prima parte - capitolo viii

Educare alla vita

Bisogna ricostruire una nuova educazione, che cominci fin dalla nascita.
Bisogna ricostruire l’educazione basandola sulle leggi della natura, e non sui preconcetti e pregiudizi degli uomini.
L’educazione è un aiuto alla vita.

M. Montessori

La meta dell’educazione dev’essere la vita stessa.
Insegnare la vita significa insegnare la conoscenza del sé.
Il destino dell’umanità è nelle mani dell’educazione.

Osho

Chiudete gli occhi. Immaginate un luogo dove una ventina di bambini dai 3 ai 6 anni lavorano, ognuno concentrato su una propria attività, in silenzio, come tante api in un alveare, come piccoli monaci in un convento: chi spazza il pavimento, chi lava i piatti, chi annaffia i fiori, chi sfoglia un libro, chi costruisce una torre con cubi di legno, chi compone parole con lettere mobili, chi dipinge, chi conta perline.


Sembra un piccolo angolo di paradiso. Un sogno? No, luoghi come questo esistono, in tutto il mondo, sparsi nei più remoti angoli della terra.


Certo sono un’eccezione, non la realtà comune, ma ci sono. Io li ho visti. Sono scuole “diverse” e infatti si chiamano “case”, Case dei Bambini. Le ha “inventate” un centinaio di anni fa una donna geniale, un medico che ha votato la sua vita alla causa dei bambini, facendosi loro interprete: Maria Montessori.


Se inizio questo capitolo parlando di lei è perché ritengo che tra tante figure di educatori ed educatrici è quella che, a mio avviso, ha maggiormente rispettato i bisogni e l’individualità del bambino, rivoluzionando i sistemi pedagogici in vigore ai suoi tempi.


Con un atteggiamento da scienziata, qual era, Maria Montessori, più di un secolo fa, si mise ad osservare i bambini (i figli degli operai del quartiere di San Lorenzo a Roma) e si rese conto che, posti in un ambiente adeguato alle loro esigenze interiori, essi sbocciavano come fiori, realizzando appieno le loro enormi potenzialità. Anche la salute fisica migliorava notevolmente, a indicare la inscindibile unità di corpo e mente.


Fu da questo lavoro che potremmo definire, con un termine etologico, di child watching, che la Dottoressa elaborò un approccio educativo completamente diverso da quello allora e tuttora esistente, un approccio basato sul rispetto dei tempi, dei ritmi, delle esigenze di ogni singolo bambino. Un “metodo” basato sulla libertà, intesa non come anarchia ma come autodisciplina, cioè obbedienza alla propria voce interiore.


Nella visione montessoriana l’educazione diventa così semplicemente “un aiuto alla vita” affinché questa possa manifestarsi in tutta la sua bellezza e ricchezza. Del resto la parola “educare”, nel significato etimologico del termine latino, vuol dire proprio questo: “tirare fuori da”. L’educazione è un’ars maieutica: il saper trarre all’esterno ciò che già esiste all’interno.

“L’uomo – dice Osho – nasce in forma di seme, nasce in quanto potenzialità”[1]: è questo seme che bisogna proteggere e aiutare a sbocciare, preparando un buon terreno, ripulendolo dalle erbacce, concimandolo, annaffiandolo proprio come farebbe un buon giardiniere.

Insegnare – diceva Chomsky – non significa riempire una bottiglia con dell’acqua ma piuttosto aiutare un fiore a crescere nel modo che gli è proprio.


Ogni fiore è unico e speciale, come lo è ogni bambino, e ha i propri tempi di maturazione che non possono essere forzati, ma solo attesi: c’è un tempo per ogni cosa…


La concezione educativa montessoriana presenta, a mio avviso, molti punti in comune con la concezione tipica delle culture tradizionali dei popoli nativi. Nelle culture africane tradizionali, per esempio, si ritiene che il bambino non sia un essere che parte da zero, che nasce come una pagina bianca tutta da scrivere, ma lo si considera piuttosto un individuo con una sua storia alle spalle, una sua vita anteriore, una sua individualità. Gli adulti non possono pertanto modellarlo a seconda delle loro esigenze per farne ciò che desiderano ma devono piuttosto mettersi al suo ascolto con un atteggiamento di grande umiltà per coglierne i segnali, lasciandogli il tempo di manifestarsi, di rivelarsi. Il ruolo dei genitori è perciò paragonabile a quello di custodi o tutori del bambino: essi devono vegliare su di lui, proteggerlo, aiutarlo nel processo di scoperta del suo essere, dargli i mezzi perché possa portare a compimento lo scopo per il quale è nato.

A ogni cassaforte la sua chiave: periodi sensitivi e mente assorbente

Figura attualissima, anche se ancora poco conosciuta da noi, non completamente capita, la Montessori resta dunque un personaggio tutto da scoprire e il suo approccio al bambino rappresenta una chiave miracolosa per comprenderne i segreti. Per aprire lo scrigno prezioso e ricco di tesori che si cela in ogni bambino bisogna infatti appropriarsi della giusta chiave.


Per capire i bambini occorre indossare un paio di occhiali che ci permetta di leggere ciò che è scritto tra le righe, serve cioè uno strumento interpretativo, rappresentato per esempio dalla conoscenza di due importanti fenomeni: i periodi sensitivi e la mente assorbente, entrambi intuizioni della Montessori, oggi confermate dalle più recenti ricerche di neurofisiologia.

I periodi sensitivi sono dei momenti speciali previsti dalla natura per l’acquisizione di determinate funzioni: se l’apprendimento avviene in questi periodi di spiccata sensibilità non costa nessuno sforzo al bambino che impara facilmente, senza fatica alcuna. Anche Bettelheim afferma: “Per molte delle esperienze umane esiste un momento ottimale, in cui la loro efficacia nel favorire lo sviluppo è massima; se non vengono vissute al momento giusto, i loro effetti sulla formazione della personalità non potranno essere più altrettanto positivi”.[2]


Queste sensibilità speciali infatti sono “passeggere, si limitano cioè all’acquisto di un determinato carattere: una volta sviluppato questo carattere, la sensibilità finisce. La crescita è pertanto un lavoro guidato minuziosamente da istinti periodici o passeggeri che danno una guida perché spingono ad una attività determinata” (Montessori).[3]

Lo sviluppo infantile è segnato dall’alternarsi di diversi periodi sensitivi, che è bene conoscere per poter rispondere appieno ai bisogni del bambino in ogni epoca della sua vita.


Subito dopo la nascita, per esempio, vi è il periodo sensitivo dell’attaccamento, quello cioè in cui si sviluppa il bonding tra mamma e bambino: se essi non vengono separati ma viene preservata la loro intimità, ecco che le ore dopo il parto si rivelano un momento privilegiato per instaurare un buon legame tra madre e figlio. La stessa cosa vale per l’allattamento: il processo può avvenire anche se inizia più tardi ma non in modo così facile e ottimale come quando si stabilisce nei primi istanti dopo la nascita, cioè nel periodo sensitivo della suzione.


Intorno all’anno e mezzo di età vi è poi il periodo sensitivo dell’ordine o dell’orientamento: il bambino ha bisogno di punti di riferimento che gli consentano di orientarsi nello spazio. Molti “capricci” in bambini di questa età sono legati proprio all’esigenza non sempre soddisfatta di ritrovare “ogni cosa a suo posto”, là dove la si era lasciata.


Verso i 4-5 anni si verifica nel bambino un forte interesse nei confronti delle lettere e dei numeri. Se sostenuti con strumenti adeguati, molti bambini a questa età iniziano spontaneamente a leggere e scrivere.


Farà seguito quindi il periodo sensitivo della cultura, intorno ai 6-12 anni e quello della sensibilità per la vita sociale e i rapporti con gli altri, tipico dell’adolescenza.

“Durante il suo sviluppo psichico il bambino fa delle conquiste che sono veramente miracolose e le fa proprio nei periodi sensitivi che si potrebbero paragonare a un faro acceso che illumina interiormente, ovvero a uno stato elettrico che dà luogo a dei fenomeni attivi. È questa sensibilità che permette al bambino di mettersi in rapporto col mondo esterno in modo eccezionalmente intenso. E allora tutto diventa facile, tutto è entusiasmo e vita. Se invece il bambino non ha potuto agire secondo le direttive del suo periodo sensitivo, se durante l’epoca sensitiva un ostacolo si oppone al suo lavoro, nel bambino avviene uno sconvolgimento, una deformazione: è perduta l’occasione di una conquista naturale ed è perduta per sempre. Sparito il periodo sensitivo infatti le conquiste intellettuali sono dovute a una attività riflessa, allo sforzo del volere, alla fatica della ricerca e nel torpore dell’indifferenza nasce la stanchezza del lavoro. In questo consiste la differenza fondamentale, essenziale, tra la psicologia del bambino e quella dell’adulto” (Montessori).[4]

La veridicità di queste affermazioni è stata confermata dagli studi e dalle ricerche sul funzionamento del cervello e la costruzione del sistema nervoso che sappiamo svolgersi secondo una cronologia ben precisa.


Lo sviluppo neurologico avviene per tappe: dapprima, durante la vita fetale, si ha la moltiplicazione cellulare, poi avviene la migrazione dei neuroni e il loro raggruppamento in unità di percezione (i sensi) e di comando della muscolatura, quindi si ha la maturazione dei neuroni stessi che li rende adatti a una attività selettiva, e che comprende la mielinizzazione (vale a dire il rivestimento delle fibre nervose con un involucro lipoproteico, detto appunto “mielina”, che ha una funzione di guaina isolante, come quella dei cavi elettrici); infine avviene la formazione delle sinapsi cioè delle connessioni che collegano i neuroni tra di loro e con gli organi effettori. Si costruisce così un vero e proprio circuito nervoso, anzi una rete di miliardi di circuiti. A questo punto si assiste a una selezione, vale a dire all’eliminazione di un certo numero di connessioni iniziali e alla stabilizzazione e al rinforzo dei circuiti definitivamente selezionati. La selezione sembrerebbe essere legata alle stimolazioni fornite dall’ambiente. Il che significa che, se la formazione delle sinapsi dipende da un programma genetico, la messa a punto finale è condizionata dalle interazioni ambientali. Il cervello cioè si costruisce anche a seconda delle informazioni che riceve dal mondo esterno.


Tutto questo schema di costruzione si svolge secondo ritmi ben precisi. Così ad esempio un bambino non è in grado di camminare fintantoché il processo di mielinizzazione non è sufficientemente avanzato da consentire la deambulazione. Viceversa, una funzione che non sia stata stimolata al momento giusto, può venire eliminata nella fase di selezione.


Questa è una delle spiegazioni che si possono dare dei periodi sensitivi.

L’altro caposaldo necessario per comprendere le leggi che regolano lo sviluppo infantile è il concetto di “mente assorbente”. Il bambino possiede un tipo di intelligenza diversa da quella dell’adulto, la sua mente inconscia funziona come una spugna che assorbe tutto ciò che lo circonda. Prendiamo l’esempio del linguaggio. Il bambino nei primi due anni di vita impara a parlare la lingua materna e la impara da solo, nessuno gliela insegna. La impara senza sforzo di memoria e la impara alla perfezione e per sempre semplicemente vivendo.


Per l’adulto invece non è così: egli può imparare altre lingue diverse dalla sua ma ciò gli richiede un lungo studio e un grosso sforzo di memoria. Inoltre si sa che una lingua straniera appresa da grandi non si impara mai del tutto e facilmente si dimentica. Cos’è dunque che determina queste differenze di apprendimento? È la mente assorbente che è proprietà esclusiva del bambino e gli consente di assorbire la cultura diffusa nell’ambiente senza fatica e senza bisogno di insegnamento alcuno. È quella mente che riesce a cogliere un suono nuovo della lingua straniera che viene parlata intorno a lui, come ad esempio il “th” inglese, così difficile per l’adulto italiano che apprende la lingua, così naturale e preciso per il bambino che lo fissa nel proprio linguaggio come fosse un suono della lingua madre.

“Il bambino incarna in se stesso le cose che vede e ode” dice M.Montessori.[5] E ancora:

“La mente del bambino è come una macchina fotografica, che può riprendere in qualsiasi istante qualunque cosa le giunga attraverso la luce. Qualunque sia la complicazione delle immagini, essa le prende allo stesso modo e in un medesimo attimo di tempo. E riproducendone tutti i dettagli. Inoltre, la macchina fotografica, dopo che l’immagine fu presa, rimane come prima e nulla appare in essa dell’immagine posseduta. Bisogna estrarre il film in luogo oscuro, esponendolo a dei reattivi che agiscono chimicamente, fissando l’immagine al di fuori della luce che l’ha prodotta. Dopo che l’immagine è fissata il film si può lavare ed esporre alla luce perché l’immagine rimane indelebile ed essa riproduce tutte le particolarità dell’oggetto fotografato. Analogamente agisce la mente assorbente: le immagini anche qui devono rimanere occulte nell’oscurità dell’inconscio ed essere fissate da misteriose sensibilità, senza che niente appaia all’esterno. Ed è solo dopo che il miracoloso fenomeno si è compiuto, che l’acquisto creativo è tratto fuori nella luce della coscienza e vi si ferma indelebile con tutte le sue particolarità”.[6]


Così, ad esempio, la costruzione del linguaggio non è il risultato di un lavoro cosciente ma si compie nel più profondo dell’inconscio e inizia fin dalla nascita. Il bambino che ancora non parla già sta lavorando per costruire il linguaggio, che assorbe dall’ambiente. Poi si verificherà la conquista delle sillabe, seguirà un periodo di pausa, quindi il bambino pronuncerà una o due parole e lo farà per parecchio tempo. Esternamente sembra che il bambino si sia fermato, che non avvenga nessun progresso, mentre in realtà lo sviluppo interiore è notevole. Il bambino sta assorbendo il linguaggio che eromperà poi improvvisamente da un momento all’altro, come in un’esplosione.


La stessa cosa succede per il movimento: da un giorno all’altro il bambino si alza in piedi e cammina da solo. In un ambiente adatto si verifica altrettanto, a 4-5 anni, per la scrittura e per la lettura. Questo è infatti il modo di apprendere del bambino, il funzionamento tutto speciale della sua mente.


Lo sviluppo del bambino avviene a balzi, sia per quanto riguarda la crescita fisica che quella interiore: a periodi di calma e di progresso lento fanno seguito improvvise esplosioni e slanci esterni. In questo senso i primi tre anni di vita sono il periodo più importante per lo sviluppo del cucciolo d’uomo, sono un periodo di vera e propria creazione.


È come se in questo suo lavoro il bambino fosse diretto da una potenza misteriosa:

“Nell’intimo di ogni bambino vi è per così dire un maestro vigile che sa ottenere gli stessi risultati da ogni bambino, in qualunque paese si trovi. …Il bambino sembra seguire fedelmente un severo programma imposto dalla natura e con tale puntuale esattezza che nessuna scuola, per quanto sapientemente diretta, reggerebbe al confronto” (Montessori).[7]

Il nostro compito di adulti consiste pertanto nell’aiutare il bambino in modo intelligente, eliminando gli ostacoli che si frappongono al lavoro che lui è chiamato a compiere. Preparare per esempio un ambiente adatto in cui un piccolino di un anno possa muoversi autonomamente senza pericoli e che offra risposte – non stimoli! – alle sue necessità (ad esempio nella sua cameretta un tappeto che attutisca le eventuali cadute ma anche un mobile basso e solido che gli permetta di aggrapparsi e alzarsi in piedi da solo) è un modo per favorire il suo processo di creazione. Lasciarlo libero di sperimentare il suo corpo, di toccare, esplorare, attraverso tutti i suoi sensi, di ripetere cento volte lo stesso esercizio, come aprire e chiudere un cassetto, salire e scendere da una sedia, fino a che l’acquisizione non è compiuta, significa comprendere, rispettare e sostenere il suo incessante lavoro di costruzione dell’intelligenza e delle facoltà psichiche.


“Ogni aiuto inutile è un ostacolo allo sviluppo” era solita dire Maria Montessori: bisognerebbe sempre ricordarsene e non sostituirsi al bambino nell’azione (“Lo faccio io perché tu non sei capace o perché siamo in ritardo”) ma piuttosto mostrargli come agire con calma e pazienza affinché lui riesca a fare da sé. “Aiutami a fare da solo” è infatti la vera richiesta che il bambino fa all’adulto.


Rendersi conto che noi non possiamo raggiungere la mente del bambino piccolo attraverso l’insegnamento verbale, che non possiamo intervenire direttamente nel processo di costruzione delle facoltà umane significa cambiare il concetto di educazione, la quale dovrebbe basarsi innanzitutto sulla conoscenza dello sviluppo psichico del bambino e sulle leggi fisiologiche che ne regolano la crescita in tutte le sue dimensioni.

Si scoprirà così che l’educazione è un processo naturale che si svolge spontaneamente nell’individuo umano e non “si acquisisce ascoltando delle parole ma per virtù di esperienze effettuate nell’ambiente. L’attività individuale è la facoltà che sola stimola e produce lo sviluppo. Da ciò si deduce che compito dell’educatore non è trasmettere nozioni o insegnamenti ma preparare e disporre una serie di motivi di attività culturali in un ambiente appositamente preparato” (Montessori).[8]


Come racconta Rebeca Wild circa la sua esperienza di scuola attiva in Ecuador, “ogni giorno constatiamo che i bambini ‘dimenticano’ tutte le loro pene e ‘si curano da soli’ se si perdono in un’occupazione scelta da loro, in grado di catturare il loro interesse: l’intensa concentrazione li fa sentire tutt’uno con il mondo. Questa emozione dell’essere ‘uno’ – da noi adulti per lo più dimenticata e sepolta – è il mezzo magico che può curare tutti i mali dell’infanzia. Ma la sua formula segreta dev’essere trovata e applicata in dosi prescritte dal bambino stesso”.[9]


“Il bambino plasma il proprio essere non soltanto a seconda delle nostre parole o delle nostre azioni ma lo plasma a seconda della nostra disposizione d’animo, i nostri pensieri, i nostri sentimenti. Per i primi tempi dell’educazione infantile fino ai sette anni è della massima importanza l’atmosfera che circonda il bambino” scrive Steiner.[10]

Per un’educazione cosmica

Come il bambino assorbe il linguaggio dall’ambiente, così dall’ambiente può assorbire la matematica, la botanica, la geografia, con uguale facilità, spontaneamente, senza fatica, come un gioco.


Nelle scuole Montessori, per esempio, l’apprendimento avviene attraverso esperienze nell’ambiente e l’utilizzo di materiale scientifico sensoriale. Prima di tutto occorre che il bambino utilizzi il suo corpo come strumento di sviluppo. È attraverso il movimento e il lavoro nell’ambiente infatti che egli nutre tutto il suo essere e si fa uomo.


Ecco allora per esempio l’esercizio di camminare sul filo, un piede dopo l’altro, sulla linea tracciata. Un esercizio di equilibrio, esterno e interiore. Quando l’allineamento sul proprio cammino è perfetto, l’Energia scorre.


Ecco allora le attività di vita pratica: i piccolini di due-tre anni per esempio si dilettano con grande gioia e soddisfazione a lavare i piatti o i panni nella tinozza, spazzare per terra, cucinare o annaffiare i fiori. Tutti esercizi di coordinamento dei movimenti, di concentrazione e di imitazione dei lavori degli adulti, così importanti per lo sviluppo dell’indipendenza e dell’autostima.


A questi si aggiungono gli esercizi con il materiale sensoriale.

Come ci ricorda Steiner, il bambino “nei primi anni è completamente organo di senso”[11] e deve imparare attraverso i sensi. Ecco perché il materiale più indicato è rappresentato da oggetti da manipolare, da sperimentare attraverso il tatto, la vista, l’olfatto, l’udito, il gusto. Le astrazioni devono essere materializzate perché la mente del bambino riesca a farle sue. È soprattutto toccando che il bambino può imparare a distinguere forme, colori, dimensioni, quantità, concetti.

Secondo Maria Montessori il bambino deve giungere alla conoscenza e alla dimensione spirituale attraverso cose concrete.


Così la matematica si apprende attraverso elaborazioni di materiali sensoriali e attraenti come le aste numeriche, i fuselli, le fiches e le perle dorate; la geometria attraverso l’esplorazione dell’ambiente casa, scuola e giardino e con l’utilizzo di triangoli di legno da maneggiare e con cui costruire nuove figure piane; la geografia sperimentando nell’ambiente, giocando con la terra e con l’acqua e poi attraverso materiale strutturato come i mappamondi tattili; le scienze per mezzo di esperimenti, esplorazione dell’ambiente esterno e materiali sensoriali a incastro.


Insomma ogni cosa si impara giocando, in un clima di serenità, silenzio e mutua cooperazione.


Gli elementi basilari di questo sistema educativo sono:

  • il rispetto dell’individualità, dei tempi e dei ritmi di ogni bambino
  • la preparazione dell’ambiente (che deve essere bello, curato, ordinato e a misura di bambino)
  • la preparazione dell’insegnante come osservatore/facilitatore
  • la libertà di movimento e di scelta delle attività e dei materiali (20 bambini possono svolgere 20 attività diverse in contemporanea)
  • il senso di cooperazione tra bambini di età diverse

L’educazione cosmica montessoriana mira a sviluppare il senso di interrelazione tra gli esseri viventi e conseguentemente il senso di cooperazione tra gli uomini di ogni paese e cultura.


In questo senso è una proposta educativa adatta ai bambini del nuovo millennio e meriterebbe nel nostro paese un’attenzione più ampia di quella che le viene attualmente accordata.

Un altro sistema educativo molto attento alle esigenze del bambino in ogni epoca della sua vita, è quello steineriano, che accorda un ruolo importante soprattutto allo sviluppo spirituale, allo sviluppo armonico del pensare, del sentire e del volere. “Nel bambino non vi è separazione fra spirito, anima e corpo” dice Steiner,[12] per cui l’educazione deve tener conto di tutti e tre questi livelli. Nella pedagogia antroposofica un ruolo centrale è svolto dall’arte in tutte le sue forme – pittura, musica, euritmia – e dalle attività manuali, creative.


Le conoscenze nel bambino piccolo devono passare attraverso il corpo, devono essere “sentite” e non soltanto “pensate”. L’insegnante ha un ruolo fondamentale, è una figura carismatica che ha il compito di creare un’atmosfera adeguata allo sviluppo ottimale delle potenzialità dell’alunno.


Il motto della scuola Waldorf è: “Esistono soltanto tre modi efficaci per educare: con la paura, con l’ambizione, con l’amore: noi rinunciamo ai primi due”.


Se ci siamo soffermati, in modo molto sintetico e necessariamente limitativo, su questi due sistemi educativi “alternativi” – i più strutturati e diffusi a livello internazionale – è per sottolineare la necessità, sempre più urgente, di ripensare a un’educazione globale, che raggiunga i diversi livelli corpo-mente-spirito, e che nutra anche l’anima dei bambini, portando alla luce la loro grande ricchezza spirituale, giacchè “L’uomo non vive di solo pane neanche nella sua infanzia” (Montessori).[13]

Childrens of the world

I bambini che hanno la fortuna di crescere in ambienti come quelli appena descritti e secondo i princìpi di una educazione come quelle sopra citate sono però un’esigua minoranza, un’isola felice in un mare tempestoso. Le esperienze di cui abbiamo parlato esistono, a volte portate avanti dalla buona volontà e dallo strenuo impegno di insegnanti fuori dal comune, ma rappresentano ancora un’eccezione, una sorta di faro a cui mirare e ispirarsi. La realtà purtroppo è ben altra.

“Soffriamo di una malattia che inizia a mettere in pericolo l’intera civiltà, sì, è in gioco addirittura la sopravvivenza del nostro pianeta – e questa sofferenza si chiama AEDS: Acquired Educational Deficiency Sindrome (sindrome da carenza educativa acquisita). Ciò che la rende pericolosa è che non conosciamo ancora i suoi effetti devastanti, ma ne siamo addirittura orgogliosi”.[14] Nelle scuole normali è in crescente aumento il numero di bambini etichettati come “iperattivi” o con “difficoltà di apprendimento” e sempre più frequenti sono nei giovanissimi alunni sintomi del tipo aggressività, scarsa concentrazione, mal di testa, stanchezza, enuresi notturna, incubi, disturbi gastrici ecc. Segno inequivocabile che i veri, reali bisogni dei bambini non vengono ancora soddisfatti.


E non solo dal punto di vista educativo.


Se, da un lato, i bambini delle società rurali del mondo crescono in situazioni di crescente miseria, alla presa quotidiana con problemi di mera sopravvivenza, dall’altro i bambini dei paesi industrializzati o delle grandi metropoli, soffrono invece oggigiorno, per la maggior parte, di un nature- deficit disorder ovverossia una “sindrome da deficit di natura”, come la definisce Louv.[15] Immersi nella crudezza e nel grigiore di un mondo violento e artificiale, di una realtà materialistica e consumistica, dove l’avere ha preso il posto dell’essere, dove i ritmi frenetici di lavoro hanno rubato i tempi dell’affettività e della relazione, dove gli esigui spazi cittadini hanno eliminato ogni contatto con gli elementi naturali, i bambini occidentali sono sempre più soli. Trasportati come pacchi fin da piccolissimi nelle istituzioni educative, sballottati tra famiglie divise, essi passano la maggior parte del loro tempo davanti agli schermi televisivi ed elettronici, le nuove, economiche baby-sitters dell’epoca post-industriale.


Non così nelle culture tradizionali di tutto il mondo dove non sono soltanto i genitori a occuparsi dell’educazione del bambino: “Per crescere un bambino ci vuole tutto un villaggio” recita un proverbio africano.


Presso i Pigmei delle foreste dell’Ituri esiste un sistema di accudimento dei bambini che è stato definito multiple caretaking: i piccoli, fin dalla nascita, passano di braccia in braccia e vengono curati e coccolati da tutti. Crescono imparando fin dall’inizio i valori della condivisione, della cooperazione e dell’armonia familiare e sociale.


Nelle società rurali attorno ai bambini c’è tutta la famiglia allargata:

“I bambini ricevono affetto senza limiti né condizioni da tutti coloro che vivono intorno a loro. I bambini non sono mai costretti a stare solo con i loro coetanei; crescono fra persone di tutte le età, da neonati a bisnonni. Crescono essendo parte di un’intera catena di rapporti dove si dà e si riceve”.[16]


“I bambini indiani – racconta un nativo americano – non sono mai soli. Sono sempre circondati da nonni, zii, cugini o cugine o da altri parenti che accarezzano i bambini, cantano loro canzoni o narrano storie. Dove vanno i genitori vanno insieme anche i bambini” (Cervo Mite).[17]

Questo almeno è quanto avveniva in queste società prima dell’incontro-scontro con il mondo occidentale. Oggi anche i bambini nativo-americani si trovano a dover affrontare la dura realtà di fenomeni come l’alcolismo, la droga e la criminalità che imperversano nelle riserve indiane.


Ecco perché è urgente più che mai, prima che si perdano per sempre, riscoprire e rivalutare le antiche tradizioni in ambito di maternage ed educazione e combinarle con gli aspetti positivi e benefici della moderna tecnologia perché solo da un mix di entrambe potrà nascere una nuova cultura “meticcia”, adatta ad affrontare le sfide che il nuovo millennio ci pone.


Mi piace riportare a questo proposito, a mo’ di esempio, un rituale ancora oggi celebrato presso gli indiani Cree: è la cerimonia del camminare all’aperto, che segna la capacità del bambino di compiere i primi passi da solo, il suo ingresso nel mondo reale.


Prima di questa data infatti al bambino non è permesso camminare fuori da solo, dev’essere sempre portato. All’alba del giorno prescelto per la cerimonia i genitori e i familiari si riuniscono in una grande tenda intorno al bambino (o ai bambini) e si muovono da est a ovest (dalla nascita alla morte), poi, aiutato dai nonni o dai genitori, ogni bambino attraversa la soglia ed esce. All’esterno segue un percorso, coperto di rami d’abete, fino a un albero (simbolo della natura) intorno al quale egli gira per poi tornare alla tenda, dove gli adulti gli danno un gioioso benvenuto, lo onorano e si congratulano con lui con un banchetto speciale organizzato dagli anziani.


Questa cerimonia dei Cree mi sembra emblematica per alcuni motivi fondamentali. Da un lato il fatto che il bambino venga accompagnato dagli adulti sul sentiero della vita con l’augurio di essere sano, felice e di raggiungere i propri obiettivi può farci riflettere sull’importanza del nostro ruolo di “custodi” e di guide del bambino: sappiamo offrirgli degli ideali e mostrargli dei valori nei quali credere e nei quali riconoscersi?


Come disse un leader indiano al presidente Nixon: “Quali visioni offrite ai bambini di oggi perché possano desiderare l’arrivo del domani?”

Un altro elemento di riflessione è rappresentato dal contatto con la natura e dal senso della circolarità, fondamentale nella cultura indiana. Come diceva Alce Nero, “La vita dell’uomo è un cerchio, dall’infanzia all’infanzia, e così è in tutte le cose dove si muove la forza. Le nostre tende erano rotonde come lo sono i nidi degli uccelli ed erano sempre sistemate in cerchio: il cerchio della nazione, un nido fatto di molti nidi, il luogo al quale il Grande Spirito ci ha destinati per far nascere i nostri bambini”.[18] In un mondo “squadrato” e punteggiato di angoli come il nostro, è importante per il bambino ritrovare la morbidezza della linea tonda e il senso di accoglienza e di unità della circolarità. In un mondo sempre più artificiale e “asettico” come il nostro, recuperare la dimensione naturale, il proprio posto nel “cerchio della vita” è assolutamente essenziale.
Nondimeno andrebbe rivalutato l’aspetto della “celebrazione”, della festa condivisa all’interno della comunità per onorare gli eventi e le gioie quotidiane. I Navajos dell’Arizona celebrano finanche il primo sorriso e la prima risata del bambino, come segno benedetto e rassicurante: ecco un modo straordinario per manifestare gratitudine e vivere nel qui e ora i doni che la Vita ogni giorno ci fa.

Maschere e volto originale

Genitori e insegnanti si lamentano che i bambini di oggi sono sempre più iperattivi e “difficili”, ma quanto influiscono le condizioni ambientali, i ritmi di vita frenetici e caotici, sui loro comportamenti?


I capricci, gli atteggiamenti violenti o inspiegabili, il disordine, l’instabilità dell’attenzione, l’attaccamento eccessivo all’adulto, non sono altro che reazioni a una modalità di vita innaturale, a una deviazione dalla “normalità” prevista per il bambino dalla natura.

“Si deve supporre che all’origine di tutte le deviazioni stia un fatto solo: cioè che il bambino non ha potuto realizzare il disegno primitivo del suo sviluppo” scriveva la Montessori ne Il segreto dell’infanzia già un secolo fa.[19]


È come se pietre e rami caduti sbarrassero la strada al bambino e lo costringessero a prendere sentieri secondari.


I comportamenti egocentrici e devianti continuano “fino a che la pressione dei bisogni inappagati lo richiede” (Wild).[20]


“La natura del bambino com’era stata prima conosciuta, è un’apparenza che copre un’altra natura primitiva e normale” (Montessori).[21]

È come se il bambino indossasse una maschera che copre il suo vero volto, rimasto nascosto. Ci sembra un ranocchio, in realtà è un principe vittima di un incantesimo.


La maschera è espressione a volte di carichi emotivi altrui (lutti familiari non elaborati, segreti di famiglia ecc.) che il bambino porta su di sé e cerca con fatica di comunicare, ma anche di sue storie personali e soprattutto di non idonee condizioni di vita.


In ogni caso la zavorra che ogni bimbo si porta con sé va alleggerita e progressivamente eliminata. Il lavoro maggiore lo devono compiere in questo senso i genitori, che per lui rappresentano l’esempio supremo da imitare e dovrebbero essere specchi limpidi in cui poter vedere riflessa la propria immagine.


Il lavoro sul bambino deve partire dal corpo, offrendo per esempio la possibilità di liberare emozioni attraverso il movimento: i tanto temuti temper tantrum, le scenate isteriche in cui piccolini di due anni si buttano per terra, urlando e sbattendo i piedi, altro non sono che strategie energetiche per scaricare la rabbia, la paura o altre emozioni negative.


Liberare le emozioni attraverso il corpo è l’unico sistema efficace per far sì che non lascino traccia e memoria, reprimerle e bloccarle significa invece seppellirle nell’inconscio e ritrovarsele tra i piedi a distanza di anni.

Sciogliere i blocchi e appagare vecchie esigenze insoddisfatte: ecco la strada verso la “liberazione” del bambino da “catene che gli impediscono di avanzare, da ostacoli che ne impediscono il normale sviluppo”. “Noi non abbiamo – scrive la Montessori, riferendosi alla sua esperienza educativa – con mezzi speciali moralizzato i bambini; non abbiamo insegnato loro a vincere i capricci e a rimanere tranquilli nel lavoro; non abbiamo insegnato la calma e l’ordine esortandoli a seguire degli esempi e spiegando come l’ordine sia utile all’uomo; non abbiamo fatto prediche per insegnare la cortesia dei rapporti, per animare al rispetto verso il lavoro altrui, alla pazienza dell’attesa per non ledere gli altrui diritti. Nulla di ciò: noi abbiamo soltanto liberato il bambino e lo abbiamo aiutato a vivere”.[22]


Guarire le ferite inconscie, le malattie spirituali che affliggono il bambino, prigioniero di un ambiente artefatto, è il compito urgente che attende genitori, educatori, medici e quant’altri si occupino della sua salute globale, del suo benessere psico-fisico.


“Il bambino nasce in quanto puro centro. Nel ventre della madre il bambino è il centro, ancora non possiede alcuna circonferenza. È solo essenza.


Sono le interferenze esterne, fornite dalla famiglia e dalla società ad allontanare il bambino dal centro e spostarlo sempre più verso la periferia. Allorchè il bambino esce dal ventre della madre, per la prima volta entra in contatto con qualcosa di ‘esterno’ a lui. E quel contatto produce la circonferenza” (Osho).[23]


L’istruzione impartita dai genitori e dalla scuola contribuisce a far perdere al bambino il suo volto originale. I condizionamenti dell’ambiente spingono il bambino a indossare delle maschere, cosicché egli diventa irriconoscibile. E difficilmente egli viene capito, perché raramente l’adulto riesce a vedere al di là della maschera. Per capire il bambino, per riconoscerlo al di là delle apparenze, occorre infatti ri-nascere, nascere una seconda volta in consapevolezza.


Lo scopo del pellegrinaggio dell’uomo sulla terra sta tutto qui: ripercorrere a ritroso il cammino effettuato a partire dalla nascita, dal centro alla periferia, dalla periferia al centro.


Ritrovare il proprio volto originale è compito prioritario di ogni individuo. Per farlo occorre scavare in profondità, strato dopo strato, occorre eliminare tutto ciò che è inutile, per arrivare all’essenza. Far emergere ciò che è già presente ma solo nascosto, come fece Michelangelo eliminando le parti superflue del blocco di marmo, liberando così Gesù e Maria dalla loro prigione.


Il lavoro è duro ma è l’unica strada possibile per arrivare alla piena realizzazione di sé, alla beatitudine, quella dimensione che gli indiani chiamano ananda. Se vogliamo ricordarci cos’è guardiamo il volto di un neonato che sorride nel sonno.


Giacchè “il volto originale di ogni bambino è il volto di Dio” (Osho).[24]

Cerchiamo di non scordarcene mai.

E ricordiamoci che l’unica vera “educazione” è “andare prima alla scoperta del bambino e realizzare la sua liberazione” (Montessori),[25] è, come la definisce Osho, “un’educazione dell’essenza”, che aiuta il bambino a essere se stesso, a ricordare ciò che già esiste in lui, a non dimenticarlo mai.

Consigli di lettura:

  • Honegger Fresco G., Un bambino con noi, RED, Como, 1997

  • Kabat-Zinn, Benedetti genitori, Corbaccio, Milano, 1999

Un ambiente a misura di bambino

Il primo ambiente per il bambino è il corpo materno. È la sua prima casa dove trascorre parecchi mesi della sua esistenza. Poi ha bisogno di un “nido” esterno, di uno spazio in cui collocarsi e in cui crescere sviluppando un po’ alla volta tutte le proprie potenzialità.


L’ambiente è in questo senso fondamentale: se strutturato e organizzato a misura di bambino diventa per se stesso “educante”. Ecco perché va preparato per tempo e con cognizione di causa.


Per la cameretta del nostro bambino, anziché optare per una soluzione di arredo completa come quelle proposte in genere dalla pubblicità, scegliamo il mobilio un po’ alla volta, adattandolo alle esigenze del piccolo man mano che cresce. Ciò di cui necessita un neonato o un lattante è molto diverso da ciò che serve a un bambino di 2-3 anni o addirittura di 6 o 7. Ci sarà tempo per pensare a librerie e scrivania, all’inizio è meglio lasciare più spazio al movimento. Per i primi tempi tutto ciò di cui c’è bisogno è un angolo con un tappeto dove poggiare una cestina, un lettino o un semplice materasso. Magari si può completare l’arredo con uno specchio al muro, qualche mensola di legno posta in basso dove riporre i suoi primi semplicissimi giochi: qualche sonaglio, un foulard, un pupazzino di spugna… Un leggero “mobile” appeso sopra la culla o il tappeto può essere un piacevole gioco di scoperta di forme e colori. Conviene privilegiare semplici figure geometriche in bianco e nero (si possono anche costruire in casa): si è visto che attirano maggiormente l’attenzione dei piccolissimi.


Sulle pareti, ad altezza bambino, si può collocare qualche bella immagine: non le solite stereotipate stile Walt Disney in uso per l’infanzia, ma per esempio qualche bella riproduzione di quadri d’autore. I bambini sono molto sensibili alla bellezza e andrebbero circondati fin dall’inizio da cose belle.


Man mano che il bambino cresce i suoi interessi si ampliano e così pure le sue capacità di esplorazione. Nei primi mesi di vita, quando è sveglio, si può tenerlo su un tappeto (o un pezzo di moquette o un materassino basso) con alcuni oggetti posti a una distanza tale che lui riesca ad afferrarli da solo. Quando è in grado di stare seduto in modo autonomo, gli si può proporre il “cestino dei tesori”, ideato da E.Goldschmied: un semplice contenitore, per esempio di vimini, in cui sono riposti alcuni oggetti di uso comune, di diverse forme, dimensioni e materiali (per es. un cucchiaino di metallo, un cubetto di legno, una pallina di gomma, un foulard di seta, un borsellino di cuoio, un sonaglino ecc…). Attraverso la manipolazione e l’esplorazione tattile, il bambino compie in questo modo una vera e propria educazione sensoriale.


Del tutto inutili sono i costosi giochi in plastica in commercio che non offrono alcuna possibilità di attività autonoma e creativa. È meglio preferire pochi, solidi e interessanti giocattoli in legno, o addirittura economici oggetti casalinghi, a una miriade di peluches, pupazzini di gomma e complicati giochi a tastiera, a volte addirittura elettronici o con suoni sgradevoli.


Da evitare anche il box e il girello: il primo limita la possibilità di movimento e autonomia del bambino, il secondo è addirittura una dannosa forzatura all’acquisizione spontanea della stazione eretta e della marcia.

Perciò, volendo riassumere, ecco cosa è bene ricordare per quanto riguarda la preparazione dell’”ambiente casa”:

  • ordine, bellezza e semplicità dovrebbero essere i criteri ai quali ispirarsi nell’allestimento di uno spazio per il bambino.
  • organizzare un angolino “a misura di bambino” possibilmente in ogni stanza della casa. Per esempio in cucina destinare un ripiano o un’anta di un armadietto ai suoi attrezzi: una pentolina con coperchio, qualche cucchiaio di legno, un colino, un piccolo imbuto, ecc.
  • appena è in grado di farlo, renderlo partecipe alle attività di cucina più semplici: impastare, lavare l’insalata, tagliare la banana a pezzetti, ecc.
  • in cucina o nel soggiorno, collocare un tavolino tutto per lui a sua altezza, con relativa seggiolina, dove possa apparecchiare e mangiare autonomamente dopo l’anno di età.
  • privilegiare piatti e bicchieri di ceramica: si rompono sì, ma insegnano il principio della causa-effetto… e abituano a un uso corretto e attento degli oggetti reali.
  • in bagno insegnargli a lavarsi le mani da solo nel bidet o più tardi nel lavandino mettendogli a disposizione uno sgabellino sicuro. Fornirgli un piccolo sapone e un piccolo asciugamano posizionati alla sua altezza e un grembiule di plastica per i giochi con l’acqua.
  • documentarsi su validi testi sia per l’organizzazione dell’ambiente che per la proposta di giochi e attività creative da proporre al bambino (si veda: G.Honegger Fresco, Facciamoci un dono, La Meridiana, Bari 1999; G.Honegger Fresco e S.Honegger Chiari, Una casa a misura di bambino, Red!, Como 2000; Elinor Goldschmied, Persone da zero a tre anni, Junior, Bergamo, 1996).

Sono qui con te - Seconda edizione
Sono qui con te - Seconda edizione
Elena Balsamo
L’arte del maternage.Uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita perinatale, per affrontare gravidanza, parto e primi mesi con il bambino con serenità e consapevolezza. Elena Balsamo offre uno sguardo nuovo e rivoluzionario sulla vita prenatale e sulla nascita.Nella prima parte l’autrice mira a esplorare le pratiche di maternage nelle diverse culture, mentre nella seconda offre al lettore un vero e proprio strumento terapeutico per rivedere la propria vita alla luce dell’esperienza intrauterina e del parto.Basato su un’accurata documentazione scientifica, Sono qui con te si rivolge ai genitori, nonché agli operatori socio-sanitari che desiderano comprendere meglio l’universo del maternage. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.