prima parte - capitolo i

Due in uno:
la coppia mamma-bambino

La storia dell’uomo durante i nove mesi che precedono la sua nascita sarebbe, probabilmente, assai più interessante e conterrebbe eventi di maggior importanza dei settant’anni che ad essa seguono.

Samuel Taylor Coleridge

La pace comincia nel ventre materno.

Eva Reich

Si potrebbe migliorare l’umanità, ma solo a condizione che si cominci dall’inizio: dalla madre mentre porta in grembo il suo bambino.

O.M. Aivanhov

All’origine si è due in uno. La vita del bambino inizia come vita di coppia e incomincia molto prima della sua nascita.

Non per nulla i Cinesi contano l’età di una persona dall’epoca del suo concepimento.


Noi occidentali invece ci dimentichiamo spesso dei nove mesi che precedono il nostro ingresso nel mondo. Eppure essi rappresentano un periodo di fondamentale importanza per la vita di ogni individuo. La scienza oggi ha confermato quanto il sapere tradizionale di tutti i popoli conosceva da tempo: l’avventura umana ha inizio molto prima della fuoriuscita dal canale del parto.

Come dice una levatrice Chippewa: “Ci è stato detto che il bambino è un essere umano fin dal momento del concepimento”.[1]

Il bambino è già tale quando è ancora nell’utero materno ed è proprio lì che si pongono le basi del suo futuro sviluppo. L’utero è la prima “casa” del bambino, il suo primo mondo e il modo in cui lo sperimenta, come ambiente ospitale od ostile, crea delle predisposizioni per la sua vita a venire.


“ll corpo della madre rappresenta l’ambiente ecologico del feto e le sue caratteristiche segneranno lo sviluppo del futuro bebè” scrive Cramer, un celebre psicanalista e psichiatra infantile.[2]


“L’esperienza in utero del feto costruisce l’architettura cerebrale che determinerà il suo comportamento dopo la nascita e probabilmente per il resto della sua vita” aggiunge Wirth, un neonatologo americano che ha lavorato a lungo con bambini prematuri.[3]


“Si è visto che la nostra salute è in gran parte costruita durante la vita intrauterina” afferma l’ostetrico Michel Odent.[4]

È ormai noto che gli stati d’animo della madre durante la gravidanza vengono percepiti dal bambino quasi come se fossero propri. Le emozioni materne – paura, rabbia, tristezza – modificando la biochimica dell’ambiente possono riflettersi sul bambino con conseguenze immediate e a lungo termine.


Una madre ansiosa e depressa durante i mesi dell’attesa trasmette al feto nell’utero le sue sensazioni cosicché questo si “impregna” di esse come se respirasse i vapori di una nube tossica. Si è visto che i cuccioli nati da una madre fortemente stressata in gravidanza nascono con un numero più elevato di recettori per il cortisolo e sono quindi più vulnerabili di fronte agli stimoli dell’ambiente esterno: è come se vivessero in continua tensione, sempre all’erta e con la paura di possibili, imminenti pericoli.


Spesso occorrono anni di lavoro su di sé, una volta adulti, per potersi liberare di queste memorie intrauterine che si sono iscritte nel corpo e nella mente del bambino e che egli si porta dietro, pur senza esserne consapevole, anche quando è ormai divenuto grande.

Come ci ricorda Eva Reich, il corpo serba memoria di tutto ciò che ci è accaduto a partire dal momento del concepimento e risente dell’influsso di almeno due generazioni precedenti! Gli eventi più antichi sono quelli che “plasmano l’individuo con la massima intensità e perciò possono avere l’effetto traumatico più persistente” (E.Reich).[5]


“Gli antichi cinesi ritenevano che l’esperienza in utero fosse uno dei momenti più importanti della vita di un individuo e la consideravano il primo anno di età. …Mia nonna – scrive Bridges – era solita affermare che la personalità di un bambino è condizionata da quella della madre durante la gravidanza. Questo è uno di quei racconti da vecchia comare di cui recentemente i moderni scienziati hanno provato la veridicità. I neuropeptidi (i messaggeri emotivi del cervello) vengono trasmessi per mezzo del flusso sanguigno attraverso la barriera placentare e finiscono nel flusso sanguigno del feto incidendo sui futuri stati d’animo del bambino. Inoltre, quando una donna vive una situazione di forte stress nel corso della gravidanza (eventi come il decesso di un genitore o del marito, un incidente o una brutta malattia), il flusso di sangue verso il feto si riduce. In quel momento, siccome il sangue è cibo e il cibo è uguale ad amore e nutrimento, il feto soffre e finisce col nascere molto teso e provato.


Ogni evento traumatico o stressante viene registrato dall’amigdala e il dolore causato da tale evento può generare un ricordo fisico o psicologico: l’amigdala non li distingue. I ricordi preverbali si insediano più profondamente in questa parte del cervello, ed ecco una delle ragioni per cui i nostri problemi primari o fondamentali sono così difficili da affrontare” (L.Bridges).[6]

Occorre procedere a una “liberazione emozionale” di tali ricordi per poter riuscire a vivere la propria vita in modo consapevole e non semplicemente reattivo.


Le ferite che risalgono al momento del concepimento e della nascita lasciano il loro segno anche sul fisico dell’individuo, e ci sono terapeuti cinesi che riescono per esempio a diagnosticare attraverso una attenta lettura dei segni presenti sul volto e in particolare sull’orecchio i traumi e gli eventi legati al periodo della gestazione e all’esperienza della nascita. Insomma il modo in cui abbiamo vissuto i primi momenti della nostra avventura terrena pare proprio che “ce l’abbiamo scritto in faccia”!

Un famoso omeopata indiano, Sankaran, sostiene che la malattia non sia altro che una falsa percezione del presente che viene vissuto dall’individuo sulla base di un’esperienza passata. È come se la persona continuasse a comportarsi e a reagire con la stessa modalità richiestagli un tempo in una particolare situazione anche quando tale situazione non esiste più. Tipica per esempio è la sensazione di provare un’ansia sproporzionata alle circostanze. Sankaran si è accorto che tale schema di reazione nasce dalla presenza in ognuno di noi di “radici”, cioè di “tendenze che, se sollecitate, portano alla manifestazione di stati patologici specifici. Queste tendenze rappresentano delle impressioni lasciate da determinate situazioni vissute in passato dal soggetto (o da qualcuno delle generazioni precedenti) che lo inducono a provare sensazioni identiche o a reagire come se si trovasse realmente nella situazione che ha dato origine alla falsa percezione”.[7] Tali impronte possono essere riattivate anche a distanza di tempo e si formano a partire dall’esperienza intrauterina: “se la madre ha avuto uno stato molto intenso durante la gravidanza il figlio quasi sempre lo eredita”.[8]
Ma Sankaran va ancora più in là, affermando di aver rilevato una similarità tra lo stato dei genitori al momento del concepimento e lo stato dei figli. Non solo: le radici possono essere addirittura ereditate da generazioni precedenti e in questo caso sono molto profonde. È il concetto che sta alla base della psicogenealogia. Per dar vita a un nuovo germoglio, e far sì che cresca il più sano possibile, non basta potare i rami della vecchia pianta, occorre estirpare le radici della zizzania…

La saggezza dei popoli

Che il nascituro sia un essere emotivamente attivo, che vive delle emozioni materne in tutte le culture tradizionali del mondo ogni mamma lo sa e si comporta di conseguenza.


La mamma guatemalteca, come ci ricorda Rigoberta Menchù, “quando arriva al settimo mese, è il momento che si deve porre in relazione con tutta la natura, come vuole la nostra cultura. Uscirà per i campi, se ne andrà a camminare per i monti. E così il bambino comincia ad affezionarsi alla natura. La madre è come obbligata a queste uscite, deve insegnare al bambino la stessa vita che vive lei. La madre sbriga i suoi lavori, poi esce a camminare, in comunione con gli animali e con tutta la natura, ben consapevole che il bambino sta assorbendo tutto questo e inizia un dialogo costante con il figlio mentre è ancora nel suo ventre. Gli dice che dovrà avere una vita difficile. È come se stesse accompagnando un turista, a cui spiega ogni cosa. Gli dice ad esempio: ‘Di questa natura che ci circonda non dovrai mai abusare e dovrai vivere la tua vita allo stesso modo in cui la vivo io.’ Se ne va così per i campi e spiega ogni particolare al figlio. È un obbligo per lei, qualcosa che la madre deve fare.”[9]

In tutte le culture tradizionali, siano esse africane, asiatiche o americane, si ritiene che durante la gestazione la donna debba essere circondata di bellezza.


“Si insegna alla donna ad avere pensieri positivi ed essere felice” dice un indiano Pueblo.


E una mamma dello Sri Lanka così afferma: “Bisogna fare di tutto per essere felici. Se si è felici lo sarà anche il bambino”.


Le donne del subcontinente indiano durante la gravidanza leggono testi sacri e si soffermano a osservare immagini di divinità.


Deve essere evitato assolutamente ogni contatto con la morte: è vietato partecipare a funerali, assistere all’uccisione di animali ma oggi anche di ascoltare le notizie del telegiornale…


Secondo i nativi americani gravidanza e parto sono opportunità di trasformazione per la donna ed eventi altamente spirituali.


“Dal momento in cui la donna si accorgeva del concepimento sino alla fine del secondo anno di vita, ossia la normale durata dell’allattamento, noi eravamo persuasi che l’influsso spirituale della madre contasse più di ogni altra cosa.

Il suo comportamento e le sue meditazioni segrete dovevano essere tali da infondere nell’animo ricettivo del bambino non ancora nato l’amore per il Grande Mistero e un senso di fratellanza con tutta la creazione. Silenzio e isolamento sono le regole della donna incinta. Ella vaga in preghiera nella pace delle foreste o nel seno delle praterie solitarie.” (Eastman).[10]
Da tempi immemorabili nelle culture tradizionali di tutto il mondo si raccomanda alla donna incinta di vivere la gravidanza con calma, serenità, circondandosi di bellezza e di armonia: le scoperte scientifiche contemporanee valorizzano sempre di più l’antica saggezza dei popoli nativi.

Il feto competente

Solo da poco noi occidentali abbiamo scoperto che il feto è “competente”: a sole 3 settimane di vita ha già un cuore che batte, a 15 settimane sono già presenti 16 schemi di movimento distinti: trasalimento, singhiozzo, suzione, deglutizione, stiramento, sbadigli, movimenti dell’intero corpo o di sue parti.


A 4 mesi sa già succhiarsi il dito, aprire e chiudere la bocca, corrugare la fronte e socchiudere gli occhi.


Nella sua piccola piscina il feto nuota, cambia tutti i giorni posizione e compie vere e proprie capriole.


Il bambino non ancora nato non conosce l’immobilità anche perché di per sé l’utero è un luogo mobile. La mamma cammina, si muove, nuota, balla, si siede, si sdraia e tutti questi movimenti si ripercuotono sull’utero che in questo modo culla continuamente il bambino.


Sembra ci sia un legame tra l’incessante movimento del corpo materno e la maturazione dell’apparato vestibolare. Alcuni ricercatori sostengono che il feto si serva proprio di questo apparato per orientarsi nella posizione di presentazione al momento del parto.


Degli studi effettuati su due gemelli bicoriali, eseguiti all’Università di Milano, a partire dalla 18° settimana di gestazione fino al termine, hanno messo in luce la ricchezza e la finezza dei movimenti fetali. Hanno mostrato due fratellini che addirittura passano il tempo a giocare tra loro, in un continuo toccarsi, attraverso la membrana di divisione, e ritrarsi ai movimenti dell’altro.

La frequenza e la modalità dei movimenti inoltre è tale da permettere di individuare una precipua personalità per ogni feto che verrà poi confermata con le osservazioni effettuate sui due bambini dopo la nascita.[11]


Il feto, fin dalla ottava settimana, è sensibile al tatto: se incidentalmente gli si solletica il cuoio capelluto, si affretta a spostare la testa.


Il feto poi è sensibile alla luce: riesce perfino a capire, dai raggi solari che lo raggiungono, quando la mamma prende il sole!


È poi in grado di discriminare i sapori che gli giungono attraverso il liquido amniotico. Si è visto che introducendo in questo sostanze dolci o amare si determinano rispettivamente movimenti di deglutizione o smorfie che dimostrano come il bambino sia in grado di sperimentare le differenze. Le sostanze provenienti dal cibo materno producono “memorie olfattive” (e forse gustative) che possono in seguito facilitare l’accettazione da parte del bambino dei cibi del suo ambiente.


L’apparato olfattivo si sviluppa molto presto: tra le undici e quindici settimane di vita.


Anche l’apparato uditivo si forma in epoca molto precoce, a sole sedici settimane di vita il feto è già in grado di reagire a stimoli sonori compresi tra i 250 e i 500 Hz, come per esempio le variazioni del battito cardiaco materno. Ma c’ è chi sostiene, come A.Tomatis, che la percezione uditiva debutti prima del quarto mese di vita fetale e sia quindi addirittura embrionale.


Secondo questo eminente e geniale studioso, l’embrio-feto è “concepito per ascoltare”. Ma molto spesso si trova di fronte al silenzio. “È poco. Il feto si aspetta molto di più. E se il desiderio di ascolto che lo sostiene non riesce ad elaborarsi, progressivamente si spegnerà, mentre l’orecchio continuerà a udire.” (A.Tomatis).[12]

A partire dalla 24° settimana il feto è in grado di udire come un adulto e ha molti suoni da percepire dal momento che l’utero è un ambiente piuttosto rumoroso: oltre al battito ritmico del cuore materno, ci sono i brontolii del ventre della mamma, le voci e i rumori che arrivano dall’esterno. Quando le stimolazioni sono troppo forti si hanno variazioni del battito cardiaco e dei movimenti fetali che possono essere facilmente registrate.


Una ricerca ha dimostrato che i neonati la cui madre aveva passato la gravidanza vicino all’aeroporto di Osaka erano abituati al passaggio degli aerei e non si svegliavano per questo rumore, mentre altri, che non avevano sperimentato suoni così forti, erano disturbati nel loro sonno.


Ciò significa che il feto è in grado di registrare i suoni nel suo inconscio, di “engrammarli” per ritrovarli dopo la nascita e riviverne per esempio alcuni come esperienze rassicuranti e rilassanti: il suono del tamburo o del valzer, ricordo del battito cardiaco materno, il rumore del mare, così simile al respiro della mamma, la voce del padre o le canzoncine cantate dalla mamma in gravidanza.

Lo psichiatra Verny racconta che le sue ricerche sulla vita prenatale cominciarono proprio dall’esperienza vissuta con una mamma incinta che cantava una dolcissima ninna-nanna al suo bambino ancora nel ventre. Ella poi gli riferì, dopo la nascita del figlio, che questa canzone aveva un effetto magico sul bimbo: per quanto disperatamente egli piangesse, appena lei cantava la ninna-nanna lui si acquietava.[13]


Il bambino nell’utero materno dunque lavora intensamente per prepararsi alla vita che verrà. È una creatura consapevole, che sente, capace di provare sensazioni e stabilire legami di relazione. Le mamme e anche i papà sanno come sia possibile richiamare l’attenzione del bambino, provocandone il movimento e lo spostamento, semplicemente premendo o anche solo poggiando una mano sul pancione. Il piccolo sembra rispondere in modo sorprendente ai giochi tattili proposti dai genitori.


Il feto è anche in grado di sognare: a 23 settimane di gestazione l’attività onirica è già riscontrabile. A 30 settimane il nascituro passa quasi il 100% del tempo di sonno in fase REM (che è la fase di sonno leggero in cui si sogna), alla nascita questa sarà ridotta del 50%.


Ma, acquisizione ancora più stupefacente e straordinaria, è che il feto è in grado di ricordare.


Un esperimento condotto da De Casper ha mostrato come neonati a cui fossero state fatte ascoltare due favole diverse mostrassero preferenza per quella che la mamma aveva raccontato loro tutti i giorni per 10 minuti nell’ultimo trimestre di gravidanza.


Numerose sono le testimonianze a questo proposito, riportate in letteratura, di bambini che dimostravano di ricordare pezzi musicali o testi di canzoni udite durante la vita prenatale e mai più ascoltate dopo la nascita. Ma Verny riferisce anche il caso di una donna adulta, adottata a quattro mesi di vita, che gli raccontò di essersi ricordata improvvisamente all’età di 3-4 anni, il nome che le era stato dato alla nascita: improvvisamente sentì una grande collera e tra le lacrime chiese ai genitori perché l’avessero chiamata Cheryl, visto che il suo nome era Illeen![14]


Una ricercatrice giapponese ha raccolto testimonianze di bambini intorno ai due anni che raccontano addirittura la loro esperienza nel pancione: “Conosco questo posto. L’ho visto da dentro il pancione di mamma” oppure “Sentivo la voce di mamma e papà. Papà cantava la canzone dell’elefante. Quando sono uscito dalla pancia di mamma c’era una luce forte forte. Ho visto tante persone, c’era anche papà”.[15]


Quelli che sembrano essere racconti da fantascienza sono invece realtà documentate e comprensibili grazie alle informazioni che ci provengono dagli studi più recenti di neuroscienze. Basti pensare ai dati, veramente stupefacenti, sull’accrescimento del cervello durante la vita fetale: le cellule nervose aumentano di 20.000 unità al minuto e raggiungono il loro numero definitivo di circa 100 miliardi già al 7° mese di vita intrauterina. Dopo aumenteranno sole le connessioni nervose e il volume cerebrale. Il grosso del lavoro dunque viene svolto nei primi nove mesi di vita e il cucciolo dell’uomo, come ci ricorda Quattrocchi Montanaro, è un essere che nasce già miliardario![16]


Endo ed esogestazione: un valzer da ballare insieme

Come ci ricorda Verny, il legame dopo la nascita è in realtà il prolungamento di un legame o contatto che ha avuto inizio molto tempo prima, nell’utero.


Mamma e bambino sono una coppia non solo durante la gestazione ma fino ai primi due anni di vita di quest’ultimo. Il cucciolo d’uomo, infatti, diversamente dagli altri primati nasce fortemente immaturo e ha bisogno di completare il suo accrescimento a stretto contatto con il corpo materno.


Dopo nove mesi di stretta convivenza ecco che si rende necessario un ulteriore periodo di “cova”: la cosiddetta “esogestazione” di cui ha tanto parlato l’ostetrico Braibanti. Si è visto che la madre funziona da corazza, da protezione per il bambino da un punto di vista energetico. Se la madre non c’è perché non è presente fisicamente o perché non lo è emotivamente e spiritualmente (per esempio una madre depressa chiusa nella sua sofferenza) il bambino si sente vulnerabile, scoperto. È come se avesse bisogno di essere avvolto nell’“aura” materna fintanto che non ha costruito i suoi propri gusci protettivi.


Questo è il motivo per cui in tutte le culture tradizionali del mondo i primi due anni di vita del bambino sono caratterizzati da uno stato di simbiosi con la madre, di cui il piccolo rappresenta una sorta di “prolungamento”. Madre e bambino in queste realtà non si considerano due entità distinte ma una sola: essi sono una vera e propria coppia, che funziona all’unisono, che balla lo stesso valzer. Tra i due danzatori esiste una sorta di cooperazione, l’uno aiuta e influenza l’altro, in un gioco di delicati equilibri ormonali, biochimici e psicorelazionali. Essi sono veramente un cuor solo e un’anima sola.


Esiste a questo proposito un termine della lingua araba che esprime in modo efficace il concetto di involucro psichico che unisce in modo indissolubile mamma e bambino: nafs, come scrive lo psicologo algerino Z. Bouabdallah, significa nello stesso tempo anima, calore, alito, odore, è una sorta di vera e propria “aura” che protegge e nutre come il latte.


In India esiste una branca particolare della medicina ayurvedica che si chiama kumaravartia, che si occupa proprio della coppia mamma-bambino, sia da un punto di vista biologico che psicologico, dal momento del concepimento fino ai primi anni di vita.


Una visione globale, olistica della diade madre-bambino, antica di millenni eppure per noi estremamente moderna e innovativa.

Per una ecologia della vita prenatale

Se la vita prenatale è così importante per il futuro di ogni essere umano perché non prepararsi adeguatamente per offrire ai nostri figli il miglior “ecoambiente” possibile?


“L’educazione inizia prima della nascita” sostiene Aivanhov, i genitori “bisogna che si preparino prima della nascita o meglio ancora prima del concepimento. È allora che ha inizio la vera educazione, quella potente, efficace, reale, indistruttibile”[17]


In molte culture del mondo questo avviene da secoli.

I Dagara del Burkina Faso pongono molta attenzione alla preparazione della donna ai fini del concepimento. Esistono diversi rituali di “pulizia” dell’utero che predispongono la futura mamma ad accogliere il nascituro, “a farsi abitare da una nuova anima”.[18] Alcuni di questi prevedono per esempio che essa passi la notte in una caverna (simbolo dell’utero) insieme ad altre donne, pregando e facendosi massaggiare.

Secondo i Dagara, la gravidanza fisica non può instaurarsi se prima non si è verificata una “gravidanza spirituale”, fase in cui la donna si rende disponibile a farsi raggiungere dal bambino.


Anche in India la medicina ayurvedica prevede tutta una serie di norme e di pratiche per favorire la fertilità, tra cui il massaggio: esso viene svolto dapprima per prepararsi al concepimento, poi durante la gravidanza per prepararsi al parto. Nei primi mesi di gestazione viene effettuato in modo molto delicato e leggero, intensificato nell’ultimo trimestre, e serve a fortificare la donna sia dal punto di vista fisico che psicologico. Per favorire l’armonia corpo-mente-spirito vi si associano tecniche di meditazione e rilassamento come lo Hatha Yoga.


Anche nella medicina cinese viene praticato il massaggio in gravidanza: si stimolano punti specifici di agopuntura a seconda del periodo di gestazione per favorire il fluire equilibrato delle energie.


La medicina cinese ritiene che il concepimento e l’annidamento della cellula uovo sia il risultato di un armonico bilanciamento delle energie del fegato, del cuore e dei reni. Per proteggere quest’ultima nell’antica Cina le donne incinte si fasciavano l’addome con uno scialle di seta blu, che apportava calore ai reni e, per il suo colore – il colore del fegato – ne stimolava la funzione difensiva.


In tutte le culture poi un’importanza particolare è riservata alla dieta della donna durante la gravidanza. Numerosi sono i tabù alimentari da osservare e le regole da seguire, i cibi da evitare e quelli da consumare.


Nei paesi asiatici è importante per esempio mangiare cibi “freddi” (non da un punto di vista della temperatura ma secondo criteri energetici) durante la gravidanza e “caldi” dopo il parto.


Le levatrici nativo-americane ritenevano che il cibo consumato dalla madre, e in qualche misura anche dal padre, avrebbe influenzato sia lo sviluppo del carattere del bambino non ancora nato sia quello del suo corpo. Il cibo indiano nutriva dunque sia il corpo sia l’anima della madre incinta e del suo bambino.


Le più recenti ricerche scientifiche ci indicano quanto sia importante la dieta ai fini della salute della gestante e del bambino che porta in grembo: si sa ad esempio che una alimentazione ricca in acidi grassi polinsaturi a lunga catena, contenuti per esempio negli oli di pesce, è fondamentale per la salute della madre e del bambino, così come un adeguato apporto di acido folico è una misura preventiva nei confronti dello sviluppo di spina bifida nel feto.


Da quanto detto fin qui, appare chiaramente che, se vogliamo porre le basi per un ottimale sviluppo del cucciolo d’uomo, dobbiamo dedicare tutta la nostra attenzione al periodo della gestazione e promuovere una vera e propria “ecologia” della vita prenatale. Essa poggia, a mio avviso, ancora una volta su quattro elementi essenziali: uno stile di vita il più sano possibile, che significa anche una corretta alimentazione materna, una comunicazione “empatica” mamma-bambino, un contenimento della gestante da parte del partner o del gruppo cosicché lei sia poi in grado di contenere il figlio e, last but not least, una buona ed efficace preparazione della donna sul piano psicologico-spirituale per eliminare eventuali blocchi emotivi e preparare il terreno per la migliore accoglienza possibile alla creatura partita per la grande avventura del venire al mondo.

Consigli di lettura:

  • Odent M., Ecologia della nascita, RED, Como, 1989

  • Ikegawa A., Quando ero nella pancia della mamma, Cairo Ed., Milano, 2002


Il tempo dell’attesa

La gravidanza è un evento naturale e come tale va vissuta. È un momento privilegiato, un’occasione speciale che viene offerta alla donna per guardare dentro di sé e prendere contatto con la sua interiorità, con la parte più profonda del suo essere. E anche a volte per sciogliere nodi del proprio passato.


Cogli pertanto questa opportunità e vivila fino in fondo: potrà portarti doni inaspettati.

Ecco qualche consiglio per affrontarla nel modo migliore:

  • scegli fin dai primi mesi un corso di preparazione e accompagnamento al parto basato sull’ascolto del corpo (per esempio yoga) e che proponga un approccio naturale alla gravidanza, al parto e all’accoglienza del neonato.

  • ritagliati ogni giorno uno spazio tutto per te: momenti in cui rilassarti, meditare, ascoltare musica, leggere (pochi libri ma di qualità), passeggiare nel verde.

  • cerca di stare in compagnia di persone che ti piacciono e di circondarti di cose belle, crea intorno a te, per quanto possibile, un’atmosfera di armonia e serenità.

  • parla al bambino che porti dentro di te, spiegagli e raccontagli ogni cosa, specialmente nel caso di eventuali esperienze negative che dovete affrontare (per es. in caso di amniocentesi o altro intervento spiegagli cosa succederà proprio come se fosse un adulto e rassicuralo che tu sei con lui in ogni momento) o durante il travaglio: il bambino ne trarrà un beneficio enorme.

  • insieme al tuo partner accarezza il bambino attraverso la pancia, imparate a toccarlo e a giocare con lui ancora prima che nasca: vi risponderà.

  • in caso di difficoltà, traumi emotivi, eventi spiacevoli, non esitare a chiedere aiuto all’esterno a terapeuti di tua fiducia.

  • scegli con cura la persona da cui farti seguire durante la gravidanza e il parto, ostetrica o ginecologo che siano, e per tempo il luogo in cui pensi di partorire (ospedale, casa ecc.).

Sono qui con te - Seconda edizione
Sono qui con te - Seconda edizione
Elena Balsamo
L’arte del maternage.Uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita perinatale, per affrontare gravidanza, parto e primi mesi con il bambino con serenità e consapevolezza. Elena Balsamo offre uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita prenatale e sulla nascita.Nella prima parte l’autrice mira a esplorare le pratiche di maternage nelle diverse culture, mentre nella seconda offre al lettore un vero e proprio strumento terapeutico per rivedere la propria vita alla luce dell’esperienza intrauterina e del parto.Basato su un’accurata documentazione scientifica, Sono qui con te si rivolge ai genitori, nonché agli operatori socio-sanitari che desiderano comprendere meglio l’universo del maternage. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.