capitolo iii

Allattare oltre i primi mesi,
è facile o difficile?

Abbiamo detto che l’allattamento è innanzitutto una relazione d’amore, e non solo il modo normale di sfamare e dissetare il cucciolo umano. Questa relazione riguarda in prima persona la madre e il suo bambino, ma vi sono coinvolte anche altre figure: prima di tutto il padre, forse indirettamente le nonne, tanto più se si prendono cura del piccolo quando la madre è a lavoro… e poi esistono anche gli altri familiari, le amiche e gli amici, altri genitori con cui ci capita di parlare, eventuali articoli pubblicati su riviste più o meno specializzate e, in generale, i mass media, le consuetudini sociali, le pratiche commerciali, le politiche e le iniziative per l’allattamento… Tutti questi ambiti, come cerchi concentrici e parzialmente sovrapposti, si collocano intorno a mamma, bebè e padre e possono, in modo diretto o indiretto, condizionare non solo il modo in cui viene vissuta l’esperienza di allattamento ma spesso anche la durata.

Confrontarsi con le consuetudini e i valori culturali dominanti

Senza voler generalizzare o peggio fare “di tutta l’erba un fascio”, si ha a volte l’impressione di mettere al mondo i nostri figli in una cultura che, attraverso i suoi mezzi di comunicazione di massa, tende a trasmettere e a imporre valori legati al consumismo1. Pensiamo, ad esempio, ai bambolotti in vendita dotati già di biberon e ciuccio, alle valigette che vengono donate alle madri già in gravidanza o nei primi mesi dopo il parto, zeppe di materiale pubblicitario su prodotti che si vorrebbe far credere indispensabili per l’accudimento del bambino. Tutti questi oggetti portano a una sorta di dipendenza sottile, se non verso il prodotto specifico, verso la sua funzione nella vita di tutti i giorni. Si pensi, ad esempio, a tutta l’iconografia legata al neonato sempre rappresentato con biberon o ciuccio, alle pubblicità martellanti sulla salubrità dei cibi confezionati (omogeneizzati e affini) e, dopo, alle pubblicità pervasive di oggetti e giocattoli in fasce orarie pomeridiane, quando i bambini sono davanti alla televisione, oppure ancora, molto più semplicemente, agli scaffali ad altezza di bambino traboccanti di dolci e caramelle vicino alle casse del supermercato. I prodotti per bambini vengono poi presentati come puliti, trasmettendo implicitamente l’idea che invece le cose fatte in casa o il seno sono sporchi o meno igienici.

Le occasioni nella giornata in cui le mamme, i papà e i loro bambini si imbattono in questi messaggi sono così numerose, che riuscire a non farsi condizionare, almeno in parte, diventa quasi impossibile.


Questo si riflette anche negli atteggiamenti più legati alla relazione fra madre e bebè. Ci viene infatti proposto un modello di cure basato sulla separazione, il che implica che ancora non si riconosce che la diade madre-figlio è un tutt’uno che per i primi mesi almeno non dovrebbe conoscere distacco: non ha senso parlare di benessere dell’uno separato da quello dell’altra e viceversa. Oggi non soltanto tante madri e bambini vengono ancora separati già subito dopo il parto e nei primissimi giorni di vita, ma si dà anche scarsa importanza alla necessità di contatto fisico frequente e prolungato del neonato e del bambino piccolo, e ci si aspetta che questo se ne stia tranquillo nella culla… nel timore di viziarlo se tenuto troppo in braccio. Questo stile di accudimento, che in teoria dovrebbe rendere le madri più autonome e i loro figli più indipendenti, in pratica potrebbe come minimo generare confusione, quando non rendere la vita alquanto difficile…


Mi ricordo le interminabili passeggiate con Cosmo di pochi mesi in carrozzella, e lui che piangeva… Mi chiedevo: Perché piange??? Ha mangiato, l’ho cambiato e ora dovrebbe dormire…; alla fine dovevo per forza prenderlo in braccio, non resistevo a sentirlo piangere, e tornare a casa con lui in braccio spingendo la carrozzina era una faticaccia, per me che sono mingherlina… era una tortura e alla fine rinunciavo ad uscire sola con lui o facevo passeggiate brevissime. Per caso, frequentando un gruppo di auto-aiuto per l’allattamento scoprii la fascia e allora è cambiato tutto, uscire divenne molto più facile e non mi sentii più una reclusa. Cosmo piangeva meno e allattarlo non era più un problema, ovunque fossimo. Ma ancora più della fascia, fu una rivelazione il fatto di capire che i bambini hanno bisogno di contatto, e quindi non mi sono sentita più in colpa se, quando il mio piangeva in carrozzina, io sentivo il bisogno di prenderlo in braccio per consolarlo. La fascia poi è diventata ancora più utile quando è arrivata la sorellina, e poi l’altro bimbo!

Elisabetta, mamma di Cosmo, Penelope e Arturo


In modo paradossale, più ci si distacca dal modello naturale e più prendersi cura di un bambino piccolo diventa difficile, stressante fisicamente e psichicamente: provate a calmare un bambino di pochi mesi senza allattarlo, o a convincerlo che non potete prenderlo in braccio, a farlo addormentare da solo o a persuaderlo a mangiare alimenti prestabiliti, in dosi, orari e modalità prefissati. E infatti, come un cane che si morde la coda, il modello di cure infantili basato sul distacco è favorito dalla cultura della fruizione veloce e del consumismo, che a sua volta incrementa. Ci riferiamo a tutti i molteplici ausili tecnologici che in qualche modo dovrebbero compensare il bisogno fisiologico di contatto e di attenzione dei bambini: ovetti, sdraiette, culle auto-dondolanti e musicali, passeggini sempre più raffinati, costosi e tecnologici, sonaglini, carillon, e giochini vari, tappetini e ovviamente ciucci e biberon di ogni foggia, colore e materiale, sempre più anatomici, “naturali”, “fisiologici” ecc…


Mi suscitano grande perplessità quelle improbabili e spaziali tutone mega-imbottite in stile “omino Michelin”, in cui in inverno capita di vedere i bambini nei passeggini. Mi pare che queste tute impediscano ai bambini anche il minimo movimento, isolandoli completamente dall’ambiente circostante e da ogni possibilità di contatto fisico… non sarebbe più semplice tenerli al caldo addosso a sé, in una fascia sotto la giacca?


Oltre a quanto detto sopra, le donne devono anche fronteggiare il modello culturale moderno che vede in conflitto non solo il ruolo di madre con quello di donna efficiente, impegnata, attiva fuori casa, ma anche la doppia funzione del loro corpo, cioè di oggetto sessuale (che deve rispondere a precisi canoni estetici) e di fonte di cibo e consolazione per il proprio bambino. Potrebbero quindi sentirsi paradossalmente quasi obbligate ad allattare nei primi mesi, e magari colpevolizzate se non ci riescono, ma poi spinte a smettere anzitempo affinché il loro seno torni, dopo qualche mese dal parto, a svolgere interamente la “normale mansione” di attrattiva sessuale. Di solito questo non è un bisogno delle madri quanto piuttosto una necessità di tipo sociale, quasi che la maternità fosse di impedimento alla normale vita femminile, almeno in alcune sue componenti, o che non si ritenga accettabile che la donna rimanga concentrata troppo a lungo su questa esperienza, o che la viva con troppa intensità. Questo si accompagna a tutta un’altra serie di aspettative intorno al ritorno precoce alla piena efficienza e produttività dopo il parto, come se la donna non avesse partorito, o – forse anche peggio – nonostante lo abbia fatto.


In tutto questo contesto, se pensiamo all’allattamento, si comprende come sia normale che le madri si sentano combattute fra l’istinto e le consuetudini sociali, e possano sentirsi spinte allo svezzamento precoce dei figli.


Riguardo alla resistenza che suscita un tipo di accudimento basato sul contatto fisico, sul contenimento, e sull’allattamento a richiesta non solo per neonati (resistenza che aumenta via via che il bambino cresce di età), sembra quasi a volte che le barriere esteriori si riflettano anche dentro ognuno di noi. Chi non ha sperimentato quanto a volte può essere difficile, anche con le giuste informazioni, continuare ad allattare a richiesta, portare i bambini con la fascia, dare loro tutto il contatto fisico che ci richiedono, giorno e notte, senza provare sentimenti di oppressione o di sentirsi sopraffatta?


Credo che la fortuna di aver partorito in casa in modo naturale sia stata per me di grande aiuto per affrontare poi quello a cui non ero assolutamente preparata: i bisogni di contatto e di attenzioni costanti, 24 ore su 24, di un esserino che dipendeva completamente da me per la sua sopravvivenza e il suo benessere… Forse ingenuamente, credevo davvero che fra una poppata e l’altra il mio bambino avrebbe dormito nella sua culla, preparata con tanta amorevole cura. La realtà è stata molto diversa. All’inizio ho reagito con stupore, rabbia, senso di impotenza, credevo di non essere una brava madre o addirittura che il mio non fosse un bravo bambino… possibile che per non piangere dovesse passare la maggior parte del suo tempo attaccato a me? Possibile che poppasse così spesso e non facesse pause regolari di almeno due ore? Poi, piano piano, forse con rassegnazione, ho iniziato semplicemente a lasciarmi andare, abbandonarmi alla situazione che stavo vivendo, proprio come era avvenuto con le contrazioni durante il parto. È cambiato qualcosa in me, nel modo in cui consideravo la mia nuova vita di madre. Vivere con lui attaccato a me giorno e notte è diventato ovvio e naturale, il bisogno di stare sempre insieme è diventato anche mio. A volte, specialmente nei primi tempi, la sera mi sentivo stanca, qualcosa dentro di me richiedeva un momento di ricarica senza nessuno addosso… in questi momenti l’aiuto di mio marito che si occupava per un po’ del bambino al posto mio è stato prezioso. Devo dire che i primi mesi non sono stati facili, e che tutto sommato è stato tutto più faticoso di quanto mi aspettassi, ma anche molto più intenso e soddisfacente… mi sembra di vivere in uno stato di costante innamoramento e non vorrei che il mio bambino fosse diverso da così… ogni giorno una nuova scoperta e nuovi progressi, e ora non vediamo l’ora di potergli dare un fratellino o una sorellina. Io credo che le barriere più grosse e difficili da abbattere verso una maternità naturale che tenga conto dei bisogni dei bambini non siano nell’ambiente esterno ma dentro di noi.


Anna, madre di Elia, 18 mesi

Quante madri in Italia allattano i figli oltre i primi mesi di vita

Nel nostro Paese non si hanno dati statistici circa l’allattamento oltre l’anno di vita del bambino; sappiamo però – attraverso le liste di discussione su internet, tramite l’attività dei gruppi di auto-aiuto per l’allattamento e dalle consulenti professionali IBCLC – che esistono madri che continuano ad allattare i propri figli per 2-3 o più anni, spesso di nascosto o comunque limitando le poppate a situazioni e luoghi in cui si sentono protette da commenti o sguardi indiscreti2.


Dalle indagini risulta però che in Italia ancora oggi la stragrande maggioranza delle madri interrompe l’allattamento precocemente, rispetto alle raccomandazioni attuali. Nell’indagine ISTAT relativa agli anni 2004-2005 si afferma infatti che la durata media dell’allattamento nel nostro Paese è di 7,3 mesi (un mese in più rispetto ai dati relativi agli anni 1999-2000)3.


Risultati simili si trovano in un recente rilevamento ISPO4, secondo cui la durata media dell’allattamento è di 7,7 mesi. Questo sondaggio rivela infatti che circa il 90% delle madri inizia ad allattare ma a 3 mesi almeno il 30% ha già interrotto l’allattamento (dati concordi con altre statistiche precedentemente pubblicate5). Dei bambini allattati a 3 mesi, però, solo la metà riceve soltanto latte materno mentre tutti gli altri fanno già allattamento misto. A sei mesi di vita, soltanto il 50% circa dei bimbi viene ancora allattato, ricevendo però anche altri cibi o latte artificiale: sarebbero pochissimi, solo il 2% circa, i bambini che arrivano a sei mesi con allattamento di tipo esclusivo, ovvero senza ricevere altri cibi o bevande. La maggior parte delle ricerche indicano intorno al 12% il numero dei bambini allattati a un anno di vita e sono concordi nell’indicare che il principale motivo di abbandono dell’allattamento riportato dalle madri è ancora oggi la scarsità o mancanza di latte. Queste cifre indicano che in Italia non solo l’allattamento in generale è di breve durata, ma sia l’alimentazione complementare sia l’allattamento misto iniziano di solito troppo presto, in contrasto con le attuali raccomandazioni.


In effetti oggi l’allattamento è visto sì come una scelta teoricamente vantaggiosa per la salute dei bebè, però di fatto la grande maggioranza di bambini è destinata prima o poi a ricevere latte artificiale e il passaggio al biberon viene considerato una tappa obbligata per tutti o quasi.

Non c’è da meravigliarsene se pensiamo che, oltre a quanto detto sopra:

  • l’allattamento viene ancora considerato soltanto o principalmente un sistema di alimentazione, con l’attenzione concentrata alla quantità di latte e al numero delle poppate piuttosto che al processo di allattamento come modo normale di rispondere ai richiami di un bambino piccolo, siano dovuti a fame o ad altri motivi.

  • Per quanto detto al punto precedente, non è ancora diffusa una chiara comprensione di cosa significhi allattamento “a richiesta”, ovvero si dà per scontato che le poppate debbano a poco a poco regolarizzarsi e diradarsi, e comunque non superare un certo numero giornaliero. Se ciò non accade, si ritiene che il bambino sia viziato oppure che il latte materno non sia sufficiente o adeguato, e in entrambi i casi, spesso, la soluzione è il passaggio parziale o totale al biberon di latte artificiale.

  • Non è ancora diffusa a livello sociale la coscienza di quanta differenza ci sia davvero fra latte materno e il formulato, fra allattamento e alimentazione artificiale.

  • Non si comprende ancora quanto sia svantaggiosa la diffusione dell’alimentazione artificiale per la salute psichica, fisica ed emotiva di madri e bambini, per la tutela dell’ambiente e per il risparmio economico, sia a livello di famiglie che di società.

  • Viceversa, è probabile che i genitori e soprattutto le madri ricevano, insieme a informazioni corrette, anche messaggi fuorvianti e informazioni errate, che potrebbero favorire l’abbandono dell’allattamento.

  • La situazione è favorita e aggravata dalla pressante influenza delle pubblicità di alimenti per lattanti e relativi accessori.

Dall’altra, nonostante vengano riconosciuti i benefici dell’allattamento, non si può certo affermare che ogni madre possa contare su un sostegno efficace che le consenta di portarlo avanti con facilità e soddisfazione in modo esclusivo per sei mesi e protratto secondo le raccomandazioni (ovvero almeno fino ai primi due anni). Capita ancora oggi che le madri vengano colpevolizzate se non allattano, ma poi fatichino a trovare aiuto per risolvere eventuali problemi, da quelli più complessi a quelli più comuni, e questo è dimostrato dalla maggior parte delle madri che dichiara di aver smesso di allattare perché “non aveva più latte”: insomma, riuscire ad allattare è ancora considerato “una fortuna”6.
Occorre quindi cambiare punto di vista, e tornare a considerare l’allattamento come parte della cura dei bambini nei loro primi anni di vita, una modalità ben collaudata e naturale. Se questi concetti tornassero a far parte del bagaglio culturale comune, forse le madri troverebbero meno ostacoli e difficoltà nel loro percorso di allattamento. È difatti un bisogno normale e legittimo quello di ricevere approvazione, accettazione e conferme intorno al proprio stile genitoriale, e lo è a maggior ragione quando si diventa genitori e soprattutto madri.

Se si ricevono parole di apprezzamento quando il bambino che poppa è neonato, le cose iniziano a prendere una brutta piega quando poi cresce: già verso i due-tre mesi il bambino che sta molto tempo in braccio o “sempre” attaccato al seno viene guardato male, insieme a sua madre. Il resto, ce lo possiamo immaginare…


  • A cinque-sei mesi, allattamento esclusivo:

Come, non ha ancora assaggiato niente? Poverino! Lo farai morire di fame!Ma davvero non gli dài da bere? Guarda che a quest’età hanno sete!Come, poppa di nuovo? Se non gli dài una regola…(se è minuto) Si vede che gli manca il mangiare, guarda com’è mingherlino!(se è paffuto) Solo il tuo latte??? Come fa a bastargli, guarda com’ègrande e grosso!

  • Dal momento dei primi assaggi, all’anno di vita:

(mangia qualche bocconcino) Certo, se prende il tuo latte, non mangerà mai!(mangia abbondante) Poverino, vedi che fame che aveva!(dorme tutta la notte) Hai visto, te lo dicevo che aveva fame!(si sveglia di notte) Colpa dell’allattamento!

  • Dopo l’anno, ma purtroppo qualche volta anche prima:

Per forza si addormenta solo con te: lo allatti!Ti sta usando come ciuccio.Il latte oramai è acqua…Non riesci a staccare il cordone.Così lo vizi.È un mammone, non sta con nessuno.Ma tuo marito non dice niente?Si vede che allatti ancora, guarda come ti sei ridotta, sei uno scheletro!

…E su tutti i commenti e i luoghi comuni, come non ricordare quello che risuona come una terribile e definitiva condanna alle orecchie di molte madri: …NON SMETTERÀ MAI DA SOLO!

I commenti vari e le manifestazioni di diffidenza o disapprovazione possono ferire e scoraggiare, certo non proprio quello di cui avrebbe bisogno una madre che cerca di fare il suo meglio per il bambino. Anche nei pochi casi in cui la madre riesca a dare poco peso alle opinioni altrui e alle critiche, le parole di giudizio potrebbero comunque riaffiorare alla mente nei momenti di maggiore stanchezza, e contribuire ad aumentare l’ansia, i dubbi, le sensazioni di fallimento e i sensi di colpa.


Non dico a nessuno che sto allattando la mia bambina di 20 mesi, infatti la allatto soltanto quando siamo sole a letto, perché ho paura di quello che potrebbero pensare mia madre, mia suocera, le amiche e il pediatra…


A volte alle consulenti in allattamento capita di ascoltare testimonianze di madri che hanno ricevuto esortazioni più o meno esplicite a smettere di allattare da chiunque, non soltanto amiche, conoscenti o educatrici di nido e scuola materna ma anche fruttivendoli, parrucchiere, dentisti… per non parlare dei pediatri e degli psicologi. Che dire quando le critiche vengono poi da personale sanitario ritenuto a favore dell’allattamento, operatori che di fatto possiedono sia le competenze sia la motivazione per aiutare davvero le madri ad allattare… o almeno per farlo finché si tratta di bambini molto piccoli, mentre dopo non esitano a cambiare posizione, ricadendo nei luoghi comuni di cui sopra e dando consigli di conseguenza. Quanto è difficile allora sostenere queste mamme, che pensano “Beh, se me l’ha detto anche il tale che è un grande sostenitore dell’allattamento… allora forse è proprio vero che devo smettere!”. Lo stesso capita a volte con professionisti delle medicine non convenzionali, come omeopati o naturopati. Atteggiamenti di questo tipo sono forse un’ulteriore testimonianza di quanto siamo davvero tutti influenzabili e influenzati dall’ambiente in cui si vive. Ci indicano anche come questioni che dovrebbero appartenere a un ambito familiare, oggi siano invece diventate aspetti da condividere con un sanitario e su cui richiedere un parere, che talvolta si trasforma in una ricetta pronta o una prescrizione in un senso o nell’altro, piuttosto che un momento di ascolto empatico… ma le madri non meriterebbero almeno risposte rispettose e basate su documentazione scientifica piuttosto che su miti culturali?

Non si può quindi non essere d’accordo con la dottoressa Armeni, neonatologa e consulente professionale in allattamento, quando afferma: “Non lasciate che qualcuno che non è legato biologicamente ai vostri figli né ha fatto investimenti sul loro futuro metta una distanza fra voi e loro con suggerimenti dettati semplicemente da propri personali punti di vista”7.


Ad uso di tutti i prodighi di consigli ecco l’ABC dell’allattamento oltre i primi mesi: tutto quello che si dovrebbe sapere e che forse non avete (quasi) mai sentito:

  • La normale durata dell’allattamento si misura in anni, non in mesi.

  • Anche se è molto più necessario per un lattante di pochi mesi rispetto a un bimbo di due o tre anni, il latte mantiene le proprietà dissetanti e nutritive per tutta la durata dell’allattamento.

  • L’allattamento continua a proteggere la salute infantile e materna, e quanto più a lungo si protrae, tanto maggiori saranno gli effetti protettivi (effetto dose-dipendente).

  • La precoce introduzione e l’uso frequente di bevande zuccherate e dolciumi industriali possono indurre nei bambini cattive abitudini alimentari ed essere alla base di eventuali problemi di salute come quelli legati all’obesità. Indovinate con cosa si propone alla madre di sostituire le richieste di poppare da parte dei figli, purtroppo anche prima dei sei mesi?

  • È normale che i bambini piccoli continuino a svegliarsi durante la notte e che le loro madri siano stanche. È sempre stato così. Queste sono ovvietà che a volte si fa fatica ad accettare e comprendere, complici i testi che spiegano ai genitori come far dormire i figli; suggerendo così non soltanto che il sonno sia una cosa che va insegnata ai bambini, ma che se questi si svegliano è per “colpa” dei genitori che non li hanno saputi educare! È bene sapere che non esistono studi ben strutturati dal punto di vista scientifico che indichino come fisiologico il sonno solitario e continuato nei bambini piccoli: viceversa le evidenze e l’esperienza indicano che è normale proprio l’opposto.

  • È normale e sano che i bambini piccoli cerchino il contatto fisico con la madre. Sappiamo ormai che il cucciolo d’uomo ha bisogno, per vivere e crescere sano, di tanto contatto fisico pelle-a-pelle, e di stare in braccio, nei primi anni di vita8. Una poppata è un modo meravigliosamente efficace per soddisfare questi e molti altri bisogni fondamentali.

  • È normale che i bambini piccoli siano dipendenti dalla madre (… e viceversa!). Autorevoli scienziati ci hanno insegnato che una “base sicura” di attaccamento nei primi anni di vita è necessaria al sano sviluppo del bambino e gli consentirà poi di costruire e sviluppare in modo naturale autostima e indipendenza, e che in questo processo è assolutamente normale e sana la dipendenza dalla figura materna (e paterna) non solo per i bisogni fisici ma anche per quelli relazionali9.

  • È normale che i bambini continuino a voler poppare per i primi anni di vita; la suzione nei bambini non è un vizio ma un istinto e il seno lo soddisfa nel modo più naturale.

  • Si può vivere anche senza biberon e ciucci. Sono oggetti di cui siamo abituati a pensare non si possa fare a meno… eppure molte madri hanno scoperto che è possibile vivere senza sentirne la mancanza, e che questo può rappresentare un piccolo passo verso una salute migliore e per un mondo più pulito.

  • Tutti i bambini prima o poi smettono di poppare da soli.

Andare “controcorrente”

Affermazioni come quelle appena fatte non sarebbero probabilmente risultate strane alle orecchie delle nostre bisnonne, che pure non avevano forse letto tanti libri di puericultura, ma oggi potrebbero suonare come “alternative”, e continuare ad allattare potrebbe in questo senso rappresentare un gesto anticonformista.


La difficoltà di accettare qualcosa che non si conforma alle norme che regolano la società in cui si vive è un fatto antropologico che provoca normalmente disagio nelle persone. Per questo, come abbiamo già affermato, è fisiologico cercare approvazione intorno a sé, e lo diventa ancora di più in momenti in cui si è più vulnerabili, come quando si diventa madri. Le cose però stanno lentamente cambiando: da quando l’associazione storica di madri che aiutano altre madri, la Leche League, è nata, oltre 50 anni fa, esperienze simili sono sorte ovunque ed è impressionante il numero di associazioni, gruppi di discussione, reti e altre forme di aggregazione e di diffusione di informazioni sull’argomento (vedi ad esempio quelli indicati in Appendice). Allo stesso modo, la pratica di allattamento a termine riceve sempre più apprezzamento sia fra le istituzioni che nelle società scientifiche (vedi capitolo 6). Oltre a cercare sostegno e compagnia di altre madri e persone che la pensano come noi, può essere utile riflettere su quello che ognuno di noi può concretamente fare, da subito, per cambiare le cose, e soprattutto, per educare i nostri figli a una diversa e nuova cultura. A volte bastano piccoli gesti concreti, come ad esempio:

  • non accettare gadget che richiamino l’alimentazione artificiale.

  • Non acquistare per i nostri figli libri o giocattoli che mostrano il biberon come il modo normale di alimentare i bambini.

  • Fare acquisti con maggiore attenzione, ad esempio secondo il vecchio ma collaudato sistema di dividerli in categorie: indispensabili, utili, si può farne a meno, deleteri.

  • Fare attenzione al nostro comune linguaggio, evitando espressioni che riflettono luoghi comuni come ad esempio: il bambino bravo è quello che mangia e dorme, o che se ne sta nella culla senza protestare.

  • Occorre anche ricordare che il processo di cambiamento è lento, ci vogliono anni, e mentre aspettiamo, magari possiamo provare ad immaginare come potrebbe essere, in un altro tipo di cultura…

“Vivere in un’altra cultura ti induce sempre a rivalutare la tua. Io non so come sarebbe stato allattare mio figlio in Canada nei primi anni di vita. La valanga di risposte positive all’allattamento che ricevetti in Mongolia, e la totale accettazione dei Mongoli dell’allattamento in pubblico, semplicemente mi stupirono, e mi diedero la libertà di far crescere mio figlio in un modo che io sentivo naturale. Ma oltre a tutte le piccole differenze nei nostri modi di allattare, i dettagli su per quanto tempo e quanto spesso, finii per sentire che vi era un grosso divario nei rispettivi approcci alla genitorialità. Nel Nord America diamo così tanta importanza all’indipendenza che questo pervade qualunque cosa facciamo. Tutti i discorsi vertono su cosa il proprio bambino mangia ora, e quante poppate fa. Anche se tu non sei il tipo che pone queste domande è difficile eludere il loro impatto. E ora vi sono in vendita così tanti oggetti studiati per aiutare il proprio figlio a trastullarsi da solo senza aver bisogno dei genitori che il messaggio è chiaro. Ma in Mongolia, l’allattamento non vuol dire dipendenza, e lo svezzamento non è il traguardo. Loro sanno che i loro figli cresceranno, infatti la media dei bambini di 5 anni mongoli è molto più indipendente del suo corrispettivo in occidente, allattato o no. Non vi è nessuna corsa allo svezzamento”.

Ruth Kamnitzer (vedi pag. 14).

Sapore di mamma
Sapore di mamma
Paola Negri
Allattare dopo i primi mesi.Perché è importante allattare ben oltre i primi sei mesi canonici. La meravigliosa esperienza di proseguire per molti mesi, come consiglia anche l’OMS. Sapore di mamma parla di allattamento prolungato, una pratica che si sta diffondendo grazie a iniziative e interventi per la sua promozione. Sono infatti sempre di più le donne che allattano secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero fino e anche oltre ai due anni di vita del bambino. C’è una bella differenza però fra allattare un neonato e allattare un bambino di uno, due o più anni, e non sempre le mamme riescono a trovare informazioni specifiche, coerenti e aggiornate su questo argomento.Come se non bastasse, le donne che decidono di continuare ad allattare il bambino dopo il primo anno si sentono spesso isolate e non trovano occasioni in cui scambiare opinioni ed esperienze con altre mamme. Anzi, spesso si scontrano con l’ignoranza e la disapprovazione del prossimo (il compagno, i parenti, il proprio ginecologo o il proprio pediatra), intrisa di luoghi comuni. Chi ha il diritto di decidere sulla sua durata?Su quali basi può deciderlo?Cosa vuol dire, oggi, allattare fino all’anno e oltre?Cosa comporta questo per la madre, il padre e il bambino?È vero che l’allattamento prolungato rende le madri succubi dei figli, e questi ultimi viziati, dipendenti e mammoni?Ma soprattutto, perché molte persone si sentono in diritto di dire alla madre quello che deve fare riguardo all’allattamento, in tante situazioni così diverse l’una dall’altra e senza che venga richiesta la loro opinione in merito? In questo libro, Paola Negri, consulente professionale IBCLC ed educatrice perinatale, offre tutte le informazioni affinché ogni madre trovi le proprie personali risposte a queste domande, ragionando sul valore dell’allattamento come forma normale di accudimento anche quando i bambini non sono più neonati, unitamente a spunti di riflessione sui vari aspetti di questa pratica, che vanno ben oltre quello puramente nutritivo.Gli operatori sanitari e le figure che si trovano a lavorare con mamme e bambini piccoli troveranno una chiave per entrare con maggiore rispetto nel delicato mondo della coppia madre-bambino, comprendendone meglio vissuti, bisogni e sentimenti, in modo da offrire un’assistenza più rispettosa, mirata, consapevole ed efficace. Il libro è inoltre arricchito da numerose testimonianze di mamme che hanno scelto di continuare a nutrire al seno il proprio bambino per consolarlo nei momenti difficili e addormentarlo con dolcezza. Conosci l’autore Paola Negri si occupa di allattamento da oltre 15 anni; è stata consulente volontaria per La Leche League Italia e successivamente è diventata consulente professionale IBCLC ed Educatrice Perinatale, lavorando con donne in attesa e madri, e nella formazione specifica a gruppi di auto-aiuto e operatori sanitari. Opera da anni in associazioni come MAMI e IBFAN Italia (di cui è presidente) in attività di sostegno, promozione e protezione dell’allattamento.Si occupa inoltre di decrescita e di alimentazione, per cui ha scritto diverse pubblicazioni.