prima parte - capitolo ii

Nascere: la grande avventura

Mentre il vento d’autunno soffia, penetrante, un bimbo apre gli occhi.

Yamaguchi Seshi, Haiku

La nascita non termina il giorno in cui vieni al mondo, quel giorno è solo l’inizio: il giorno in cui hai lasciato il ventre di tua madre, non sei nato, hai iniziato a nascere.

Osho

Dopo nove mesi o dieci lune di vita insieme arriva il momento della partenza: mamma e bambino devono separarsi, anche se solo per ritrovarsi di lì a poco. La grande avventura ha inizio. Se non ci sono interferenze, è il bambino che decide quando prendere congedo dal corpo materno e imbarcarsi per il viaggio più straordinario e importante della sua vita.


Un viaggio su una corta distanza ma che può richiedergli ore e ore di fatica e il cui ricordo rimarrà impresso nella memoria fisica ed emotiva per tutto il resto della sua esistenza. Pochi centimetri di percorso più intensi e coinvolgenti di una Parigi-Dakar… Il tunnel è breve ma stretto e buio, e bisogna procedere soli.


La testa si piega in avanti mentre il cuore accelera sempre di più. Ecco le colonne d’Ercole: per oltrepassare il muro occorre chinare la testa e dire sì. Un atto di sottomissione. Il più difficile. Poi è un attimo, la testa è fuori, si raddrizza di colpo. Un urlo fortissimo, una luce abbagliante: il bambino è atterrato. Ancora stordito e stanco per l’intenso sforzo sembra dire “Datemi tempo!”. Ha bisogno di silenzio, di penombra, di calma per riprendersi, per rendersi conto di cosa è successo, del grande cambiamento avvenuto. E soprattutto ha bisogno di ritrovare la mamma per capire che nel nuovo mondo non è solo.


Ci sono bambini che nascono prima del tempo, perché qualcosa è venuto a turbare il loro soggiorno uterino: uno spavento, un forte dolore o un trauma della mamma, anche solo il ricordo di un lutto, di una sofferenza passata, può far scatenare all’improvviso il travaglio.


Come se una nube tossica di colpo venisse a oscurare il cielo in cui vive immerso il bambino. A volte l’inquinamento è proprio ambientale: una mamma che fuma eccessivamente in gravidanza rende l’utero un posto invivibile. Il feto fa fatica a crescere e svilupparsi e nasce a volte gravemente sottopeso. In questi casi “speciali” si richiede un’attenzione e un’accoglienza particolari perché, ancora di più, il piccolo uscito dal guscio prematuramente ha bisogno di ritrovare il contatto e il contenimento di cui non ha potuto beneficiare fino in fondo.


Perché la nascita avvenga nel migliore dei modi è fondamentale che si svolga nell’ambiente adatto, in un’atmosfera di intimità e senza intrusioni esterne. Odent ci ricorda quanto siano importanti queste condizioni per permettere la produzione di quella miscela ormonale che lui chiama “il cocktail dell’amore”, necessaria all’espletamento del parto. L’ossitocina, definita anche come l’ormone dell’amore, la prolattina, l’ormone del maternage, e le endorfine, una sorta di morfine naturali, vengono tutte secrete dalla parte più profonda e antica del cervello (ipotalamo, ipofisi ecc.) che noi umani abbiamo in comune con tutti i mammiferi. Ecco perché è importante durante il parto offrire alla donna un’atmosfera tale da permettere il rilascio di queste sostanze e la messa a riposo invece della neocorteccia, la parte più recente, in termini evolutivi, del nostro cervello.


Tutti gli stimoli ambientali, quali la luce, il rumore, il linguaggio verbale razionale, il fatto di sentirsi osservati, la paura e l’insicurezza, agiscono sulla neocorteccia inibendo il processo del parto. Come ogni femmina di mammifero, anche la donna, quando si sente minacciata, secerne adrenalina, l’ormone della sopravvivenza, che blocca il travaglio.

Nascere e ri-nascere

Sia per la mamma che per il bambino il parto è una grande prova: per la donna è il momento in cui si trova confrontata con le paure più arcaiche e profonde, in cui tutti i nodi vengono al pettine. Problemi irrisolti relativi alla propria nascita emergono in superficie e possono causare ritardi, blocchi o difficoltà nello svolgimento del travaglio. Ecco perché un lavoro preparatorio durante la gravidanza si rivela di fondamentale importanza.


Nelle culture tradizionali africane il parto viene spesso considerato come un combattimento, una vera e propria battaglia nella quale la donna è impegnata. Nello stesso tempo è visto anche come una sorta di processo di rinascita, che trasforma la donna in madre e dà nuova linfa al clan, alla comunità familiare e sociale.


E in effetti è proprio così: partorire rappresenta una grande opportunità per la donna di ritrovare saperi femminili ancestrali dimenticati, di rinnovarsi e trasformarsi. Come dice un proverbio del Kigezi, “Partorire è risorgere”.


Nella quasi totalità delle culture tradizionali del mondo il travaglio avviene in posizione eretta (in piedi o accovacciata). A volte la donna si aggrappa a una fune appesa al soffitto o a un palo così da facilitare le contrazioni e la fase espulsiva.

La nascita inoltre, nelle realtà rurali, avviene in ambiente domestico. Il parto è considerato “un affare di donne” da cui gli uomini sono esclusi. La partoriente è affiancata dalla levatrice o da altre donne esperte che la sorreggono, la massaggiano o cantano per lei e per il bambino che sta per nascere: “Sei ad un bivio: la luce che vedi davanti a te è la luce del villaggio che ti aspetta. Andare verso casa è faticoso ma abbiamo dell’erba tenera e del miele dolce che ti aspettano. E un dolce seno pieno d’amore e di cibo che non vede l’ora di vederti” (Dagara, Burkina Faso).[1]


Per gli africani la nascita è semplicemente un passaggio: da una forma di vita a un’altra, dal là al qua, dal mondo degli spiriti a quello terreno.


Come dice Hampatè Ba non si tratta in fondo che di un “cambio di domicilio”.2


Partorire nel nuovo millennio

Se è vero che il parto-nascita avviene in condizioni più “naturali” nelle società non industrializzate è altrettanto vero che la mortalità materna e infantile in queste realtà è ancora molto elevata.


Nel mondo occidentale per contro si è assistito a una drastica riduzione dei tassi di mortalità ma si è ricaduti in un eccesso di medicalizzazione del processo del parto, conseguenza – come sostiene Odent – di una incomprensione dei processi fisiologici della nascita e di un atteggiamento non scientifico degli operatori, basato sull’ignoranza dei dati pubblicati nella letteratura medica.


In questo caso la donna e il bambino non sono più attori protagonisti della nascita ma diventano spettatori passivi: la delega ai professionisti della salute è pressoché totale.


Nelle realtà industrializzate, sia del nord che del sud del mondo, la partoriente viene spesso fatta giacere in posizione supina sia durante il travaglio, a causa del quasi continuo monitoraggio cardiotocografico, sia durante la fase espulsiva del parto. Ora questa posizione, che nessuna specie animale adotta, è senza dubbio la più svantaggiosa e antifisiologica che esista. Essa comporta innanzitutto la compressione da parte dell’utero gravido dei grossi vasi addominali, quali l’aorta e la vena cava, con conseguente sofferenza fetale e ipotensione materna; inoltre il peso del corpo sul sacro non ne permette l’escursione all’indietro e riduce pertanto del 30% l’apertura della cavità pelvica. La posizione distesa infine trascura l’aiuto fornito dalla forza di gravità e rende quindi più difficile l’espulsione del feto.


Gli studi dell’ostetrico sudamericano Caldeyro Barcia hanno dimostrato che la durata del travaglio è complessivamente più lunga quando la donna è in una posizione orizzontale mentre è più breve, con una differenza superiore al 40%, quando è in una posizione verticale (cioè in piedi, in ginocchio, accovacciata o seduta). Camminare durante il travaglio e cambiare posizione assecondando le richieste del corpo, rende poi le contrazioni uterine molto meno dolorose per la donna.


Quando la partoriente non è lasciata libera di scegliere la posizione a lei più congeniale per lo svolgimento del travaglio e del parto, quando le interferenze nell’ambiente sono massicce, il processo della nascita viene gravemente perturbato e il delicato equilibrio ormonale viene rotto. Un evento naturale come il parto si trasforma in un processo patologico.


Si assiste così a un elevato ricorso a interventi medici, quali l’induzione artificiale del parto, l’accelerazione del travaglio attraverso perfusione di ossitocina, il monitoraggio cardiotocografico continuo, l’anestesia peridurale, il taglio cesareo, l’episiotomia.


Tali misure, utili in caso di reale necessità, vengono utilizzate spesso senza alcuna valida giustificazione e scatenano un processo a catena per cui l’uso dell’uno genera inevitabilmente l’utilizzo dell’altro e ciò che era nato a fini terapeutici diventa esso stesso causa di patologie.

“In alcuni reparti ostetrici non vediamo più un parto. Quel che succede là rassomiglia alla nascita non più di quanto l’inseminazione artificiale assomigli al rapporto sessuale oppure essere nutriti con il sondino rassomigli a mangiare”[3]: così Laing, noto psichiatra inglese, descrive l’evento nascita come viene vissuto nei grandi ospedali delle metropoli del nord e del sud del mondo.

Fortunatamente però ci sono in tutto il mondo realtà alternative dove è possibile vivere l’evento nascita in modo il più possibile naturale. L’esperienza di Leboyer in Francia, di Odent a Pithiviers e a Londra, di Braibanti a Ponte dall’Olio, hanno fatto scuola.


Si tratta di informarsi, di scegliere con cura e attenzione il posto giusto, quello più conveniente per le proprie personali esigenze. In Inghilterra le donne sono solite preparare un birth plan, una sorta di “piano strategico” per il parto, con tutti i punti e le esigenze che si desiderano soddisfare riguardo al luogo in cui si svolgerà l’evento nascita, alle condizioni, al personale che assisterà la partoriente, al tipo di accoglienza che verrà riservata al neonato (per esempio rooming in o nursery).


In Olanda è molto diffusa la pratica del parto a domicilio: un terzo delle nascite avviene in casa. I Paesi Bassi sono il solo paese che presenta un tasso di mortalità perinatale inferiore a 10/1000, un tasso di mortalità materna inferiore a 1/10.000 e un tasso di cesarei del 6%. Dati che stanno a indicare come in situazioni selezionate, assistite da professionisti competenti (in genere levatrici esperte in parti a domicilio) il rischio di un parto in casa non è maggiore di quello di un parto in ospedale. Per quanto riguarda le infezioni neonatali il rischio è addirittura quattro volte più basso a casa che in ospedale.


A chi non se la sente o non può affrontare questo tipo di esperienza dovrebbe però essere consentito l’espletamento di un parto naturale anche in una struttura ospedaliera. Come sempre non occorrono grandi cambiamenti, se non nell’atteggiamento degli operatori.


Cosa servirebbe dunque per permettere una nascita il più possibile secondo natura e, in ogni caso, senza violenza? Una stanza raccolta, accogliente come quella di una casa, dove la donna possa sentirsi libera di muoversi, di usare la voce e di vivere l’intimità anche con il proprio partner. Luci soffuse, silenzio e l’intervento di operatori, opportunamente formati, solo in caso di necessità.

Come ci ricorda Braibanti, “Il segreto del parto senza violenza è, rispetto alla tecnica, tutto qui: avere il coraggio di togliere dal nostro modo di agire tutto quanto non è necessario”.[4]


Tutto questo è importante non solo per la mamma che sta partorendo ma anche per il bambino che sta per nascere.

Durante il travaglio mamma e bambino lavorano in tandem: perché il risultato sia ottimale ci vuole una salda intesa, una efficace cooperazione. Il bambino ha bisogno di sentire il sostegno della madre, la sua presenza consapevole.


Se il piccolo che sta per nascere ha bisogno di avvertire il contatto empatico con la mamma, di sapere che lei sta collaborando con lui per aiutarlo a uscire da sé, la donna che sta partorendo ha bisogno di sentirsi contenuta, sicura e libera di assecondare il suo corpo in ciò che le chiede. Se ha compiuto un lavoro di ascolto su di sé durante la gravidanza, saprà come muoversi, che posizioni assumere, come rilassarsi e cavalcare le onde delle contrazioni senza farsi sommergere dalla loro potenza ma assecondandole attraverso il respiro. Il travaglio è come una tempesta contro la quale non occorre lottare ma a cui bisogna abbandonarsi senza però lasciarsi travolgere. Occorre imparare l’arte del surfista che si tiene in equilibrio sulla tavola cavalcando le onde dell’oceano.

“Ah! eppure… stavo per dimenticare.

Occorre amore. Senza amore sarete solo abili. La sala parto sarà perfetta, rischiarata quel poco che occorre, le pareti desonorizzate, la temperatura del bagno di una gradazione esatta, tuttavia il bambino continuerà a urlare. Non incolpatene il metodo, vi prego. Controllate piuttosto se in voi non rimane ancora qualche traccia di nervosismo. Qualche malumore, qualche impazienza. Qualche collera rientrata. Il bambino non si sbaglia. Per giudicarvi dispone di una sicurezza miracolosa e terribile. Sa tutto. Sente tutto. Vede fino in fondo ai cuori. Conosce il colore dei vostri pensieri. E tutto ciò senza linguaggio. Questo neonato è uno specchio. Vi restituisce la vostra immagine. Tocca a voi non farlo piangere.” (F.Leboyer).[5]

Consigli di lettura:

  • Leboyer F., Per una nascita senza violenza, Bompiani, Milano, 1975

  • Odent M., L’Agricoltore e il Ginecologo, Il leone verde, Torino, 2006

Prepararsi al parto

Il parto è un grande evento che trasforma la vita di una donna rendendola madre, la vita di una coppia rendendola una famiglia. Va perciò preparato nel migliore dei modi possibile.


Cosa fare, dunque?

  • scegliere per tempo un buon corso di accompagnamento e una figura di riferimento in cui si riponga totale fiducia (ostetrica o medico).

  • scegliere con cura il luogo del parto, andando a visitare diverse strutture se si pensa di partorire in ospedale e informandosi sulle modalità dell’assistenza al travaglio (se c’è possibilità per esempio di scegliere la posizione da assumere o di fare il travaglio in acqua) e dell’accoglienza al neonato (se c’è la possibilità di rooming in, di taglio posticipato del cordone ecc.). Se si opta per il parto in casa, rivolgersi alle associazioni di ostetriche che assistono a domicilio. Si può anche scegliere per una soluzione intermedia: farsi accompagnare e seguire in ospedale dalla propria ostetrica di fiducia.

  • prepararsi per tempo anche per quanto riguarda l’accoglienza al neonato: dopo il parto si è troppo stanche e vulnerabili, è meglio avere già raccolto prima tutte le informazioni necessarie e aver preso le proprie decisioni (per esempio per quanto riguarda l’allattamento o il luogo dove far dormire il bambino).

  • preparare ciò che servirà al neonato: bastano pochissime e semplici cose (camicine possibilmente di seta, coprifasce aperti davanti, tutine possibilmente senza piedi e morbide scarpine di lana o cotone, una copertina, una confezione di burro di karitè da usare come crema antirritazioni, una culla, una vaschetta di plastica per fargli il bagno). Se avete deciso di allattarlo al seno non serve acquistare né succhiotto né biberon.

  • ricordarsi di ricreare al momento del parto (ovunque ci si trovi) condizioni di privacy e intimità: più ci si mette all’ascolto del corpo abbandonando le richieste della mente e più il travaglio procede in modo naturale.

Sono qui con te - 2a edizione
Sono qui con te - 2a edizione
Elena Balsamo
L’arte del maternage.Uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita perinatale, per affrontare gravidanza, parto e primi mesi con il bambino con serenità e consapevolezza. Elena Balsamo offre uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita prenatale e sulla nascita.Nella prima parte l’autrice mira a esplorare le pratiche di maternage nelle diverse culture, mentre nella seconda offre al lettore un vero e proprio strumento terapeutico per rivedere la propria vita alla luce dell’esperienza intrauterina e del parto.Basato su un’accurata documentazione scientifica, Sono qui con te si rivolge ai genitori, nonché agli operatori socio-sanitari che desiderano comprendere meglio l’universo del maternage. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.