkina Faso invece la si chiama “straniera”.


Come a ogni ospite che si rispetti anche al neonato è riservata un’accoglienza regale.

A lui vanno rivolte attenzioni e delicatezze speciali.


“La nascita di un bimbo significa un nuovo orientamento di tutta la famiglia. Il bimbo allora diventa il punto centrale. Noi diciamo: ‘Qui c’è un neonato, che ha bisogno di tutta la nostra attenzione.’” (Victor Saracino, New Mexico).[12]

Per un periodo di almeno una settimana, ma anche un mese, il bimbo è tenuto vicino alla mamma.


Non è permesso lasciarlo piangere: gli farebbe pensare di essere arrivato nel posto sbagliato e gli farebbe venire la voglia di ritornare indietro, là da dove proviene. I Dagara del Burkina lo fanno ricevere con grida di gioia da altri bambini proprio per farlo sentire maggiormente a suo agio: loro sono più simili a lui perché più vicini al mondo spirituale.


“Sappi che sei amato e sostenuto in questo tuo viaggio. Tu non sei mai solo. Sei collegato al Tutto” dicono al bambino appena nato gli aborigeni australiani. “Sei arrivata nel momento in cui ti desideravamo e occupi il posto che ti abbiamo riservato” sussurra la nonna senegalese alla sua nipotina.

Ed è esattamente quello che un neonato vorrebbe sentirsi dire.


Per le culture africane un bambino che nasce non è un essere che parte da zero, ma ha già tutta una storia alle sue spalle, una sua vita anteriore, una sua personalità e quindi gli adulti non possono modellarlo a seconda delle loro esigenze per farne ciò che desiderano ma devono mettersi umilmente al suo ascolto, lasciandogli il tempo di manifestarsi, di rivelarsi. Il ruolo dei genitori è perciò paragonabile a quello di custodi o tutori del bambino: essi devono vegliare su di lui, proteggerlo, aiutarlo nel processo di scoperta del suo essere, dargli i mezzi perché possa portare a compimento lo scopo per il quale è nato.

Per una nuova accoglienza al neonato…

E noi, che accoglienza riserviamo ai nostri neonati?

Li consideriamo persone fin da subito o bambolotti da vezzeggiare e manipolare per soddisfare i nostri bisogni?


“Dappertutto manca ancora la nobiltà di coscienza necessaria per accogliere degnamente l’uomo che nasce” scriveva Maria Montessori un centinaio di anni fa.[13] Ultimamente la situazione è sicuramente migliorata ma non è certo ottimale. Se è vero che i neonati non vengono più presi per i piedi, messi a testa in giù e sculacciati appena usciti dal ventre materno, è altrettanto vero che persistono ancora casi in cui il cucciolo d’uomo non viene accolto come vorrebbe, viene maneggiato in modo brusco, privato della preziosa vernice caseosa (quello strato di grasso che lo nutre e lo protegge come una sorta di mantello), separato dalla madre senza motivo troppo precocemente, “derubato” del contatto, del contenimento e del cibo materno di cui avrebbe così tanto bisogno, sottoposto a rumori per lui assordanti (si pensi alla radio spesso accesa in sala parto o in reparti di neonatologia) e allo stordimento di continue visite di parenti, amici e conoscenti.


Eppure basterebbe così poco per andargli incontro e soddisfare le sue esigenze vitali: un’atmosfera silenziosa, luci soffuse per non ferire i suoi occhi ancora vergini, gesti lenti e delicati, un bagno rilassante, fatto senza fretta, morbidi vestitini privi di cuciture, precedentemente riscaldati e aperti davanti in modo tale da essere infilati senza toccare la testa, così provata dallo sforzo del parto.


Piccoli accorgimenti, dettagli che sembrano banali e che si rivelano invece di fondamentale importanza. Nulla di costoso o di complicato, semplicemente un diverso atteggiamento da parte degli adulti, un atteggiamento che potremmo definire di “riverenza”.


È proprio vero, come sosteneva W.Reich, che la civiltà comincerà solo il giorno in cui la preoccupazione del benessere dei neonati avrà la meglio su qualsiasi altra considerazione.


Il problema è che per capire un neonato bisogna nascere un’altra volta. Nascere in consapevolezza.


Il neonato viene dalla fonte, dalla sorgente. Il neonato è Essenza. Come dice giustamente Chopra, “è puro oro spirituale”. [14]


Sapremo noi, come novelli Re Magi, compiere il cammino verso di lui e metterci al suo ascolto?

Consigli di lettura:

  • Odent M., Abbracciamolo subito!, RED!, Milano, 2006

  • Volta A., Apgar 12, Bonomi, Pavia, 2006

I primi giorni insieme

L’arrivo di un bambino trasforma la vita di un uomo e di una donna: la coppia diventa famiglia. I cambiamenti, specie se si tratta di un primo bambino, sono tanti, sia di tipo emozionale che di tipo pratico ed è bene essere preparati per affrontarli nel modo migliore. Ecco alcuni suggerimenti per vivere al meglio i primi giorni insieme:

  • Cerca di organizzarti, ancora prima del parto, per gestire al meglio i primi giorni a casa. chiedi a tuo marito se può prendersi qualche giorno di ferie, chiedi a qualcuno di aiutarti per le faccende domestiche e la cucina, fai una scorta di surgelati e riempi il frigo di provviste… Ricordati che l’aiuto esterno non deve servirti per accudire il neonato ma per darti la possibilità di essere totalmente disponibile per lui.
  • Ricordati che le prime settimane a casa con un neonato sono in assoluto le più faticose ma sono anche le più importanti per instaurare una buona relazione con lui e per avviare in modo ottimale l’allattamento. Non sarà sempre così: tieni duro perché gli eventuali sforzi saranno poi ampiamente ricompensati!
  • Concediti tempo: tu e il tuo partner state facendo un apprendistato importante. Ci vuole pratica per imparare ad occuparsi di un bebè!
  • Godetevi il vostro bambino: i primi momenti con lui sono magici, speciali, non tornano più. Approfittatene!
  • Chiedi al tuo partner di fare da filtro per gli ospiti, in modo da evitarti le visite a casa di parenti e conoscenti nei primi giorni e le continue telefonate (in modo particolare in caso di parto cesareo).
  • Decidi le tue priorità, che cosa è più importante per te e ignora il resto. Ricordati che in questo momento tu e il tuo bambino venite prima di ogni altra cosa. Le faccende domestiche, la cucina e gli ospiti possono aspettare… Riposa quando il bambino dorme: concediti di rilassarti insieme a lui, staccando il telefono e cercando di non pensare a nient’altro se non al tuo bebè.
  • Mangia cibi semplici, nutrienti e variati, bevi quando hai sete. Fatti fare un massaggio o approfitta, mentre il bimbo dorme, per farti la doccia o un bel bagno caldo e rilassante.
  • Parla con il tuo partner di ciò che provi in questi momenti così delicati ed emozionanti della tua vita, ditevi sinceramente ciò che sentite e cosa vorreste che ognuno facesse per l’altro.
  • Non sentirti in colpa se hai bisogno di chiedere aiuto all’esterno: rivolgiti ad una persona di cui ti fidi e con cui sei in sintonia. A volte un orecchio in più che ascolta o un parere obiettivo possono essere di grande aiuto e conforto.
  • Ricordati che è impossibile “viziare” un neonato: un bambino così piccolo non fa capricci, esprime dei bisogni. Perciò non farti scrupolo a prenderlo in braccio non appena lo senti piangere, a tenertelo vicino, ad allattarlo ogni volta che sembra richiederlo. Quando ti senti dire che facendo così gli dai “cattive abitudini” pensa innanzitutto che si tratta di tuo figlio e sei tu e nessun altro a dover decidere per lui e, in secondo luogo, che lui, in quanto cucciolo di mammifero, è stato programmato proprio per avere con la sua mamma un contatto intimo ed esteso. Tenendolo il più possibile vicino a te, rispondendo prontamente ai suoi segnali, tu non fai altro che aiutarlo a costruire la fiducia in se stesso, negli altri e nel mondo che lo circonda.

Sono qui con te - Seconda edizione
Sono qui con te - Seconda edizione
Elena Balsamo
L’arte del maternage.Uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita perinatale, per affrontare gravidanza, parto e primi mesi con il bambino con serenità e consapevolezza. Elena Balsamo offre uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita prenatale e sulla nascita.Nella prima parte l’autrice mira a esplorare le pratiche di maternage nelle diverse culture, mentre nella seconda offre al lettore un vero e proprio strumento terapeutico per rivedere la propria vita alla luce dell’esperienza intrauterina e del parto.Basato su un’accurata documentazione scientifica, Sono qui con te si rivolge ai genitori, nonché agli operatori socio-sanitari che desiderano comprendere meglio l’universo del maternage. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.