capitolo iv

Quando le figure di riferimento cambiano:
i pericoli del “carosello delle tate”

Basta dare un’occhiata a qualunque giornale o ascoltare per pochi minuti un qualsiasi notiziario dato per radio o in televisione per avere la conferma – se ce ne fosse ancora bisogno – che gli Stati Uniti si trovano a dover far fronte a un serio allarme sociale, che vede coinvolti, primi tra tutti, i giovani: rendimento scolastico sempre più scarso con aumento della percentuale di abbandoni, criminalità e violenza, delinquenza giovanile estesa alle classi medie, tossicodipendenza e alcolismo, disturbi psichici che non si limitano ad ansia e depressione, alienazione adolescenziale e difficoltà nelle relazioni interpersonali.

Le problematiche appena elencate furono descritte in tutta la loro drammaticità da T. Berry Brazelton, noto pediatra che nel suo intervento all’“Oprah Winfrey Show” del 16 maggio 1995 confessò: “Nessuna generazione è mai risultata meno in salute, meno accudita e meno preparata ad affrontare la vita come quella dei giovani d’oggi rispetto alla generazione precedente1.


Opinioni confermate dal Children’s Defense Fund, che nel suo The State of American’s Children Yearbook del 19952, evidenziava come 7,7 milioni di bambini americani soffrissero di gravi disturbi emotivi; di questi, il 48%, all’incirca la metà, non avrebbe terminato gli studi superiori. Dato ancora più triste, ben il 73% dei rinunciatari sarebbe stato arrestato entro cinque anni dall’abbandono scolastico3.

Le opinioni riguardo le presunte cause di un tale disagio sociale sono per lo più discordanti. C’è chi punta il dito contro lo sfaldamento dei valori familiari e il declino della famiglia bigenitoriale. C’è chi si scaglia contro l’indifferenza degli insegnanti e l’eccessiva burocratizzazione di un sistema scolastico perennemente a corto di fondi; o chi condanna la violenza proposta di continuo da film e televisione. Per altri, infine, sono la povertà e l’instabilità economica alla base del problema.


È chiaro che a problematiche così complesse è difficile dare una risposta semplice e univoca. Tuttavia esiste un elemento determinante – in tutto l’insieme – che si tende a ignorare: la discontinuità dell’accudimento ricevuto nella prima infanzia. Ritengo che la frequente sostituzione della figura di riferimento nei primi tre anni di vita di un bambino sia tra le cause principali della scarsa qualità dell’attaccamento e del legame. Le conseguenze di tale fallimento rappresentano un fattore precipitante nello sviluppo di tutti i problemi descritti.


Per molti risulta difficile accettare l’idea che un evento intercorso tra la nascita e i tre anni del bambino – in apparenza poco significativo quale l’arrivo di una nuova baby-sitter – possa avere un risvolto tanto profondo nella sua vita, sia durante l’infanzia sia in seguito, nell’adolescenza e finanche nell’età adulta.


Eppure, come già sottolineato nei capitoli II e III, c’è un’ottima ragione per cui il continuo avvicendarsi di diverse figure di riferimento – che io definisco “carosello delle tate”– riesce ad arrecare seri danni alla salute emotiva del bambino in età preverbale: l’impossibilità di prepararlo all’introduzione di un nuovo sostituto materno, perché ancora sprovvisto della capacità di esprimersi verbalmente. Il bambino sotto i due anni non è quindi pronto ad affrontare l’allontanamento della figura di riferimento, sia essa la madre o chi per lei. Una volta avvenuto il cambiamento – che può essere vissuto come profonda perdita – la sua fiducia nel mondo vacilla. Il bambino si crea un’aspettativa o “modello operativo interno” (si veda il capitolo III) per cui non ci si può fidare. In più, gli è impossibile riferire al genitore il livello di accudimento ricevuto in sua assenza, così come le particolari esperienze vissute in un contesto di massima vulnerabilità.

In questo capitolo verranno citati diversi esperti dello sviluppo infantile che hanno dedicato anni di studio e di ricerca a questo tema specifico, la cui portata trova ulteriore conferma nel Carnegie Report: con riferimento al valore della continuità dell’accudimento precoce, si legge che una così “buona partenza nella vita riduce drasticamente il rischio di abbandono scolastico… o di reiterati problemi con la giustizia. Bambini educati a diventare cittadini produttivi, sicuri e partecipativi, sono una risorsa per l’intera società4.


Quella del domestico fidato è ormai una figura che (se si escludono le famiglie molto benestanti) appartiene al passato. Ecco perché le persone che oggi si occupano di un bambino da 0 a 2 anni, interagendo con lui mentre i genitori sono al lavoro – baby-sitter, tate, domestiche, ragazze alla pari, educatrici, vicini o parenti che si rendono utili – si avvicendano tra loro con una frequenza frastornante. Da uno studio condotto dall’Università della California nel 1990 emerge che anche nei migliori asili nido il tasso di ricambio (turnover) degli educatori è molto alto – superiore al 40% annuo. Marcy Whitebook, massima autorità nel campo dell’accudimento infantile, ribadisce che “il ricambio tra gli educatori è secondo solo a quello dei benzinai e dei parcheggiatori5.


Di certo siamo tutti in grado di offrire ai nostri figli cure migliori di quelle che usiamo riservare alla nostra automobile!


Il Carnegie Report torna a confermare i rischi delle frequenti sostituzioni delle figure di riferimento, sottolineando come tali “turnover si ripercuotano sui piccoli di età inferiore a 2 anni: ‘ciò che noi definiamo turnover – afferma Deborah Phillips, esperta di sviluppo infantile – nel bambino viene vissuto come perdita’6. Riguardo il basso livello retributivo di chi si occupa dei bambini, aggiunge: “Nella nostra società sono meglio pagati gli operatori di canile e i sorveglianti nei parcheggi rispetto agli educatori che si prendono cura dei nostri figli negli asili nido7.


Quando si parla di turnover, o ricambio, dei sostituti materni, e delle relative ripercussioni, sarebbe bene tenere a mente che tale concetto si esprime attraverso modalità molto diverse – alcune delle quali piuttosto sottili e sottovalutate. Come vedremo nel capitolo VII – sulla scelta dei sostituti –, capita anche ai “migliori” asili nido di dare il proprio inconsapevole contributo al fenomeno del “carosello delle tate”, nell’encomiabile sforzo di garantire un rapporto educatore/bambino ridotto al minimo. Politica questa che richiede personale più qualificato: se si sceglie un rapporto che preveda un educatore ogni tre bambini, va da sé che la richiesta di educatori competenti sarà maggiore rispetto a un contesto in cui il rapporto è di uno a sette. Si tratta però di una politica che implica un impegno gravoso e stancante. A sostegno del personale impiegato, sono previste pause, turni scaglionati e a rotazione, e altre misure tali per cui un bambino rischia di essere seguito da sei o più persone diverse in una sola giornata! Senza dimenticare che, dal suo punto di vista, si tratta di ulteriori cambiamenti in aggiunta a quelli già descritti. Né andrebbe dimenticata un’altra verità di fondo sui motivi di tale organizzazione, ben espressa dalla dottoressa Leach: “La verità è che gli asili nido offrono agli adulti vantaggi che nulla hanno a che vedere con la sicurezza e la felicità del bambino8.

Ignorare in questo modo i bisogni dei più piccoli significa privarli della possibilità di formare quegli attaccamenti emotivi sicuri tanto necessari alla loro esistenza, presente e futura.


Sono diverse le personalità che concordano su questo punto, una tra tutte il dottor Edward Zigler, direttore del Bush Center for Child Development and Social Policy dell’Università di Yale, nonché ideatore dell’Head Start Program negli Stati Uniti. Zigler sostiene che gli anni in cui il bambino viene affidato a un sostituto materno o a un asilo nido sono la causa principale del più forte incremento dell’incidenza di violenza e depressione infantile mai riscontrato da parte di psicologi e psichiatri.

Nell’aprile del 1995, l’Università del Colorado pubblica uno studio assai inquietante sugli asili nido, in cui si enunciano le conclusioni elaborate da diverse autorità nell’ambito dell’accudimento infantile operanti in quattro delle maggiori università statunitensi (l’Università del Colorado, l’Università della California, l’Università del North Carolina e la Yale University). Dal rapporto risulta che, nella maggior parte di queste strutture “non vengono soddisfatti i livelli qualitativi necessari allo sviluppo ottimale del bambino”. Dei 401 nidi presi in esame, solo il 14% viene giudicato appropriato, mentre il restante 86% risulta tra lo scarso e il mediocre9.


Nel rapporto, il problema viene descritto, nella sua drammaticità, come una “crisi silente ampiamente ignorata dalle famiglie americane e dall’opinione pubblica. La crisi scaturisce dalla nostra mancanza di attenzione verso la qualità dell’accudimento infantile – disattenzione che determina costi altissimi in termini umani ed economici. La maggioranza dei bambini americani che frequenta i nidi trascorre ore e ore in ambienti di qualità mediocre, dannosi per il loro sviluppo. (…) Gli americani, per quanto innamorati dei propri piccoli (…), continuano ad illudersi sulla qualità dell’accudimento, con un impegno e una ciecità tali da poter quasi parlare di abbandono di minore a carico della società10. Lo studio si conclude con la constatazione che la qualità dell’accudimento nel 1995 risulterebbe persino inferiore a quella registrata nel 1989, anno in cui è stata effettuata una ricerca analoga11.


Il Professor Burton White dell’Università di Harvard, esperto del settore, si esprime in questi termini: “Dopo oltre 20 anni di indagini sullo sviluppo infantile, non penserei mai di inserire mio figlio in un programma di accudimento sostitutivo a tempo pieno, ancor meno all’interno di un’istituzione per l’infanzia12.


È bene tener presente che i pro e i contro dell’istituzione “nido”, così come di qualsiasi altra forma di accudimento sostitutivo, sono stati argomento di accesa discussione tra psicologi e professionisti del settore. Il dottor Jay Belsky, dell’Università della Pennsylvania, e il dottor Zigler, della Yale University, hanno espresso profonda preoccupazione circa le conseguenze dell’affidamento dei bambini agli asili nido, arrivando persino, come ha fatto Belsky, a quantificarne i rischi, considerando il totale di 20 ore settimanali (o più) già pericoloso per i bambini di età inferiore a un anno13. Le ripercussioni negative dell’asilo nido riportate da Belsky non sono tanto imputabili all’accudimento sostitutivo di per sé, quanto alla scarsa qualità e stabilità dell’accudimento stesso. Conclusione già espressa dalla dottoressa Carollee Howes e da P. Stewart in uno studio condotto, nel 1986, su 55 bambini di età inferiore a due anni, secondo cui “la stabilità delle soluzioni di accudimento infantile è più importante dell’età in cui vengono applicate”. Inoltre “i bambini che cambiano spesso soluzioni di accudimento risultano meno sicuri nel gioco tra pari”, mentre “quelli che ne hanno cambiate di rado riescono a cimentarsi in giochi più complessi14. Lo psicologo Alan Sroufe aggiunge un proprio commento: “Data la realtà attuale dell’età di inserimento al nido e della qualità dell’accudimento ivi offerto, noi saremmo favorevoli al vaglio di alternative diverse, affinché quella del nido a tempo pieno non risulti l’unica soluzione disponibile ai genitori di bambini molto piccoli15.

Di fatto numerosi studi rivelano che le strutture e i servizi per la prima infanzia, dai comuni asili nido ai centri universitari all’avanguardia, senza dimenticare le tate assunte dalle famiglie dell’alta borghesia, spesso sembrano condividere un problema comune: il frequente avvicendamento degli educatori. Ai bambini coinvolti risulta piuttosto irrilevante che se ne parli in termini di “mancanza di stabilità”, “rotazione del personale” o “scarsa qualità del servizio”. È l’imprevedibilità dell’ambiente a recar loro sofferenza.


L’accudimento diurno, sia esso svolto all’interno di una struttura universitaria molto prestigiosa, o prestato dalla classica bambinaia, presenta spesso un grosso difetto, il “carosello delle tate”: il bambino non ha mai modo di sapere a quali braccia verrà affidato; e se le braccia seguitano a cambiare, ne risulterà una sofferenza emotiva che non esclude potenziali ripercussioni anche in fasi successive della vita. Questo è tanto più vero


quanto più numerose sono le perdite della figura di riferimento subite dal fanciullo. Nei bambini a cui viene garantita la continuità e la prevedibilità dell’accudimento sostitutivo, gli effetti negativi sono ridotti al minimo. In una situazione ideale, la relazione con l’amato sostituto materno, intima e amorevole, non dovrebbe subire interruzioni almeno fino a che il bambino non sia entrato nella fase verbale – intorno ai due o tre anni – momento dello sviluppo in cui il piccolo è finalmente in grado di capire che l’allontanamento della figura di riferimento, per quanto ancora doloroso, non rappresenta un abbandono, né una “defezione”.


Purtroppo nella realtà dell’accudimento sostitutivo, stabilità, continuità e coerenza sono prerogative assai rare, motivo per cui gran parte delle esperienze in tal senso sono destinate a fallire.


Mi rendo conto che agli occhi di un profano risulti piuttosto improbabile, se non addirittura inverosimile, che il “carosello delle tate” e una genitorialità discontinua possano esporre un figlio a problemi futuri. Tuttavia numerosi professionisti nel campo dell’accudimento infantile concordano nell’affermare che almeno cinque delle principali problematiche sociali derivino in parte dall’assenza di continuità e dal conseguente scarso attaccamento del bambino in età molto precoce nei confronti dei genitori e/o di altre figure di riferimento. È bene tener presente che tali problematiche non risparmiano neppure quelle famiglie in cui uno dei genitori ha scelto di restare a casa per garantire al figlio un accudimento continuativo. In questi casi è probabile che non sia stata prestata la necessaria, amorevole attenzione alle richieste del piccolo. Lo sviluppo di un attaccamento sicuro può fallire nonostante la presenza di un genitore – forse per mancanza di premura nei confronti del figlio. Tuttavia, la probabilità di problematiche sociali risulta maggiore nei casi in cui si siano verificate frequenti sostituzioni delle figure di riferimento.


È altresì vero che ogni bambino è dotato di punti di forza, debolezze, doti e difetti unici e personali, e viene al mondo all’interno di una famiglia con proprie modalità di accudimento; senza trascurare l’ulteriore contributo della fortuna. Proprio in ragione delle innumerevoli variabili in gioco, non è possibie ridurre le conseguenze del “carosello delle tate” a mera certezza statistica; piuttosto è necessario elevarle a fattore determinante, ma spesso trascurato, del processo di attaccamento.


Di seguito verranno analizzate in dettaglio le principali problematiche sollevate dal fenomeno.

Problemi scolastici

Tutti noi siamo a conoscenza, per esperienza diretta o per averne letto o sentito parlare, di bambini che in classe si mostrano talora aggressivi, talora chiusi in se stessi, che si rifiutano di fare i compiti, che sono tanto turbolenti da finire di continuo in presidenza e che a casa portano pagelle disastrose. Alcuni di questi studenti, stando a quanto riferito, sembrano voler attirare di continuo l’attenzione dell’insegnante, mentre altri si mostrano “distaccati”, distanti, con grosse difficoltà di socializzazione.

Fenomeni quali la totale assenza di disciplina, il drastico calo del rendimento scolastico e l’aumento della percentuale di abbandono coinvolgono educatori e docenti di tutti i livelli di istruzione, dalla scuola materna alla scuola superiore. Secondo il Carnegie Reportgli insegnanti denunciano che 35 bambini americani su cento giungono in prima elementare impreparati all’apprendimento16. Le loro storie rivelano, tuttavia, che in molti non hanno ricevuto un accudimento stabile e continuativo durante i primi tre anni di vita, né hanno beneficiato di una supervisione appropriata e costante negli anni successivi. Parecchi di loro sono stati affidati alle cure di più sostituti materni e hanno dovuto subire frequenti separazioni da uno o da entrambi i genitori.


Come anticipato, il dottor Jay Belsky ha studiato gli effetti dell’accudimento non materno nel primo anno di vita del bambino e ha espresso preoccupazione per quei bambini che passano più di venti ore settimanali con persone diverse dai genitori. Dal momento che l’accudimento sostitutivo è statisticamente associato alla mancanza di continuità, le conclusioni di Belsky risultano particolarmente appropriate: “L’affidamento a estranei nel primo anno di vita è un fattore di rischio per lo sviluppo di un attaccamento insicuro evitante nell’infanzia, ed è causa di maggiore aggressività e di una condotta poco collaborativa e tendente all’isolamento negli anni della scuola materna ed elementare17.


Ulteriori indagini condotte dallo psicologo Alan Sroufe rivelano lo scarso rendimento dei bambini con attaccamento ansioso e lacune nel precoce processo di formazione del legame: “I bambini che, nei primi mesi di vita, avevano sviluppato un attaccamento ansioso, alla scuola materna mostravano un rendimento più scarso rispetto ai bimbi con attaccamento sicuro18. Per contro, Sroufe osserva che “i bambini che, nei primi mesi di vita, avevano sviluppato un attaccamento sicuro risultavano più adattabili, indipendenti, rispettosi, empatici e socialmente competenti; godevano di una maggiore autostima ed esprimevano più sentimenti positivi che negativi rispetto ai bambini con attaccamento ansioso19. I fanciulli con attaccamento ansioso o distaccato hanno serie difficoltà ad ascoltare gli insegnanti, a stabilire un contatto visivo con i docenti o con i compagni, a seguire le istruzioni e a concentrarsi sulle diverse attività, requisiti essenziali per avere successo nel sistema scolastico.


John Bowlby riassume così l’infausta prognosi: riferendosi ai bambini che non sono riusciti a sviluppare un attaccamento sicuro, afferma in modo poco diplomatico che “per questi bambini, l’istruzione risulta impossibile perché incapaci di tessere relazioni20.

È ovvio che per un bambino è più difficile sviluppare un legame con un insegnante, o addirittura sentimenti positivi nei suoi confronti se nei primi anni di vita non è mai riuscito ad avere fiducia negli adulti intorno a lui. Quando si priva un bambino in tenerissima età di relazioni emotivamente sicure, facendogli provare una rabbia e una collera incontenibili nei confronti dei genitori, si mette in serio pericolo la sua capacità di legarsi e di avere fiducia negli insegnanti (o in altre autorità). Se gli si impongono continue perdite, legate all’incessante sostituzione delle figure di riferimento, gli si insegna ad essere diffidenti nei confronti di qualsiasi adulto (compresi gli insegnanti). Al contrario, una buona intesa con la madre o con un sostituto affidabile può tradursi in sentimenti positivi nei confronti dei docenti e degli adulti in genere, favorendo così il processo di apprendimento.
Un vissuto di attaccamenti insicuri è di cattivo auspicio per i futuri profitti scolastici. Adolescenti senza alcun attaccamento alla scuola e agli insegnanti finiscono per interrompere gli studi. Alcuni di loro, invece, si trascinano senza entusiasmo sino al termine della scuola dell’obbligo. La cosa più triste è che, ormai adulti e con un percorso scolastico fallimentare, spesso non trovano nulla che si avvicini minimamente al loro potenziale iter educativo. Lo psichiatra John L.Weil conferma le gravi ripercussioni di una precoce deprivazione materna sul rendimento scolastico degli adolescenti: “L’adolescente con una storia di deprivazione cronica nell’infanzia” può vivere esperienze che lo inducano a reazioni di “rifiuto del contatto visivo e uditivo”. Tali soggetti “spesso rendono poco a scuola a causa delle difficoltà nel prestare attenzione alle lezioni21. Quante volte capita di sentire genitori e insegnanti lamentarsi del comportamento degli adolescenti: “Non mi rivolgono mai lo sguardo”. “Sembra che non stiano neppure ad ascoltare”. “Mi pare di non riuscire a insegnar loro nulla”.

Più si leggono ricerche e indagini sull’argomento o si parla con insegnanti e genitori, e più la realtà porta a elaborare un verdetto irrefutabile: i bambini da 0 a 3 anni e in età prescolare che abbiano subìto un accudimento discontinuo sono affetti da numerosi deficit dell’apprendimento e risultano dotati di scarse capacità cognitive; è possibile che rivelino ritardi nel linguaggio e nelle competenze specifiche all’età di riferimento. Ecco alcuni esempi:

  • La professoressa Carollee Howes dell’Università della California ha condotto due studi su bambini di 18-24 mesi accuditi in casa o presso un asilo nido familiare, dai quali è emerso che gran parte di loro aveva già cambiato due o tre figure di riferimento, altri addirittura sei. La Howes ha rilevato che maggiore è il numero delle sostituzioni, maggiori sono le difficoltà riscontrate nell’inserimento alla scuola elementare22.
  • Durante le mie ricerche per la stesura di questo libro, ho avuto modo di parlare con insegnanti di scuola materna ed elementare che denunciavano la scarsa maturità dell’espressione verbale dei loro alunni. Alcuni di loro sospettavano che i bambini avessero rare occasioni di ascoltare la mamma parlare al telefono, al supermercato, con i vicini e con gli altri membri della famiglia. Molti piccoli erano affidati a baby-sitter straniere, per cui non ricevevano le sollecitazioni necessarie al corretto apprendimento della propria lingua madre.
  • Parlando con educatori di scuole materne frequentate da alunni appartenenti al ceto medio, mi capita di sentirli lamentarsi di continuo del fatto che molti bambini di 3-4 anni mostrano gravi lacune nel livello di competenze generali. I genitori latitanti di oggi non sono disponibili come in passato a insegnare ai figli le nozioni tipiche dell’età prescolare (ad esempio i colori, le forme, gli opposti, le direzioni, le parti del corpo).
  • Lamentano altresì che il primo giorno di scuola – esperienza di solito emotivamente difficile – il bambino viene spesso accompagnato da una baby-sitter, non dal genitore. L’assenza della madre o del padre a un rito di passaggio di questa portata può trasmettergli il messaggio che la scuola e l’istruzione non sono degni dell’intervento dei genitori: maniera molto sottile di svalutare l’esperienza scolastica di un figlio.

Tuttavia la prova forse più convincente del legame tra “carosello delle tate” e scarso rendimento scolastico viene fornita da uno studio a lungo termine condotto dal Frank Porter Graham Child Development Center dell’Università del North Carolina, successivamente descritto da R. Haskins23. Jay Belsky conferma che lo studio non fa che ribadire tutti i dati sugli effetti negativi dell’avvicendamento di diverse figure di riferimento nel corso del primo anno di vita del bambino. I ricercatori del North Carolina hanno messo a confronto bambini (frequentanti l’asilo e la prima elementare) affidati, dall’età di tre mesi, al “prestigioso asilo nido dell’Università del North Carolina” con coetanei che avevano ricevuto un accudimento non-materno “dopo il primo anno di vita24.


Lo studio mette in evidenza che l’affidamento precoce, a soli tre mesi di vita, a strutture istituzionali (in cui si ricorre per necessità a turni di diversi educatori) produce effetti dannosi e a lungo termine: i bambini del primo gruppo assumevano una condotta aggressiva, con un maggior ricorso a “botte, calci e spintoni” e a “minacce, turpiloquio e litigi” rispetto agli altri bambini. Gli insegnanti hanno altresì notato la minore propensione a “evitare o abbandonare situazioni che potessero sfociare in un’aggressione” dimostrata dagli elementi del primo gruppo, spesso descritti come bambini con “gravi turbe del comportamento sociale25.

Timmy, l’ipotetico bambino del primo capitolo, potrebbe appartenere alla categoria appena descritta. È probabile che abbia trasferito la rabbia e la sfiducia nei confronti delle prime figure di riferimento su altri sostituti materni e infine sugli insegnanti. All’età di tre o quattro anni, iniziata la scuola materna, lo si può immaginare molto aggressivo, chiuso in se stesso o distaccato, in ogni caso privo di qualsiasi interesse a relazionarsi con gli educatori, e a dimostrarsi ubbidiente, attento e ricettivo.


Col passaggio alla scuola elementare, dove la capacità di concentrazione richiesta è maggiore, i problemi di Timmy si moltiplicano. Agli occhi degli insegnanti potrebbe apparire “tra le nuvole”, apatico, o al contrario, indisciplinato, iperattivo e avido di ricevere attenzione.


L’atteggiamento di fastidio percepito nei suoi insegnanti non farebbe altro che confermargli l’antica sensazione di non essere amato e desiderato, a scapito della sua autostima. A quel punto, è probabile che Timmy non sviluppi alcun sentimento positivo riguardo la scuola e che non riesca a essere all’altezza delle proprie potenzialità di apprendimento.


Quello di Melissa è un altro esempio di bambina che nel tempo ha sviluppato problemi scolastici. A due anni e mezzo, Melissa frequenta il nido per oltre 40 ore settimanali: inizia la giornata alle 8 e viene riportata a casa non prima delle 17,30 -18. Questi orari restano invariati fino all’inizio della scuola elementare. In diverse occasioni durante gli anni dell’asilo gli educatori di Melissa riferiscono che la bimba si mostra agitata, arrabbiata e impaurita. Sembra desiderare intensamente di stare a casa con la mamma o il papà, specie nelle ore pomeridiane. Piena di risentimento nei confronti dei suoi educatori, Melissa cresce trasferendo tale avversione anche sugli insegnanti della scuola elementare, dove non c’è da stupirsi che abbia incontrato notevoli difficoltà.


Se la mamma fosse riuscita a evitarle 12 ore di nido scegliendo di lavorare a tempo parziale, forse Melissa non avrebbe provato sentimenti tanto negativi e avrebbe amato (o perlomeno tollerato) l’esperienza del nido. Naturalmente ci sono bambini che, al contrario, nonostante la frequenza a tempo pieno, sono felici di andare al nido e vivono l’ingresso alle elementari senza reazioni tanto negative. Tuttavia, quando il contesto al quale si affida il bambino è fonte di ansia e tensioni tali da farlo sentire infelice per gran parte della giornata, il vissuto che ne deriva rischia di ripercuotersi sfavorevolmente sul successivo rendimento scolastico. Per concludere, l’esperienza negativa presso strutture preposte all’accudimento infantile dovuta a difficoltà con gli educatori o con i compagni, o ancora a un contesto non idoneo, rischia di determinare serie difficoltà in ambito scolastico.

Elevato rischio di comportamenti delinquenziali

Gli adolescenti che manifestano un Disturbo Antisociale di Personalità (DAP), catalogabile tra le psicopatologie, sono spesso portati alla delinquenza, con atteggiamenti aggressivi, imprudenti e sconsiderati che non mancano altresì di sfociare nella violenza gratuita e senza rimorso. Come spiegano Magid e McKelvey, lo psicopatico “lascia dietro di sé una lunga scia di sofferenza. Il dolore inflitto ad altri esseri umani può essere di natura fisica oppure mentale, quando ingenera angoscia in coloro che entrano in relazione con lui. È impressionante il numero sempre più elevato di individui affetti da patologie mentali rientranti in questa particolare categoria. Si tratta di soggetti psicopatici che comprendono una grossa fetta in crescita dei segmenti disadattati della popolazione, e sono responsabili di un numero sproporzionato di comportamenti devianti26.


E aggiungono: “Molti soggetti affetti da DAP sono stati neonati che non hanno sviluppato alcun legame di attaccamento. Attualmente, sono migliaia i bambini americani che corrono lo stesso rischio, per mano di genitori in assoluta buona fede. Siamo tutti al corrente degli innumerevoli stress a cui è sottoposta la famiglia di oggi. Per desiderio o per necessità, sono sempre più numerose le madri che rientrano al lavoro, spesso a poche settimane dal parto. Tuttavia, sarebbe bene che i genitori sapessero che una scelta del genere rischia di compromettere il processo di attaccamento dei figli27.


In uno studio intitolato High Risk Children in Young Adulthood, Emmy E. Werner spiega come “più della metà degli eventi stressanti associabili a una maggiore probabilità di incorrere in precedenti penali o fallimenti matrimoniali entro i 30 anni dei soggetti appartententi a questo gruppo, risalgono alla primissima infanzia”.


Tra questi: “(disoccupazione del capofamiglia, malattia di uno dei genitori e trasferimenti importanti) e una madre che lavorava fuori casa senza l’appoggio di un sostituto stabile nel corso del primo anno di vita del bambino. Una percentuale molto più elevata di maschi con precedenti penali (tra cui spaccio di sostanze stupefacenti, furto, furto con scasso, lesioni personali, stupro e tentato omicidio) ha vissuto, nei primi anni di vita, gravi difficoltà familiari28.

Qualche anno fa una madre si presentò nel mio studio, disperata: la figlia Sandra, all’epoca tredicenne, aveva già commesso piccoli furti d’abiti e accessori nel vicino centro commerciale. In precedenza, durante le elementari, si erano verificati episodi analoghi. La madre, lavoratrice, non si era mai decisa ad affrontare e risolvere la questione perché desiderava che le poche ore trascorse con la figlia fossero gradevoli e spensierate per entrambe.


Da piccola Sandra era stata accudita dai genitori fino a cinque mesi. Poi questi si erano separati e la madre, troppo depressa per gestire un bambino, aveva mandato Sandra a vivere con la zia materna. Dopo quattro mesi la bambina si era ricongiunta alla madre la quale, però, aveva deciso di affidarla a una baby-sitter, perché doveva andare a lavorare. Fino all’età di due anni, la bimba vedeva il padre due volte al mese, ma alle soglie dell’adolescenza, le visite si erano fatte sempre più irregolari.


La madre descrisse Sandra in età prescolare come una bimba dipendente, esigente, sensibile, spesso irritabile. Raccontò che trattava le sue bambole e i suoi peluche in modo aggressivo. Successivamente, Sandra si era fatta più ribelle e oppositiva. Se a scuola veniva messa di fronte al suo atteggiamento bugiardo e asociale, mostrava scarso, se non addirittura nessun rimorso.

Sandra è il tipico esempio di bambina che ha ricevuto un accudimento precocemente discontinuo, tale per cui le è stata negata la possibilità di formare un attaccamento sicuro con la madre. Riferendosi a bambini con scarso attaccamento o attaccamento interrotto, in High Risk: Children Without a Conscience, gli autori Magid e McKelvey affermano che “la formazione di un legame debole o l’interruzione del processo di attaccamento determinerà la scarica incontrollata di energia nel bambino, oltre che un senso di sfiducia e insicurezza. È qui che risiede il seme del disturbo antisociale di personalità. Questo modello di interazione madre/bambino, così complesso e sottile, è necessario alla realizzazione di un attaccamento sano29.

Tra i cinque e gli otto anni Sandra dà l’impressione di aver perso il periodo ottimale in cui i bambini imparano a interiorizzare i valori che hanno a che vedere con la fiducia e il rispetto della proprietà. In sostanza, si tratta di quegli anni critici in cui si apprendono alcuni principi morali: dire la verità, non rubare, non alzare le mani, avere un comportamento responsabile nei confronti degli altri. La trasmissione di questi valori richiede tempo, impegno e la capacità di rendere il bambino responsabile delle sue eventuali azioni antisociali.


Bambini come Sandra manifestano rabbia nei confronti degli adulti forse perché, durante la prima infanzia, gli adulti importanti non sono stati mai “con loro”. Di conseguenza, da adolescenti tendono a prendere i coetanei o gli idoli del pop a modello di comportamento, adottandone i valori, spesso negativi. In tutti questi casi si tratta di processi inconsci, che addolorano i genitori incapaci di comprendere i motivi per cui i figli, in età scolare e poi da adolescenti, rifiutino in toto i loro modelli.


È ovvio che il comportamento asociale può avere origine da altre cause: maltrattamenti, il divorzio dei genitori o la morte di uno di essi, o altre separazioni e perdite intervenute a spezzare legami altrimenti soddisfacenti. Tuttavia, a prescindere da questi traumi più tardivi, è sufficiente il fallimento del processo di attaccamento nei primi due o tre anni di vita per predisporre il bambino e l’adolescente alla condotta aggressiva e delinquenziale.

Come affermano Magid e McKelvey, “quando sente interrompersi le relazioni con gli altri e crollare la coerenza dei genitori (come nel caso dello squilibrio delle responsabilità genitoriali dopo un divorzio), il bambino tende a sviluppare un istinto di sopravvivenza. Questa emozione si chiama rabbia. La rabbia e la tristezza sono il cuore del disturbo da assenza di attaccamento. La rabbia irrisolta può covare per anni per poi manifestarsi in diverse forme, dalle azioni criminali al suicidio, dal maltrattamento all’abbandono dei figli, perpetuando così il ciclo30.


Magid e McKelvey proseguono suggerendo che “sarebbe bene che il governo puntasse i riflettori sugli individui in fasce – non in galera – se intende cambiare il futuro. I bambini che non ricevono un caldo benvenuto nel mondo un giorno si vendicheranno31.


Il Dott. Bowlby concorda, affermando che “ognuno di noi è portato a fare agli altri quello che è stato fatto a lui32.

Difficoltà nello stabilire relazioni intime

Secondo la psicologa Mary Ainsworth, la principale conseguenza a lungo termine del precoce fallimento nella creazione di un legame affettivo sicuro è rappresentata dall’“incapacità di stabilire e mantenere relazioni interpersonali profonde e significative”33.


In altre parole, i bambini da 0 a 2 anni che non hanno avuto la possibilità di costruire una base emotiva positiva e sicura, venendo così privati della possibilità di imparare ad amare e ad avere fiducia, avranno tendenzialmente maggiori difficoltà negli scambi affettivi, e quindi nelle relazioni in genere nel corso della loro vita. Il Carnegie Report afferma che “il contatto solido e costante con i genitori rende possibili quelle interazioni che aiutano il bebè a formare attaccamenti affettivi sicuri e amorevoli con i genitori stessi e gli altri membri della famiglia34. Michael Rutter ha osservato che l’assenza di attaccamento può determinare quella che lui definisce “psicopatia disaffettiva” – cioè una personalità caratterizzata dalla “assenza di sensi di colpa e dall’incapacità di sviluppare relazioni durevoli35.


Un altro illustre pediatra e scrittore, T. Berry Brazelton, aggiunge che “se si impedisce al bambino di sperimentare a fondo le tappe della fiducia e dell’attaccamento, si rischia di danneggiarne o di indebolirne seriamente la capacità di legarsi alle figure per lui importanti36. La dottoressa Tiffany Field, esperta neonatale al Mailman Center for Child Development di Miami afferma: “Se non si sviluppano modelli di interazione relativamente armoniosi nei primi anni di vita, ne conseguiranno difficoltà nelle relazioni sociali e tra pari. Sappiamo come i ragazzini con relazioni fra pari disturbate siano a maggior rischio di delinquenza o di disturbi psicologici37.


Quando bambini emotivamente feriti e svantaggiati come questi raggiungono l’adolescenza e l’età adulta, in genere risultano incapaci di stabilire e mantenere legami di intimità che, sottintendendo di norma il matrimonio o un impegno a lungo termine, rappresentano ai loro occhi una mera minaccia.


Riferendosi a uomini e donne che non hanno mai sviluppato attaccamenti sicuri, la nota esperta infantile Selma Fraiberg sostiene: “La storia di individui affetti da questo disturbo non rivela alcuna relazione umana significativa. Il racconto della loro esistenza sembra quello di un vagabondaggio senza meta scandito da incontri casuali e relazioni fugaci. Non avendo alcun valore, ogni partner risulta intercambiabile: senza amore non c’è dolore nella perdita38.

Philip Shaver, esperto di terapia familiare, ha anch’egli messo a confronto la relazione tra i primi attaccamenti del neonato con i genitori e quelli successivi con il partner o il coniuge, rilevando che l’attaccamento genitore-bambino mostra molte delle caratteristiche riscontrate nella relazione amorosa.


Quando ad esempio il genitore dona al figlio una base sicura, quest’ultimo si sente competente, pertanto sicuro nell’esplorare l’ambiente che lo circonda. La stessa cosa succede quando, nell’età adulta, il partner contraccambia il nostro amore facendoci sentire sicuri e fiduciosi. Se, al contrario, si mostra disinteressato o respingente, ci sentiamo ansiosi, inquieti, deconcentrati – proprio come il bambino quando il genitore o il suo sostituto non è disponibile o si mostra insensibile riguardo ai suoi bisogni.


Quando sono nervosi, ammalati o impauriti, i bambini cercano il contatto fisico con i genitori o i loro sostituti. Allo stesso modo gli adulti spaventati, tesi o sofferenti cercano l’aiuto e il conforto dell’amato.


Shaver prosegue con questo paragone descrivendo diversi tipi di attaccamento nell’adulto.


Per esempio, un innamorato con attaccamento sicuro descriverebbe l’amore come un’esperienza piena di gioia, serenità e fiducia, e sarebbe in grado di accettare e sostenere il partner nonostante i suoi difetti. Al contrario, un innamorato evitante si distinguerebbe per la paura dell’intimità, la gelosia e la discontinuità emotiva. Quello ansioso/ambivalente vivrebbe l’amore come impegno ossessivo e desiderio di unione e condivisione totale, con fortissimi sbalzi d’umore e un’attrazione sessuale e una gelosia estreme.

Shaver nota inoltre che “sia il padre che la madre hanno un ruolo determinante nella definizione dello stile di attaccamento a lungo termine, e pari responsabilità”. Ai soggetti presi in esame è stato chiesto di descrivere i genitori come affettuosi o critici, invadenti o solerti, quindi si è notato come i loro stili di attaccamento fossero molto simili a quelli dei genitori stessi39.

Un adulto con attaccamento insicuro potrebbe non voler rischiare legami intimi poiché ha imparato sin da piccolissimo ad aspettarsi che coloro che si prendono cura di lui possono andarsene all’improvviso o essere emotivamente non disponibili o indifferenti. Da bambino ha vissuto la perdita e la rabbia nei confronti delle figure di riferimento; le separazioni dolorose hanno infine danneggiato l’immagine che ha di sé: non c’è stato nessuno che abbia voluto rimanere a proteggere e ad amare un bambino del genere.


Altrimenti, lo stesso adulto potrebbe dire: “Non mi sento a mio agio vicino agli altri. Ho difficoltà ad avere completa fiducia negli amici e a provare a dipendere da loro. Mi innervosisco quando qualcuno mi si avvicina troppo. La persona amata spesso mi chiede una maggiore intimità, ma io non mi sentirei a mio agio”.


Tuttavia, se la stessa persona avesse sperimentato continuità nell’accudimento da bambino, e fosse riuscita a formare un attaccamento sicuro, le relazioni da adulto sarebbero diverse. Potrebbe, infatti, dire: “Trovo abbastanza semplice gioire della compagnia degli altri. Dipendere da loro non mi crea disagio, né che loro dipendano da me. È difficile che mi preoccupi di essere abbandonato o di provare un sentimento speciale per qualcuno”. In altre parole, le relazioni adulte spesso ricalcano quelle infantili.

Riguardo le conseguenze a lungo termine di un accudimento infantile inadeguato, Burton White, ricercatore dell’Università di Harvard, afferma: “La posta in gioco è la fondamentale capacità dell’uomo di amare gli altri esseri umani40.


La conclusione a cui giungono Magid e McKelvey riguardo le conseguenze di un attaccamento inadeguato è, forse, la più inquietante: “In altre parole, il neonato rischia di non sviluppare alcun attaccamento, perdendo per sempre l’opportunità di sperimentare la più importante delle emozioni umane: l’amore41.

Depressione e altre gravi malattie mentali

“Depressione” è un termine ampiamente usato per descrivere uno stato emotivo. Nel linguaggio comune il depresso è colui che si sente triste, malinconico, finanche rassegnato. Chi è colpito da depressione spesso fatica ad alzarsi dal letto la mattina, schiacciato da un pessimismo dilagante. A volte la paralisi è tale da non volere o non poter far nulla. Il depresso si sente impotente, svuotato, talvolta arriva a contemplare il suicidio. Nei casi estremi, lo mette in atto.


L’intensità o gravità della malattia mentale scaturita dai legami fallimentari dipende da diversi fattori: l’età del bambino, la durata delle separazioni e le predisposizioni ereditarie. Più piccolo è il bambino al momento delle separazioni e delle perdite, più profondi saranno gli effetti negativi predisponenti la malattia mentale.


È altresì vero che la durata dell’assenza della figura di riferimento può ripercuotersi gravemente sulla stabilità mentale del bambino. Se, ad esempio, la madre si allontana solo per qualche ora al giorno, la separazione avrà un impatto minore rispetto a una assenza protratta dalle 7.30 alle 18, cinque giorni la settimana.


Dall’esame della storia familiare di molti pazienti depressi, gli esperti rilevano che questi individui hanno spesso subìto significative esperienze di perdita e separazione durante l’infanzia. Si pensi all’esempio di un bambino abbandonato dai genitori per gran parte della giornata e affidato a una lunga serie di sostituti diversi. Si tratta di un bambino che, con ogni probabilità, proverà tristezza, rabbia e depressione, e che non si sentirà amato e degno d’amore, sentimenti molto simili a quelli manifestati dagli adulti depressi.

Inoltre, i bambini a cui è stata negata un’esperienza di accudimento positiva nella primissima infanzia, negli anni successivi tendono a manifestare una vulnerabilità verso altri tipi di disturbi mentali maggiore di quanto sarebbe stata se avesse vissuto eventi negativi ansiogeni – quali la morte di uno o di entrambi i genitori (o gravi incidenti), divorzi, lunghe separazioni da uno o da entrambi i genitori o da un sostituto materno conosciuto da tempo e particolarmente amato – in fasi successive dell’infanzia, nell’adolescenza o nell’età adulta. D’accordo con questa tesi, Bowlby sottolinea come la discontinuità degli attaccamenti precoci – così come una prolungata deprivazione materna, separazioni dolorose o la morte di un’importante figura di attaccamento – possa, in determinate circostanze, produrre gravi disturbi tra cui fobie, depressione e comportamenti psicotici42.


Cummings e Cicchetti concordano: “I bambini”, affermano, “provano ansia quando vengono separati dalla figura di attaccamento principale. Nei casi di perdita prolungata o ininterrotta, ha inizio un processo di lutto molto doloroso che, se protratto oltre il dovuto, viene definito da Bowlby come riflesso di una perdita irrisolta. In assenza di un modello operativo interno affidabile, ogni perdita verrà vissuta come irrimediabile. Al contrario, esperienze positive precoci che concorrano alla formazione di modelli operativi interni validi consentono di non vivere ogni perdita come un’esperienza devastante43.


Cummings e Cicchetti forniscono ulteriori dati a supporto del legame esistente tra perdite precoci (come quella di una figura di riferimento) e disturbi mentali. In merito alle conseguenze di un attaccamento precoce carente, i due medici sostengono che “quando esperienze del genere si verificano nei primissimi anni di vita, è probabile che l’idea dell’inaccessibilità delle figure di attaccamento nel momento del bisogno diventi un tratto fondamentale dell’organizzazione della personalità del bambino, che si manifesta attraverso sentimenti e percezioni di insicurezza difficilmente modificabili44.


Sottolineano inoltre come “è possibile che attaccamento insicuro e depressione non siano fenomeni separati, ma due eventi correlati che si manifestano in stadi diversi della vita del bambino. Pertanto, l’attaccamento insicuro può essere dapprima osservato nell’infanzia e successivamente collegato a un maggior rischio di insorgenza della depressione45.


Uno studio condotto nel 1969 dallo psicologo T.W. Moore su un campione di quindici bambini che avevano sperimentato un accudimento sostitutivo instabile, caratterizzato dal quotidiano avvicendamento di diverse figure di riferimento, prima del secondo compleanno, ha dimostrato come questi bimbi manifestassero una forte ansia e insicurezza a distanza di anni. Secondo quanto riportato dalle madri, all’età di sei anni i piccoli mostravano un “comportamento dipendente appiccicoso”, con continue richieste di contatto fisico e attenzioni. Lo stesso comportamento negativo veniva rilevato anche fuori delle mura domestiche, all’asilo dove, rispetto agli altri bambini, quelli presi in esame risultavano più nervosi e dipendenti e meno capaci di adattarsi alle attività scolastiche. Avevano più paura “dei dottori, degli ospedali e del buio”46.


In un’intervista rilasciata a John Bowlby, la psicologa Virginia Hunter afferma che “in studio ricevo un numero crescente di bambini borderline che mi si presentano già all’età di circa 7 anni, più di quanto avvenisse dieci anni fa; e ciò sembra avere a che fare con il numero di persone che si occupano di loro”. John Bowlby risponde: “Oh sì, alcuni di noi lo sanno già da molto tempo47.

La personalità borderline vive con estrema difficoltà le relazioni sociali e fatica a manifestare reazioni emotive appropriate, che al contrario risultano a tratti intense ed esplosive, a tratti imprevedibili. Sono pazienti difficili da curare in ragione dell’intensità dei loro bisogni. La sensazione di vuoto interiore, unita a una sproporzionata suscettibilità alle delusioni possono infatti scatenare reazioni emotive imprevedibili. Colmare l’abisso di privazioni della loro anima è impresa ardua, così come riuscire a incarnare ai loro occhi la “figura materna perfetta”: una variazione nell’orario dell’appuntamento, per esempio, o un semplice equivoco possono scatenare una rabbia incontenibile che li porta a chiudersi in se stessi o, addirittura, a interrompere la terapia.


È altresì vero che i terapeuti si trovano spesso in difficoltà nel trattamento della depressione o di altri gravi disturbi psichici generati dalle perdite subite precocemente, in età pre-verbale. Si tratta di eventi spesso dimenticati dal paziente, che molte volte non ricorda neppure le figure importanti coinvolte. Per di più, gli stessi genitori hanno la tendenza a sottovalutare il significato della mancanza di continuità per i loro figli al di sotto dei due anni, omettendo quindi di farne menzione sia al paziente, sia al terapeuta. Ne consegue che i sintomi di tristezza, ansia e inquietudine persistono senza che le radici del problema vengano mai individuate o analizzate neppure nell’ambito della terapia.


È ovvio che nel caso in cui i genitori riescano a ridurre al minimo la frequenza e l’intensità delle perdite inflitte ai figli, si arriva a ottenere una riduzione dell’insorgenza di eventuali sintomi depressivi o legati ad altri disagi psicologici.


Per riassumere, è necessario che l’accudimento di un figlio di età inferiore a due anni vada al di là dell’atteggiamento positivo, dell’affetto e della comprensione. Esso deve soprattutto garantire la continuità necessaria a costruire una visione positiva della vita, così che il piccolo non abbia a patire i tipi di perdita e i sentimenti riconducibili all’elaborazione del lutto spesso responsabili della depressione e di altri disturbi dell’umore.

Abuso di alcol e droga

Depressione opprimente, incapacità di intessere relazioni di vicinanza e mancanza di soddisfazioni personali in ambito scolastico sono alcuni dei motivi che spingono molti adolescenti all’abuso di alcol e droghe – se non a una vera e propria dipendenza. Si tratta in effetti di fattori sfavorevoli correlati, all’interno di problematiche che di solito affondano le proprie radici nel fallimento del processo di formazione dell’attaccamento nei primissimi anni di vita del bambino (così come nella qualità delle cure genitoriali ricevute).


Quando il bambino, sin da piccolo, avverte che gli adulti intorno a lui non provano reale interesse nei suoi confronti e non lo accudiscono con amore, andrà alla ricerca di altre modalità attraverso cui procurarsi piacere e soddisfazione. I piccoli a cui è stato negato un attaccamento sicuro con gli adulti tenderanno a trovare piacere nel cibo, nel biberon o nei giocattoli.


Doris, per esempio, che ha vissuto nei sobborghi di una città nell’est degli Stati Uniti, all’età di due anni aveva già cinque persone diverse a occuparsi di lei. Come abbiamo sottolineato, una bambina come Doris, che non ha avuto modo di mantenere un attaccamento stabile, si è sentita più volte abbandonata dalle figure di riferimento. Per proteggere se stessa dai sentimenti dolorosi quali delusione, abbandono e paura, ha smesso di relazionarsi con gli altri, rivolgendosi altrove in cerca di soddisfazione. Dove l’ha trovata? Doris gioca con i propri capelli in modo compulsivo, tirandoseli e attorcigliandoli. Una volta cresciuti, prende ad annusarli e a metterli in bocca.


Altri bambini con problemi simili si succhiano senza sosta il pollice; alcuni battono la testa contro il muro; altri si masturbano in modo eccessivo. Si tratta di azioni che procurano loro piacere a volontà, come e quando desiderano. Ci sono bambini, invece, che tendono a mangiare troppo, o a evitare ogni contatto sociale, isolandosi in un mondo tutto loro.


In sostanza, i piccoli che hanno trovato consolazione prima di tutto nel biberon, nel cibo e nella stimolazione autoerotica tenderanno a rivolgersi a forme di piacere simili anche in età successive: per affrontare le difficoltà dell’adolescenza, ricorreranno a sostanze nocive quali alcol e droga, o a una sessualità promiscua, che garantisce loro un’immediata gratificazione. Si tratta di abitudini che consentono loro di scaricare la tensione e di lenire la sofferenza al pari del biberon, del cibo, della masturbazione o dell’autocullarsi.


Per di più, gli adolescenti che nella prima infanzia non hanno creato legami di fiducia con un adulto, e che a tutt’oggi non sono in grado di stabilire relazioni affettive né con i coetanei, né con gli adulti per loro importanti, cercano sostitutivi dei piaceri offerti dalle relazioni interpersonali. Questi giovani potrebbero risultare più predisposti all’abuso di alcol e droga, che danno un piacere e un sollievo apparentemente più sicuri di qualsiasi rapporto umano. Corrono così il rischio di diventare alcolisti “solitari”, o “emarginati” che fanno uso di droghe nel silenzio delle loro case, convinti di avere il totale controllo del proprio piacere e di poter fare a meno di appuntamenti, feste o altre comuni attività sociali.


È altresì dubbio che, con la crescita, una simile condotta venga abbandonata: è, invece, assai probabile che molti di loro continuino ad avere problemi di alcol e droga anche in età adulta. Le radici di tali problemi, infatti, sono da ricercare negli anni della prima infanzia, quando è stato loro negato un accudimento amorevole e costante.

Secondo lo psichiatra John L.Weil: “La riduzione cronica del piacere registrata durante l’infanzia, scatenata e amplificata durante l’adolescenza, può determinare l’insorgenza dell’alcolismo48. Weil nota inoltre che gli adolescenti “che hanno subìto la grave privazione di un accudimento empatico nel corso dell’infanzia corrono un rischio statisticamente maggiore di manifestare alcolismo e tossicodipendenza49.


Finora sono stati analizzati in breve cinque ambiti sociali resi particolarmente critici dall’incidenza dei fallimenti nel processo di formazione del legame. Tuttavia, il quadro si può ulteriormente aggravare, negli anni successivi all’infanzia, in ragione della ridotta presenza dei genitori e di una scarsa supervisione familiare, o a causa di esperienze traumatiche quali divorzi, decessi e malattie. Sebbene siamo tutti consapevoli del fatto che sono molte le figure a cui è possibile far riferimento nella vita, come fonte di ispirazione, sostegno e protezione, in realtà per la maggior parte di noi è il genitore la sola persona su cui il bambino fa davvero affidamento. Per quanto il sostituto materno possa risultare affettuoso, l’insegnante una buona guida e il consulente o il terapeuta comprensivi, si tratta sempre di relazioni positive ma spesso limitate nel tempo, interrotte prima dell’ingresso nell’età adulta.


Trattandosi poi di esperienze intermittenti, ancorché positive e determinanti nella vita del bambino, quest’ultimo risulta esposto di continuo a una sorta di “carosello delle tate”. Nonostante, raggiunta la fase verbale, il piccolo possa essere preparato ad affrontare tali cambiamenti, il termine di queste relazione continua ad arrecargli sentimenti di tristezza e di perdita. Nella realtà, quella del genitore è la sola figura su cui poter far conto – per tutta l’infanzia così come nell’età adulta – per trovare sicurezza emotiva, stimoli intellettivi e un ambiente sereno e affettuoso. Come spiegato nel capitolo VI, una presenza genitoriale positiva come quella descritta gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione delle malattie sociali fin qui trattate.


Ad ogni età, dall’infanzia all’età adulta, la presenza affettuosa e attenta dei genitori rappresenta un importante fattore di equilibrio, che può anche assumere un’efficace valenza terapeutica. Ciò non significa che riesca automaticamente a prevenire tutte le problematiche descritte; queste, tuttavia, senza un accudimento costante, tendono a presentarsi con maggior frequenza e gravità.


Magid e McKelvey lanciano, infine, un ultimo avvertimento riguardo il “carosello delle tate”: “Mai prima d’ora nella storia del nostro paese così tanti genitori si sono allontanati da casa e dai loro bambini nei momenti più critici della loro crescita”; e aggiungono: “Con tutte queste madri lavoratrici, chi si prende cura dei bambini? Non è possibile sviluppare alcun legame e attaccamento adeguato se la fondamentale figura di riferimento non è presente e il bambino non ha nessun sostituto materno affidabile, affettuoso e costante. Senza risposte adeguate, questi problemi potrebbero sfociare in una crisi dell’attaccamento di portata nazionale, mettendo così a grave rischio le generazioni future50.

Sempre con lui
Sempre con lui
Isabelle Fox
I vantaggi di essere un genitore a tempo pieno.Quanto è importante stare con il proprio figlio almeno durante i primi due anni di età? Una forte presa di coscienza da parte di una psicologa evolutiva. Sempre con lui è dedicato ai milioni di bimbi piccoli che al giorno d’oggi sono privati del necessario e sano accudimento, per colpa dell’eccessivo impegno lavorativo di entrambi i genitori e della conseguente sostituzione delle principali figure di riferimento. L’autrice Isabelle Fox approfondisce questo fenomeno sociale, offrendo spunti di riflessione e illustrando concetti di vitale importanza per il benessere psicologico dei bambini. Un libro particolarmente ricco di soluzioni e suggerimenti pratici che, compatibilmente con i vincoli familiari e gli impegni lavorativi di mamma e papà, permetteranno di offrire ai bambini la migliore possibilità di sentirsi accuditi, compresi e amati. Conosci l’autore Isabelle Fox è psicoterapeuta da più di 40 anni, con specializzazione in psicologia evolutiva e relazioni genitori-figli. Per 10 anni ha prestato servizio come consulente per la salute mentale per Operation Head Start.