terza parte - capitolo iv

Un pediatra amico dell’allattamento

La prima volta che venni in contatto con l’argomento dell’allattamento dei bambini fu sui banchi dell’università.

Mi ricordo, era la fine degli anni sessanta, che il professore di pediatria provocatoriamente chiese agli studenti se fosse meglio allattare un bambino artificialmente o al seno. Io alzai la mano tra quelli, i più, che ritenevano che il latte artificiale fosse migliore.


Non sapevo perché, ma, evidentemente, tutto quello che sembrava tecnologico e moderno ai miei occhi appariva superiore. Lo stesso successe per due generazioni di mamme dei paesi industrializzati e succede tuttora nei paesi poveri.


Per fortuna quel professore milanese la pensava diversamente, forse aveva discusso con Lorenzo Braibanti, un medico pioniere di questo argomento, che viveva appunto a Milano.


Poco dopo la laurea, quando ero ancora specializzando in pediatria, partii per l’Africa, per prestare servizio civile.


Fu lì, in Uganda, che mi si aprirono gli occhi su molte cose, tra le quali il problema dell’allattamento al seno.


In quel periodo uscivano i libri di pediatri come David Morley (Paediatric Priorities for the Developing World), dove il biberon veniva chiamato il “baby killer”, lo stato di Papua Nuova Guinea metteva sotto controllo la vendita e la pubblicità del latte artificiale (primo credo al mondo) e io vedevo coi miei occhi i bambini malnutriti che morivano di diarrea e capivo che quelli allattati al seno sopravvivevano di più.


I miei primi anni in Africa mi diedero chiaramente una impronta. In seguito ho finito per passare più di dieci anni della mia vita professionale tra vari paesi africani o asiatici lavorando prima come volontario, poi come cooperante, poi come esperto e alla fine come consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’UNICEF.


Ma prima ancora di imbarcarmi in quella carriera andai a studiare pediatria in Canada.


Alla Queen’s University trovai dei docenti appassionati, pieni di voglia di insegnare e con le idee giuste. Sarò grato per sempre al Dr. Don Delahaye che, nel reparto di neonatologia, prescriveva: feeding on demand [alimentazione a richiesta] e mi insegnava come i lattanti, anche se prematuri, sapevano regolarsi da soli senza che i medici prescrivessero orari e quantità.

Nel 1978 le Nazioni Unite uscirono con la dichiarazione di Alma Ata, sulla salute e l’assistenza sanitaria di base. Il sostegno dell’allattamento al seno veniva indicato come uno degli strumenti più importanti per promuovere la salute.


Immaginate che crociata veniva proposta ad un pediatra!

Ma forse l’esperienza professionale più significativa che ebbi nel campo dell’allattamento furono i due anni che passai in Etiopia.


Nell’ospedaletto di Asella combattei duramente contro una “epidemia di biberon”. Non era certo la sola epidemia in quel paese sull’orlo del Grande Rift Africano. La tubercolosi era in agguato dappertutto, la dissenteria bacillare e tutte le malattie più esotiche del mondo mietevano vittime a piene mani. Ma il biberon era forse la più triste delle malattie.


Conservo l’immagine drammatica di una bambina di diciotto mesi che pesava quattro chili e mezzo. Il suo unico vero problema era di essere stata allattata con un biberon sporchissimo, pieno di un latte in polvere troppo diluito, dalla madre che non aveva soldi per comprarne abbastanza, ma che aveva smesso di allattare al seno perché questo era quello che le sembrava meglio.


Mi ricordo che sequestravo i biberon e davo in cambio una tazza e un cucchiaino, che almeno erano più igienici, ma vidi morire di malnutrizione cronica decine e decine di bambini. Un olocausto silenzioso non visto e non noto se non ai più stretti addetti ai lavori. Lo sguardo di quella bambina malnutrita è rimasto nella mia mente, classificato tra i ricordi indelebili, quelli che, se rispolvero, non mi fanno dormire.


Non c’è da sorprendersi se, quando tornai in Italia e mi stabilii con la mia moglie africana e un po’ di famiglia allargata in un paesino della Toscana, mettendomi a fare il pediatra di base, decisi di dedicare gli anni ’90 della mia vita al problema dell’allattamento.


A pensarci bene è ridicolo che esista un “problema dell’allattamento”. Il latte per i mammiferi è un adattamento evolutivo tra i più efficaci, che ha permesso loro di emergere e sopraffare tutti gli altri animali di grossa taglia.


Eppure è così: l’uomo è l’unico mammifero che ha pensato di allattare i propri cuccioli col latte di un’altra specie. Con risultati disastrosi. Non è l’unica cosa disastrosa che l’uomo ha fatto, ma certo è una di quelle da combattere. Così mi dissi: per i prossimi dieci anni metto le mie energie in questa storia.


Cominciai dal mio ambulatorio di pediatra di campagna, dove insegnavo alle madri l’allattamento naturale. Mia moglie mi prendeva in giro dicendo: è possibile che un uomo grosso e peloso come te debba insegnare alle donne ad allattare? Eppure era ed è ancora così. Dopo le due generazioni del dopoguerra che non hanno allattato quasi per niente (la media nazionale era intorno al 17%), le mamme oggigiorno arrivano ad avere tra le braccia il proprio piccolo senza aver mai visto prima un neonato. Un’esperienza che nei paesi poveri è invece la regola.


Raccolsi tutta la letteratura scientifica che trovai sull’argomento, scoprendo, nemmeno con tanta sorpresa, che sull’allattamento i dottori sapevano poco e che, comunque, quello che si sapeva confermava le nozioni che si raccolgono dall’osservazione del comportamento naturale delle mamme e dei bambini.


Non ci vuole un dottore e nemmeno un orologio e una bilancia per allattare un bambino. Serve piuttosto sapere come si fa a capire se qualcosa va storto, e soprattutto quale è la posizione giusta del bambino durante l’allattamento.


I primi anni della mia pratica di pediatra di campagna furono per un certo verso buffi. Quando raccomandavo di non fare la doppia pesata, di rispettare gli orari che il bambino e non il pediatra indica e di imparare a capire i segnali che il lattante dà alla mamma, dicevo delle eresie.


Molte mamma non mi credevano, ma quelle che provavano trovavano tutto talmente più semplice e piacevole, che diventavano paladine di questa “nuova tecnica di allattamento”.


La “nuova tecnica di allattamento” era quello che le donne hanno fatto per qualche milione di anni e tutti i mammiferi fanno da circa 60 milioni di anni!


Siccome ero il pediatra venuto dall’Africa ed esibivo in sala d’attesa i certificati dei miei studi in America, piano piano acquisii una certa credibilità, al punto che venni chiamato dal Prof. Macchia, il cattedratico di Pediatria a Pisa, a parlare all’Università.


Mi ricordo benissimo che dalla discussione che ne venne fuori era chiaro che gli studenti, ma anche moltissimi docenti, non avevano le idee chiare su come funziona l’allattamento. Ad esempio pensavano che il seno deve “riposare” tra una poppata e l’altra per “ricaricarsi”, come se il seno avesse un serbatoio dentro, nel quale il latte si accumula. Il seno invece è una ghiandola e il latte viene prodotto in tempo reale su richiesta del bambino. Altra convinzione ferrea era che lo stomaco del lattante deve svuotarsi prima di essere riempito di nuovo e che ci vogliono tre ore e mezzo perché questo avvenga. Qui si ignorava che il latte materno è un alimento leggerissimo anche se nutriente, praticamente pre-digerito e che i lattanti poppano in media ogni due ore e non ogni tre ore e mezzo, ma con una variabilità enorme, soprattutto nei primi mesi, variando da intervalli di 10 minuti a intervalli di 12 ore.


Credo che quell’incontro all’Università fece un certo effetto, perché in seguito ho incontrato delle colleghe pediatre, che a quei tempi erano specializzande, che si ricordavano molto bene quella discussione.


Presto mi resi conto che l’ostacolo maggiore alla promozione dell’allattamento al seno veniva proprio dai dottori e soprattutto dai neonatologhi che dimettevano i bambini, anche quelli normali e nati a termine, con delle tabelle rigide di alimentazione a orari fissi e dopo aver tenuto il bambino separato dalla mamma e avergli già dato il biberon. Le madri viceversa, non ricevevano nessuna istruzione sull’allattamento al seno.


Quindi il mio lavoro era continuamente quello di contraddire i medici del nido e insegnare un modo di allattare tutto diverso. Era una fatica, ma per me divenne presto una crociata.


A rinforzare le mie convinzioni intanto erano venute fuori dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’UNICEF, le massime autorità delle Nazioni Unite sulla salute dei bambini.


Nella Dichiarazione degli Innocenti del 1990 promulgata a Firenze all’Istituto degli Innocenti e nell’Iniziativa Ospedali Amici dei Bambini del 1991, gli esperti mondiali sull’argomento ribadivano ed esprimevano ufficialmente gli stessi concetti che io stavo applicando. In un certo senso era entusiasmante sentirsi rassicurato del fatto che ero nel giusto, mentre tutto intorno a me la maggior parte dei colleghi la pensavano diversamente.


All’inizio i fallimenti erano moltissimi, ma progressivamente il numero delle mie clienti che riuscivano ad allattare con successo e a lungo aumentò e, come succede per i medici, attraverso il passa parola da mamma a mamma, cominciai a guadagnarmi la fama di medico specialista per l’allattamento.


Da quando lavoro in Italia faccio il pediatra di base convenzionato, quindi vengo pagato dalla Regione e non dai pazienti, ma ho anche pazienti che mi consultano come libero professionista, pur non essendo iscritti sotto le mie cure. Sono sempre stupito del fatto che ho guadagnato un sacco di soldi riempiendo un vuoto lasciato dai miei colleghi, che non sapevano come consigliare e sostenere le madri in difficoltà con l’allattamento.


Ancora adesso mi consultano mamme da tutta la regione e anche da altre regioni, e mi chiedo sempre: cosa è successo per far sì che una funzione normale e fisiologica, che tutte le donne possono espletare, sia diventata una malattia per la quale è necessario uno specialista?


Nel frattempo incontrai delle persone meravigliose e interessantissime: mamme, infermiere, ostetriche, puericultrici e anche dei medici come il ginecologo Massimo Srebot che ora è il primario a Pontedera.


Queste figure erano animate da spirito missionario e per un verso anche rivoluzionario e si davano da fare perché le routine degli ospedali cambiassero. Con loro fondammo l’associazione Le Dieci Lune per la promozione del parto e dell’allattamento naturale. Fu un’esperienza bellissima e molto stimolante. Eravamo un’equipe ben addestrata di ostetriche, medici e altre figure sanitarie. Assistevamo i parti a domicilio e questa di per sé è un’esperienza bellissima che mi ha lasciato molti piacevoli ricordi.


Andammo alla televisione locale a parlare di tutto questo, poi ci furono innumerevoli dibattiti pubblici, corsi di preparazione alla nascita e alla fine la ASL di Livorno ci chiamò per fare un corso di formazione del personale paramedico sull’allattamento.


Il corso durava tre giorni ed era basato sulle nozioni molto approfondite che il mio amico endocrinologo Franco Golia spiegava in maniera appassionante, sulle raccomandazioni OMS UNICEF, sull’esperienze di un altro amico, il chirurgo senologo Alberto Caniatti allievo di Braibanti, che parlava delle complicazioni dell’allattamento, ma soprattutto era animato da Polina e Tiziana, un’ostetrica e una fisioterapista, che davano la dimensione reale della questione che è squisitamente femminile e coinvolge tutti gli aspetti di essere donna.


Ripetemmo questo corso finché tutto il personale paramedico della ASL lo ebbe seguito.


Poi lo proposi ai sindacati dei pediatri, sapendo che i medici erano l’ultimo ostacolo.


Ostetriche, infermiere e puericultrici, essendo donne e per di più formate all’assistenza di fenomeni fisiologici, e non a cercare la malattie come i medici, erano già pronte culturalmente e negli anni ’90 non c’era molto da insegnare loro.


La federazione dei pediatri però non colse l’occasione, che per fortuna riprese però dieci anni dopo, istituendo un corso di aggiornamento tenuto dal dott. Rapisardi di Firenze, un bravissimo neonatologo impegnato in questa crociata.


Per spiegare l’atmosfera culturale di quei tempi, devo raccontare che le ostetriche e le mamme delle Dieci Lune ottennero di incontrare il primario ostetrico e il neonatologo di Pisa e presentarono loro i documenti dell’OMS, che raccomandavano che il neonato non fosse separato dalla madre, che fosse favorito l’allattamento precoce, esclusivo e a richiesta. Il primario ostetrico disse testualmente che non conosceva quei documenti, ma non gli interessavano.


Nel 1999 lavorai per l’OMS nei campi profughi in Albania per la crisi del Kossovo e nel 2002 sempre per l’OMS passai alcuni mesi in Afghanistan. In entrambi i casi riuscii a eseguire degli studi sulle pratiche di allattamento in quelle situazioni. Tutte e due quelle popolazioni erano fortemente tradizionali e l’allattamento al seno era una pratica normale che si prolungava quasi sempre fino a due anni, due anni e mezzo di età del bambino, come raccomanda anche l’OMS.


Non c’era il disastro dell’epidemia di biberon che avevo visto in Etiopia, tuttavia, anche a Kunduz, una cittadina sperduta nel nord est dell’Afghanistan, un paese che sembrava ancora immerso nel medioevo delle Mille e una Notte, era arrivata la Nestlé e il prodotto di importazione più comune a vedersi nei bazar era il latte in polvere. Le mamme lo davano ai loro bambini in aggiunta al loro latte, che non avrebbero mai interrotto, dato che il Corano stesso lo raccomanda. In questo modo però si perdeva il vantaggio dell’allattamento esclusivo, e i bambini contraevano malattie dissenteriche molto più facilmente.


Intanto si formava una rete di “crociati dell’allattamento”. Si formava il MAMI, movimento per l’allattamento materno in Italia, evoluzione del WABA (World Alliance for Breastfeeding Action) a sua volta originato dall’UNICEF. A Bologna la pediatra Elena Balsamo, autrice di questo libro, si dava da fare su questo e sull’argomento più ampio della etnopediatria, confrontando le abitudini di accudimento delle mamme di tutto il mondo, per trarne insegnamento.


Anche Elena mi invitò a parlare a Bologna diverse volte.

Non so più quanti incontri, convegni e conferenze ho fatto: ero animato dallo spirito di uno che è sicuro di avere l’idea giusta, ma la cosa che ricordo con più piacere è il sorriso delle mamme e la loro gratitudine se, con qualche consiglio, a volte semplicissimo, ma soprattutto incoraggiandole e sostenendole, riuscivano ad allattare i loro piccoli.


Nel mio studio ho appeso un autoritratto. Non mi ricordo più il nome della mamma che lo ha fatto, ma è bellissimo. È un disegnetto fatto con le matite colorate dove si vede lei che allatta il suo bambino. È una delle soddisfazioni professionali più grandi di tutta la mia vita di sessantenne.


Adesso tra le mie assistite ho delle percentuali di allattamento che si avvicinano all’ideale: 93% a sei mesi (delle quali 60% allattano ancora esclusivamente), 45% a un anno e 45% a due anni.


Ormai è successa una rivoluzione, quella che all’inizio degli anni ’90 invocavamo.


Quasi tutte le mamme hanno voglia di allattare, gli ospedali stanno modificando le loro routine, alcuni ospedali più piccoli in Italia si sono guadagnati la certificazione UNICEF di Ospedali Amici dei Bambini. Sono state promulgate leggi rigide sulla propaganda e la diffusione del latte artificiale tanto che i rappresentanti delle case produttrici già da molti anni non si fanno più vedere, almeno nel mio ambulatorio.


Rimangono delle sacche di resistenza: ospedali che dimettono ancora i neonati con tabelline per l’allattamento a orario fisso (cosa che l’OMS espressamente raccomanda di non fare); ma sono le ultime.


Si sta chiudendo il secolo dell’allattamento artificiale, un comportamento aberrante e assurdo che l’umanità ha imboccato per una serie di sviluppi culturali ed economici sbagliati.


Da noi nei paesi ricchi questo errore ha significato soldi sprecati, diversi vantaggi per bambini mamme e babbi perduti, ma poco più.


Nei paesi poveri questo errore costa vite di bambini in un numero enorme, l’UNICEF calcola circa un milione e mezzo ogni anno: l’equivalente di una guerra mondiale.


Se a questo si aggiunge che l’allattamento al seno è lo strumento per promuovere la salute pubblica più efficace e meno costoso che esista, si rimane a braccia aperte di fronte alla stupidità collettiva della società umana.


Personalmente riguardo indietro ai miei anni di pediatra e l’aver partecipato alla “crociata per l’allattamento” mi riempie di soddisfazione, sono sicuro di aver fatto qualcosa di utile e sento che ormai la battaglia del latte è vinta.


Enrico Frontini, pediatra (Collesalvetti – PI)

Sono qui con te - 2a edizione
Sono qui con te - 2a edizione
Elena Balsamo
L’arte del maternage.Uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita perinatale, per affrontare gravidanza, parto e primi mesi con il bambino con serenità e consapevolezza. Elena Balsamo offre uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita prenatale e sulla nascita.Nella prima parte l’autrice mira a esplorare le pratiche di maternage nelle diverse culture, mentre nella seconda offre al lettore un vero e proprio strumento terapeutico per rivedere la propria vita alla luce dell’esperienza intrauterina e del parto.Basato su un’accurata documentazione scientifica, Sono qui con te si rivolge ai genitori, nonché agli operatori socio-sanitari che desiderano comprendere meglio l’universo del maternage. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.