L’architettura del sonno
Che cosa dunque – dovremmo chiederci – è normale e cosa patologico in fatto di sonno?
Le aspettative dei genitori occidentali in fatto di sonno si rivelano spesso irrealistiche. Si pensa che un bambino nei primi mesi e anni di vita debba dormire per otto ore di fila a notte, mentre la fisiologia del lattante segue ben altre regole. Un neonato e un bambino di pochi mesi è normale che si svegli più volte la notte: si tratta di un meccanismo di sopravvivenza escogitato da Madre Natura. I frequenti risvegli notturni infatti proteggono il piccolo da pericoli, quali un improvviso momento di apnea, e gli consentono di soddisfare gli stimoli della fame. Il neonato allattato al seno è programmato per frequenti poppate e frequenti sonnellini. Sonno e allattamento sono due funzioni strettamente correlate tra loro: non si può comprendere l’una senza conoscere l’altra.
Questi sono i ritmi biologici, che andrebbero rispettati fin dai primi momenti di vita. Il sonno del bambino è sacro e non andrebbe mai disturbato. Svegliare un neonato perché è ora di farlo mangiare, perché è ora di uscire, perché è ora di cambiargli il pannolino, significa turbarne il delicato equilibrio, quello che con tanta fatica sta cercando di recuperare dopo la fatica del nascere.
Mentre dorme il bambino cresce: è proprio durante il sonno infatti che si ha la produzione massima degli ormoni della crescita.
Occorre poi ricordare che c’è un legame fortissimo tra sonno e contatto.
Il sonno è un momento critico per il bambino perché rappresenta una soglia e varcare le soglie fa sempre paura. Non per nulla gli psicanalisti parlano di “piccola morte”. Addormentarsi significa fare un salto nel buio e per lasciarsi andare occorre fiducia. Ecco perché è così importante accompagnare un bambino nel sonno. Sentirsi contenuto tra le braccia materne, cullato e dondolato come nell’utero, poter godere della beatitudine del contatto col seno, sentirsi “toccato” dalla voce del genitore che canta la ninna-nanna per lui, aiuta il bambino a fidarsi dell’ignoto e abbandonarsi al sonno.
Stare a stretto contatto con il corpo di un’altra persona al momento di addormentarsi è un bisogno primario del bambino. Proprio come i gattini o i cagnolini anche i cuccioli d’uomo se lasciati dormire insieme – per esempio fratelli e sorelle – vengono ritrovati spesso “acciambellati” l’uno contro l’altro. In genere i punti di contatto privilegiati sono la testa e i piedi, proprio quelli che nel neonato sarebbe così importante contenere.
E, guardacaso, i classici venti-trenta minuti che occorrono per addormentare un neonato o un bambino di pochi mesi corrispondono esattamente al lasso di tempo che occorre al lattante per passare dalla fase di sonno leggero (REM) a quella di sonno profondo (non REM), in cui anche se messo nella culla il bambino non si risveglia.
Che dire poi del sonno condiviso?
Un antropologo americano, McKenna, il più grande specialista in tema di co-sleeping a livello internazionale, ha aperto un laboratorio dove studia il comportamento, durante il sonno, della coppia mamma-bambino, monitorandone i ritmi respiratori, cardiaci, cerebrali, nonché i movimenti, che vengono filmati con una videocamera a raggi infrarossi. Un’idea geniale e rivoluzionaria che ha portato nuove straordinarie acquisizioni nel campo della fisiologia del sonno.
Attraverso le sue ricerche McKenna ha scoperto come esista in realtà una stupefacente sintonia tra i ritmi di sonno del bambino e quelli della sua mamma che si intrecciano in una sorta di danza. Se dormono vicini entrambi attraversano le stesse fasi di sonno nello stesso momento. Questo significa che quando il bambino si sveglia in fase di sonno REM, sveglia la madre in questa stessa fase, in cui il risveglio non è affatto difficoltoso. La mamma non ha bisogno di alzarsi per allattare il suo bambino e spesso lo fa anche continuando a dormire. Nonostante le numerose poppate notturne una donna che pratica il co-sleeping si sveglia riposata senza neanche ricordarsi quante volte ha allattato durante la notte. Se invece madre e bambino dormono in camere separate, può succedere più facilmente che i ritmi di sonno non siano sincroni e che il bambino svegli la mamma mentre sta dormendo in una fase di sonno pesante e in questo caso il risveglio è veramente faticoso, senza contare che dopo essersi alzata per andare ad allattare in un’altra stanza spesso la madre non riesce più a riaddormentarsi. L’allattamento notturno diventa un enorme sacrificio e ben presto si cerca di eliminarlo con poppate al biberon a orari fissi.
La sincronia però non riguarda soltanto il ritmo del sonno, bensì tutti i ritmi di base dell’organismo, quali il battito cardiaco e la respirazione: la madre funziona per il bambino come un metronomo, dandogli il tempo, il ritmo giusto da seguire.
Sembra in effetti che il sonno condiviso fornisca al bambino la possibilità di esercitarsi nel risveglio, in quanto le madri, per mezzo dell’emissione di CO2 e attraverso movimenti spontanei inducono piccoli risvegli transitori nel bambino in periodi in cui questi, se dormisse da solo, potrebbe non svegliarsi.