capitolo vi

Perché occuparsi dei figli

Ripercorrendo la storia di gran parte degli adulti di successo, si resta sorpresi dall’enorme somiglianza delle loro prime esperienze di attaccamento. Negli anni della prima e della seconda infanzia, gli adulti intorno a loro – di solito almeno un genitore – hanno fornito non solo un accudimento continuo e adeguato, ma anche un modello e un supporto emotivo. Andiamo allora ad esaminare più in dettaglio alcuni dei vantaggi – prevedibili o inaspettati – relativi alla decisione, da parte di un genitore, di assumere il ruolo di principale figura di riferimento del figlio nei primi anni di vita, e di supervisore emotivamente coinvolto in quelli successivi. Come avremo modo di scoprire, tale coinvolgimento ha implicazioni che si ripercuotono sull’intera esistenza dell’individuo. Secondo il Carnegie Report: “Le prime esperienze con gli adulti che si prendono cura di lui rappresentano i mattoni della sua competenza intellettiva e della comprensione del linguaggio. Toccare, stringere e cullare un neonato, così come stimolare un bambino attraverso il dialogo e la lettura sembrano essere di enorme efficacia per lo sviluppo successivo. Quando questi gesti sono accompagnati da sensibilità e attenzione, favoriscono lo sviluppo di precoci competenze cognitive, che si riflettono, più tardi, sui succcessivi risultati accademici, sulle prestazioni lavorative e sull’adattamento sociale1.

Mentre i primi capitoli di questo libro trattano della mancanza di continuità nell’accudimento nei primi anni di vita, qui parleremo di come anche i bambini più grandi abbiano bisogno di cure costanti e ricche di stimoli, sia in età prescolare sia, più in là, nelle ore dopo la scuola, che rappresentano una fetta consistente della loro quotidianità. A ogni età e in ogni momento, sono innumerevoli le occasioni in cui il bambino può trarre vantaggio dalla presenza di un genitore partecipe e attento che non manca di interagire con lui per mezzo del gioco e della lettura, ma anche attraverso il controllo, la responsabilità e altre modalità relazionali.


Il primo periodo che prenderemo in esame è quello che va dalla nascita a circa due anni, quando la maggior parte dei bambini acquisisce le competenze linguistiche – imparando sia a parlare e capire, sia a formare attaccamenti sicuri. L’argomento è stato ampiamente trattato nei capitoli II, III e IV, in cui ho sottolineato quanto il periodo preverbale tenda ad essere trascurato.


Il secondo periodo è quello che riguarda bambini più grandi che hanno già acquisito competenze linguistiche. È davvero stupefacente come in tale lasso di tempo le capacità cognitive e linguistiche del bambino registrino avanzamenti quasi giornalieri. Il suo sviluppo intellettivo è influenzato dagli adulti presenti nella sua vita. Sono quindi fondamentali le modalità educative, di approccio, e di stimolo adottate da ciascun individuo (un genitore o altre figure adulte) in rapporto al bambino. A tale proposito, vedremo come offrire un ambiente emotivo e cognitivo ricco e stimolante a un fanciullo che, compiuti due anni d’età, è entrato in piena fase verbale.


Una volta a scuola, materna o elementare, dove il piccolo trascorre buona parte della propria giornata, il tempo che il genitore deve dedicargli si riduce notevolmente. Se da un lato ciò comporta una maggiore serenità nella ripresa dell’attività lavorativa, dall’altro resta comunque necessario l’impegno a stare quanto più possibile con lui dopo il rientro da scuola. Le ore extrascolastiche infatti rappresentano un’occasione unica per incentivare alcuni suoi interessi particolari, o per sviluppare capacità o talenti speciali, oltre che per aiutarlo a risolvere piccoli problemi e difficoltà. All’età del nido, della scuola materna e nei primi anni della scuola elementare, il coinvolgimento post-scolastico del genitore ha un carattere più attivo e pragmatico, che tuttavia, avvicinandosi all’adolescenza, andrà via via evolvendosi in un ruolo più discreto di supervisione, osservazione e accompagnamento.

Linguaggio e sviluppo cognitivo

Rispetto ai sostituti, i genitori sono di solito più motivati a integrare le esperienze vissute dai propri figli attraverso lo scambio verbale, ripetendone ad esempio le risposte. Il piacere che genitori e bambini provano nel condividere suoni, ritmi e melodie è un’ulteriore forma di arricchimento per entrambi. Alla piccola Amanda, quattro mesi, che produce un “oo”, la mamma può ad esempio rispondere con un “oo-oo-oo”, modificando il ritmo del suono ripetuto. Si tratta di un tipo di interazione che, come abbiamo visto, contribuisce alla formazone del legame e allo sviluppo dei primi rudimenti del linguaggio. Col tempo i suoni evolveranno in parole di senso compiuto, simbolo verbale di oggetti, idee e sentimenti. Non è semplice accettare il fatto che il primo anno di vita sia così importante per il processo di apprendimento. Tuttavia, come sostenuto nel Carnegie Report: “Lo sviluppo cerebrale entro il primo anno di vita è più rapido ed esteso di quanto si sia creduto finora2.

Tale sviluppo prosegue anche nel secondo anno di vita, quando si registra un’accelerazione esponenziale dell’evoluzione cognitiva e del linguaggio in ragione dell’esposizione a esperienze più complesse, oltre che della maturazione del sistema nervoso. Canzoncine e frasi brevi contribuiscono al progressivo sviluppo delle abilità linguistiche; semplici strutture come “oh, più”, ripetute con cadenza melodica, oltre a divertire il bambino, trasmettono concetti quale quello di bicchiere, biberon o piatto “vuoto”.


Essere sempre “con” il proprio figlio è anche un’occasione per interpretare le sue esperienze, soprattutto nel secondo anno di vita, quando il piccolo acquisisce la capacità di capire le parole. Sono molte le esperienze quotidiane, visive e uditive, che agli occhi di un genitore attento e ricettivo sono fonte di stimoli cognitivi e verbali.


Si prenda ad esempio Sarah mentre porta il figlioletto Jeremy, di due anni, a passeggio nel parco: indicando il camion dei pompieri, un autocarro in movimento o una moto, esclama: “Senti che baccano. Ecco il camion dei pompieri. I pompieri corrono col loro camion a spegnere il fuoco”. Quella stessa sera, Sarah racconta al papà di Jeremy, che è lì con loro: “Jeremy ha visto passare il camion dei pompieri che faceva un gran baccano”. In questo modo il bambino non solo ha vissuto l’evento, ma l’ha anche successivamente reintegrato attraverso la discussione. Sarà possibile tornare a raccontare l’esperienza nel corso della settimana, o drammatizzarla utilizzando costruzioni, macchinine, bambole e altri strumenti ludici. Ai bambini piace sentir ripetere più volte gli eventi vissuti, perché la ripetizione e il rinforzo, oltre a favorire lo sviluppo del linguaggio, aiutano a capire quanto vissuto. Fatti molto semplici, come “il camion dei pompieri corre via”, possono ripetersi in molte occasioni, ognuna delle quali è, per un genitore, un’ottima occasione per comunicare con il figlio e per aiutarlo a dare un senso alla sua esperienza.


La mamma di Jeremy gli spiegherà, ad esempio, che “il baccano prodotto dal camion dei pompieri”, che l’ha tanto spaventato, “serve a dire alle macchine di scansarsi per lasciar correre i pompieri a spegnere il fuoco. Le scale sul camion servono per arrampicarsi in punti molto alti. I tubi sul camion servono a trasportare l’acqua per spegnere l’incendio”. In effetti, nei giorni successivi, quest’unico evento, nella sua semplicità, rappresenta un’eccellente fonte di stimoli per il piccolo Jeremy, oltre che un’esperienza altamente istruttiva. A seconda dell’interesse manifestato, l’esempio del camion dei pompieri potrà essere utilizzato per spiegare come anche altri veicoli – le ambulanze, le auto della polizia e alcuni camion – vadano veloci, usino le sirene e facciano un gran baccano. È infine possibile che nei suoi giochi Jeremy rifletta le proprie esperienze, rafforzando altresì il proprio linguaggio.


Se non c’è condivisione dell’evento tra genitore e figlio, non ci sarà né rinforzo né apprendimento. Il genitore non avrà nessuna occasione concreta di conoscere quanto visto e apprezzato dal figlio, o quello che lo ha spaventato. E sarà ancor più improbabile che un sostituto materno abbia la motivazione (se non addirittura la competenza linguistica) per utilizzare tale evento come fonte di stimolazione cognitiva. Più in concreto, al sostituto medio risulta poco pratico, o forse quasi impossibile, comunicare ogni sera a un genitore i motivi di entusiasmo, allarme, frustrazione o rabbia incontrati dal bambino durante il giorno. Ne consegue la quasi totale assenza di rinforzo delle esperienze significative attraverso la discussione e il gioco.

Se, al contrario, la madre è presente per gran parte della giornata, la stimolazione del linguaggio risulta di norma superiore. Il bambino avrà modo di ascoltarne la voce mentre parla al telefono, chiacchiera con i vicini o al negozio sotto casa così come quando gli si rivolge direttamente. Il rinforzo e la ripetizione delle parole sono essenziali per l’apprendimeno del linguaggio. Come spiega Naomi Baron, docente di linguistica e autrice di Growing up with Language: “L’apprendimento del linguaggio scaturisce dal duetto linguistico che si instaura tra adulto e bambino già nei primi mesi di vita3. E aggiunge: “Coinvolgere un figlio sotto i due anni nella conversazione, anche unilaterale, è la cosa più importante che si possa fare per nutrirlo anche da un punto di vista linguistico; impostate il dialogo con lui come con un individuo intelligente, attento a quanto gli dite e in grado di comprendere quello che gli state dicendo4.


Di solito una madre è motivata ad ascoltare con attenzione il suo bambino per arrivare a interpretare le sue prime frasi. La maggior parte di noi sa quanto sia difficile capire le parole o la più semplice delle frasi pronunciate da un bimbo piccolo, ma il genitore intimamente e quotidianamente coinvolto con il proprio figlio di solito sa cogliere quelle rudimentali chiavi linguistiche che gli permettono di interpretare quanto sta cercando di esprimere. Come diceva il poeta Francis Palgrave oltre un secolo fa, in Love’s Language,Their little language the children have, on the knee they sit: And only those that love them can find the key to it” [D’infante il tenero parlar seme in culla ha già, chi don d’amor a lui vuol far tosto intender sa]”5.

Naturalmente se il sostituto materno parla poco o per nulla la lingua madre del bambino, l’arricchimento linguistico risulterà ridotto al minimo. Tuttavia, una tata straniera può comunque stimolarlo verbalmente utilizzando la propria lingua con le sue canzoni ed espressioni tipiche. È altresì vero che per il sostituto non è sempre facile cogliere le chiavi linguistiche di cui sopra o essere in sintonia con gli sforzi compiuti dal bambino per l’apprendimento della propria lingua. Questo accade, come prevedibile, anche ai sostituti materni più volenterosi.


Per esempio, un bambino di due anni potrebbe voler utilizzare uno strumento come un martello giocattolo senza però saper esprimere le sue intenzioni, e pronunciando quindi “tum tum” invece di “martello”. È necessario concentrarsi sulla comunicazione rudimentale del bambino per riuscire a capire che cosa intenda effettivamente. A quel punto, il genitore potrebbe rispondere alla richiesta con un: “Ah, vuoi usare il martello e fare tum tum, vero?”, dirigendosi verso lo scaffale dei giochi per portargli il martello, e restando a osservarlo mentre fa “tum tum” sui paletti di legno. In quel momento il bambino non solo impara una nuova parola – martello – ma percepisce anche che il genitore si interessa a ciò che lui sta cercando di dire e a ciò che desidera.


Il genitore che ragisce in base alle richieste espresse verbalmente dal figlio offre un ulteriore sostanziale insegnamento, quello di prestare ascolto e di rispondere di conseguenza a quanto richiesto da mamma e papà. Sono molte le madri e i padri che esclamano, contrariati: “Mio figlio non mi ascolta mai”, mostrandosi spesso irritati e spazientiti dall’apparente mancanza di attenzione del bambino. Forse questi genitori non capiscono che un bimbo deve, per prima cosa, aver voglia di ascoltare. Si tratta di un processo diviso in diverse fasi e che ha inizio quando il piccolo trae piacere dalla voce del genitore attraverso una canzone, una storia, un sussurro, oppure suoni divertenti o rumori prodotti dal genitore stesso: il “muu” della mucca, l’“hiii” del cavallo, una ninna nanna o una canzone popolare. L’ascolto di suoni piacevoli farà sì che il bimbo trovi gradevole anche quello della voce umana, un po’ come l’adulto che ama ascoltare il suo programma preferito alla radio o alla televisione. Se tali programmi si limitassero a ricordarci sempre e solo i nostri doveri e le nostre responsabilità, in pochi si scomoderebbero ad accendere il televisore. Il bambino impara ad ascoltare quando il suono della voce del genitore contiene qualcosa che lui ama sentire. È così che si sviluppano l’apprendimento e la capacità di risposta. Le parole del genitore non dovrebbero limitarsi a proibizioni, richieste, critiche, e assegnazioni di compiti, ma trasmettere altresì concetti più lieti e gradevoli all’ascolto.


Un’ulteriore fase del processo prevede che il genitore dedichi il tempo necessario all’ascolto del proprio figlio, dando risposta a quanto da lui espresso. È una prassi che richiede disponibilità di tempo, e che è quindi di difficile applicazione nel viavai concitato della quotidianità familiare. Il processo può svolgersi se liberi dalle pressioni degli orari e dall’urgenza di mettere a letto il bambino per dedicarsi ad altre “importanti” incombenze. Per di più, l’apprendimento è più efficace se accompagnato dal processo di attaccamento. Il bambino che sperimenta sensazioni positive e che ha un attaccamento sicuro vuole compiacere il genitore, risultando così più propenso a rispondere alle sue richieste. Questa relazione contribuisce a stimolare non solo l’apprendimento del linguaggio, ma anche l’interiorizzazione di un comportamento sociale disciplinato.


Il momento del pasto rappresenta un’ulteriore, eccellente occasione di sviluppo del linguaggio e delle competenze sociali. Mangiare tutti insieme è un’opportunità unica e inestimabile per utilizzare il linguaggio in un’atmosfera rilassata e positiva, oltre che un momento molto appropriato per collegare le parole di mamma e papà ai piaceri alimentari. Il bebè trae soddisfazione dal cibo e dal suono della voce del genitore. Indicare il nome degli oggetti e ricorrere a espressioni del tipo “oh, più!”, “finisci le carotine”, “ecco il tuo bicchierino blu”, “tieni il cucchiaio” rientra nella normale conversazione a tavola. Di recente ho fatto visita a un eccellente asilo nido, molto ben organizzato e condotto in maniera competente. Ho dovuto tuttavia constatare quanto di rado gli educatori si rivolgessero ai bambini e quanto le conversazioni da me ascoltate coinvolgessero unicamente il personale della struttura. Nessuno scambio verbale giocoso quali quelli tipici tra genitori e figli. Tuttavia è possibile che il personale si sentisse condizionato dalla presenza di un osservatore esterno.

Comprendere le paure dei bambini

Se vogliono davvero conoscere il proprio figlio, i genitori devono imparare a comprenderne le ansie e le paure. È importante rendersi conto che se alcune preoccupazioni sono riconducibili allo sviluppo, la maggior parte delle inquietudini del bambino deriva da specifiche esperienze traumatiche.


Si prenda ad esempio la storia di Mary, due anni, che ogni mattina alle 8 viene accompagnata dalla madre presso un asilo nido ritenuto eccellente. Un’ora dopo, in cortile, la bambina, passando per caso dietro a un bambino che sta andando sull’altalena, viene colpita in pieno e cade a terra. Benché non si sia fatta male, si spaventa molto, e scoppia a piangere quando una delle educatrici interviene a consolarla. Venti minuti dopo sta di nuovo giocando con gli altri bambini.


La mamma di Mary va a prenderla, come d’abitudine, alle 18, ma non le viene riferito nulla circa l’incidente. Con questo non si intende muovere critiche verso l’istituzione nido: gli educatori che congedano i bambini a fine giornata possono non essere gli stessi che se ne sono occupati al mattino. Per di più, non c’è ragione di pensare che certi incidenti “minori” debbano essere discussi nella manciata di minuti in cui i genitori, affannati, vanno a prendere i figli per poi precipitarsi a casa a preparare la cena.


Quella sera stessa, tuttavia, la mamma resta sorpresa dal nervosismo di Mary. La mattina dopo la perplessità permane per poi finire col trasformarsi in rabbia allorché la bimba esclama: “Oggi non ci voglio andare al nido. Voglio stare a casa. Ho paura”.


La madre non ha idea del perché Mary si rifiuti all’improvviso di andare al nido. È probabile che a quel punto si scateni una lotta di potere e che Mary abbia la sensazione che mamma e papà non vogliano proteggerla perché di fatto la stanno costringendo all’interno di un contesto che lei avverte come “spaventoso”. Purtroppo non sa spiegare ai suoi genitori il motivo della sua paura. La madre non sa più che pesci pigliare; per di più il nido è costoso e la retta va pagata sia che Mary lo frequenti oppure no. Oltretutto, quel giorno lei ha un’importante riunione di lavoro, quindi non può far altro che portare Mary al nido nonostante le sue proteste. Il risultato è che la piccola è arrabbiata e si sente incompresa. Tutto questo perché la mamma non era – e non poteva essere – a conoscenza di quanto accaduto. La mamma non era lì con lei.


Se lo stesso incidente si fosse verificato quando mamma e figlia erano insieme al parco o in cortile, o se Mary avesse una competenza linguistica sufficiente a raccontare il fatto, la gestione dell’accaduto forse sarebbe stata diversa. Nel consolare la bambina, ad esempio, la madre avrebbe potuto spiegarle: “Mary, è pericoloso camminare dietro le altalene. Mi dispiace che tu sia caduta e che ti sia spaventata”. Alcune ore dopo avrebbe potuto parlarle ancora dell’incidente: “È stato brutto quando l’altalena ti è venuta addosso oggi, vero? Devi ricordare di fare attenzione quando cammini dietro le altalene”.


La sera, si sarebbe potuti tornare sull’argomento dell’incidente con il papà o la nonna. Alla fine, Mary avrebbe cominciato a capire quanto era accaduto. Parlare di un evento come questo la potrebbe aiutare a lasciarselo alle spalle, oltre a darle il conforto di sapere che i suoi genitori si sforzano di essere comprensivi ed empatici verso la sua tristezza, le sue paure e il suo dolore. E se Mary dovesse mostrarsi timorosa di tornare al parco, sapendo perché, sua madre potrebbe dirle: “Oggi non andremo vicino alle altalene, piuttosto giocheremo nella vasca della sabbia. Torneremo sull’altalena la prossima settimana”.


La vita di un bambino è costellata da un numero infinito di “piccoli” avvenimenti, alcuni lieti, interessanti e istruttivi, altri dolorosi, frustranti o traumatici. Presi nel loro insieme costituiscono la vita dei nostri figli. Ma nelle oltre 50 ore di lavoro settimanali che li tengono lontani da loro, i genitori restano all’oscuro di un numero significativo di questi piccoli eventi. In un certo qual modo è una situazione simile a quella dei coniugi che fanno le vacanze separate, in cui ognuno vive esperienze che l’altro ignora. E, sebbene gli adulti possano parlarne con relativa precisione, non avervi partecipato li priva del risvolto umoristico, emotivo o pauroso legato all’evento stesso.


In genere i genitori non vengono adeguatamente informati dagli educatori circa i piccoli episodi che si verificano durante la lontantanza dai loro figli. Tuttavia, potrebbero chiedersi: “Le serate e i fine settimana bastano, sì o no, a garantirmi un bagaglio di esperienze condivise sufficiente a capire quanto accade nella vita di mio figlio?” Naturalmente quelle ore sono importanti, ma insufficienti a permettere a un genitore di comprendere e interpretare la condotta generale del bambino. Molte madri lavoratrici, accompagnando i figli in terapia, nel raccontarne la storia personale riescono a riferire pochissimi dettagli. Non sanno, ad esempio, che cosa abbiano fatto al parco, se sono stati puniti e perché. Sono madri che non hanno idea di che cosa guardino i loro figli in tv, se e perché si siano spaventati, se sono caduti o se li si è minacciati di abbandono. Problemi questi che possono verificarsi sia che il bambino si trovi in un nido pubblico o familiare, sia che resti a casa con una tata. Il genitore “a tempo pieno”, al contrario, dispone di un’utile finestra su gran parte delle esperienze quotidiane di suo figlio, per cui qualora il comportamento del bambino si facesse preoccupante, con manifestazioni d’ansia e di paura, sarebbe – nella maggior parte dei casi – in grado di aiutare il terapeuta a ricostruine la storia e gli eventi vissuti, agevolandone il percorso terapeutico.

Sempre con lui nelle varie esperienze di crescita (svezzamento da pannolino, biberon, succhiotto)

Nella nostra cultura ci si aspetta che i bambini in età prescolare smettano di usare il pannolino per passare a servirsi del gabinetto. È sempre a questa età, inoltre, che i genitori decidono per l’abbandono dell’allattamento al seno o del biberon in favore della tazza e del bicchiere. A partire dai tre anni, in molte famiglie il succhiotto viene messo al bando. Gran parte dei genitori si aspetta che tali trasformazioni abbiano luogo nell’arco di tempo che va dai 18 mesi ai quattro anni, periodo in cui, tuttavia, si assiste altresì allo sviluppo della consapevolezza di sé, che rende il bambino sempre più ribelle e oppositivo.


L’educazione all’uso del gabinetto o del vasino va vissuta come una grande sfida, poiché è il bimbo – e non l’adulto – ad acquisire il controllo del proprio corpo. Al piccolo verrà insegnato, con la giusta motivazione, sia a trattenere feci e urina, sia a rilasciarli con tranquillità nel luogo appropriato. Non è certo compito facile, né per il bambino né per il genitore, padroneggiare questa funzione fisiologica. È un processo che richiede tempo, impegno, pazienza e anche un po’ di senso dell’umorismo. Sono molti gli adulti che si sentono frustrati da questa sfida, che quindi risente delle loro ansie e del loro atteggiamento. In ogni caso è importante che il genitore o la persona che si occupa del bambino verifichi:

  • se il bambino è pronto a comprendere quanto lo aspetta al momento dell’introduzione del vasino;

  • se il bambino possiede un vocabolario adeguato per esprimere i suoi bisogni fisiologici (fare la cacca e la pipì);

  • che il bambino non sia sotto pressione al momento di iniziare l’educazione sfinterica;

  • che il bambino non venga mai umiliato, denigrato o fatto sentire in colpa se l’educazione al vasino procede troppo lentamente;

  • che la persona che si occupa del bambino non mostri reazioni di rabbia ai primi tentativi falliti e che eviti di manifestare disgusto di fronte alla cacca o alla pipì del bambino. Sono assolutamente da evitare commenti del tipo “che puzza” o “sei tutto sporco e puzzi”.

Quando, alla fine, il piccolo impara a controllarsi e a usare il vasino, o smette di chiedere il biberon, la padronanza di siffatte tappe di sviluppo lo riempiono di orgoglio e compiacimento. Ma qual è l’atmosfera che più favorisce tale processo di apprendimento? Un genitore assente, o disponibile solo nelle prime ore del mattino o a fine giornata, spesso è ignaro della gestione dell’intera faccenda da parte del suo sostituto. Quali lotte di potere possono scatenarsi? Quali sono le tecniche utilizzate per spronare il bambino? Le minacce, l’allettamento, o le sculacciate? Forse la tata lo spaventa, e arrabbiata gli urla “vedi di crescere!”, “non fare il bambino piccolo!”? O forse si mostra indifferente, troppo stanca per sostenerlo in questo nuovo percorso?


È altresì vero che, poiché diversi istituti prescolastici non accettano bambini che ricorrono ancora al pannolino, i genitori cercano di accelerare il processo di educazione sfinterica, facendo troppa pressione sul figlio, che non si sente ancora pronto.


Lo svezzamento da biberon, da pannolino o da succhiotto potrebbe essere più arduo del previsto, ma se chi si prende cura del bambino gli mostra cosa deve fare in un’atmosfera amorevole, il raggiungimento dei vari traguardi di crescita rappresenterà per lui un ulteriore fattore di sviluppo della consapevolezza di sé.


Nelle diverse transizioni dello sviluppo, il genitore a tempo pieno ha modo di sapere quel che accade e di conoscere le reazioni del figlio. Nel caso dell’educazione all’uso del vasino o del gabinetto, la mamma può mettere a disposizione del piccolo acqua, argilla, plastilina o sabbia per intrattenerlo in attività “sporchevoli” mentre è impegnato nel controllo degli sfinteri. Se il bambino sta abbandonando il seno, il biberon o il succhiotto, dovrà ricevere una maggior quantità di coccole e abbracci da parte del genitore che, ad esempio, cercherà di tenerlo più spesso in braccio per aiutarlo a superare il periodo di transizione, o gli offrirà oggetti da masticare e da tenere in bocca per garantirgli l’appagamento orale altrimenti negatogli. Una mamma ha persino pensato di organizzare una piccola cerimonia d’“addio” al succhiotto!


Il genitore a tempo pieno ed entusiasta è, infine, quantomento a conoscenza del clima emotivo nel quale vengono raggiunti tali traguardi dello sviluppo, e anche se non sempre nel modo giusto, tenderà ad affrontare i cambiamenti con la giusta comprensione delle lotte di potere innescate da tali trasformazioni.

Riduzione dell’aggressività e della rivalità tra fratelli grazie alla presenza del genitore

“Com’è possibile che appena entrata in casa, dopo una dura giornata di lavoro, cominciano le proteste, i litigi e gli strilli? Il mio bel quadretto domestico va in frantumi”, si lamenta Susan. “Casa nostra sembra diventata un campo di battaglia, fisica e verbale. La rivalità tra i nostri due bambini può essere subdola come uno sguardo o un gesto o violenta come un calcio o un pugno”. Susan sa che la situazione richiede attenzione e che non può essere ignorata. “Niente al mondo mi manda più in bestia di Sarah che picchia il suo fratellino”. Un’altra madre confessa, amareggiata: “Il mio primogenito continua a comportarsi come un bebè: piagnucola, si rifiuta di giocare da solo, mi sta sempre appiccicato addosso. È peggio che avere due neonati! Mi sento una pessima madre quando vedo i miei figli così arrabbiati l’uno con l’altro, o il più grande comportarsi in modo così immaturo. Perché invece con la baby-sitter sono tanto bravi?”


Anche i genitori che stanno a casa fanno fatica a ricordare i momenti in cui i loro figli giocano insieme senza litigare, insegnando l’uno qualcosa all’altro o mostrandosi gentili, solidali e comprensivi. In realtà, per la maggior parte dei bambini, il tempo trascorso a giocare in modo armonioso supera ampiamente quello impiegato a fare la lotta o ad agire in modo aggressivo. Ma sta di fatto che nella nostra memoria si fissano soprattutto i momenti in cui i fratelli litigano.


La rivalità tra fratelli, così come la gelosia e l’invidia, è una delle emozioni primarie dell’uomo, da riconoscere e rispettare in quanto forze che si esprimono in tutta la loro prepotenza nella vita quotidiana del bambino e nel corso del suo sviluppo. Rivalità e gelosia si manifestano anche prima della nascita di un fratellino: si tratta di sentimenti che derivano dal legame e dall’attaccamento primario tra il bambino e il genitore (o meglio tra due individui che abbiano sviluppato un legame d’amore). Più stretto è il legame, maggiore è la gelosia scatenata dalla minaccia di un “intruso”. La gelosia è un’emozione naturale, la cui intensità può dare un’idea della profondità dell’attaccamento primario. Nutriremmo tutti qualche dubbio sulla solidità di un matrimonio in cui a uno dei coniugi non interessa se l’altro accetta appuntamenti con persone dell’altro sesso! Focalizzarsi su un’altra persona (compreso un bambino) o su una attività estranea alla relazione, può scatenare reazioni di gelosia e rivalità. In un certo senso si viene a formare un “triangolo” nel momento in cui:

  • una madre e un padre sono coinvolti in una conversazione che li assorbe totalmente, escludendo il bambino;

  • il genitore è al telefono, o assorto nella lettura di una rivista o di un libro, impegnato in un progetto, da uno sport o da un hobby;

  • il genitore presta attenzione ad altre persone, bambini o adulti.

È comprensibile che a fine giornata, non appena varcata la soglia di casa, i figli reclamino l’attenzione del genitore che è stato via tutto il giorno. Lo scoppio di un bisticcio tra fratelli è un sistema infallibile per coinvolgere mamma e papà, e quindi ottenere l’attenzione desiderata. L’intensità dei sentimenti di rivalità aumenta se i bambini si sentono stanchi, affamati o trascurati.


Il maggior motivo di difficoltà per un genitore è riconoscere che ogni figlio ha bisogni diversi. Il neonato piange per essere cullato e consolato. Il fanciullo di tre anni ha bisogno di aiuto per costruire una torre con le costruzioni. Quello di 18 mesi vuole sguazzare nella vasca, mentre il bimbo di 5 anni chiede che gli si legga un libro. Tutto mentre bisogna preparare la cena, riordinare la casa o riporre la spesa. Tuttavia, quei genitori che, ogni giorno, riescono a dedicare più tempo e impegno a ognuno dei propri figli offrendo loro esperienze e materiali di gioco appropriati per il loro sviluppo, riescono a registrare una riduzione dell’aggressività legata alla rivalità tra fratelli. Un ottimo espediente in tal senso potrebbe essere organizzare quelli che io definisco “momenti speciali”.

“Momenti speciali” da dedicare ad ogni figlio

Quando un genitore è disponibile per gran parte della giornata del figlio, la qualità del tempo trascorso insieme può anche essere rappresentata da quelli che io definisco “momenti speciali”, ovvero del tempo ritagliato – o pianificato – appositamente per ciascun figlio. Non sono necessari lunghi intervalli: venti minuti saranno più che sufficienti se concessi con regolarità. Ogni “momento speciale” verrà gestito dal bambino, che deciderà in che modo sfruttarlo: magari giocando, parlando o ascoltando una storia; uscendo a fare una passeggiata, chiedendo di stare in braccio e di essere cullato, o facendo merenda. Potrebbe, invece, desiderare semplicemente di essere guardato dalla mamma mentre gioca, disegna o costruisce qualcosa. Potrebbe essere un’occasione per esprimere le proprie emozioni, paure, preoccupazioni – in breve per “scaricarsi”. In quelle occasioni, il genitore avrà modo di discutere di alcuni degli eventi più critici della settimana, quali ad esempio le difficoltà con i fratelli. Non saranno ammesse interruzioni telefoniche o provocate dagli altri figli o dagli adulti: il bambino deve essere certo che la mamma o il papà rispettano il suo momento speciale, in cui non c’è spazio per eventuali intrusioni: è un momento solo per lui e per nessun altro.


È molto importante che ogni momento speciale venga concordato, annunciato e segnato in anticipo, tenendo conto del bambino ma anche del resto della famiglia. I genitori tendono a considerare tutte le occasioni passate da soli con uno dei figli “momenti speciali”. In realtà, se il bambino non ne è a conoscenza non ha modo di apprezzarle. Sarà quindi utile annunciare: “Bobby avrà il suo momento speciale oggi pomeriggio, dopo la merenda, mentre Nancy avrà il suo stasera, prima del bagno”.


Il valore dei momenti speciali è rappresentato dal messaggio inviato al figlio: “Voglio stare con te. Questo è un momento speciale anche per me. Tu per me sei molto importante e mi interessa guardarti giocare e ascoltarti quando mi racconti le cose che hai fatto. Sono con te per ascoltarti, condividere i tuoi sentimenti e le tue emozioni e per starti vicino”.


Quando ci sono più bambini in famiglia, è facile che li si tratti come un’unità o un gruppo, specie se quasi coetanei. Tuttavia si tratta di un atteggiamento che rischia di inasprire i sentimenti di rivalità tra fratelli in competizione per l’attenzione dell’adulto. La programmazione di un momento speciale per ciascun figlio è simile all’appuntamento ricevuto da una persona importante: una parentesi che ti fa sentire apprezzato.


Proposte di gioco: dipingere, giocare con l’acqua, la sabbia, l’argilla, le costruzioni, le bambole, gli animali di peluche, travestimenti e drammatizzazioni


La predisposizione di un ambiente di gioco ben attrezzato e a misura di bambino richiede una programmazione meticolosa e un’attenta preparazione, non solo per il reperimento del materiale, l’elaborazione delle proposte di gioco, e la necessaria supervisione, ma anche per garantire quella base sicura che consenta al bambino di sentirsi libero di concentrarsi sull’attività ludica. L’intensità e il livello del gioco sono profondamente influenzati dallo stato d’animo del bambino. Se è preoccupato, impaurito o triste, verranno meno le energie e motivazione da riversare nell’attività del momento; se arrabbiato, il gioco rischia di diventare distruttivo, aggressivo, di fatto insostenibile.


Se entrambi i genitori lavorano a tempo pieno, e il bambino non si sente ancora a suo agio con la baby-sitter o al nido, la qualità e il livello del gioco risulteranno inferiori e meno efficaci. Di solito i sostituti materni si mostrano restii nel riferire di aver riscontrato un abbassamento del livello di gioco del bimbo da loro seguito, mentre, al contrario, tendono a compiacersi se quest’ultimo passa delle ore davanti al televisore o sotto le coperte, dal momento che questo implica meno lavoro.


Quando i genitori tornano a casa la sera, il bambino è spesso una vera esplosione di energia e desidera coinvolgerli nel gioco. Purtroppo tale frenesia ludica si manifesta proprio quando mamma e papà, stanchi dopo una giornata di lavoro, desidererebbero un contesto più tranquillo. Ecco allora scatenarsi una lotta di potere: il bambino vuole giocare, mentre i genitori non vedono l’ora che, una volta calmatosi, se ne vada a letto. Tuttavia si tratta dell’unica occasione dell’intera giornata in cui il piccolo si sente sicuro con mamma e papà a casa, e ha tutta l’energia necessaria sia per giocare che per protestare qualora i genitori si dimostrassero troppo stanchi. È probabile, al contrario, che una madre – o un padre – che non lavora fuori casa tutto il giorno si mostri più disponibile ed entusiasta, oltre ad essere più riposato e quindi più disponibile a farsi coinvolgere nel gioco in altri momenti che non siano quello di andare a letto.


I sostituti tendono a essere assai meno disposti a condividere i momenti ludici dei piccoli (come illustrato nel capitolo V). Abbiamo assistito tutti a scene come questa: baby-sitter a spasso con i piccoli seduti sul passeggino, in piacevole conversazione con altre colleghe. Tra tata e bambino scarsa interazione verbale, e ancor più scarso (se non assente) contatto visivo. Di solito il bambino è seduto nel passeggino in modo da dare la schiena a chi lo spinge, il che riduce ulteriormente le occasioni di contatto visivo e verbale.


Al contrario, le mamme tendono a creare ambienti di gioco più consoni all’età del figlio, che comprendano anche innumerevoli scambi fisici, verbali e visivi, oltre ad aver piacere di invitare anche altri bambini, consentendo la realizzazione di quelle esperienze sociali tanto importanti nei bambini in età prescolare. I sostituti e le baby-sitter sono comprensibilmente riluttanti ad assumersi l’ulteriore incombenza e la responsabilità di certi “appuntamenti di gioco”.


Kevin ha due anni e mezzo. Sua madre Jennifer organizza per lui momenti di gioco con amici come Joel, che abita a un isolato da casa sua.


La mamma di Joel, Susan, spesso accompagna il figlio a casa di Kevin, dove sia lei che Jennifer li controllano mentre giocano. I due bimbi hanno a disposizione sabbia, attrezzi per arrampicarsi e un tavolo con plastilina e colori con cui giocano mentre le mamme chiacchierano. Se il gioco diventa aggressivo o rischioso queste, pronte, intervengono, mentre a volte si fanno da parte, incoraggiando i due amichetti a giocare per conto proprio. Tuttavia, senza che ciò comporti l’intrusione nelle attività dei propri figli, i genitori possono organizzare un contesto di gioco sicuro e stimolante, meglio se in momenti in cui abbiano entrambi le energie necessarie per interagirvi. Al termine di una giornata lavorativa, però, può risultare assai arduo. Non sempre è facile per un genitore capire l’importanza del gioco per i bambini: è proprio attraverso il gioco che questi imparano prima di tutto a capire e a padroneggiare il proprio mondo. Perché il fanciullo abbia una buona qualità della vita, è fondamentale che gli vengano proposte attività idonee alla sua età. Il gioco comporta l’assunzione di rischi, la sperimentazione, il gioco di ruolo, la costruzione e la demolizione di oggetti, l’uso della fantasia e l’interazione sociale con coetanei e adulti.


Il bambino che gioca in modo costruttivo e creativo impara un sacco di cose. Quando al gioco vengono riconosciuti lo stesso rispetto e la medesima dignità del lavoro dell’adulto, il bambino ne guadagna in autostima, competenza, soddisfazione e serenità.


L’abilità nel gioco risulta favorita all’interno di un contesto in cui il piccolo possa disporre di materiali e attrezzature idonei. Di solito, l’intervento e i suggerimenti dell’adulto non sono necessari: si richiede solo un minimo di controllo per garantire l’incolumità del fanciullo, specie se il gioco si svolge all’aperto. La sicurezza è sempre la prima condizione da rispettare, soprattutto nei giochi con attrezzi, nella simulazione della preparazione di vivande, o in alcuni giochi con l’acqua.


Quello che i bambini intendono per “gioco” non sempre corrisponde all’idea che ce ne siamo fatta noi adulti: per un bimbo di un anno potrebbe essere togliere i cucchiai da un cassetto; per uno di quattro brandire una lancia immaginaria, fingendo di essere un cavaliere con tanto di armatura; per uno di due strizzare e schiacciare della plastilina per saggiarne la consistenza e la sensazione mentre la si modella; per uno di 18 mesi salire e scendere le scale; infine per uno di tre anni costruire una torre con dei cubi per poi buttarla giù. Il genitore attento e consapevole fornirà al bambino una varietà di materiali tale da favorire tutte queste attività, sia dentro che fuori casa.


L’osservazione dei propri figli intenti a giocare può svelare al genitore una parte del loro mondo. Giocando, i bambini spesso parlano; pertanto non si limitano a sviluppare solo le capacità motorie dei muscoli lunghi e corti, ma anche interazioni verbali divertenti, illuminanti e rivelatrici. Alcuni materiali possono contribuire a ridurre la tensione e lo stress, come per esempio l’acqua, la sabbia, il fango, l’argilla e i colori da usare con le dita. Tuttavia, benché eccellenti per i bambini al di sotto dei due anni di età, il loro utilizzo richiede la supervisione da parte di un adulto.


I bambini in età prescolare non hanno ancora il senso del limite e pertanto la presenza di un adulto è necessaria perché il gioco non degeneri nel caos. D’altra parte l’uso di materiali intrinsecamente “sporchevoli” dovrebbe rientrare nell’esperienza ludica di tutti i bambini. L’organizzazione di questa tipologia di giochi comporta un maggior dispendio di tempo ed energie per il genitore. Tuttavia sarebbe bene che certe esperienze non venissero negate ai bimbi così piccoli solo perché troppo impegnative per l’adulto. Questi, infatti, sono gli anni in cui il fanciullo acquisisce il controllo degli sfinteri e di azioni quali colpire, calciare, mordere e sputare. I giochi con l’acqua, la sabbia, il fango e l’argilla gli danno modo di esprimere in contesti accettabili ciò che deve essere controllato in altri ambiti.

Costruzioni

Per un bambino le costruzioni sono un ottimo strumento attraverso cui – costruendo, distruggendo, ricostruendo e sperimentando – apprendere i rapporti spaziali e le dimensioni degli oggetti. Grazie all’esperienza diretta il bimbo acquista padronanza dei numeri; l’utilizzo delle costruzioni gli consente di sentire, vedere e descrivere i concetti di quantità.


Riordinare le costruzioni e altri giochi di manipolazione (ad esempio le perline) può essere un’occasione per conoscere concetti numerici, quali selezione e classificazione. “Metti via a gruppi di tre”, “Passami tutti i mattoncini quadrati”, “Adesso mettiamo a posto i triangoli”.


Il bambino sviluppa il senso delle parti e dell’intero; due cubi più piccoli equivalgono a uno più grande, due triangoli simili formano un quadrato o un rettangolo. Questo tipo di apprendimento mette insieme stimoli visivi, tattili e verbali, oltre a esperienze di equilibrio. Le attività manipolatorie, infine, contribuiscono ad affinare e perfezionare la coordinazione muscolare fine e le capacità cognitive.


Le costruzioni sono utili alla creazione di diversi ambienti per il gioco di drammatizzazione: una lunga autostrada su cui far correre le macchinine; un recinto per gli animali; una casa, un ufficio o un negozio. Durante il gioco, il bambino è solito esprimersi anche verbalmente, rinforzando così quanto sta imparando sul proprio mondo. I genitori possono incoraggiare questo processo dicendo: “Che cosa stai costruendo?”, “Dove stanno andando gli animali?”, “Chi vive nella casa?”. La loro presenza non è essenziale durante il gioco con le costruzioni, tuttavia la partecipazione di mamma e papà rappresenterebbe un ulteriore contributo all’arricchimento del vocabolario e delle competenze linguistiche del figlio. Parlare delle sue creazioni è un ottimo spunto per imbastire una conversazione centrata su di lui e non sui dettagli della vita quotidiana (“È ora di vestirsi!”, “A tavola!”, “Di corsa a scuola!”).


Spesso attraverso le costruzioni i bambini mettono in scena esperienze che li hanno spaventati o turbati. Li si può incoraggiare a rappresentare traumi quali incidenti d’auto, visite dal dottore, ricoveri in ospedale – ricostruendone la scena con i cubi e altri attrezzi del genere.


Uno degli inconvenienti delle costruzioni e di altri giochi costituiti da molti pezzi, è il fastidio e la fatica del dover riordinare. I bambini in età prescolare non sanno ancora mettere a posto da soli giochi e costruzioni. Bisogna che qualcuno dia loro una mano. Quando il ritiro di certi giochi diventa peggio di una lotta, i bimbi iniziano a ignorarli, privandosi così degli enormi vantaggi che potrebbero trarre da costruzioni e giocattoli componibili. Non c’è da stupirsi che una baby-sitter tenda a organizzare il gioco del bambino in modo tale da evitare sporcizia e disordine, oltre a tutto il lavoro necessario per riordinare. Al contrario, i genitori consapevoli del valore dell’utilizzo delle costruzioni riconoscono che i bambini in età prescolare necessitano di supervisione e di aiuto nell’attività di riordino, così come dell’organizzazione e delle istruzioni fornite loro dalle insegnanti della scuola materna. Le maestre programmano un momento apposito per il lavoro di riordino, che viene considerato parte integrante della giornata trascorsa in classe. I genitori potrebbero annunciare il momento del ritiro dicendo: “Joe, tu mi passi i cubi e io li metto a posto nello scaffale (o viceversa)”. Con il lavoro di squadra si viene a creare una bella atmosfera di collaborazione, al posto della solita estenuante lotta di potere. Se il genitore dedica il tempo e l’attenzione necessari all’attività di riordino, con la consapevolezza che si tratta di una reciproca responsabilità, dimostra di riconoscere la dignità del gioco e dei giocattoli del figlio, adottando un approccio alla pulizia e al riordino che produce nel bambino il bisogno di ordine e organizzazione. Questa esperienza lo aiuterà più avanti, nella vita scolastica, a costruirsi un personale modello di gioco e di lavoro.


Anche le costruzioni, così come altre attività ludiche, ci danno prova dell’importanza dell’entusiasmo, dell’energia e della pazienza di un supervisore adulto veramente coinvolto e interessato. Come abbiamo già avuto modo di esprimere, nella maggior parte dei casi è più facile che pazienza, entusiasmo e stimoli cognitivi provengano da un genitore affettuoso piuttosto che da un sostituto.

Bambole e animali di peluche

Bambole e animali di peluche aiutano il bambino a integrare e a mettere in pratica gli insegnamenti colti da quanto lo circonda; dovrebbero quindi essere messi a disposizione sia dei maschi che delle femmine in quanto strumenti per realizzare giochi di drammatizzazione e di fantasia, per scaricare tensioni e aggressività, per esercitare le proprie capacità verbali, oltre che per esprimere il bisogno di coccole e di conforto.


Di certo sono di grande aiuto al bambino in età prescolare quando arriva un nuovo fratellino in casa: le bambole possono essere nutrite, lavate, abbracciate, portate a passeggio, sculacciate, lanciate per aria e annegate. I bambini le cui capacità verbali sono ancora rudimentali, hanno bisogno di esprimere in piena libertà tutti i sentimenti suscitati dal nuovo arrivato ricorrendo alle bambole e agli animali di peluche, come strumento sicuro di espressione della propria rabbia e dell’aggressività. È infatti inaccettabile picchiare, prendere a calci, a morsi o a sputi i compagni e i fratelli. Alcuni bambini trattano le bambole come compagne di gioco, creandosi così un amico immaginario con cui parlare e a cui dare ordini.


Bambole e animali di peluche si rivelano utili anche qualora i genitori vogliano comunicare al figlio un’importante novità o prepararlo a una nuova esperienza. Sono d’aiuto nella ricostruzione di esperienze difficili, contribuendo a chiarirle e a renderne più comprensibile il turbamento. Parlare direttamente a un bambino spesso non serve: può essere “su un altro pianeta” o non disposto ad ascoltare. In genere, però, un fanciullo è affascinato e catturato dall’ascolto di una bambola, di un burattino o di un animale di peluche “parlanti” (naturalmente sono mamma o papà a farli parlare).


Proprio come gli adulti che amano guardare film e telefilm, i bambini riescono a seguire con maggior attenzione se una determinata situazione viene loro rappresentata attraverso il gioco. Nei casi di difficoltà legate all’addormentamento, all’alimentazione, ai viaggi e ai traslochi, alle visite mediche e ai cambiamenti scolastici, sarebbe utile preparare in anticipo il bimbo attraverso la rappresentazione dell’evento critico per mezzo di “attori” quali bambole e animali di peluche. Certo la messa in scena delle situazioni critiche e conflittuali richiede preparazione e organizzazione. Un approccio creativo alla risoluzione dei problemi quale quello appena descritto potrebbe essere adottato da qualunque genitore motivato, ammesso che, nel corso della giornata, disponga del tempo necessario per farlo.


Il modo in cui il bambino tratta le sue bambole e i suoi animali di peluche spesso è il segnale di quanto sta attraversando. Costanti modalità di gioco violente e aggressive mettono l’accento sull’eventualità che il piccolo venga trattato con eccessiva aggressività dagli adulti o dagli altri bambini. Mentre giocano con le bambole, i bambini tendono a riflettere e a riproporre le manifestazioni emotive – quali rabbia e collera – dei genitori. Il gioco è, quindi, un campanello d’allarme che indica al genitore la necessità di modificare il proprio atteggiamento nei confronti del figlio, se non addirittura l’eventualità di una condotta aggressiva o violenta del sostituto materno.

Travestimenti e drammatizzazioni

I travestimenti e le drammatizzazioni sviluppano l’immaginazione, la fantasia e le doti di immedesimazione. Oltre all’utilizzo delle bambole, per arricchire ulteriormente la drammatizzazione sarebbe utile disporre di costumi e abiti per travestimenti. Scarpe smesse, vecchi cappelli, borsellini, foulard, nastri e cinture ormai sciupati, oltre che grosse pezze di stoffa fanno la gioia dei bambini più piccoli ma anche di quelli in età scolare, così come mantelli, corone e cappelli da pompieri: tutti oggetti utili per giochi divertenti e fantasiosi. L’interpretazione attiva di ruoli diversi consente al bambino di anticipare le attività che svolgerà da adulto, oltre a permettergli di rinforzare quanto appreso.


I genitori non dovrebbero negarsi la gioia di assistere a spettacoli tanto pregevoli, spontanei, unici!

Incoraggiamento e supporto alla lettura

“C’era una volta una famiglia in cui vivevano un bambino e una bambina. Tutti insieme stavano per andare ad abitare in una casa nuova…” Qual è il bello del raccontare le storie? Forse l’esprimere in modo creativo concetti particolarmente significativi per il bambino. La storia può essere personale, ispirata alla vita di chi la racconta, magari legata alle tradizioni familiari. Forse contiene una lezione particolare o si ispira a un problema effettivamente vissuto dal bimbo. Può essere spiritosa o fantastica, e far ridere e divertire insieme genitore e figlio. Infine può essere tratta da uno dei libri più amati.


Insieme al gioco, il racconto o la lettura ad alta voce di storie è tra i ricordi più lieti dell’infanzia. Non è raro che un bambino in età prescolare chieda di riascoltare la stessa storia all’infinito, proprio come si fa con la musica.


La voce di chi racconta o legge deve avere un’intensità e un’inflessione sempre diverse onde rendere interessante la narrazione. Tuttavia, se questa risulta troppo drammatica, il bambino smette di seguire la storia per concentrarsi sull’adulto, turbato (se non addirittura spaventato) dalle emozioni espresse.


I bambini in età prescolare vanno matti per i libri illustrati, in cui vengono rappresentati gli oggetti e le esperienze tipici del loro mondo: per loro è una vera gioia scoprire, nominare e descrivere quanto mostrato nelle figure, oltre ad essere un importante stimolo per lo sviluppo del linguaggio e la costruzione del proprio vocabolario.


La lettura di poesie, rime e filastrocche rappresenta un ulteriore spunto per imparare ad amare il linguaggio e per creare un buon rapporto con i libri: si prenda ad esempio la ninna nanna Quand’è l’ora di fare la nanna, gradevole per le rime, le immagini evocate, oltre che per le parole utilizzate. Molti bambini in età prescolare apprezzano le raccolte di poesie per l’infanzia, specie se i genitori sono anch’essi amanti del genere. Se il fanciullo viene spronato a comporre rime e a giocare con i suoni avrà modo di scoprire un ulteriore, piacevole aspetto del linguaggio e, più avanti, l’amore per i libri.


Leggere qualcosa al proprio bambino, guardare insieme le illustrazioni di un libro o tornare a raccontargli storie a lui già note, oltre a rafforzare il legame genitore-figlio, contribuisce ad ampliare le competenze linguistiche del piccolo, a favorirne lo sviluppo cognitivo e a coltivare il piacere della lettura. Quando è preferibile dedicarsi a tali attività? In genere la lettura o la visione di un libro precede il sonnellino o ha luogo nei momenti di pausa, ad esempio dopo una passeggiata o un pomeriggio al parco. In quegli attimi di relax, seduto accanto al genitore, il piccolo mostra di gradire gli stimoli offerti da una bella storia o da un buon libro a lui già noti. Per di più, un bambino che impara a gradire l’ascolto della lettura da parte del genitore avrà minori difficoltà di concentrazione più avanti, quando, a scuola, dovrà imparare a prestare ascolto agli insegnanti.


Per i genitori che lavorano è spesso difficile dedicarsi in tutta tranquillità al piacere della lettura insieme ai figli. Nelle poche ore a loro disposizione una volta rientrati dal lavoro, prima di mettere a letto il proprio bambino, non c’è molto tempo per parlare, ricordare o condividere il piacere di un buon libro. Sono altre le attività prioritarie: lavarsi, mangiare e riordinare. La fine di una giornata piena d’impegni non è certo il momento più idoneo per apprezzare una buona lettura. Il genitore, sfinito, non desidera altro che “sbrigarsi”, finire la storia e mettere a letto il bambino. Dal canto suo, quest’ultimo – che sente il bisogno di stare con mamma o papà – spesso “fa i capricci” per posticipare l’ora della nanna, rifiutandosi di mettere il pigiama e di lavarsi i denti. Il genitore, esasperato, sbotta: “Ecco, a farla tanto lunga per andare a letto ormai non c’è più tempo per leggerti una storia”.


Le madri o i padri che stanno a casa, invece, non sono condizionati dalla fretta nelle ore che precedono il momento di coricarsi. Il genitore “a tempo pieno” ha l’opportunità di dedicarsi alla lettura in tutta tranquillità e in qualsiasi momento della giornata, quando sia lui che il bambino necessitano di un attimo di quiete. Il bimbo che ha goduto della presenza del genitore per l’intera giornata avrà minore difficoltà e renitenza a separarsi, quando arriva il buio, accettando di buon grado di andare a letto perché consapevole che, al mattino, mamma o papà saranno sempre con lui, a leggere e giocare insieme.

Controllo dei media: televisione e videocassette

La stessa attenzione che i genitori manifestano nei confronti della qualità della dieta dei loro figli, dovrebbe essere rivolta alla qualità della stimolazione visiva e uditiva a cui questi sono sottoposti. Fin dai primi anni di vita, il bambino è affascinato dalle immagini televisive. La tv, baby-sitter tanto potente quanto gratuita, si accaparra tempo e attenzioni che altrimenti potrebbero essere impiegate leggendo, raccontando storie, parlando, ascoltando e cantando, tutte attività in cui la presenza del genitore (o del suo sostituto) viene associata al divertimento e all’apprendimento verbale. Con troppa facilità gli adulti lasciano il bambino davanti alla televisione, la quale, nel momento in cui si sostituisce al tempo da condividere, priva entrambi di esperienze piacevoli necessarie al sostegno del loro legame.


Se un bambino trae maggiore soddisfazione dai programmi televisivi piuttosto che dalle interazioni con i genitori, con ogni probabilità troverà più difficoltoso prestare attenzione agli adulti e, più avanti, agli insegnanti. Se il genitore non provvede a sostituire l’intrattenimento passivo della televisione con stimoli più attivi rischia di essere completamente ignorato dai propri figli. Il problema principale sollevato da televisione, video e audiocassette è l’impossibilità di interruzione del flusso, per porre domande e ricevere risposte personalizzate. Non c’è interazione tra media e bambino. Quest’ultimo, per di più, ha scarso o nessun controllo sul ritmo e sul contenuto degli stimoli ricevuti. L’impulso naturale di chiedere, di elaborare o di rispondere con le proprie esperienze e i propri sentimenti gli viene così negato. Al contrario, quando è un adulto a raccontare una storia o a leggere un libro, il bambino diventa un ascoltatore attivo e partecipe che formula domande e risposte facendo ricorso alla propria immaginazione.


La dottoressa Sally Ward, principale terapeuta della comunicazione e del linguaggio del Central Manchester Healthcare Trust (Inghilterra), attraverso uno studio condotto su 1.000 bambini ha scoperto che il costante rumore di fondo di televisori e radio tenuti ad alto volume provoca un ritardo nello sviluppo del linguaggio. La Ward diede inizio alla ricera nel 1984, dopo aver riscontrato tale ritardo in un numero crescente di piccoli pazienti nella sua clinica di Longstreet. Mettendo a punto un test per l’identificazione di comportamenti di ascolto inusuali, diversi dalla sordità, scoprì che in molti casi i bebè ignorano le voci umane privandosi così del precoce apprendimento del linguaggio.

Dopo aver analizzato e confrontato i dati in uno studio condotto sei anni più tardi, la Ward trovò che la percentuale di ragazzini affetti da un duplice disturbo di ascolto e di linguaggio era salita dal 12 al 20%. Era sua opinione che la causa andasse ricercata nel rumore costante prodotto dal televisore, dai video e degli stereo. Rilevò inoltre che quando i genitori spegnevano il video per dedicare un’ora al giorno alla comunicazione e al gioco con i propri figli senza dover competere con i suoni estranei dei media, si ottenevano miglioramenti sia nel linguaggio sia nella capacità di ascolto. La dottoressa Ward rilevava “livelli acustici impressionanti di televisori costantemente ad alto volume. Sono certa che si tratti di un ottimo sistema per tenere buoni i bambini: lattanti di tre mesi piazzati davanti alle videocassette e appena più grandi con gli auricolari alle orecchie in ascolto delle fiabe sonore6; e notava altresì che “la televisione ha assunto il dominio sulle relazioni familiari, impoverendo soprattutto quelle tra adulti e bambini7.

Questo non significa che guardare un po’ di televisione non sia stimolante e arricchente. Il mezzo televisivo amplia le esperienze dei bambini, migliorandone il vocabolario e la comprensione del mondo. Tuttavia trovare programmi adatti ad ogni età è assai difficile. Il genitore deve sapere dire “no”, spegnere la tv e affrontare le proteste che ne conseguono. In tal senso potrebbe essere utile preparare il bimbo, avvisandolo per tempo. Il genitore (o l’adulto) che dedica un “momento speciale” al fanciullo immediatamente dopo aver spento la televisione dovrebbe offrirgli un’alternativa piacevole. Per i bimbi in età prescolare la tv andrebbe spenta almeno un’ora prima di andare a letto, così come durante i pasti.


I genitori – lavoratori o “a tempo pieno” – in genere hanno difficoltà nello stabilire limiti e regole riguardo l’uso della tv. Da un lato, gli adulti stessi sono spesso dipendenti dalla televisione al punto di non accorgersi di quanto tempo rimanga accesa durante il giorno; dall’altro non si rendono davvero conto che la presenza invasiva e costante della televisione invia stimoli eccessivi, nocivi per il bambino: persino i cartoni animati, di solito ritenuti innocui, lo possono inavvertitamente inquietare. Se si dedicasse del tempo a parlare dei programmi televisivi così come di altre questioni, normalmente rianalizzate e spiegate, molte di queste reazioni di spavento verrebbero ridimensionate. La visione di un programma a contenuto “inquietante” in compagnia di un genitore potrebbe contrinuire a far sentire il bambino più al sicuro. Ma il genitore che sta tutto il giorno fuori casa quale controllo potrà mai esercitare su quanto visto e sentito dal figlio?


L’utilizzo della televisione, di video e audiocassette nei nidi pubblici e familiari, così come nelle case, è in costante aumento. È ormai abitudine in molti servizi per l’infanzia stabilire momenti in cui si guarda la televisione, senza contemplare alcun intervento di controllo da parte dei genitori.


Jonathan, due anni e mezzo, racconta alla mamma di essersi spaventato per la videocassetta che gli hanno mostrato al nido. Interrogata a proposito, l’educatrice riferisce che un bimbo più grande ha portato una videocassetta da condividere con i compagni: “Dopo tutto, era un cartone di Walt Disney, adatto ai bambini”. Ma molte produzioni Disney sono zeppe di eventi spaventosi: morte di un genitore, personaggi mostruosi, protagonisti dispersi, rapiti o in pericolo. La maggior parte della letteratura a cui si ispira la Disney (ad esempio le fiabe) è stata scritta per bambini in età scolare, dai sei ai dodici anni, e non per un pubblico di bimbi sotto i cinque. In breve, sono pochi i cartoni adatti a questa fascia d’età, a prescindere dalla presenza di un genitore.


Purtroppo i film d’azione violenti fanno grossi incassi. Dal momento che non v’è necessità di grandi competenze linguistiche per la comprensione di scene aggressive, i media tendono a produrre sempre di più programmi violenti, sia per i bambini che per il mercato internazionale. In film del genere i dialoghi sono spesso secondari, il che evita troppi sforzi sul fronte del linguaggio, contribuendo a garantire ai produttori il massimo dei profitti. D’altro canto, la comprensione e l’apprezzamento delle commedie e delle storie d’amore non può prescindere da un linguaggio più raffinato.

Le immagini paurose che un bambino vede in televisione e in videocassetta acuiscono le sue ansie e confermano l’implicito timore che il mondo sia pieno di pericoli ai quali lui si sente esposto e vulnerabile. Per di più i bambini che sperimentano rabbia e collera vedono nella violenza la soluzione alle loro inquietudini. La televisione offre rari modelli alternativi di gestione dell’aggressività; in effetti, guardando la cronaca locale in tv, gli adulti tendono a percepire la propria comunità in costante pericolo e, consapevolmente o no, finiscono col trasmettere tali ansie e preoccupazioni ai figli. Attraverso il mezzo televisivo omicidi, stupri e disgrazie d’ogni tipo invadono la quotidianità di gran parte delle famiglie, sebbene i fatti tragici e traumatici in questione si verifichino lontano da casa e dalla comunità. Da diversi studi risulta che la maggior parte dei telegiornali in onda in prima serata riporta una media di quattro o cinque eventi violenti che, se non appartengono alla comunità, vengono “importati” da comunità diverse, magari a centinaia o a migliaia di chilometri di distanza8.


È facile comprendere come numerose autorità si interroghino sugli effetti a lungo termine sulla società della visione quotidiana di violenza e tragedie – soprattutto in televisione. Accanto alle azioni intraprese dai governi, o in assenza di esse, è preciso compito del genitore farsi carico di un maggior controllo dell’idoneità dei programmi televisivi seguiti dai figli. È bene che sia la qualità sia la quantità degli stimoli esterni derivanti dalla tv vengano valutate e monitorate se si intende ridurre al minimo gli effetti dannosi dei media9.

Insegnamento della disciplina

Tutti i genitori desiderano crescere figli disciplinati, ma spesso non riescono a vedere il nesso tra la loro presenza e il loro impegno diretto e la condotta assunta in ultima istanza dal bambino. Un bimbo si può definire disciplinato quando:

  • si comporta in modo appropriato per la sua età e il suo stadio di sviluppo;

  • è spontaneamente motivato a giocare, studiare e lavorare;

  • è in grado di riconoscere diversi tipi di sentimenti e di emozioni, che inizia a controllare e ad esprimere in maniera appropriata;

  • è in grado di imparare le regole della famiglia, del vicinato e della scuola, incluso il rispetto della privacy e della proprietà altrui;

  • è in grado di posticipare la soddisfazione e la gratificazione immediata a favore di un appagamento più a lungo termine.

La disciplina deve essere insegnata: il bambino nasce senza sapere come comportarsi; deve quindi impararlo come per qualsiasi altra materia, a casa come a scuola. Perché tale insegnamento abbia buon esito è necessario:

  • aiutare il bambino a sviluppare un senso di fiducia nell’adulto. Il fanciullo ha bisogno di sentirsi protetto e al sicuro e gli risulta difficile imparare la disciplina se arrabbiato, spaventato o deluso da chi non sa essere presente e disponibile. Un attaccamento sicuro e amorevole è uno stimolo per l’apprendimento dell’autocontrollo o di nuovi tipi di comportamento; il desiderio di compiacere l’adulto che si prende cura di lui gli dà l’entusiasmo per imparare, crescere e obbedire.

  • aspettarsi in modo ragionevole che il bambino sappia imparare quanto insegnatogli da chi se ne occupa. Tale ragionevolezza dipende dall’età del piccolo, dalle sue capacità, dalle pressioni sociali e dal suo vissuto.

  • comunicargli chiaramente che cosa ci si aspetta da lui. Per la maggior parte dei bambini in età prescolare, l’espressione verbale di tali aspettative e direttive potrebbe non essere sufficiente. La rappresentazione del comportamento desiderato attraverso il gioco con le bambole o gli animali di peluche lo aiuterà a prepararsi e a mettere in pratica quanto richiesto. Eventuali cambiamenti nella routine quotidiana vanno preparati e discussi in anticipo. Per esempio, il bambino ha bisogno di sentir parlare dell’arrivo di un letto nuovo, di che cosa accadrà alla sua culla e di quando e come avverrà tale transizione.

  • valutare il comportamento del fanciullo comunicandogli quanto è stato ben fatto e su cosa c’è ancora da lavorare, proprio come gli insegnanti che con le verifiche determinano quanto è stato imparato e cosa richiede ulteriore esercizio.

  • permettere al bambino di riprovare. La pratica attraverso vari tentativi è essenziale in qualsiasi tipo di apprendimento.

  • trovare il tempo e un luogo in cui dare sfogo agli atteggiamenti e alle emozioni meno disciplinati. La camera da letto o il cortile dietro casa possono garantire la privacy necessaria per lasciarsi andare al caos, al lancio di oggetti, agli sputi, alle urla e al baccano.

  • riconoscere il comportamento disciplinato una volta appreso o messo in pratica. Tuttavia un eccesso di lodi rischia di interferire con la soddisfazione provata dal bambino che sa di essersi comportato bene, oltre che di dare origine a ulteriori, occulte pressioni.

I requisiti appena elencati indicano che l’insegnamento della disciplina è un compito complesso che richiede giudizio, programmazione, tempo e impegno. Eppure, nel lamentarci della mancanza di regole dei nostri figli, tendiamo a dimenticare l’importanza della presenza e dell’impegno dell’adulto per l’insegnamento di una condotta appropriata. Inculcare la disciplina richiede tempo. Purtroppo i genitori, in colpa per la lunga assenza quotidiana, e forse anche in competizione con il sostituto che è stato con il loro figliolo tutto il giorno, sono spesso riluttanti a imporre dei limiti. Diventano inconsapevolmente seduttivi e indulgenti, per non rovinare le poche ore trascorse col figlio, prima di andare a letto, con questioni riguardanti la disciplina. I genitori disponibili per gran parte della giornata sentono meno sensi di colpa e una maggior volontà di stabilire limiti e di far fronte a reazioni emotive negative. Si sentono anche più a loro agio nell’affrontare il bambino che necessita di un comportamento più disciplinato.

L’insegnamento della disciplina attraverso l’esempio

Uno dei sistemi più efficaci per l’insegnamento della disciplina è la proposta di modelli. Tuttavia è opportuno che i genitori siano presenti perché il loro esempio possa trasmettere il comportamento desiderato. Parlando a un gruppo di genitori, il noto psicologo dell’infanzia Bruno Bettelheim ammetteva che, a quanto pare, ci vuole “un numero infinito di esempi genitoriali di auto-controllo e pazienza per insegnare la disciplina e indurre il bambino a interiorizzare valori positivi10.

Ecco alcuni esempi:

  • Non possiamo aspettarci che il bambino smetta di picchiare gli altri quando la persona che si occupa di lui continua a picchiarlo o a sculacciarlo.

  • I genitori o i sostituti che ricorrono a un linguaggio volgare non possono pretendere che il piccolo non dica parolacce.

  • Se in macchina mamma e papà non si mettono la cintura di sicurezza, sarà più difficile per il bambino imparare a farlo. I genitori sono tenuti a rispettare i segnali stradali, i semafori rossi e i limiti di sosta se vogliono che i loro figli crescano nel rispetto delle regole imposte dalla società.

  • È difficile insegnar loro ad adeguarsi rapidamente agli orari delle attività quotidiane se il genitore o il sostituto non li va a prendere all’asilo, a scuola o a casa di un amico all’ora prestabilita.

  • Non aspettiamoci che i bambini usino un vocabolario appropriato per esprimere la rabbia (anziché utilizzare le mani o far scenate di collera) se noi adulti non diamo loro l’esempio di come risolvere i contrasti attraverso la comunicazione.

  • I genitori dovrebbero essere consapevoli delle conseguenze delle loro menzogne o dell’atteggiamento di vanto o scherno per averla fatta franca di fronte alle regole. Si tratta di un comportamento non solo di pessimo esempio, ma anche ambivalente rispetto alla morale.

  • Le prevedibili abitudini quotidiane riguardo i pasti, il sonno e il gioco sono un esempio dell’impegno del genitore rispetto all’ordine e alla disciplina. Non è esempio di condotta disciplinata lasciare i propri figli affamati, privi del giusto riposo e del tempo da dedicare all’attività ludica.

  • Se vogliamo che i figli ci diano ascolto, è importante che ci prendiamo il tempo per prestar loro ascolto. Non è sempre facile interrompere quello che si sta facendo per concentrarsi sulla comunicazione con il bambino. Se rispondiamo ai segnali di nostro figlio con un “tra un minuto” o un “più tardi”, stiamo dando esempio di indisponibilità. Pertanto non dobbiamo sorprenderci se il bambino non ci ascolta o non ci risponde.

I genitori che sono fuori casa ogni giorno, per lavoro o in viaggio, non sono disponibili come modelli attivi. Il bimbo verrà quindi privato della possibilità di verificare se anch’essi si comportano in modo disciplinato. L’assenza del genitore comporta diverse importanti conseguenze:

  1. Il genitore non è a conoscenza della maggior parte dei comportamenti indisciplinati del bambino.

  2. Il genitore ha scarso controllo sulle diverse reazioni del sostituto rispetto ai diversi comportamenti del bambino.

  3. Non è possibile insegnare il comportamento disciplinato, se non – eventualmente – in modo superficiale.

  4. Nel caso in cui il sostituto materno imponga la disciplina con modalità sadiche o punitive – minacce, sculacciate, restrizioni fisiche – e il bimbo sia ancora troppo piccolo per denunciarlo, il genitore non potrà esserne messo al corrente. Ecco le minacce a cui in genere ricorrono i sostituti: chiamare la polizia, riferire al piccolo dell’imminente arrivo di un mostro, o che verrà rinchiuso a chiave o mandato via, o ancora che mamma e papà non torneranno se lui non ubbidisce.

  5. Il bambino, se punito, rischia di non capire in modo chiaro il motivo della punizione e il comportamento da adottare.

  6. Dal momento che quello della disciplina è in genere compito quotidiano del sostituto, una volta rientrati a casa dopo una giornata di lavoro è facile che i genitori scoprano che il figlio non li ascolta o non ubbidisce. Questo succede perché il bimbo non vede nel genitore che lavora la principale figura di riferimento; pertanto non si sente tenuto a prestare attenzione alle sue richieste. Al contrario, tende a rispondere in modo più appropriato al sostituto con cui ha creato un legame di attaccamento e con cui deve relazionarsi per gran parte della giornata.

I bambini che avvertono un coinvolgimento parziale da parte dei genitori che lavorano tendono ad avere maggiori difficoltà a rispondere alle loro richieste e a quelle della società, oltre che a rispettare le regole e ad adottare una condotta disciplinata. I problemi disciplinari legati all’assenza del genitore sono paragonabili alle difficoltà affrontate da un supplente con la classe a lui affidata: ben presto scopre che gli alunni, in genere collaborativi con il proprio insegnante, con lui si mostrano insubordinati e turbolenti, sentendosi liberi di comportarsi come vogliono poiché non hanno nessuna relazione col nuovo insegnante.

Sviluppo della coscienza: la trasmissione di valori morali e sociali

I bambini non nascono con una coscienza. Non crescono automaticamente con il senso dell’onestà, della giustizia, della generosità o della gentilezza. Si tratta al contrario di valori morali e sociali che vengono appresi in momenti critici dello sviluppo infantile.

In High Risk: Children Without a Conscience, Magid e McKelvey scrivono: “Il riconoscimento della voce e del volto della madre da parte del bebè è programmato per favorire il legame e il processo di attaccamento. Come si è visto, è attraverso l’attaccamento genitore-bambino che l’energia di quest’ultimo viene regolata, incanalandosi e trasformandosi in una crescita sana. Questo è l’inizio del processo di socializzazione, che dona al fanciullo in crescita un’intima sensazione di fiducia e di benessere. Con la socializzazione ha inizio la formazione della coscienza11. La coscienza – che è un insieme di valori, proibizioni e concetti di “giusto e sbagliato”– ha origine nel legame precoce e nel processo di attaccamento. Se si garantiscono un accudimento e una protezione costanti nei primi anni di vita, il bambino si sentirà amato, rispettato e curato teneramente, e imparerà ad avere fiducia. Inizierà a identificarsi con i valori e gli standard degli adulti importanti nella sua vita, imitandoli e interiorizzandoli. Tale processo, tuttavia, richiede un accudimento sensibile e costante nei primi tre anni di vita. Come detto in precedenza, se in questo periodo si assiste alla frequente sostituzione delle principali figure di riferimento, neonati e i bimbi sotto i due anni avranno difficoltà ad apprendere la fiducia e a creare attaccamenti sicuri. Per questo, più avanti, la loro capacità di assimilare i valori degli adulti che li crescono potrà rivelarsi insufficiente. Molti di questi bambini sviluppano gravi problemi sociali e comportamentali in età adolescenziale o da adulti, come risultato del mancato sviluppo della coscienza. Usando le parole di Selma Fraiberg: “Dove non ci sono attaccamenti umani, non c’è coscienza. Di conseguenza, questi uomini e queste donne vuoti costituiscono una larga fetta della popolazione criminale12.


Se, al contrario, il genitore, in qualità di figura di accudimento stabile e sensibile, riesce a stabilire un attaccamento adeguato e sicuro con il proprio figlio nei suoi primi tre anni di vita, con maggior probabilità questi, tra i cinque e i nove anni, adotterà i valori del genitore. Tuttavia non si tratta di un processo automatico: che il piccolo segua o meno i valori di cui sopra dipende non solo dalla creazione di una stretta relazione con il genitore nei primi tre anni di vita, ma anche dalla sua presenza adeguata e costante in fasi successive dell’infanzia. Come vedremo, l’assenza di un genitore al rientro da scuola può creare seri ostacoli allo sviluppo e all’introiezione di valori morali.


Nel confrontare l’influenza dei genitori con quella esercitata da altre figure nello sviluppo dei valori, la dottoressa Penelope Leach afferma: “… meno tempo bambini e genitori passano insieme e meno pensieri e attività condividono, più forti saranno le influenze secondarie. I bambini in crescita e in continuo sviluppo ed evoluzione non possono essere ‘ibernati’ durante le assenze dei genitori, per cui il tempo e lo spazio nella loro mente e nei loro cuori verrà riempito da altre persone13.

La maggior parte dei genitori si augura e si aspetta che i figli imparino e mettano in pratica i valori tradizionali dell’onestà, della sincerità e del rispetto dei diritti del prossimo. Si tratta di valori morali che si apprendono nel corso della crescita, ma in modo particolare tra i cinque e i nove anni. È durante questo periodo critico che la maggior parte dei bambini sperimenta la menzogna, l’imbroglio e il furto. Ed è in questi stessi anni che i fanciulli imparano le regole da seguire a casa, a scuola e all’interno della propria comunità. Sarebbe utile che regole e valori compatibili venissero trasmessi sia a scuola che a casa.


In America è ormai prassi comune, tra alcuni genitori di piccoli delinquenti, dare la colpa del loro comportamento all’incapacità degli insegnanti e al fallimento del sistema educativo. Li si sente spesso protestare: “Se la scuola facesse il suo dovere invece di coccolare gli studenti, i bambini imparerebbero a rispettare le leggi e le regole della società”, quando, in realtà, farebbero meglio a considerare se il loro ruolo di genitori latitanti abbia nulla a che fare con la condotta antisociale dei loro figli.


Nel prendere in esame i genitori assenti per lavoro e lo sviluppo dei valori che vorremmo vedere inculcati nei nostri bambini, ho notato che sono in molti a riconoscere l’importanza della famiglia nella formazione di bravi cittadini dotati di valori sociali positivi. Tuttavia i genitori sembrano dimenticare la scarsa influenza esercitata sui figli durante le assenze lavorative nel corso della settimana.

A tale proposito, la dottoressa Leach afferma: “Invece di imparare a comportarsi come si comportano gli adulti, ci si aspetta che i bambini si comportino come gli adulti dicono di comportarsi. La disciplina ottenuta con l’esercizio del potere non sarà mai tanto efficace quanto l’autodisciplina ottenuta attraverso l’esempio14 (sottolineatura nostra). È quindi evidente che se i genitori sono assenti per gran parte della giornata, la trasmissione dei valori sarà influenzata soprattutto dal sostituto che in quel momento si prende cura del bambino.

I piccoli hanno bisogno di sapere che cosa ci si aspetta da loro e che sono responsabili del proprio comportamento. Devono imparare a obbedire alle aspettative, alle regole, alle abitudini della società. Per crescere bambini responsabili è quasi sempre necessaria la presenza di un adulto: è ovvio che se i genitori sono assenti durante la settimana, di solito non sono al corrente delle azioni antisociali commesse dal figlio; non hanno neppure modo di indagare sul suo comportamento o ritenerlo responsabile. Se il piccolo Peter, quattro anni, porta via una macchinina dalla casa di un amico, il genitore assente può non venire a conoscenza del furto perché la tata non lo riferisce o se ne dimentica o perché non vi presta attenzione. Questo a un estremo; all’estremo opposto, la tata si accorge dell’incidente e punisce il bambino “marchiandolo” con l’epiteto di “ladro”. Un atteggiamento del genere rischia di avere conseguenze deleterie sull’autostima di Peter; oppure di incoraggiarlo involontariamente a diventare un ladruncolo ancor più scaltro e accorto. Sarebbe auspicabile che, di fronte a un episodio del genere, un genitore spiegasse con garbo e fermezza: “So che ti piace quella macchinina, ma devi ricordarti che appartiene al tuo amico. Anche a lui piace, e dal momento che è sua è necessario che tu gliela restituisca. Se vuoi verrò con te”.


La storia di Peter potrebbe sembrare un esempio isolato e banale, ma proprio certi esempi sono utili a insegnare il valore della proprietà privata e di una condotta sociale accettabile.


Molti degli incidenti che si verificano durante i critici anni della scuola possono contribuire al rispetto delle regole della società. Si prenda ad esempio Vicky, una bambina di otto anni, la quale dà la colpa al fratello di tutti i guai che avvengono in casa: “È lui che rompe tutto, è colpa sua!” Vicky nega completamente le proprie responsabilità che, tuttavia, i genitori – presenti – sono in grado di rilevare, insegnandole a farsi carico delle proprie malefatte. Allo stesso tempo, si rendono conto di quanto sia importante rispettare la capacità della bimba di usare l’immaginazione per distorcere, inventandola, la realtà dei fatti. La mamma potrebbe dirle: “So che il tuo fratellino ti crea problemi, ciò non toglie che mi devi aiutare a rimettere a posto il caos che hai fatto tu”. Oppure: “Mi piacciono le storie che inventi ed è divertente fingere, ma dobbiamo aggiustare il registratore che si è rotto mentre ci stavi giocando tu”.


I bambini in età scolare sono piuttosto bravi a mentire e imbrogliare, e dal momento che passano buona parte della giornata lontani da casa è difficile persino per un genitore “a tempo pieno” sapere cosa stiano facendo. Tuttavia se è presente almeno al rientro da scuola, la mamma – o il papà – ha maggiori possibilità di osservazione, richiesta e ascolto. Nel caso tipico in cui il bambino ha le chiavi di casa, invece, è pressoché impossibile per il genitore avere la stessa possibilità.


Nemmeno è possibile avere un’idea se quanto raccontato dal figlio sia attendibile.


Per esempio quando la mamma chiede: “Janey, dove hai preso quel giocattolo?”, Janey può mentire rispondendo: “Me l’ha dato la mia amica Jennifer”, quando magari è stata proprio Janey a prenderlo, senza pagarlo, facendo la spesa al supermercato con la baby-sitter. Se ci fosse stata la mamma con lei il furto non avrebbe avuto luogo o comunque il genitore se ne sarebbe accorto una volta in macchina o a casa. In quel caso il genitore potrebbe dire: “Janey, dobbiamo tornare al supermercato e restituire il giocattolo, oppure pagarlo. Non si può prendere qualcosa senza pagarlo, è contro le regole. Troveremo insieme il modo di procurarti un altro giocattolo come questo, se proprio lo desideri tanto. Però devi dirmelo, così posso aiutarti a imparare a rispettare le regole. Naturalmente verrò con te al supermercato e ti aiuterò a spiegare al direttore che hai preso il giocattolo e che sei tornata per restituirlo”.


Il genitore assente non ha occasione di osservare e individuare prontamente un comportamento del genere. Per di più, senza il confronto appena descritto Janey rischia di continuare a rubare e a mentire al riguardo senza essere scoperta, rendendosi così responsabile di tanti piccoli furti e menzogne nel corso degli anni della scuola, col risultato di crescere appesantita da questo fardello.


Non bisogna tuttavia presumere che il tempo dedicato dai genitori ai figli a fine giornata o nei fine settimana non abbia alcuna influenza sullo sviluppo della coscienza del bambino. Al contrario, mamma e papà possono fare molto per trasmettere i valori morali nei momenti trascorsi in compagnia dei loro figli. Quella dei pasti, ad esempio, è una buona occasione per rafforzare valori sociali positivi.

Programmazione delle attività familiari, feste, gite e pasti in famiglia: questione di tempo

Alle 18 il piccolo Jonathan, di cinque anni, è troppo affamato per aspettare che alle 18,30 la mamma arrivi e gli prepari la cena; così la baby-sitter gli scalda al microonde un pasto surgelato. Jonathan mangia davanti alla tv, guardando il suo programma preferito. Col piatto vicino alla bocca, ingurgita il pasto in un attimo. Sua sorella Nancy a volte aiuta la madre a preparare la cena, ma poi si porta il piatto in camera e mangia al telefono con gli amici, o davanti alla televisione. A seconda dei suoi orari, capita che il papà non rientri prima delle 20. Anche a lui tocca mangiare da solo una cena riscaldata. In questa famiglia, i pasti sono vittima della frammentazione dovuta al lavoro di entrambi i genitori.


L’organizzazione delle attività familiari richiede tempo; questo è vero non solo se si tratta di programmare una vacanza o una festa, ma anche per la preparazione quotidiana dei pasti, in specie quelli serali. Benché nelle famiglie si ami cenare tutti insieme, anche nel caso in cui entrambi i genitori lavorino, non è facile riuscirci. Non stiamo parlando di quell’esigua percentuale di focolari in cui c’è una domestica che ha l’intera giornata a disposizione per la preparazione e la presentazione di vivande appetitose: la famiglia media affida a un unico membro – in genere la madre – l’onere di fare la spesa e di programmare i pasti in modo tale da riunire l’intero nucleo.


A tavola le tensioni dovute alla fame e alla fatica si riducono, il corpo si rinvigorisce. Per i bambini è un’ottima occasione per conoscere parole e idee nuove, quello che accade nel mondo e nel vicinato, e per affrontare eventuali discussioni e trovarvi risoluzione. È un buon momento per ascoltare e parlare di valori e sentimenti. Non c’è da stupirsi che tanti personaggi di successo ricordino con tenerezza – ed enfasi – l’importanza dei pasti in famiglia della loro infanzia. Ci dicono come quei momenti rappresentassero una finestra nella vita dei loro genitori e nel mondo esterno, come avessero loro insegnato ad ascoltare i fratelli e le sorelle e a osservare e a praticare le buone maniere a tavola; come avessero dato loro l’occasione di essere coinvolti in numerose questioni familiari. Tutto mentre godevano dei piaceri del cibo.


In teoria durante la cena i genitori possono aver modo di conoscere qualche stralcio della giornata dei figli, i quali, senza rendersene conto, hanno occasione di esercitare le loro competenze linguistiche, di arricchire il proprio vocabolario e di sentire che chi vuol loro bene li ascolta con interesse. Nella realtà per gran parte dei bimbi in età prescolare, che si fanno subito irrequieti non appena terminato di mangiare, i pasti non durano più di cinque minuti.


Negli ultimi 30-40 anni si è assistito al declino del concetto di “pasto in famiglia”. È triste constatare come al giorno d’oggi, dopo essersi riempiti il piatto in cucina, si vada a mangiare piazzati davanti al televisore in totale solitudine (che tutti i membri della famiglia si trovino o meno a casa). I bambini spesso seguono i loro programmi preferiti in un’altra stanza, mangiando isolati dai genitori, senza condividere nemmeno l’esperienza televisiva. E anche nel caso in cui si guardi tutti lo stesso programma, l’attenzione è rivolta esclusivamente allo schermo. Il dialogo in famiglia è scarso o addirittura assente, non fosse che per le zuffe per decidere il programma da seguire. Così va perduta una grande occasione; i membri della famiglia si negano una preziosa esperienza sociale ed educativa.


Durante i pasti (ammesso che li si consumi tutti insieme) genitori e figli potrebbero decidere di affrontare una serie di argomenti, e i bambini magari si metterebbero a litigare per il cucchiaio più bello o la porzione più abbondante, o per il posto da occupare. Ad ogni modo, è sempre bene assicurarsi che quanto proposto e discusso sia appropriato all’età. L’ideale sarebbe che gli argomenti di discussione riguardassero:

  • quanto accaduto a scuola o al lavoro;

  • programmi per futuri viaggi, traslochi, vacanze, feste o acquisti;

  • apprezzamenti circa avvenimenti e festeggiamenti del passato;

  • il tempo e come prepararsi ai suoi cambiamenti;

  • valori come l’onestà, la lealtà, l’amicizia, la generosità, la compassione – che possono essere esplorati attraverso l’uso di aneddoti; ricordi delle tradizioni di famiglia e dell’infanzia dei genitori;

  • problemi familiari, tensioni e motivi di scontento.

Sarebbe opportuno non affrontare argomenti seri in modo accigliato e spiacevole: una conversazione disinvolta e amichevole, nonostante la gravità della tematica, risulta più efficace. Un po’ di umorismo, qualche battuta e tante risate aggiungono gusto all’esperienza del pasto. E ogni tanto anche qualche silenzio.


In sintesi, sembra ovvio che l’istituzione del pasto familiare offra molte opportunità d’interazione positiva e gioiosa tra genitori e bambini, benché sempre più spesso abbia luogo al ristorante… Purtroppo, mangiare a casa tutti insieme è diventata un’abitudine sempre più rara, non solo durante la settimana ma anche la domenica!

Il ruolo dei genitori nell’educazione sessuale

È estremamente importante sapere quando e come trasmettere informazioni sessuali ai bambini in età prescolare. Per fortuna tali informazioni non vengono impartite tutte in una volta: la storia si rivela nel corso degli anni, demistificando quest’area insidiosa man mano che il bambino esprime interesse ed è in grado di comprendere.


Le domande intorno al sesso potrebbero arrivare in qualsiasi momento della giornata. La modalità di risposta adottata dai genitori influenzerà l’atteggiamento del figlio nei confronti di questo argomento cruciale per gli anni a venire.


A volte gli adulti, interrogati sull’argomento, mostrano imbarazzo, rabbia, turbamento, piacere o interesse nel soddisfare la curiosità del piccolo. Si corre così il rischio che, da un lato, il messaggio inconscio recepito dal bambino sia del tipo: “non si parla di certe cose”; oppure che l’informazione risulti inquietante, scorretta o ingestibile. Dall’altro lato, il messaggio potrebbe rivelarsi soddisfacente e interessante, e condurre a un’ulteriore discussione sulle problematiche sessuali.


Un’informazione troppo dettagliata e precoce rischia di allontanare, spaventare o sopraffare il bambino. Spiegazioni e ragguagli insufficienti, al contrario, lo renderanno curioso e insoddisfatto. All’inizio sono i genitori a farsi carico dell’educazione sessuale dei loro figli; più tardi saranno gli insegnanti e i libri ad arricchire le informazioni di base ricevute.


L’educazione sessuale comprende un’ampia varietà di fatti, atteggiamenti, esperienze, tra cui:

  • princìpi anatomici e differenze biologiche tra maschi e femmine;

  • l’origine e la nascita dei bambini;

  • i mutamenti fisici dell’adolescenza;

  • l’insorgenza di sensazioni erotiche e tempi e modalità di espressione;

  • lo sviluppo di atteggiamenti positivi nei confronti delle persone del proprio sesso e di quello opposto.

Un bimbo di tre anni potrebbe chiedere: “Da dove sono venuto?” o “Come mi avete trovato?”. Alcuni bambini non si esprimono in modo diretto ma dimostrano una curiosità inestinguibile (come Il piccolo elefante di Kipling). Altri domandano ossessivamente “perché?”, senza mai porre una domanda precisa.


Come si può vedere, l’educazione sessuale è un’ardua impresa anche per quei genitori motivati che si sforzano di comunicare in modo efficace! A ciò si aggiunge l’angoscia e la frustrazione del non avere idea di come argomenti quali la nascita, l’anatomia, le mestruazioni, la masturbazione e l’identità sessuale vengano affrontati dai sostituti materni durante l’assenza dei genitori. È altresì vero che la maggior parte dei padri e delle madri desidera conoscere e verificare la reazione a tematiche di tale (enorme) portata.

L’importanza di essere sempre con lui!

Per quanto entusiasti e amorevoli, i genitori non sempre riescono a seguire in modo ottimale tutti gli aspetti legati allo sviluppo del loro bambino. Alcune mamme e alcuni papà, più di altri, preferiscono farsi coinvolgere dalle esperienze di gioco dei propri figli; altri sono più attenti all’insegnamento della disciplina, mentre ad altri ancora stanno più a cuore questioni riguardanti la salute, la sicurezza e la protezione. Tutti svolgono il ruolo di educatori sulla base dei propri punti di forza e delle loro debolezze psicologiche, ma con la volontà di trasmettere ai propri figli un amore e una premura profondi.


Nei miei incontri con i genitori a volte temo di esagerare quando insisto sui “bisogni” dei nostri figli, dai primi anni di vita all’adolescenza, e sulle conseguenze negative che derivano dall’ignorarli; ma non dimentichiamo i vantaggi ottenuti in cambio, nonostante la fatica e le frustrazioni. Innanzitutto i genitori hanno l’opportunità di partecipare alle migliaia di interazioni che, di ora in ora e giorno per giorno, si sviluppano con i loro bambini: giocare a nascondino, cantare, consolare, cullare, nutrire, dipingere, andare in bicicletta, pattinare, giocare a palla, parlare, spiegare, insegnare e sì – a volte sgridare. In più sono presenti per gioire insieme al proprio piccino delle sue numerose “prime volte”. Sono con lui quando muovono i primi passi, quando ripetono o producono le prime parole, quando per la prima volta usano il vasino o riescono a prendere la palla, quando con le prime pitture e i primi disegni danno sfoggio del loro slancio creativo, o quando nelle conversazioni cominciano a esprimere concetti maturi e a volte sorprendenti, o suscitano l’ilarità generale con la loro simpatia. In altre parole, sia le mamme che i papà hanno l’opportunità, nei pochi anni della crescita dei loro figli, di conoscere, apprezzare e “vivere” il proprio piccolo nelle sue numerose sfaccettature. Un genitore mi ha raccontato dell’entusiasmo provato nel vedere il figlio, giocatore poco convinto, prendere la palla al volo durante una partita del campionato locale; la sua gioia in quel momento era senza limiti. Molte esperienze come questa sono perse per sempre se la mamma e il papà restano fuori casa tutto il giorno, per l’intera settimana. Al contrario ogni momento in cui un genitore è presente in modo significativo verrà ricompensato dalle gratificazioni e dai ricordi di cui godrà l’intera famiglia per tutta la vita. Non è forse questo che si intende quando si parla delle gioie della maternità e della paternità?


Tuttavia, per un padre e una madre, è difficile arrivare a provare le gioie dell’essere genitori senza la presenza di un coniuge o di una rete di sostegno affidabile: l’accudimento amorevole e solerte di un bambino di qualsiasi età richiede vigilanza, impegno, energia e costante allegria ed entusiasmo. Nella donna, l’energia della maternità può essere istintiva, una forza naturale che permette la sopravvivenza della specie. A volte questa forza deriva in parte dall’aver ricevuto in passato cure amorevoli dai propri genitori, ma la fonte principale è rappresentata dal sostegno, dalla comprensione e dall’affetto che la madre riceve dal proprio compagno. Un neonato non ha bisogno di essere accudito da più di un genitore, ma le madri (e i padri) necessitano di un compagno che sia “sempre con loro” offrendo amore, tenerezza e due mani in più che una volta contribuiranno a spingere la carrozzina, un’altra a fare la spesa, un’altra ancora a cullare il bambino che piange o, infine, ad abbracciare la compagna esausta.

La dottoressa Karen Schachere, in un articolo sulle madri lavoratrici, afferma che “la capacità di una madre che lavora a tempo pieno di rispondere alle esigenze del figlio in modo adeguato e sensibile può richiedere la disponibilità di un partner non solo a sostenerla nel ruolo di madre, ma a contribuire di buon grado ai principali compiti domestici15. Questo vale anche per una madre “a tempo pieno”.

Il partner rappresenta spesso il legame con il mondo esterno, sostenendo il genitore che sta a casa con brevi ragguagli sulla giornata lavorativa appena conclusa, notizie, pettegolezzi, disgrazie e un briciolo di umorismo. È altresì evidente che i figli un poco più grandi traggono enormi vantaggi dall’amore, dall’attenzione e dagli stimoli ricevuti da una figura diversa, con la quale creare un legame.


Il comportamento, il temperamento e le caratteristiche fisiche di due persone diverse sono di grande arricchimento per la vita di un bambino, per il quale non è bene puntare tutte le proprie energie emotive su un’unica carta: egli infatti ha l’opportunità di dipendere da entrambi i genitori o da un’altra figura di riferimento principale, e di contare su di loro per ottenere protezione, sostegno, conforto e divertimento. Il timore dell’abbandono da parte di un genitore single si riduce se nella vita del bambino vengono coinvolte due o più figure di attaccamento.

Che cosa desidera Timmy dal suo papà

Nel capitolo II Timmy ci ha raccontato che cosa desidera dalla sua mamma. Se potesse esprimere che cosa vorrebbe da un papà o dalla figura che affianca la madre, si protrebbe esprimere in questo modo:


Vorrei che il mio papà fosse con la mamma, durante il travaglio, a darle conforto e sollievo, per poi gioire insieme a lei al momento della mia nascita, e che comprendesse il disagio e i dolori del diventare madre.


Vorrei un papà che mi prendesse in braccio quando ho bisogno di braccia forti, di un passo diverso da quello, affaticato, della mamma.


Vorrei un papà con cui giocare con parole diverse, giochi diversi, barzellette diverse, canzoni diverse.


Vorrei un papà che mi insegnasse a usare il mio corpo e la mia mente per sentirmi più sicuro nelle sfide e per compiacermi delle mie nuove capacità.


Vorrei un papà che mi facesse conoscere il mondo esterno, che mi raccontasse storie esaltanti, che osservasse le regole e che fosse responsabile, insomma un papà degno di rispetto.


Vorrei un papà che mi sostenesse quando le gambe non mi reggono più, che mi fermasse quando perdo il controllo e che non mi spaventasse con la sua forza e il suo potere.


Vorrei un papà da cui imparare ad amare una donna, o (se Timmy fosse una femminuccia) che mi facesse provare la fiducia e la gioia dell’amore di un uomo. Si può definire papà la persona che offre il proprio, costante sostegno al bambino e alla sua principale figura di riferimento.

Sempre con lui
Sempre con lui
Isabelle Fox
I vantaggi di essere un genitore a tempo pieno.Quanto è importante stare con il proprio figlio almeno durante i primi due anni di età? Una forte presa di coscienza da parte di una psicologa evolutiva. Sempre con lui è dedicato ai milioni di bimbi piccoli che al giorno d’oggi sono privati del necessario e sano accudimento, per colpa dell’eccessivo impegno lavorativo di entrambi i genitori e della conseguente sostituzione delle principali figure di riferimento. L’autrice Isabelle Fox approfondisce questo fenomeno sociale, offrendo spunti di riflessione e illustrando concetti di vitale importanza per il benessere psicologico dei bambini. Un libro particolarmente ricco di soluzioni e suggerimenti pratici che, compatibilmente con i vincoli familiari e gli impegni lavorativi di mamma e papà, permetteranno di offrire ai bambini la migliore possibilità di sentirsi accuditi, compresi e amati. Conosci l’autore Isabelle Fox è psicoterapeuta da più di 40 anni, con specializzazione in psicologia evolutiva e relazioni genitori-figli. Per 10 anni ha prestato servizio come consulente per la salute mentale per Operation Head Start.