capitolo iii

Bonding e attaccamento:
la chiave per comprendere la
relazione genitore-bambino

La natura ci ha ingegnosamente programmati per rispondere d’istinto al bisogno immediato di cura e protezione di un neonato. Anche i cuccioli di altre specie – cani, gatti, uccelli, leoni – ci attraggono con la loro tenerezza, suscitando sentimenti che stimolano la reazione di protezione. Ma i cuccioli d’uomo hanno bisogno di formare un legame, o attaccamento, molto più profondo e duraturo con i genitori, necessario per la sopravvivenza e per la costruzione della base emotiva che permetta loro di sviluppare il proprio potenziale.


Quando ha inizio il legame tra genitori e figli? Secondo la teoria dell’attaccamento – elaborata dallo psichiatra John Bowlby – a partire dalle loro prime, fondamentali interazioni. I neogenitori imparano che cosa appaga o rilassa il proprio bebè, e cosa lo rende nervoso e insoddisfatto; a riconoscere cosa lo spaventa e gli provoca dolore, o sofferenza, oltre a prendere coscienza degli stimoli che suscitano sorrisi e versetti di gioia e soddisfazione.


Il processo di costruzione dell’attaccamento è il compito più importante del genitore o del suo sostituto principale, e il suo successo (o fallimento) dipende dalle centinaia di interazioni che queste figure stabiliscono tutti i giorni con il bambino.


Come vedremo, il processo di sviluppo dell’attaccamento è molto personale e può aver luogo solo se le necessarie interazioni avvengono tra il bambino e un’unica persona. Un numero così elevato di interazioni, che si rinnovano di giorno in giorno, e persino di ora in ora, è essenziale alla sopravvivenza del nuovo essere. Tuttavia, e lo scrivo con doppia sottolineatura, se tali interazioni interessano il bambino e cinque o sei figure diverse nell’arco di otto-dieci ore (come descritto nel capitolo VII), sarà molto più difficile (se non impossibile) riuscire a stabilire il necessario attaccamento con una di queste persone, per quanto amorevole e solerte. È possibile che un bambino si attacchi a più figure diverse – la mamma, il papà o un loro sostituto –, ma la costruzione di un legame di attaccamento con ciascuna di esse richiede una relazione individuale protratta per un lungo lasso di tempo. È importante tenere bene a mente questi concetti quando si inizia a esplorare il mondo di un neonato.


Il bebè ha bisogno di essere nutrito, pulito, consolato e stimolato per poter passare con successo dall’ambiente protetto del grembo materno in un mondo in cui la propria difesa e il soddisfacimento dei propri bisogni è completamente nelle mani degli adulti.


Pian piano, il neonato comincia ad aspettarsi determinati suoni, odori e movimenti, anticipando così la soddisfazione del succhiare, dell’essere nutrito e abbracciato. In stretta prossimità della persona che lo protegge, associa la ripetizione dei suoni, degli odori e dei movimenti a lui familiari all’appagamento fisico ed emotivo e alla riduzione di disagio, dolore e paura.

Quando piange, con i pugnetti chiusi e le palpebre serrate, il bebè lancia un segnale di sofferenza, alleviata dal conforto offerto dalla figura di accudimento a lui nota che lo abbraccia, gli offre il seno, o il biberon o gli cambia posizione, che gli parla in tono tranquillizzante o lo culla camminando a passo cadenzato. Tali risposte danno il via alla formazione dell’attaccamento o bonding [“legame”, N.d.T.]. È la nascita, nella mente del bambino, del senso di fiducia, quella “fiducia di base” (secondo il Carnegie Report) “necessaria ad un sano sviluppo psicologico nel corso della vita1.


Il neonato impara, ad esempio, a riconoscere l’odore dei genitori (sempre che si tratti delle principali figure di riferimento), il suono delle loro voci, la tensione rilevabile dai loro abbracci e le diverse posizioni in cui lo tengono, lo consolano e lo nutrono. Arriva a distinguere in che modo viene sollevato, maneggiato e spostato, e a identificare i suoni emessi dal genitore o dal suo sostituto – il respiro e il diverso modo di parlare, cantare e ridere.


Si abitua inoltre al modo in cui ci si prende cura del suo corpo: come viene pulito e gli viene cambiato il pannolino, come viene medicato, come gli si fa il bagnetto e come lo si nutre. Impara a riconoscere e anticipare i “tempi di risposta” della persona che si prende cura di lui, così, quando, ad esempio, piange e viene subito preso in braccio, coccolato e consolato, riesce a calmarsi più in fretta. La vicinanza della figura di riferimento è un segnale di protezione, che aiuta il bambino a sentirsi riconosciuto e accettato, a formare i rudimenti di un’immagine positiva di sé e ad avere fiducia nel pronto appagamento dei suoi bisogni.


Il primo mezzo di comunicazione del neonato è il pianto. Bowlby ne sottolinea l’importanza affermando che “quando il bambino piange, la madre di norma reagisce. Per la madre rimanere vicino al neonato, portandolo a sé in condizioni di allarme significa assolvere a una funzione di protezione2. Quando il bebè piange, la persona che si prende cura di lui si accorge che il piccolo si sente solo, ha fame, sete, è bagnato, ammalato, o ha qualche altro problema, e risponde concentradosi sui suoi bisogni e cercando di soddisfarli. Riferendosi ai neonati che “piangono di rado”, Magid e McKelvey affermano che, sebbene diano l’impressione di essere “bebè perfetti”, possono, al contrario, andare incontro ad alcuni disturbi. È probabile che, richiedendo meno attenzioni, tali neonati inneschino un meccanismo sfavorevole all’attaccamento. La precoce assenza di pianto e di versi di varia natura può sfociare in successivi disturbi del linguaggio tipici nei bambini che abbiano vissuto problemi nel processo di attaccamento. La madre o il padre che prende in braccio il proprio bambino mentre piange gli comunica non solo di avere una certa influenza sul suo universo, ma di poter anche intervenire a ridurre il suo disagio, contribuendo a non farlo sentire solo e indifeso3.

Come ogni genitore sa, non tutti i pianti sono uguali, ma possono differire per intensità, qualità, tono e altre sottili variazioni che chi si prende cura del bambino (i genitori stessi o altre principali figure di riferimento) impara a riconoscere. Molto è stato scritto su come i genitori, e in particolar modo le madri, diventino particolarmente solerti nei confronti del proprio bebè, come imparino a distinguerne i lamenti, gli strilli, i piagnucolii e vari altri suoni e a interpretarne il pianto. Presto questi bambini sviluppano la sensazione che il loro mondo è soddisfacente, e le persone accanto a loro attente e premurose. La positività di questi sentimenti sta alla base di un atteggiamento ottimista: la capacità di vedere il bicchiere “mezzo pieno” anziché “mezzo vuoto” deriva proprio da queste esperienze precoci.
Pertanto nei mesi successivi alla nascita, il bebè che beneficia di un accudimento premuroso riesce piano piano a sviluppare la capacità di sentirsi sicuro – quel tipo di sicurezza che Penelope Leach definisce come “la base della fiducia in se stessi e negli altri [che ci accompagna] dall’infanzia alla morte4. Il neonato impara gradualmente ad aspettare, finanche a rimandare la soddisfazione e la gratificazione. Intorno ai tre-quattro mesi, ammesso che le risposte fino ad allora ricevute siano sempre risultate solerti, il bebè è in grado di svegliarsi senza piangere e di intrattenersi con qualche giochino, o emettendo versetti e gorgoglii, prima di inviare i primi segnali di richiamo o di scoppiare in pianto.

Il sorriso del neonato

Proprio come il pianto, segnale di disagio che fa accorrere la mamma, anche il sorriso del neonato è uno strumento per assicurarsene la vicinanza.


Ogni genitore sa bene quanto questi primi sorrisi, che si manifestano intorno ai due mesi, siano fonte di incommensurabile gioia. La loro irresistibile grazia infonde nuova energia e vitalità nei genitori stanchi e spossati; ma, dato ancor più importante, li spinge all’accudimento del neonato, facendo scattare in loro l’impulso a prenderlo in braccio, coccolarlo e abbracciarlo. In questo modo il bebè riceve la stimolazione tattile e cinestetica necessaria non solo dal punto di vista fisiologico ma anche da quello del consolidamento del legame genitore-bambino.


Il sorriso è essenziale per la sopravvivenza del bebè; un neonato indifferente che non sorride corre il rischio di essere trascurato o ignorato. Gli adulti contraccambiano il sorriso e agiscono solerti, trascinati dall’entusiasmo del loro piccino, che a sua volta sorride in risposta alla loro presenza.


Come riferisce una mamma: “Quando il mio bambino mi sorride mi sento pervasa da indescrivibile beatitudine”.

A conferma di questa testimonianza, Magid e McKelvey sostengono: “Un neonato che sorride innescherà negli altri una reazione a catena, che farà sorridere tutto il mondo insieme a lui. Sorrisi e risate creano un ambiente positivo e un terreno predisposto alla futura capacità di dare e ricevere gioia. I primi atteggiamenti del neonato possono influenzare profondamente le risposte della madre. Ma è il sorriso la vera ricompensa di un genitore, è il sorriso ad imprimere un’impronta indelebile sul legame emergente5.

Verso i tre-quattro mesi, il sorriso si accompagna a versetti e gorgoglii incantevoli, simili a un cinguettio. È l’inizio dello sviluppo del linguaggio e delle risposte sociali del bebè. Il compiacimento dei genitori per i suoni emessi dal neonato si manifesta, a sua volta, con altrettanti suoni e sorrisi, che inviano al piccolo un feedback positivo. L’imitazione del linguaggio del bambino facilita lo scambio sociale, rafforzando il processo di attaccamento.


Nonostate la relazione interattiva appena descritta sia fonte di grande soddisfazione, è altresì vero che prendersi cura di un bambino è spesso estenuante, a volte frustrante, e potenzialmente ansiogeno, specie per un neogenitore. Ma se un sostituto coscienzioso è in genere capace di soddisfare i bisogni fondamentali di un lattante, e di fare eco ai suoi sorrisi e ai suoi versetti di gioia, di solito è il genitore ad avere maggior motivazione a reagire agli aspetti negativi così come a quelli positivi dell’accudimento del figlio. È il genitore che più contribuisce a rafforzare il legame di attaccamento. Questo non significa denigrare gli sforzi dei tanti sostituti genitoriali, che quasi sempre svolgono il proprio dovere non solo con competenza, ma anche con interesse, se non addirittura con amore. Ma per quanto un sostituto materno riesca a svolgere bene il proprio lavoro, è di norma il genitore a essere più incentivato a coltivare e sviluppare un legame stretto con il proprio bambino.


Quando il legame che si instaura con il genitore è sano, un bebè – che chiameremo Michael – potrebbe dire (se sapesse parlare):

“Mi sento protetto e al sicuro. Sono soddisfatto perché la mia mamma mi è vicina e mi consola. Se sono infelice basta piangere, e lei accorre per farmi stare meglio. Ma più di tutto, mi sento bene quando mi stringe tra le braccia e mi canta una canzone. Allora, le rispondo con un versetto e lei è felice di vedermi sorridere e di ascoltare la mia voce. Le voglio sempre più bene e so che anche lei me ne vuole.”

Modelli operativi interni

Michael ha una visione del mondo molto diversa da quella di Timmy. Per usare le parole di Bowlby, ogni bambino crea uno specifico modello operativo interno del suo mondo6. Questo significa che il bambino inizia a prevedere nella propria mente come verrà trattato nel nuovo mondo extrauterino. Tale previsione o aspettativa si basa sulle prime esperienze di interazione con le persone che si prendono cura di lui. Michael si sta creando una rappresentazione interna in cui si sente protetto; il modello positivo di un mondo nel quale sua madre è veramente accessibile e solerte rispetto alle sue necessità.

Sa che la mamma si prenderà cura di lui senza farlo aspettare. Non solo comincia ad essere sicuro dell’affetto dei suoi genitori, ma anche di essere amato da molte altre persone: sente e si aspetta che il “suo” mondo sia un posto sicuro, amichevole e tranquillizzante, pronto e desideroso di dargli gioia, protezione e sostegno. Michael prova una sensazione di ottimismo, il suo bicchiere è “mezzo pieno”; ha imparato, attraverso l’esperienza personale, che tutto andrà bene e che può sentirsi fiducioso, pieno di coraggio e felicità.


Timmy, per contro, ha costruito un modello operativo interno insicuro in quanto a continuità e prevedibilità dell’accudimento. Proprio mentre si sta abituando a sua madre, iniziando a legarsi a lei, ecco che si presenta Betty; poi è la volta di Agata; e ancora delle diverse educatrici del nido. Per Timmy, questi cambiamenti costituiscono tre princìpi negativi fondamentali, ormai interiorizzati:

  • “Non posso fidarmi delle persone che si prendono cura di me: è possibile che siano assenti nel momento del bisogno”.

  • “Non mi sento protetto e benvoluto, credo di non essere degno d’amore. Il mio mondo è imprevedibile, le persone vanno e vengono, senza darmi il necessario sostegno”.

  • “Devo diventare autosufficiente e non dipendere da nessuno”. A causa di questi sentimenti negativi, Timmy vive sopraffatto dal pessimismo.

Le previsioni di un bambino – i suoi modelli operativi – dipendono fondamentalmente dall’esperienza maturata sulla condotta assunta in passato, e fors’anche nel presente, dalle persone che si sono occupate di lui. Bowlby sostiene che gli atteggiamenti e le rappresentazioni precoci derivanti da queste prime relazioni, lungi dall’essere dimenticate, influenzano le successive esperienze dell’età adulta. Tali rappresentazioni colorano le percezioni e le interpretazioni degli eventi elaborate dal bambino, oltre a condizionarne le esperienze, desiderate o rifuggite.

Nel suo La separazione dalla madre, Bowlby afferma:

Pertanto, un individuo fortunato perché cresciuto in una buona famiglia normale, con genitori normalmente affettuosi, sa distinguere da sempre le persone da cui aspettarsi sostegno, consolazione e protezione, e sa dove trovarle. Le sue aspettative sono radicate così in profondità e hanno ricevuto così tante conferme da rendere difficile, in età adulta, immaginare un mondo diverso. Questo gli dà la sicurezza quasi inconscia che quantunque e ovunque dovesse trovarsi in difficoltà, troverà sempre figure affidabili pronte a soccorrerlo. Il suo approccio con il mondo sarà quindi fiducioso, e di fronte a potenziali situazioni di pericolo, sarà in grado di affrontarle con efficacia, o di richiedere l’aiuto necessario.”7


Tuttavia il nostro maggior interesse in questa sede sono i piccoli esposti al continuo cambiamento delle figure di riferimento – situazione che ne mina la capacità di formare un attaccamento sicuro.


È probabile che questi bambini si creino modelli operativi interni che prevedono un mondo inaffidabile e imprevedibile, e che si sentiranno quindi meno importanti, stimabili e amati, da chi si prende cura di loro.


Purtroppo non si tratta di una semplice percezione o di un atteggiamento infantile; al contrario, secondo il parere degli esperti di salute mentale, i sentimenti di autosvalutazione e di pessimismo possono agire da forze negative nel corso della vita (si veda il capitolo IV). La stessa prognosi infausta è stata espressa in modo eloquente dalla psicoterapeuta infantile Selma Fraiberg: nei primi anni di vita, quando si sviluppano le prime relazioni tra genitori e figli, è possibile che milioni di bambini imparino che tutti gli adulti sono “sostituibili, che l’amore è incerto, che l’attaccamento umano è un investimento pericoloso8.

Ansia da estranei

Tra i 4 e gli 8 mesi, quando l’attaccamento con i genitori o i sostituti si fa più forte, il bambino comincia a essere più selettivo rispetto a coloro ai quali dare confidenza. Può mostrarsi agitato o preoccupato all’improvvisa comparsa di un estraneo, sia esso un nonno o un altro parente poco frequentato, o un volto barbuto mai visto prima o qualcuno che indossa una nuova montatura di occhiali, o ancora una persona con un diverso colore della pelle; ognuna di queste figure può metterlo in forte agitazione, facendolo scoppiare in un pianto dirotto.


Alcuni genitori sono infastiditi dalla reazione da “ansia da estranei”, colti dal timore che il loro bambino, prima così socievole, stia perdendo la sua solita simpatia. Ma le improvvise crisi di pianto aggrappati spasmodicamente al genitore, il nascondersi dal nuovo venuto sono sintomo della capacità del bambino di distinguere ciò che gli è familiare da ciò che gli risulta estraneo, e dimostrazione di un maggior discernimento, oltre che conferma dello sviluppo corretto e regolare del processo di attaccamento tra bambino e genitore (o tra bambino e sostituto).


C’è, fra l’altro, una grande variabilità nei tempi con cui l’ansia da estranei tende a manifestarsi. Alcuni bambini passano da un adulto all’altro con assoluta serenità fino al termine del primo anno di vita, mentre altri mostrano grande disagio nell’abbandonare quanto è loro familiare per ciò che non lo è già a partire dai tre mesi di vita.


L’ansia da estranei ha anche un significato legato alla sopravvivenza. In natura, ogni specie ha la capacità di distinguere tra ciò che viene riconosciuto come familiare e quindi sicuro, da ciò che è diverso, sconosciuto e quindi potenzialmente pericoloso. Questo è il motivo per cui, di fronte a specie diverse dalla loro, i cuccioli corrono subito dalla madre in cerca di protezione e conforto. Allo stesso modo, anche i bebè cercano la protezione di un genitore o di una persona nota alla comparsa di un estraneo. Se la madre si mostra accogliente e affettuosa nei confronti del nuovo venuto, comunicando al bambino di trovarsi al sicuro, questi riacquisterà più in fretta il proprio senso di sicurezza (a tale proposito, sarebbe auspicabile che i nuovi arrivati evitassero di “lanciarsi” sul piccolino, abbracciandolo o baciandolo con slancio non appena lo vedono).


Sebbene l’intensità della reazione da “ansia da estranei” tenda ad affievolirsi nel giro di pochi mesi, il processo di attaccamento e di bonding tra bambino e genitore o figura di riferimento continua a svilupparsi, rafforzandosi nel corso della crescita. L’ansia da estranei, tuttavia, non scompare mai completamente, ma si ripresenta ciclicamente nell’arco dell’esistenza, con intensità variabile a seconda del livello di “estraneità” o di pericolosità di una determinata situazione, così come sulla base del relativo grado di sicurezza dell’attaccamento sviluppatosi durante i primi anni di vita.

La “base sicura”

Verso la fine del primo anno, man mano che si sviluppa il processo di bonding e l’attaccamento alla figura di riferimento diventa più sicuro, il bambino tende ad allontanarsi di frequente dal genitore per esplorare lo spazio intorno a sé. Questo avviene quando il bambino si sente sicuro e sa dov’è il genitore, la cui presenza garantisce quella che Mary Ainsworth descrive come “base sicura”9. Dopo un intervallo esplorativo, il bambino ritorna dal genitore, o da chi si occupa di lui, per verificarne la presenza. Quando si sentirà rinvigorito dalla presenza dell’adulto, se ne andrà di nuovo. Questo schema di avanti/indietro si ripete senza variazioni, con la figura di accudimento che funge da àncora emotiva necessaria al processo di esplorazione.

In questo contesto sono due i sistemi in atto: quello di attaccamento e quello, reciproco, di esplorazione. La curiosità spinge il bambino ad allontanarsi temporaneamente dalla base sicura per avventurarsi nell’esplorazione del mondo esterno. In Diario di un bambino, Daniel Stern descrive in modo drammatico i sentimenti di Joey mentre, a un anno, si stacca dalla madre. Dice Joey:

All’improvviso mi sento perso, non trovo le stelle della mamma e le sue linee di forza si sono indebolite. Lo spazio diventa sempre più grande, senza limiti; nessuno mi tiene; io mi dissolvo come granelli di sale nell’oceano dello spazio. È il panico”.

Udendone i richiami, la madre lo raggiunge. Joey racconta:

Di nuovo con lei, nel punto sicuro, il panico si scioglie lungo la pelle del mio petto e del mio collo. La quiete, dalla superficie, si irradia all’interno e sulla sua scia, ritrovo me stesso. La forza della sua presenza mi strappa allo spazio… sento la calma invadermi. Ma pian piano eccomi di nuovo attratto dall’immensità intorno a me che, flebile, torna a chiamarmi10.

Anche da adulti ci rendiamo conto che avere una relazione sicura su cui contare ci permette di essere più avventurosi, creativi e attivi. Per esempio la mia vicina, il cui marito era partito come Marine per una missione molto rischiosa, nei dieci giorni della sua assenza aveva avuto difficoltà ad allontanarsi da casa, a leggere e a svolgere le attività quotidiane. Al rientro del marito, lei aveva avvertito come una grigia cappa di ansia diradarsi, ed era quindi riuscita a recuperare la sua solita espansività.


Bowlby sostiene che entrambi i genitori possono fornire “a un bambino o a un adolescente una base sicura dalla quale fare brevi puntate nel mondo esterno e alla quale rientrare con la certezza di essere ben accolti, nutriti nel fisico e nell’anima, confortati nei momenti di crisi e rassicurati in quelli di paura11. E aggiunge che “nessun genitore sarà in grado di fornire una ‘base sicura’ a un figlio senza la comprensione intuitiva e il rispetto del suo comportamento di attaccamento, e senza considerarlo parte intrinseca e degna di valore della natura umana12.

Un attaccamento sicuro si rafforza quando il genitore, lasciato il figlio in un ambiente estraneo, lo va a riprendere e lo consola, accarezzandolo e accettandone la tristezza e la rabbia. Se, al contrario, lo respinge e lo deride invece di alleviarne la sofferenza, quel genitore non dimostra alcun rispetto e nessuna comprensione per la sua ansia. Non riuscendo a consolare il figlio, mette a repentaglio la creazione di una base sicura e limita il comportamento esplorativo del bambino.


Nei prossimi capitoli mostreremo come la costituzione di una base sicura attraverso la presenza, positiva e costante, della madre o di una diversa figura di riferimento, non si limiti a incoraggiare il bambino alla libera esplorazione del proprio ambiente fisico, ma lo renda altresì giocoso, assorto, curioso e pronto a imparare e a padroneggiare ogni possibile esperienza.

In merito alla costituzione di una base sicura riferita a pochi adulti affidabili, il Carnegie Report afferma: “Nei primi tre anni di vita c’è molto da apprendere, da padroneggiare, da sperimentare con scarsi risultati e molto da scoprire e da mettere a frutto. Sarebbe auspicabile che questo periodo di apprendimento si svolgesse a stretto contatto con adulti premurosi e protettivi che assumessero funzioni di guida, stimolo e sostegno. Per chi si prende cura di un bambino, si tratta di un compito a lungo termine ed estremamente impegnativo. L’accudimento gestito da pochi adulti affettuosi, sensibili e affidabili, infatti, è garanzia di un attaccamento solido e di una base sicura dalla quale muoversi alla scoperta di un più vasto mondo fisico e sociale. Un attaccamento sicuro precoce è essenziale allo sviluppo umano13.

Ansia da separazione

L’ansia da separazione si manifesta allorquando il bambino, d’improvviso, si sente non protetto e la figura di attaccamento non è presente a offrirgli consolazione. Come si è visto, quando un bambino di età inferiore a due anni si sente al sicuro, è più disposto a esplorare l’ambiente circostante e ad allontanarsi da chi si prende cura di lui; se è stanco, ansioso, preoccupato o indisposto, sente, al contrario, il bisogno di stare vicino al genitore o al suo sostituto. Ma che cosa accade quando chi si occupa di lui si allontana? Questo è tutto un altro problema.


Se il genitore o un’altra figura di riferimento si sposta in un’altra stanza, o chiude la porta che lo divide dal bambino, è molto probabile che questi pianga e protesti con veemenza. Tale reazione, definita “ansia da separazione”, ha luogo quando, dal punto di vista del bambino, il genitore risulta inaccessibile e non disponibile a offrire conforto e protezione. Possono seguire pianti, strilli, abbracci serrati e tante altre drammatiche manifestazioni volte al ritrovamento del genitore o messe in atto per attirare l’attenzione del suo sostituto. È tipico l’esempio delle madri che non riescono neppure a chiudere la porta del bagno per un po’ di privacy senza far erompere in un pianto disperato il figlio abbandonato a se stesso.


È la protesta del bambino che dichiara il valore speciale della sua mamma. Noi tendiamo a dare un significato negativo a queste manifestazioni (così come all’ansia da estranei) perché la reazione emotiva del bambino è molto violenta e insistente. In realtà, rabbia e separazione sono da interpretare come una risposta positiva, a conferma del buon legame tra genitore (o sostituto) e bambino, che si sta sviluppando in modo appropriato. Quando il genitore ricompare, la protesta in genere si ferma; il bambino ancora una volta si sente confortato dalla presenza del genitore. Oltre ad essere un fenomeno normale, una reazione tanto violenta alla separazione è del tutto prevedibile in bambini da uno a tre anni di età.


Se durante il secondo anno di vita il bambino non mostra alcun segno di angoscia o di diffidenza all’allontanarsi del genitore o del suo sostituto, allora è possibile che non si sia venuta a creare una relazione stretta con quella persona. Potrebbe anche essere che il bambino si sia fatto “distaccato” o “evitante” e che non abbia sviluppato, nel primi e fondamentali anni di vita, un attaccamento e un legame sicuro con la principale figura di riferimento.


Durante i primi dodici mesi del bambino, tutti i genitori si trovano a doversi separare da lui per svariati periodi e per svariate ragioni: una telefonata, la spesa, il cinema o il lavoro, uno svago o un viaggio. E per quanto accese risultino le loro proteste, i bambini sotto i due anni sanno tollerare brevi intervalli di separazione. Dopo tutto, è bene che genitori e loro sostituti si concedano qualche attimo di respiro nelle ore e nelle giornate interamente dedicate ai loro piccoli. Assenze più prolungate – di lavoro, di svago o legate a un viaggio – possono, tuttavia, ingenerare una reazione più profonda che va a peggiorare il livello di ansia da separazione.


Quello che i genitori possono fare per ridurre al minimo il dolore legato all’ansia da separazione è preparare il bambino, specialmente durante il secondo semestre di vita, a tollerare assenze e distacchi, formulando, ad esempio, un rito verbale dell’“arrivederci”. Il genitore, prima di allontanarsi, può dire: “ciao, ciao, ora vado a fare la spesa” (o in banca, in posta); o ancora “ciao, ciao, vado in cucina” (in bagno, di sopra). Il bambino forse non capirà il significato delle parole, ma inizierà a collegare quel suono al fatto che ci sarà una separazione.


Sebbene possa sembrare più facile “svignarsela”, ignorando gli strilli di reclamo, tale comportamento rischia di minare la fiducia del bambino: quando questi scopre che il genitore se n’è andato senza il rito dell’“arrivederci” o altra prassi analoga, sente di non poter contare sulla sua presenza. A quel punto avvertirà il bisogno di mantenere una costante vigilanza, con un occhio sempre attento al genitore o a chi si prende cura di lui.


Se, al contrario, il bimbo viene preparato con scrupolo attraverso l’atteso rito dell’“arrivederci”, si sentirà più sicuro, tranquillo e fiducioso: sa che il genitore non scomparirà all’improvviso senza il solito rituale di preavviso. La preparazione del bambino ai brevi distacchi secondo tali modalità non è solo indice di rispetto dei suoi sentimenti, ma anche strumento di prevenzione dell’“attaccamento ansioso”, condizione che verrà illustrata a breve.


L’ansia da separazione non si limita ai primi anni di vita; è infatti una risposta emotiva che spesso si ripresenta nel corso dell’intera esistenza; e, come l’ansia da estranei, tende ad avere intensità variabile a seconda del livello di estraneità e di pericolo percepito in una determinata situazione, oltre che del grado di sicurezza raggiunta nei diversi legami di attaccamento sviluppati nel corso dei primi anni di vita del bambino. L’inizio dell’asilo, la frequenza della scuola materna, la partenza per un campo estivo, o ancora restare a una festa di compleanno o a dormire da un amichetto, sono tutte esperienze che possono risvegliare questa forte ansia. Persino ad adolescenti in partenza per un viaggio, o che dovrebbero teoricamente affrontare in autonomia un’avventura o un nuovo percorso scolastico e universitario, capita di vivere la stessa sofferenza da separazione. Emozione che, con la sua violenza, non risparmia neppure gli adulti, quando si sentono soli e indifesi. L’ansia da separazione, infatti, colpisce a ogni età e ogni qual volta ci si senta vulnerabili e lontani dalla propria figura di attaccamento.

Modelli di attaccamento: sicuro, ansioso e distaccato

Sono molti gli psicologi che hanno cercato di classificare i diversi modelli di attaccamento, prima fra tutti la psicologa infantile Mary Ainsworth che, all’inizio degli anni Sessanta, li descrisse in una ricerca da lei promossa. La Ainsworth elaborò una procedura di laboratorio definita Strange Situation [“situazione strana”, N.d.T.] per poter osservare la risposta del bambino sia alla separazione che al ricongiungimento con la figura di riferimento14. In questo modo riuscì a identificare tre modelli: l’attaccamento sicuro, l’attaccamento ansioso-resistente e l’attaccamento ansioso di tipo evitante. È da notare che la ricerca fu condotta su coppie madre-bambino, senza considerare sostituti materni. Dopo di lei altri psicologi, tra cui Mary Main, Alan Sroufe e Alicia Lieberman, cercarono di descrivere vari modelli di attaccamento.

Ma al di là delle classificazioni usate dai suddetti esperti, ritengo che risulti più utile pensare all’attaccamento come parte di un continuum che va dall’attaccamento sicuro da un lato al bambino distaccato all’estremo opposto. Obiettivo principale di un buon genitore è cercare di assicurare al bambino l’attaccamento più sicuro possibile.


Prima di descrivere i vari modelli di attaccamento, bisognerebbe tenere a mente che ogni bambino è dotato di un’indole e di una sensibilità agli stimoli unica, e nasce con una personalità individuale che reagisce al distacco con intensità diversa. Il bisogno di protezione, da lui percepito in situazioni nuove o spaventose, varia a seconda dei casi. È altresì vero che le differenze di temperamento possono creare difficoltà nel processo di attaccamento. Certi bebè, rispetto a bimbi più tranquilli, appaiono difficili se lasciati piangere a lungo o maneggiati in modo brusco, con il risultato di un attaccamento meno sicuro. D’altro canto i neonati tranquilli corrono il rischio di essere ignorati o scarsamente stimolati alla creazione di un legame intimo.


Anche il tempo necessario a sentirsi sicuro in ambienti non familiari può variare da bambino a bambino. Sta tuttavia al genitore, o al sostituto, sensibile imparare a riconoscere e a rispettare le caratteristiche individuali del figlio nel processo di realizzazione di una base sicura.


Infine capita a quasi ogni bambino di mostrare, in determinate situazioni, comportamenti specifici del modello ansioso, evitante o distaccato. L’atteggiamento insolito e inquietante rilevato dal genitore può essere dovuto alla combinazione dell’indole e della sensibilità uniche del proprio figlio con le tensioni e le pressioni esercitate dall’ambiente in quel momento, o nel passato recente.


I modelli di attaccamento che verranno descritti sono stati osservati in bambini nel loro secondo anno di vita, e hanno mostrato una certa tendenza a mantenersi, con relativa costanza, per tutta la vita. Gran parte dei teorici dell’attaccamento ritengono che la qualità della relazione tra il bambino e chi si prende cura di lui è il principale fattore determinante il modello di attaccamento, che si mantiene relativamente costante durante gli anni della crescita.


Il bambino con un attaccamento sicuro è in grado di esplorare un ambiente estraneo, può protestare al momento della separazione dalla madre (o dal suo sostituto) che, una volta rientrata, gli permette – grazie alla propria presenza rassicurante – di riprendere a esplorare o a interagire col mondo.


Quando viene introdotta una minore fonte di stress, questi bambini non manifestano eccessiva diffidenza. Tuttavia, separati dalla madre, vanno immediatemente, e con successo, alla sua ricerca e si mostrano tranquillizzati dalla sua presenza. Come già detto, un genitore in sintonia con i segnali inviati dal bambino e sensibile alle sue richieste di consolazione e protezione favorisce un attaccamento sicuro. Ne consegue pertanto che l’imprevedibile viavai di un genitore, oltre che l’introduzione di diversi sostituti, rappresentano una reale minaccia per la formazione di un attaccamento sicuro.


Julia, 22 mesi, è una bambina con un attaccamento sicuro. Entrando in una casa nuova, non si stacca dalla sua mamma. Ha bisogno di sedersi sulle sue ginocchia per cinque minuti per potersi sentire a suo agio. L’adulto estraneo porta alcuni giochi e li posa sul pavimento. Subito Julia lascia la mamma e si mette a manipolare gli oggetti. Ogni tanto si volta a guardarla e poi rivolge di nuovo il suo interesse ai giocattoli. Dopo un po’ le chiedono se vuole del succo di mela. Julia accompagna la padrona di casa in cucina e ritorna da sua madre con la tazza in mano. All’improvviso la porta si apre e il marito dell’amica arriva con un grosso cane. Julia si spaventa e immediatamente corre da sua madre e comincia a piangere. La madre, lesta, la prende in braccio, la consola, se la tiene vicina ed esclama: “che bel cagnolino hai!” Passa qualche minuto e, sentendosi protetta tra le braccia di sua madre, Julia smette di piangere e rimane subito incantata dal soffice cagnone che gira per casa. Quando le capiterà di tornare in quella casa, Julia accarezzerà il cane e non rivivrà più il panico della prima volta.


Un bambino con attaccamento ansioso non sa se il genitore si renderà disponibile o attento ai suoi richiami, e si mostra meno capace di sfruttare la figura che si prende cura di lui come sicura base esplorativa perché la sente inaccessibile o indifferente. Di solito, più l’accudimento è stabile e prevedibile, più l’attaccamento risulterà sicuro; maggiore è la discontinuità, l’inaffidabilità e l’imprevedibilità dell’accudimento, e maggiore sarà l’ansia presente nell’attaccamento alla principale figura di riferimento.


Si prenda ad esempio Jennifer, 14 mesi, che al parco non si stacca mai dalla mamma. Sebbene la madre la incoraggi, lei ha paura di allontanarsi dalla panchina dove sono sedute per andare a giocare nella vasca della sabbia. Jennifer ha così paura di perdere il contatto fisico con la madre che le sta sempre addosso. Non si sente sicura neppure in sua presenza; rimane costantemente vigile rispetto alla minaccia di separazione. Non c’è comportamento esplorativo, né godimento delle gioie offerte dal parco, per l’incessante necessità di Jennifer di restare attaccata alla madre.


Bambini come Jennifer, classificati come ansiosi nell’esperimento di strange situation, si mostravano riluttanti a separarsi dalla madre nonostante venisse loro mostrata una serie di giocattoli allettanti. Turbati quando la mamma li lasciava, non trovavano consolazione neppure al suo rientro. Continuavano ad agitarsi, e anche se presi in braccio e abbracciati, si dimenavano arrabbiati. Non erano più in grado di riacquistare l’equilibrio emotivo necessario per tornare a giocare.


Questi bimbi vivono fondamentalmente in un stato d’ansia perenne, senza sapere se i genitori saranno con loro quando avranno bisogno di conforto. L’attaccamento al genitore e la riluttanza verso l’esplorazione sono i tratti salienti del comportamento ansioso, che può manifestarsi quando il genitore è a tratti disponibile e attento, e in altri momenti respingente, distaccato e poco collaborativo. Al mattino, ad esempio, questi bambini hanno difficoltà a separarsi dai genitori per andare a scuola, non fanno amicizia con facilità con gli altri bambini né si lasciano coinvolgere nelle attività di gioco. Purtroppo si sentono in ansia al pensiero di quando la mamma o il papà verranno a prenderli. Sono bimbi che non traggono vantaggio dalle esperienze scolastiche quanto i bambini “sicuri”, che si sentono liberi di concentrarsi e di relazionarsi con i compagni e gli insegnanti.


Al contrario, i bambini evitanti o distaccati si aspettano di essere rifiutati e respinti dalle persone che si prendono cura di loro, e quindi cercano di diventare emotivamente autosufficienti e indipendenti.

Timmy, di cui si è parlato nel capitolo I, a 18 mesi è l’esempio perfetto di questo modello di attaccamento. Bambini come Timmy vengono spesso descritti come “distaccati”: si separano facilmente dalla mamma, si mettono a giocare con i giocattoli a loro disposizione e in genere non mostrano diffidenza nei riguardi degli estranei. Né piangono quando la madre se ne va. Tuttavia, al suo rientro, questi bambini la evitano di proposito. Aumentano la distanza che li divide e continuano a rifiutare il contatto. Maggiore è la tensione, maggiore è il rifiuto di farsi consolare. Sroufe e Waters scoprirono (misurando la frequenza cardiaca) che i bambini distaccati si sentivano turbati dal ritorno della persona che si prendeva cura di loro. Un risultato in netto contrasto con il gruppo dei bambini sicuri, subito consolati e confortati dalla presenza della madre15.

Alcuni bambini distaccati ricordano Barbara, due anni, che ha una storia di attaccamento caotico legata a più figure di accudimento sin dall’età di 16 mesi. È difficile catturare la sua attenzione. Non ti guarda mai, ma sembra ossessionata da ciò che vuole. Frustrata dal non poter ottenere quello di cui sente il bisogno, si mette a strillare ma non trova consolazione né si tranquillizza quando, alla fine, riesce nel suo intento. Barbara non rispetta i limiti consueti; anche quand’era molto piccola usciva dalla culla, correva fuori casa e si metteva in pericolo. Sua madre riferisce che si consola picchiandosi la testa a ritmo. Non solo è distaccata, ma anche aggressiva e rifiuta le persone adulte deputate a prendersi cura di lei. Barbara non piace a nessuno, anche se ha solo due anni: viene spesso etichettata come “il seme cattivo”, “Piccolo Grattacapo” o “demonietto”. Non è insolito in bambini come Barbara crescere senza la capacità di dare e ricevere affetto, mostrando comportamenti aggressivi nei confronti degli altri oltre che atteggiamenti autolesionistici. È facile immaginare quale triste futuro si prospetti per Barbara. Anche con l’intervento di una psicoterapia intensiva, la prognosi resta infausta.


Nei casi come quello di Barbara, l’assenza di frequenti cambiamenti d’ambiente e di figure di accudimento avrebbe favorito lo sviluppo di un attaccamento più sicuro. Al contrario, un accudimento imprevedibile e insensibile, la continua sostituzione delle figure di riferimento, le innumerevoli perdite e le lunghe separazioni hanno predisposto la bambina a sviluppare un distacco estremo, e un comportamento elusivo e negativo.

Bowlby fa notare che un modello, “una volta sviluppatosi, tende a persistere”, e che tale modello ha la tendenza a perpetuarsi perché “il modo in cui un genitore tratta il bambino tende a non modificarsi”. È dunque chiaro come sia l’ambiente creato dai genitori – più che l’ereditarietà – il fattore determinante, la cui eco continua a ripercuotersi negli anni. Bowlby afferma che “la stabilità del modello, quando si verifica, non può essere attribuita al temperamento innato del bambino, come a volte si è sostenuto. Tuttavia, con gli anni, tale modello diventa patrimonio del bambino stesso, che quindi tenderà a imporlo, o a imporne qualche manifestazione, alle nuove relazioni quali quella con un insegnante, con la madre affidataria o con il terapeuta16.


Bowlby ritiene che tale modello venga interiorizzato dal bambino, che pertanto sviluppa un comportamento di attaccamento prevedibile nella sua coerenza.

L’eredità delle separazioni e delle perdite: protesta, disperazione e distacco

Tutti noi conosciamo bene le emozioni che si scatenano violente nel momento in cui un genitore affida il suo bambino a un’altra persona. La reazione immediata alla separazione dal genitore o dalla figura di riferimento è di solito quella di protestare piangendo, urlando e comportandosi in modo rabbioso. Tale comportamento, deciso, chiassoso e sfacciato, ha lo scopo di richiamare il genitore o il suo sostituto, recuperandone la stretta vicinanza. Tuttavia, dopo qualche giorno di proteste e intemperanze intermittenti, vedendo che il genitore non ricompare, il bambino sembra rinunciare agli attacchi d’ira, per lasciarsi travolgere dalla tristezza, dalla depressione e dalla disperazione; reazioni dovute innanzitutto all’ansia e alla preoccupazione che scaturiscono dalla mancanza del conforto, del sostegno e della presenza rassicurante del genitore.


Il distacco è ulteriormente aggravato dall’assenza di linguaggio, dallo scarso livello di comprensione e dall’incapacità di comunicare. Senza capire quanto gli accade, il bambino percepisce solo che il genitore non tornerà mai più.

Come ricorderete, quando Timmy fu abbandonato dalla prima tata, la sua reazione fu quella di dormire per gran parte del tempo. Aveva smesso di gattonare e di esplorare come faceva prima, era depresso e disperato. Alcuni filmati girati da James Robertson (un assistente sociale che si dedicò allo studio del processo di separazione) mostrano gli effetti di quest’ultima su bambini “normali” di 18 mesi nell’Inghilterra degli anni Cinquanta. Le riprese rappresentano il dramma di questi piccoli che, giorno dopo giorno nei dieci giorni di ricovero ospedaliero delle madri, si abbandonano alla tristezza, all’isolamento e all’inerzia17. Del bambino dai 18 ai 24 mesi Robertson scrive: “se un bimbo viene allontanato dalla madre a questa età, quando le è attaccato con particolare possessività e veemenza, è come se il suo mondo andasse in pezzi. Il bisogno viscerale di lei rimane inappagato e la frustrazione e il desiderio possono farlo impazzire di dolore. Ci vuole uno sforzo di immaginazione per sentire l’intensità di una tale sofferenza.


Il piccolo è sopraffatto come qualsiasi adulto che abbia perso la persona amata. Per un bambino di due anni, incapace di comprendere e di tollerare la benché minima frustrazione, è come se la madre fosse davvero morta. Lui non conosce la morte ma solo l’assenza; e se l’unica persona che può soddisfarne l’impellente bisogno è assente, per lui può anche essere morta, tanto dilaniante è il senso di perdita18.

Rapportandosi al senso di perdita di un bambino, le figure sostitutive che si prendono cura di lui possono sentirsi sollevate dall’arresto delle reazioni di protesta, alle quali subentrano inerzia e depressione. Il piccolo diventa più gestibile, dorme di più e causa meno problemi. È tuttavia ancora immerso nel proprio dolore, che viene espresso in modo diverso. È simile agli adulti in lutto, sopraffatto da ondate di tristezza che vanno e vengono.


Dopo una separazione di tre o quattro settimane il bambino, inizialmente arrabbiato, poi triste, può apparire freddo, distante e insensibile. Alla fine diventerà quello che viene definito un bambino “distaccato”. In risposta al dolore di una separazione prolungata, il soggetto si mostra ferito emotivamente, e per difendersi dalla sofferenza, inizia a comportarsi come se non gli importasse più di niente. Si trastulla e si consola ricorrendo al gioco solitario o a comportamenti autoconsolatori (come succhiarsi il dito in modo ossessivo, masturbarsi, cullarsi, attorcigliarsi i capelli con le dita e battersi la testa). Il processo di distacco ha implicazioni che possono protrarsi per tutta la vita. Anche da adulti questi bambini avranno difficoltà a fidarsi del prossimo, tradotte nell’incapacità di sviluppare e mantenere relazioni intime e profonde. Si tratta di individui che sentono di doversi fidare solo di se stessi, di dover essere totalmente autosufficienti, negando il proprio bisogno di conforto e sostegno (vedi il capitolo IV). Ci saranno momenti in cui la rabbia che cova dentro di loro esploderà improvvisa, alienandoli ulteriormente dalle persone che più stanno loro vicine.

Separazioni a lungo termine

Le separazioni a lungo termine, specie nel caso di bambini sotto i due anni, richiedono un’attenzione e una preparazione ancora più scrupolose.


Per un bambino nel secondo anno di vita, soprattutto se non sa ancora parlare, un distacco di oltre 24-48 ore può risultare molto pesante. Il motivo è che a quell’età non si è ancora sviluppato il senso del tempo. Eppure gli impegni di lavoro portano spesso i genitori ad allontanarsi per una o più notti. Tali separazioni aggravano l’ansia vissuta dai bambini in età preverbale, che non sono ancora in grado di capire il significato di un distacco di tre (o più) giorni. Per il bimbo si tratta semplicemente di abbandono, che lo porta a reagire con sgomento, ansia e rabbia.


Si prenda ad esempio una situazione analoga all’interno di una coppia in cui uno dei due esce al mattino per andare al lavoro e sta via per tre giorni e tre notti senza farsi vivo neanche con una telefonata. È probabile che l’altro, rimasto a casa, dapprima preoccupato, poi arrabbiato, alla fine concluda che è successo qualcosa di terribile, un incidente o un delitto. Preoccupazione, paura e dolore vanno aumentando. Tuttavia gli adulti dispongono di risorse per far fronte a situazioni del genere: possono fare una telefonata, chiedere notizie ad amici e parenti o chiamare la polizia. Il bambino invece, senza strumenti a cui aggrapparsi, resta in balia dell’angoscia più opprimente.


Se i genitori si allontanano per più di due o tre giorni, al proprio rientro non si stupiscano di trovare sulle prime un bambino respingente ed esitante nei loro confronti. Dovrebbero altresì aspettarsi atteggiamenti molto negativi – appiccicosità, piagnistei e ribellioni – anche nei giorni immediatamente successivi. Sarebbe consigliabile, se possibile, programmare viaggi insieme a lui; il che di certo presenta alcuni inconvenienti, ma garantisce al bambino tutti i vantaggi dalla sicura presenza dei genitori. Ecco un esempio:


Pauline e suo marito si concedono un viaggio di tre settimane con il proprio bambino. Non potendosi permettere di portarsi dietro una tata, decidono di rivolgersi al servizio di baby-sitting offerto dall’hotel. Pauline è più tranquilla perché sta con il bambino per buona parte del giorno e della notte. Va da sé che anche il bambino è ben più felice di ritrovare i genitori dopo la breve separazione giornaliera, piuttosto che doversi separare da loro per le tre settimane previste dal viaggio.


Se la separazione (dovuta, ad esempio, alla morte o alla malattia di un familiare) ha luogo nel secondo anno di vita, una figura di riferimento nota al bambino che passi qualche giorno a casa con lui lo saprà aiutare a superare il disagio, magari creando un album di fotografie di mamma e papà, di immagini di macchine, aerei o treni o ancora dei posti in cui si trovano i genitori (per esempio una camera d’albergo). L’album sarà mostrato al bambino, mentre lo si rassicura dicendogli che mamma e papà “stanno per tornare”. Anche la preparazione di un video potrebbe essere una buona idea: con una semplice videocamera, uno dei genitori (o il sostituto) si riprende mentre legge o racconta la favola preferita del bambino, che potrà quindi riascoltarla in video tutte le volte che vorrà: attraverso la videocassetta, mamma o papà – o una diversa figura di riferimento – gli parlerà in tono rassicurante del suo ritorno a casa e il piccolo avrà modo di crearsi delle immagini visive che diano forma alla separazione in atto, riducendone l’ansia. Le telefonate (con tanto di pianti e proteste) sono un ulteriore espediente per alleviare la pena: anche se non è in grado di esprimersi, il bimbo può sentire le voci dei genitori, e raffigurarseli, mantenendone così viva l’immagine.


Quando la principale figura di riferimento è una persona pagata, nel momento in cui la si sostituisce si sottopone il bambino di età inferiore a due anni a uno stress emotivo molto pesante, poiché di solito non gli viene più dato modo di rivederla. La perdita permanente del sostituto materno, con cui si è stabilito un legame di attaccamento, è paragonabile alla morte di un familiare molto stretto: i sentimenti e il comportamento manifestato dal bambino sono riferibili a un lutto.


Come si è visto, le perdite e le separazioni a lungo termine contribuiscono a sgretolare il senso di fiducia del bambino, che arriva a pensare di non potersi arrischiare in un legame per timore di perderlo, diventando così ansioso, chiuso e distaccato per difendersi dal dolore di tale perdita. È altresì vero che un atteggiamento distaccato o negativo può rappresentare uno scudo contro la sofferenza provocata dal legame con un genitore, o un sostituto, presente ma aggressivo, punitivo e per nulla protettivo. Per un bambino sotto i due anni aver fiducia in un genitore del genere, e provare affetto per lui è semplicemente troppo rischioso.


L’analisi della teoria dell’attaccamento si è concentrata soprattutto sui bambini da 0 a 2 anni. Tuttavia il comportamento di attaccamento non riguarda esclusivamente i più piccoli. Nei momenti di ansia anche i bambini più grandi, gli adolescenti e gli adulti si rivolgono a una figura di accudimento, a un genitore, a un amico o al coniuge in cerca di sostegno, conforto e protezione. L’attivazione del comportamento di attaccamento è normale e universale. Persino una breve carrellata sulla letteratura, sul teatro e sulla musica popolare rivela che i temi ricorrenti sono legati all’attaccamento: il dolore del rifiuto, la gioia del ricongiungimento, la tristezza della perdita, la paura e l’angoscia della separazione e infine la speranza e il desiderio di un amore corrisposto.

La teoria dell’attaccamento ci aiuta a comprendere il costante bisogno di attaccamenti sicuri, il significato profondo di separazione e perdita e il valore assunto dalle relazioni con gli altri per il resto della nostra esistenza. Bowlby spiega così il significato dell’attaccamento: “Nel corso della vita adulta la disponibilità di una figura di attaccamento attenta e sensibile resta fonte di sicurezza per l’individuo. Ognuno di noi, dalla culla alla tomba, è al colmo della felicità quando la sua vita è organizzata in una serie di escursioni, lunghe o brevi, che partono dalla base sicura offerta da una o più figure di attaccamento”19.

Sempre con lui
Sempre con lui
Isabelle Fox
I vantaggi di essere un genitore a tempo pieno.Quanto è importante stare con il proprio figlio almeno durante i primi due anni di età? Una forte presa di coscienza da parte di una psicologa evolutiva. Sempre con lui è dedicato ai milioni di bimbi piccoli che al giorno d’oggi sono privati del necessario e sano accudimento, per colpa dell’eccessivo impegno lavorativo di entrambi i genitori e della conseguente sostituzione delle principali figure di riferimento. L’autrice Isabelle Fox approfondisce questo fenomeno sociale, offrendo spunti di riflessione e illustrando concetti di vitale importanza per il benessere psicologico dei bambini. Un libro particolarmente ricco di soluzioni e suggerimenti pratici che, compatibilmente con i vincoli familiari e gli impegni lavorativi di mamma e papà, permetteranno di offrire ai bambini la migliore possibilità di sentirsi accuditi, compresi e amati. Conosci l’autore Isabelle Fox è psicoterapeuta da più di 40 anni, con specializzazione in psicologia evolutiva e relazioni genitori-figli. Per 10 anni ha prestato servizio come consulente per la salute mentale per Operation Head Start.