Appendice

La parola alle mamme

Queste sono testimonianze di madri che ho raccolto personalmente oppure attraverso il sito web del Bambino Naturale. Vorrei ancora ringraziare di cuore le autrici per la loro generosità, il loro spirito di condivisione e anche per la pazienza e per il tempo che hanno dedicato alla stesura delle loro storie.

Il latte lo fa il bambino che succhia

Quando è nata Bianca sapevo che avrei voluto allattarla ma non avevo idea di come e per quanto tempo lo avrei fatto. Il parto è stato molto difficile, e non ho potuto attaccare subito la mia bimba al seno come avrei voluto. Ho potuto farlo soltanto per pochi attimi circa mezzora dopo che è nata e poi al mio rientro in stanza, circa due ore dopo la sua nascita, dove finalmente ho potuto abbracciarla e darle il mio seno senza interferenze.


È stato subito chiaro che per lei la poppa era tutto, nutrimento, calore, affetto, contatto e rassicurazione, e anche a me piaceva molto! Nel tempo abbiamo imparato a conoscerci anche attraverso le poppate, che non sempre erano semplici, soprattutto perché da subito Bianca ha dimostrato di preferire il mio seno sinistro. Cercando aiuto per le prime settimane, l’allattamento è andato avanti splendidamente, di giorno e di notte, sempre a richiesta. Siamo arrivati allo svezzamento senza problemi e ha assunto i primi alimenti solidi al sesto mese compiuto, continuando a bere col mio seno. Solo a dieci mesi ha iniziato ad assumere acqua dal bicchierino.


Prima e dopo ogni pasto ha sempre desiderato attaccarsi al seno. Non ho mai avuto dubbi sul voler continuare ad offrirglielo finché lo desiderasse e così sono passati tre anni. Chiaramente, nel tempo Bianca ha imparato a camminare, è stata al nido dai diciotto mesi in poi e ha anche trascorso giornate intere senza di me, ma al mio ritorno, riscoprire la mamma attraverso l’allattamento è stato una gioia per entrambe.

Quando Bianca stava per compiere tre anni ho cominciato inspiegabilmente a sentire un gran dolore ai capezzoli mentre lei succhiava, in ogni momento in cui poppava provavo un forte disagio… Dopo pochi giorni ho scoperto di essere incinta. Mi sono informata e ho saputo che alcune mamme possono provare dolore ad allattare durante la gravidanza, ma ho sperato che prima o poi passasse, in fondo ormai allattavo solo per farla addormentare dopo pranzo e la sera. Invece, il dolore non passava, mi sembrava ogni volta una tortura e non sapevo come risolvere il problema. Mi sembrava che non finisse più!

Piano piano ho spiegato a Bianca che la mamma sentiva molto male, che non era colpa sua, ma che forse bisognava cominciare a trovare un altro modo di addormentarsi. Passavano i mesi e lei non ne voleva sapere, per lei era davvero una rinuncia troppo grossa, e io cercavo di andare avanti forte dell’amore per la mia creatura, nonostante il dolore a volte davvero insopportabile. Mi sembrava molto più traumatico per lei rinunciare al seno che per me sopportare pochi minuti di dolore, ma non mi godevo più le poppate, col pensiero poi che dopo pochi mesi avrei avuto un’altra bimba da allattare.


Purtroppo al sesto mese di gravidanza ho perso improvvisamente mia madre e non sono stata più in grado di unire il dolore fisico alla devastazione psicologica nella quale mi sono improvvisamente trovata. A quel punto un po’ perché forse ero più convinta e convincente io, un po’ perché magari Bianca è cresciuta ed ha tirato fuori la sua forza, in un momento difficile per tutta la famiglia, ha cominciato a chiedermi il seno sempre meno. A un certo punto ha iniziato a chiedermelo soltanto la sera perché ha smesso di fare il sonnellino pomeridiano, poi per alcune sere ha accettato di dormire col babbo, finché non me l’ha chiesta più. Nel giro di un mese, ho smesso di allattarla, senza mai negarglielo ma assecondando i suoi bisogni con la fermezza di farle capire che la mamma non ce la faceva più. Aveva tre anni e mezzo.


Non ricordo l’ultima poppata, all’inizio ho provato sollievo ma nel tempo quel contatto con lei mi è mancato molto. Quando, dopo qualche settimana che non lo chiedeva più, le ho chiesto cosa era successo, lei mi ha risposto: “Mamma, la poppa ora è della sorellina, io sono grande!” Le ho detto più volte, prima e dopo che smettesse, che, se quando fosse nata la sorellina, avesse voluto ancora un po’ di latte, il dolore mi sarebbe sicuramente passato e lei avrebbe potuto riattaccarsi. Qualche volta ha provato a poppare dopo la nascita della sorella, ma ha detto che il latte suo aveva un altro sapore e questo non le piaceva. Chissà se è vero!


Adesso allatto Irene da quasi un anno e proseguirò a lungo anche con lei, è un’esperienza meravigliosa, un rapporto d’amore non privo certo di difficoltà, ma un “passaporto” di un valore inestimabile verso la felicità e l’intimità che ogni madre ha il privilegio di poter provare, mentre nutre di latte e d’amore le proprie creature.


Proprio ieri Bianca mentre mi vedeva allattare mi ha detto: “Mamma ma il latte non lo fa la poppa vero? Lo fa il bambino che succhia!” Mi ha sconvolto la sua semplicità, il suo ricordo indelebile, la sua conoscenza della natura, che molti di coloro (adulti) che criticano una mamma che allatta a lungo non hanno.


In effetti è proprio così, la produzione del seno è dipendente dalla richiesta, perciò penso che la mia bambina avrà per sempre nella sua memoria che ciò che chiedeva, arrivava… era suo, pronto, caldo e avvolto nel mio abbraccio.


Questo è il più bel ringraziamento che potesse darmi!


Alessandra

Grazie mamma per esserci quando ho bisogno di te

L’idea di allattare a lungo, anche se poi non è stato proprio così a lungo, non è mai nata in me, è successo e basta. Voglio dire, non ho mai pensato “Io allatterò finché Anna (la mia bimba che ora ha 3 anni e mezzo) avrà x anni”. Non ho mai pensato fino a quando avrei allattato, come non ho mai pensato di non poter allattare o comunque di non poter allattare fino a quando io e Anna avessimo voluto, insomma l’allattamento è per me sempre stato un evento del tutto naturale e spontaneo, come quando ti alzi dal letto la mattina e vai a fare la pipì, automatico!


Ancor prima di rimanere incinta e di affrontare la realtà della maternità, ho avuto modo di conoscere l’argomento allattamento grazie a un’amica che, diventata mamma un anno prima che lo diventassi io, era stata coinvolta in un gruppo di sostegno all’allattamento materno (da mamma a mamma). Il gruppo è tuttora esistente:

http://mamionlus.wordpress.com/category/gruppi/friuli-venezia-giulia-gruppi/.


La mia amica ha allattato finché la bimba ne ha sentito il bisogno, aveva pressoché tre anni e si è sempre resa disponibile nei miei confronti qualora avessi avuto bisogno di confrontarmi con lei. La guardavo allattare e non mi è mai passato per la mente di chiedermi: perché? Non avevo alcun dubbio che stesse facendo la cosa giusta, non ho mai avuto alcuna perplessità sul fatto che stesse allattando una bimba grandicella. Era tutto naturale…


E lo è stato anche per me, il tempo da quanto è nata Anna (02/08/2005) è passato veloce e per me è stato quasi un continuo allattare; ho fatto una piccola pausa da fine luglio a fine dicembre, e non riesco più a ricordare i momenti in cui non ho allattato.


Da quando Anna ha cominciato a dire le prime parole, la sua richiesta di latte è stata “teto” ed è sempre stata modulata da lei nei tempi e nei modi, senza che io le imponessi o le negassi alcunché, fatte salve le ore in cui ero al lavoro. Quando al compimento dell’anno, ho cominciato a lavorare a tempo pieno, andarla a riprendere dai nonni alle 6 e mezza di sera significava farmi trovare pronta a togliere giubbotti o tutto quello che era di impedimento per offrirle il seno, non c’era un minuto da perdere. E con lei sono sempre stati allattamenti lunghi, di mezz’ora almeno. Poi quando ha cominciato a giocare con le bambole, spesso la vedevo con la sua Tatabella (la sua bambola preferita, che ricopre il ruolo di figlia), che si alzava la maglia per offrirle il seno. Quando sono rimasta incinta di Sara lei aveva poco più di un anno e mezzo, all’inizio (aprile 2007) non mi dava fastidio, ma con l’avanzare della gravidanza avvertivo un certo disagio, più che altro fisico. Le ho fatto presente la cosa, a volte facevo durare di meno le poppate, ma non le ho mai negato il seno. Era il terzo mese di gravidanza. In questo periodo abbiamo fatto un viaggio in Grecia, e poter allattare è stato molto utile in aereo. La bimba si annoiava, era stanca, l’aereo un po’ scomodo per dormire, ma ciucciando tutto si risolve!


Passate le nausee, mi è passato anche il fastidio al seno, o ci ho fatto l’abitudine, non so, ma dopo un mese, a fine luglio (pochi giorni prima che compisse i due anni) lei ha deciso che non voleva più il seno. Credo di non averne sofferto tanto, solo perché sapevo che tra qualche mese avrei potuto allattare di nuovo, se così non fosse stato credo che mi sarebbe dispiaciuto tantissimo.


Allattare specialmente le bimbe “più grandicelle” (poi questo è un parametro che varia da mamma a mamma in base alle loro esperienze), ma diciamo dopo l’anno di età, è stata un’esperienza che è andata, e va tuttora oltre, e molto oltre, l’aspetto nutrizionale. Il legame affettivo che esiste già si consolida e si crea un canale di comunicazione che non teme equivoci e fraintendimenti, né interventi dall’esterno. Il bisogno di essere allattati e di allattare è reciproco, e nel mio caso è divenuto paritario, il bisogno di Anna di essere allattata era pari al mio bisogno di offrirle il seno. Era come poterle dire “ti amo”, “ti voglio bene”, con un linguaggio che lei ha certamente capito e che non ha mai lasciato dubbi! Voglio dire: fra adulti ci si dice “ti amo”, “ti voglio bene”, ma le dimensioni di questo amore in chi parla e in chi ascolta possono essere diverse. Con l’allattamento, nel suo aspetto relazionale, non c’è dubbio: è amore esclusivo ed incondizionato!


Nell’attesa di Sara, non sapendo quando Anna avrebbe abbandonato il seno, abbiamo cominciato a spiegarle che quando sarebbe arrivata Sara, avrebbe condiviso con lei il “teto”, non volevamo diventasse un furto da parte della seconda arrivata, ma un regalo che lei faceva alla nuova arrivata. Quando poi ha smesso di chiedere il seno, voleva accarezzarlo e mi chiedeva se c’era ancora il latte, se lo tenevo da parte per Sara, e voleva vedere le goccioline di latte; il mio seno in realtà non si è mai preso una pausa, anche se non ho allattato per qualche mese.


Nei primi mesi, dopo la nascita di Sara, quando le poppate erano più frequenti, lei si sedeva accanto a me con Tatabella e allattava anche lei.


Sara ora ha tredici mesi e nessun segno di cedimento. L’approccio al seno è molto diverso rispetto a quello di Anna. Durante il giorno non le interessa poi molto, la mia assenza non le crea alcuna crisi, quando vado a prenderla la sera dai nonni, anche se ritardo un po’ non succede niente, non si crea mai quella necessità impellente di latte di mamma. Tutto viene recuperato di notte, dalle 9 di sera alle 6 e mezzo del mattino. E quando di notte mugugna alla ricerca del latte e io riemergendo dallo stato di torpore (non riesco mai ad addormentarmi in maniera seria, dato che le richieste avvengono molto spesso) le offro il seno, lei, come per ringraziarmi, si mette a ridere.


E non è una risata per prendermi in giro, come mi è stato detto quando ho raccontato questa cosa… alla persona sbagliata, ma è una risata di gioia: “grazie mamma, che ci sei, quando ho bisogno di te”…e questa risata ti ripaga anche del sonno perduto!


Ogni tanto mi passa per la mente di chiedermi fino a quando durerà… credo che mi mancherà qualcosa allora, quindi spero il più tardi possibile. Quando sarà, non dipenderà da me, ma solo dal libero arbitrio di Sara.


Maria Cristina

I miei primi sedici mesi di allattamento

Doverosa premessa: prima della nascita di Emma ero un’altra persona rispetto a quella che sono adesso, avevo voluto tanto questa figlia, ma forse non ero ben cosciente del cambiamento che il diventar mamma avrebbe prodotto nella mia persona. Guardavo gli amici con figli e alle volte li criticavo molto, non comprendendo come potessero annullarsi nei loro figli e rinunciare alle cose extra famiglia (cinema, teatro, cene fuori, palestra…), così mi dicevo che anche dopo esser diventata mamma avrei voluto apportare i minimi cambiamenti possibili alla mia vita. Mi dicevo anche che avrei cercato il più possibile di abituare i miei figli ai miei ritmi (quasi che i miei fossero più importanti dei loro…) e poi mi sarei sforzata di fare in modo che fossero bravi bambini che al ristorante non si sarebbero mai mossi dalle proprie sedie e che comunque non avessero mai fatto in giro le scenate che spesso vedevo fare agli altri bambini (quasi che la colpa di esse fosse di quei malcapitati genitori incapaci di educare…). Molto critica ero poi nei confronti di quelle coppie di amici che tenevano i figli nel lettone, questa cosa addirittura mi scandalizzava. Sull’allattamento ero ignorantissima e pensavo che se non fossi stata una delle fortunate che riuscivano ad avere latte (quasi che il latte arrivasse per intercessione divina!) sarebbe stato lo stesso, tanto i bimbi col bibe crescevano altrettanto bene. A questo proposito devo dire che non avevo avuto esperienze dirette con persone che allattavano al seno per un periodo sufficientemente lungo (diciamo oltre i tre mesi…) e avevo al massimo avuto amiche che avevano sofferto di crisi postparto da cui erano uscite passando da un allattamento misto a un allattamento totalmente artificiale.


Questo era il PRIMA, poi c’è stato il DOPO, cioè sono rimasta incinta. A questo punto il cambiamento della mia persona aveva iniziato il suo corso, visto che diventavo giorno per giorno sempre meno categorica e più aperta alle svariate possibilità di un futuro non ancora ben delineato. Inizio ad informarmi su varie tematiche della genitorialità anche se più che altro acquistavo quelle riviste da futura mamma che raccontano molte castronerie e di certo sono al servizio delle ditte che acquistano gli spazi pubblicitari. Un giorno incontro una mia amica, incinta come me, solo avanti di un mesetto, che mi dice di esser già stata a comprare i reggiseni da allattamento. Io la guardo allibita e le dico: “Ma come fai ad esser certa che poi ti verrà il latte e allatterai tua figlia?” e lei: “GUARDA ALE CHE TUTTE LE DONNE HANNO IL LATTE!!!”. Quelle parole mi hanno aperto un mondo e così nell’ultimo periodo della gravidanza ho cercato di informarmi meglio sull’allattamento, quanto meno cercando informazioni nel web.


Un mesetto prima del parto inizio il corso preparto organizzato dal mio ospedale. A questo proposito posso dire che più che altro mi è servito a conoscer future mammine come me e a confrontare le mie e le loro paure, perché non è che grazie a quel corso ho appreso chissà quali grandi verità. La ginecologa che si occupava della parte più propriamente ostetrica del parto fu piuttosto in gamba, ma il pediatra fece del vero e proprio terrorismo psicologico su di noi mammine alla prima esperienza parlandoci dei necessari controlli medici appena successivi alla nascita (e che alle volte giustificavano il portare il neonato dalla madre dopo ore…) e delle norme di igiene che avremmo dovuto tenere con i nostri bambini. Ricordo soprattutto tre cose delle sue lezioni: SE AVESSIMO AVUTO ANIMALI DOMESTICI AVREMMO DOVUTO ALLONTANARLI (e giù a raccontare di bambini sbranati dal cane di casa o graffiati dal gattino diventato improvvisamente aggressivo e gelosissimo…), NON AVREMMO MAI DOVUTO DARE IL CIUCCIO AI NOSTRI BIMBI (ma non per una possibile interferenza con l’allattamento, lui infatti parlava di motivazioni igieniche, di dipendenza del bambino da questo oggetto che oltre a creare crescendo problemi alla bocca avrebbe anche potuto dare conseguenze psicologiche, visto che il bambino poi si sarebbe vergognato di usare il ciuccio ma non sarebbe comunque riuscito a farne a meno…) e MAI MAI E POI MAI AVREMMO DOVUTO FARLI VENIRE NEL LETTONE (perché c’erano bambini che eran morti soffocati e c’erano anche coppie per le quali la mancanza di intimità era diventata causa di separazione…). Sull’allattamento ricordo che disse che ci augurava che ognuna di noi riuscisse ad allattare al seno (non ci spiegò comunque come fare per favorire la cosa…) visto che i latti adattati erano comunque qualitativamente inferiori al latte materno e corrispondevano soltanto per il contenuto di acqua, non ci saremmo dovute spaventare le volte che inizialmente il bambino ci avrebbe richiesto di poppare (anche 10-12) visto che dopo il primo mese di assestamento poi la situazione sarebbe migliorata e il nostro bimbo avrebbe iniziato a saltare la poppata della notte soprattutto se iniziavamo ad essere metodiche con gli orari di uscite, bagnetto ecc… (mi vien da sorridere adesso se penso a questo, visto che mia figlia Emma, di sedici mesi, ha avuto stanotte un solo risveglio, ed è praticamente la prima o seconda volte nella sua vita!). Ah ricordo anche che ci disse che all’inizio dell’allattamento avremmo dovuto attaccare il bimbo a tutti e due i seni (per stimolare entrambi) e poi usare un solo seno a poppata, solo che nello specifico ci disse pure che i bimbi di solito svuotano un seno in una decina di minuti (la maggior parte pure in meno tempo…) quindi era inutile star lì ore con il seno al vento… ECCO CHE DUNQUE AL CORSO PREPARTO COMPRESI CHE L’ALLATTAMENTO A RICHIESTA ERA A RICHIESTA PER MODO DI DIRE, INSOMMA DELLE REGOLE CI VOLEVANO… ma passiamo oltre. Emma nasce il primo novembre 2006 alle 13.14 dopo un travaglio di circa dodici ore, in sala parto mi danno immediatamente la piccola e me la appoggiano sul seno (anche se nessuno mi dice di attaccarla), poi la lavano e la vestono e me la riportano una mezz’oretta più tardi quando sono nella mia camera. Nel mio ospedale che è un centro nascita molto piccolo, non c’è il roaming-in né totale né parziale per problemi strutturali, comunque c’è totale libertà di accesso al nido (sia per la mamma che per il papà) e a parte che si possono andare a prenderli da noi e allattarli sia lì, in un apposito salottino, che in camera, te li portano spesso sia durante il giorno che la notte. EMMA MI VIENE PORTATA QUINDI POCO DOPO IL PARTO E LASCIATA SUBITO UN PAIO DI ORE. L’infermiera che me la porta mi dice di attaccarla al seno e se ne va. Io non sapevo neppure come tenerla in braccio mia figlia, figuraratevi se sapevo attaccarla al seno!!! Comincio un pò a sbirciare le mie compagne di stanza e vedo che i loro figli poppano felici, Emma invece pare giocherellare col capezzolo e invece che succhiare sonnecchia. Quando l’infermiera la torna a riprendere le dico che non si attacca bene e lei mi fa: “Il primo giorno non hanno fame e dormono e basta, tu tienila al capezzolo e non ti preoccupare…” IO INVECE MI PREOCCUPO E ANCHE NELLE VOLTE SUCCESSIVE CHE LA BIMBA È CON ME ME LA PASSO DA UN SENO ALL’ALTRO CHIEDENDOMI SE FACCIO BENE MA SONO TOTALMENTE INSICURA… nel frattempo continuo a sbirciare le altre mamme quasi di soppiatto e mi rendo conto che Emma non fa come gli altri bimbi, poi vedo che uno dei capezzoli è un pò rientrato e mi faccio mille paturnie. Il giorno successivo entro un pò in crisi e invece che aspettare che mi portino la bimba vado direttamente al nido da lei, QUELLA È LA MIA FORTUNA, LÌ INCONTRO IL MIO ANGELO: è una delle vecchie infermiere del nido, si chiama Bice, capisce subito che sono un pò in crisi e mi chiede gentilmente cosa sia successo. Io mi metto a piangere e le dico che i seni son vuoti, Emma non si attacca e che uno dei miei capezzoli è rientrato. Lei mi fa un sorriso e mi dice di sedermi che mi avrebbe aiutato lei. Innanzitutto non si è mai visto un seno che non faccia latte e poi col seno che mi ritrovavo io di certo non avrei avuto problemi, anche quello del capezzolo era un non problema visto che aveva aiutato ad allattare anche mamme coi capezzoli molto più rientrati dei miei. È vero Emma non si attaccava bene, ma lei era lì per questo. Innanzitutto mi corregge la posizione con cui tenevo la bambina, poi le avvicina la nuca al mio seno, cerca di strizzarmelo.... QUALCHE TENTATIVO E POI SENTO UNA MAGICA NUOVA SENSAZIONE COME DI SOTTOVUOTO!… EMMA STAVA CIUCCIANDO! Le volte successive che me la portano in camera sono io a chiedere all’infermiera di turno di aiutarmi ad attaccarla perché da sola non riesco, il problema maggiore rimane il capezzolo sinistro che non riesce ad uscir fuori bene. Una mia amica mi parla dell’esistenza di paracapezzoli e ne parlo a un’ostetrica che mi dice che sarebbe meglio non usarli ma se proprio senza non riesco potrei anche comprarli. Me li faccio portare da Mario, adesso so che ho un po’ rischiato di mandare a pallino il mio allattamento usandoli, ma in quel momento mi parevano essere l’unica alternativa alle infermiere che evidentemente dopo la dimissione non potevano essere a casa con me ad aiutarmi. Il giorno della dimissione sono un po’ giù di corda, mi viene in mente di non riuscire ad essere una buona mamma, continuo ad aver paura che Emma non riesca ad attaccarsi bene, non mi piacciono quei paracapezzoli ma non vedo come non usarli… Mario è felicissimo di riportarci a casa e io invece avrei solo voglia di piangere. Arriviamo a casa, palloncini per le scale, la casa piena di fiori, scoppio a piangere ma più che la commozione è il panico che mi atterrisce. Si mette a piangere anche Emma, oddio Mario, devo allattarla!!!! Passami i paracapezzoli!!! Non li troviamo, rivoltiamo tutto il borsone mille volte e capiamo che sono rimasti all’ospedale. Mario riparte all’istante mentre io cerco di calmare Emma non riuscendoci visto che divincola la testolina ma non prende il capezzolo in bocca. Mario ritorna alla velocità della luce (per fortuna l’ospedale dista solo 6 km) e col “magico paracapezzolo” Emma inizia a ciucciare e si calma. Verso sera arriva mia suocera che vorrebbe insegnarmi a far tutto, come cambiare il pannolino a mia figlia, come farle fare il ruttino, addirittura mi intima di non parlare quando allatto (lei che a suo figlio ha sempre dato solo latte artificiale) e mi chiede se mi son procurata del latte in polvere nel caso il mio mi andasse via… capisco di essere al limite della sopportazione e sbotto di brutto visto che ho come l’impressione di essere giudicata da una commissione che deve darmi il nulla osta come mamma… QUELLO SCATTO D’IRA È LA MIA SALVEZZA: CAPISCO IN QUELL’ISTANTE CHE NON DEVO RENDER CONTO A NESSUNO SE NON A MIA FIGLIA E DEVO FARE QUEL CHE MI DICE IL MIO CUORE DI MAMMA.


Il primo giorno dalla mia dimissione dall’ospedale è il mio unico giorno di crisi post parto, la notte è lunga ed Emma piange molto (ma d’altronde lei deve abituarsi a noi e noi a lei), ma l’indomani mattina mi sento rinata, mi lavo i capelli e mi dico che sarò un’ottima mamma.


Dopo pochi giorni riesco ad allattare Emma senza paracapezzoli (non escludo che essi siano stati una sorta di rimedio con effetto placebo, un modo per farmi acquisire sicurezza in me stessa) e ne sono felicissima. ALLATTARE MIA FIGLIA È UN PO’ COME ESSERE ANCORA INCINTA, SIAMO UN TUTT’UNO, LEI È TUTTO PER ME ED IO SONO TUTTO PER LEI, LA SIMBIOSI è TOTALE.


I primi mesi sono piuttosto rilassanti, la bimba poppa ogni tre-quattro ore e la notte fa al massimo due poppate, attorno ai cinque mesi inizia però a risvegliarsi più spesso a causa della dentizione (alle volte anche 15 risvegli!!) così DALLA CULLA PASSA DIRETTAMENTE AL LETTONE, inizialmente mi sento quasi in colpa per questo, quasi fosse un ripiego dettato dalla mia pigrizia, ma poi capisco che è un bisogno di entrambe, anzi, di tutti e tre visto che anche il padre è ben felice di avere Emma in mezzo a noi.


A sei mesi si inizia lo svezzamento, progressivamente introduco i vari alimenti, Emma mangia tutto ad eccezione della pastina (uso quindi solo semolino e creme di cereali), anche se non si disamora dal seno, anzi, mano a mano che si va avanti lo richiede sempre più. IO NON MI FACCIO SCRUPOLI AD ATTACCARLA PRIMA, DURANTE E DOPO I PASTI. Alle volte mi chiedo fino a quando vorrò allattarla e mi dico di voler arrivare almeno all’anno.

I mesi passano ed attorno agli undici mesi, in concomitanza con l’eruzione dei primi molari, Emma inizia a rifiutare quasi totalmente il cibo solido. Inizialmente mi ci stresso e faccio veri e propri teatrini per cercare di farla mangiare, ma poi comprendo che devo seguire i suoi tempi come ho fatto finora, SOSPENDO LE PAPPE VISTO CHE PROBABILMENTE LE SON VENUTE A NOIA, ED INIZIO A DARLE TUTTO CIÒ CHE MANGIAMO ANCHE NOI. Alle volte qualcosa spilucca, alle volte (rarissime) fa incredibili exploit mangiandosi magari una sogliola intera, ma alle volte, il più delle volte, non mangia niente e poppa e basta. Non dico che questa cosa mi lasci totalmente tranquilla, ma nonostante le numerose pressioni attorno a me di persone che mi dicono che la colpa è tutta dell’allattamento, che fino a che non le tolgo il mio latte lei non vorrà mai mangiare, io continuo per la mia strada FERMAMENTE CONVINTA DI VOLER ALLATTARE EMMA FINO A CHE ENTRAMBE LO VORREMO. Tra l’altro allattarla adesso che ha sedici mesi mi risulta anche più piacevole che quando era neonatina, visto che ha una maggiore coscienza di quel che le sto offrendo. Ormai si serve da sola, mi scopre il seno ed esclama “Paaap-paaa!!!” facendomi gli occhi dolci. Non ho comunque l’impressione di averla resa dipendente da me con la storia dell’allattamento, la vedo infatti molto sicura in se stessa e me lo confermano anche le tate del nido. Quando non è con me non mi cerca anche se quando ci ritroviamo è bellissimo e concederci una bella poppata mi sembra il minimo che possiamo regalarci…


Alessia

Le mamme hanno la poppa, ma i fratelli no!

Ho allattato a lungo tutti e tre i bambini. Grazie all’incontro al momento giusto delle persone giuste, mi è sembrata naturale la scelta dell’allattamento a richiesta e una sua logica conseguenza il fatto che l’allattamento potesse durare degli anni. Se per la Marta mi sono venuti dei dubbi, poi chiariti, per Zac e Sam è stata una scelta pienamente consapevole e senza preoccupazioni di nessun tipo. Anzi, l’aver allattato nei posti più strani per me è motivo di orgoglio: forse il ricordo più bello sono le soste per la poppata sui sentieri di montagna.


Con la Marta e Zac ho voluto smettere io, rispettivamente a due e due anni e mezzo. Già incinta, mi sentivo infatti troppo stanca per proseguire. Sam invece ha fatto tutto da solo, ed infatti ha smesso a quasi 4 anni.


Il “ma ti poppa ancora?” oppure “ma così lo vizi” di amici e conoscenti è stato inevitabile e a momenti molto insistente ma non mi ha mai sfiorato più di tanto. A volte ho avuto la netta sensazione che il confrontarsi con possibili allattamenti prolungati così a lungo creasse in chi avevo davanti disagio e reazioni quasi esagerate per non voler accettare questa possibilità.


Dopo aver smesso di poppare, Zac e Sam non hanno poi avuto ripensamenti o chiesto di ricominciare, la Marta invece per un po’ mi chiedeva “la poppa per finta” cioè il mettersi in posizione da allattamento in collo alla mamma: aveva smesso sì ma non era molto convinta? Gelosia nei confronti di Zac?


A proposito di gelosia mi ricordo bene che quando Samuele era nato da pochi giorni, la Marta disse: “Come farai ad allattare Sam se il latte te lo ha preso tutto Zaccaria?”

La scena più incredibile è stata un dopo-cena qui a casa con amici. Samuele aveva sonno e mi ha chiesto, come al solito, “un po’ di poppina per dormire”; mentre stava per addormentarsi ha visto che nel piatto sul tavolo vicino a dove ero seduta io c’era un bel pezzo di salsiccia avanzato dalla cena. Non ci ha pensato due volte: ha afferrato la salsiccia, si è staccato dalla poppa, ha dato un bel morso e poi ha ricominciato a poppare… ricordo anche quella volta in cui sulla spiaggia io leggevo un libro allattando e Sam, mentre poppava, guardava anche lui il suo librino!


Una mattina di più di due anni fa mi alzo lasciando nel lettone Samuele e Zac. Mentre mi sto vestendo sento Zac con una vocina delicata, quasi suurrando: “Samuele, io sono Zaccaria, il tuo fratello, non sono la mamma, non ho la poppa da darti…” Che risata mi sono fatta quella volta!


Cecilia

L’importanza di crederci

Ho allattato Martino per quasi 25 mesi: l’inizio non è stato facile perché Martino stava sempre attaccato al seno e cresceva ogni mese circa 450 grammi, e dunque poco secondo la pediatra e i parenti che venivano a trovarci. “Esperti” e non esperti mi incoraggiavano a dargli l’aggiunta di latte artificiale per farlo diventare un po’ più rotondetto. Grazie all’aiuto di una consulente professionale in allattamento, e al mio desiderio e la mia convinzione di allattarlo a richiesta, Martino è cresciuto fino a 8-9 mesi esclusivamente con il mio latte. A 9 mesi circa ho iniziato l’introduzione dei cibi solidi: è stato un processo molto graduale perché Martino preferiva il latte materno. A 18 mesi Martino ha iniziato l’esperienza del nido: di giorno pranzava al nido con gusto, ma di sera, la cena si concludeva sempre con la poppata. Martino ha continuato ad addormentarsi con la poppa fino a 25 mesi. A quel punto ho sentito che era arrivato il momento di smettere con l’allattamento (con grande gioia di mio marito) perché avevo notato che Martino ogni volta che si annoiava cercava la poppa invece di riuscire a distrarsi con qualche altra cosa. Non è stato facile trovare il momento per iniziare questo distacco: un mal di gola fortissimo e la conseguente cura con antibiotici che ho dovuto fare hanno deciso per me. Martino ha pianto una sera intera (se non avessi preso gli antibiotici lo avrei riattaccato di sicuro!) e poi nei giorni successivi si è tranquillizzato anche se ha continuato a chiedere la poppa.


L’esperienza di allattamento con Martino è stata fondamentale per riuscire ad allattare Emilio, nato quattro anni dopo con una patologia al cuore, per cui appena nato è stato portato nel reparto di terapia intensiva per le cure necessarie e per essere operato. Ovviamente non potevo attaccarlo al seno (aveva cannellini da tutte le parti ed era sedato) ma ho subito iniziato a tirarmi il latte con un tiralatte elettrico in dotazione all’ospedale e ogni giorno lo consegnavo in terapia intensiva. Ho dovuto insistere perché gli dessero il mio latte invece di quello artificiale, che secondo loro era più digeribile. Dopo 11 giorni Emilio è stato trasferito dalla terapia intensiva in degenza, e per la prima volta l’ho preso in braccio e l’ho potuto attaccare al seno, ma solo per cinque minuti per volta, per non farlo stancare. La quantità di latte che non riusciva a prendere gliela davo come aggiunta: era quello che mi tiravo mentre lui dormiva. All’ospedale volevano che rispettassi gli orari delle poppate: non più di sei al giorno. Per me, che ero abituata con Martino ad allattare a richiesta, era una vera tortura, ma la mia paura era che si affaticasse troppo a poppare, come mi avevano detto. In queste situazioni non è facile decidere di seguire il proprio istinto.


Dopo 17 giorni di ospedale siamo tornati a casa: dopo un po’ ho iniziato ad allattarlo senza più orari stabiliti. Ogni giorno aumentavo il tempo che lo tenevo attaccato al seno, e poi col biberon gli davo il mio latte (che tiravo mentre Emilio dormiva). In questo periodo, qualche volta, sotto pressione e per paura che Emilio non mangiasse abbastanza, gli ho dato delle aggiunte di latte artificiale. Ogni volta era una lotta interiore dolorosa, mi sembrava di fargli un torto invece che un favore, tanto più che dopo queste aggiunte artificiali (poche, per fortuna) Emilio mostrava sempre difficoltà di digestione, cosa che non si verificava mai con il mio latte. Ho continuato così per circa due mesi, poi finalmente solo latte direttamente dal seno. Emilio adesso ha 20 mesi, mangia di gusto e prende ancora il mio latte. Ci sono stati momenti in cui Emilio è cresciuto poco: con la consulente abbiamo verificato che il bambino si attaccasse bene e deglutisse, ed ho consultato un pediatra esperto di allattamento che mi ha dato informazioni rassicuranti e mi ha incoraggiata a proseguire.


La mia esperienza mi permette di affermare che, se si è disposti a sforzarsi e se si crede nell’allattamento al seno, è possibile allattare anche un bambino ospedalizzato subito alla nascita. Occorre tirarsi il latte con costanza e attaccare il bambino appena possibile dandogli il tempo di imparare a succhiare il latte. All’inizio ne prenderà forse poco, ma con pazienza si arriverà a dargli la poppata interamente al seno. Sono contenta di essere riuscita ad allattare anche Emilio: mentre concludo di scrivere questa esperienza lo sto allattando in riva al mare, felicemente abbracciati!


Maria Luce

Il gusto della vita

L’allattamento è stato ed è per me e la mia famiglia un gran bene. Giovanni ha 3 anni, lo allatto assieme a Emanuele, il suo fratellino di 1 anno. La gravissima malattia di Emanuele si è manifestata intorno al secondo mese di vita, un’encefalopatia epilettica farmaco resistente (centinaia di crisi epilettiche al giorno), sindrome di West, tetraplegia, ipotonia assiale (non tiene su neppure la testa), disfagia e ritardo psicomotorio profondo (non sorride più, né segue con lo sguardo). I mesi di ricovero in ospedale sono stati lunghi, faticosi e infruttuosi. Ho continuato ad allattarlo esclusivamente al seno fino a sei mesi e tutt’ora lo allatto. È un’avventura che tanti ritenevano impossibile per un bambino così grave, che diversi medici avevano destinato alla gastrostomia. Utilizzo tutto quello che so per allattare un bimbo con problemi neurologici: un dispositivo di allattamento supplementare modificato in tanti modi, occasionalmente il sondino naso gastrico a gavage. Fondamentale, in questa vicenda così forte e grande, è il sostegno di molte persone (consulenti, mamme e professionisti) per le quali provo tanta gratitudine. L’allattamento è l’ultima competenza di Emanuele, l’unico strumento di conoscenza del mondo e l’unica consolazione, visto che non c’è terapia. Emanuele è come un bambino perennemente “appena nato” che non fa mai neppure un piccolo progresso e il cui impegno principale nella vita sembra quello di sopportare un martirio epilettico costante. Accudire un bimbo così ti proietta in una dimensione tanto dilatata che sembra fuori dal tempo o congelata nella stessa identica situazione. Ti proietta anche in uno spazio limitato, claustrale, la tua esistenza ruota unicamente in stanze chiuse, di casa o ospedale. Se esci dalla porta, ti senti un carcerato che ha appena avuto la libera uscita, ti sorprendono lo spazio, la strada, il sole, gli alberi, la luce, tutto ti sembra così bello. Il tempo passa alla svelta, quasi una parentesi vuota in cui uno non fa nulla o forse fa sempre le stesse cose, un tempo indicibilmente faticoso. Allattare in questo contesto mi permette di affinare ancora di più i sensi e l’intuizione materna, che già si perfeziona molto nel caso di bimbi particolarmente incapaci a comunicare. Anche per questo motivo, come mamma, sono stata avvantaggiata.

Continuare ad allattare Giovanni durante il tempo passato all’ospedale con Emanuele è stato rocambolesco, ma utilissimo. Mio figlio più grande ha subìto il trauma improvviso di veder scomparire la mamma che era stata sempre con lui ogni giorno, ogni ora. Quando veniva a trovarmi in ospedale, lo allattavo subito: la consolazione era immediata e perfetta, molto più rapida ed efficace di qualsiasi altro gesto che potessi compiere nei suoi confronti. Devo ringraziare mio figlio più grande se la produzione di latte per il piccolo è rimasta sempre buona e se non ho avuto mastiti in questo tempo. Durante vari ricoveri ospedalieri abbiamo preso diverse malattie e tutte si sono risolte velocemente e senza complicazioni. Emanuele ha la MRGE e, come quasi tutti i bambini nelle sue condizioni, vomita spesso dopo le crisi epilettiche e deve essere aspirato con un aspiratore elettrico: il latte materno non ha mai creato problemi di ab ingestis ed è stato molto più “gentile” sulla mucosa esofagea, non ha mai avuto polmoniti da aspirazione.


Nel tentativo di curare mio figlio dall’epilessia, abbiamo provato la dieta chetogenica.

In ogni pubblicazione che ho letto si dice che il bambino deve essere svezzato dal seno perché il latte umano contiene troppo lattosio per fare questa dieta. È stata una delle ragioni per le quali abbiamo provato svariati farmaci antiepilettici (più di dieci) prima di pensare alla dieta. Quando è diventato chiaro che la chetogenica aveva più possibilità di funzionare dell’ennesimo stupefacente ho contattato i medici che se ne occupavano. Io ero terribilmente angosciata: era duro smettere di allattare, ma era ancora più duro vedere il proprio bambino subire una continua flagellazione epilettica. Due giorni prima di andare in ospedale però ho scritto di nuovo al dottore, raccontandogli la mia preoccupazione e chiedendogli, visto che la dieta chetogenica era stata modificata molte volte nel corso degli anni, se fosse possibile continuare ad allattare. Lui, comprendendo il mio desiderio, mi ha risposto di sì. In ospedale ho mostrato il DAS e ogni giorno c’era qualche medico o qualche infermiera che voleva farsi spiegare come funzionava: nessuno lo aveva mai visto, ma erano tutti molto interessati! La dieta chetogenica era a base di un latte speciale composto praticamente di grassi, dato al seno con il DAS leggermente modificato, e parzialmente con il poppatoio di Haberman1.

La chetosi veniva tenuta costante e sotto controllo con uno stick tipo quello dei diabetici e se era troppo alta mi regolavo allattando al seno senza latte speciale e viceversa. Estraevo e conservavo il latte in più, perché la porzione di latte mio che il bimbo beveva era comunque molto inferiore a prima e lasciavo che l’altro bimbo ciucciasse a piacimento, sia per svuotare i seni, sia per mantenere alta la produzione. Ricordo che mentre c’era Emanuele ricoverato, Giovanni aveva preso una brutta infezione batterica e aveva la febbre sopra 39 da diversi giorni, ma mio marito, che era solo, doveva portarselo dietro ovunque e quindi il bimbo si era strapazzato e non guariva più; alla fine abbiamo dovuto ricoverarlo in un altro ospedale. Alla fine Giovanni è guarito, la dieta per l’epilessia di Emanuele non ha funzionato, aveva causato anche una calcolosi renale e il colesterolo era altissimo, dopo circa due mesi l’abbiamo interrotta ed io sono passata progressivamente di nuovo ad allattare con il solo mio latte. Nel periodo di transizione sono diventata matta per riabituare mio figlio alla suzione al seno ed in molte occasioni ho pensato di rinunciare. Per quanto ne so, è stata una delle pochissime diete chetogeniche effettuate senza escludere in toto l’allattamento materno nel mondo e sicuramente la prima in Italia.


Penso che entrambi i miei figli abbiano ancora bisogno e beneficino grandemente dell’allattamento prolungato, il piccolo in modo particolare. Credo che l’allattamento permetta loro di crescere come dovrebbero crescere, sviluppandosi appieno intellettualmente, psicologicamente e fisicamente, sebbene le loro capacità siano molto differenti. Diverse persone oggi, animate da buone intenzioni, pensando ad esempio al tempo che ogni notte impiego ad estrarre il latte per il giorno successivo (uso ancora il DAS) mi dicono che Emanuele è “grande” e mi chiedono se ho pensato mai di “togliere il latte” per faticare meno. Io ho pensato tante volte di togliere il tiraggio del latte, che è la parte per me più impegnativa, ma per il momento ho deciso di non smettere affatto. Starei peggio a smettere di allattare che a continuare ad allattare un po’ faticosamente. Allattando mi sento di fare una cosa davvero importante per mio figlio e anche per me… mi sento un pochino meno impotente di fronte alla sua sofferenza. Non abbiamo bisogno di miracoli, ma di occhi per vederli.


Chiara

La storia di Tobia

Ciao, mi chiamo Margherita e ho trent’anni, sono sposata con Loris e mamma di un adorabile terremoto di nome Tobia.


Tobia è nato di 34 settimane e niente è stato come lo avevamo programmato. Avevo fantasticato tanto su come sarebbe nato nostro figlio: io e mio marito avevamo scelto che ci avrebbe aiutati la nostra ostetrica a casa, il parto sarebbe stato senza violenza, lo avrei attaccato subito al seno e niente e nessuno ci avrebbe diviso. Lo raccontavo a Tobia mentre era nel mio pancione promettendogli una partenza dolce… povero piccino è stato vittima della mia immaturità.


Iniziate le contrazioni ci siamo recati all’ospedale più vicino per capire cosa stesse succedendo e mi hanno ricoverata. Ricordo la preoccupazione nel viso di mio marito e la mia calma dovuta alla certezza che il mio bambino non era in pericolo. Ci sono volute venti ore di contrazioni ravvicinate in cui mi sono dilatata molto lentamente e due ore di spinte per prendere in braccio il mio cucciolo, nato con parto naturale. Mio marito è sempre stato accanto a noi.


Ricordo quando mi hanno appoggiato nella pancia Tobia appena nato ed era esausto, ricordo i suoi occhioni neri, lo sguardo che ci siamo scambiati e tutte le cose che ci siamo comunicati.


Poi me l’hanno portato via e l’ho rivisto un paio d’ore dopo nella sua culla termica.


Ci sarebbero da dire molte cose su questi undici giorni ma credo che per capire la nostra storia basti sapere che sono stati giorni molto difficili, in cui io mi sono trasferita in patologia lottando contro “le regole”, ho piazzato la mia mano dentro la sua culla e l’ho tolta raramente. L’ambiente non era propriamente a misura di bambino, spesso le luci erano alte, era rumoroso ma soprattutto non potevo tenere in braccio Tobia quanto lui ne aveva bisogno ma mi chiedevano di rimetterlo in culla a causa dell’ittero alto. Non sapeva ciucciare ma lo sentivo tranquillo con il capezzolo in bocca. Mi tiravo il latte tassativamente ogni tre ore e glielo davo con la siringa o con bicchierino.


Arrivati a casa Tobia continuava ad aver bisogno di essere svegliato per i pasti e nel giro di un mesetto ha cominciato a prendere il latte interamente dal seno.


Mi sono accorta che il mio bambino non era sereno quando ha avuto la forza di star sveglio e di cominciare a piangere. Ricordo che mugugnava continuamente, sembrava un costante lamento. Lo portai dalla mia osteopata per un controllo ma Tobia fisicamente non aveva subìto traumi.


Quando aveva un mese mi sono recata da un’omeopata che lavora con la kinesiologia, ricordo di averle detto “il mio bambino sembra un’anima in pena e il suo pianto mi sembra un urlo di rabbia”. Non ero ancora consapevole del lungo, intenso e difficile percorso che ci aspettava ma la mia intuizione era corretta. Con il test kinesiologico risalimmo a due traumi: Tobia non voleva nascere prematuramente e aveva vissuto come una violenza la nascita, inoltre aveva sofferto molto della sua situazione nelle prime settimane di vita. Raccontai la nostra esperienza alla dottoressa, aveva centrato in pieno il problema. Tobia era arrabbiato e sfiduciato, si era trovato in un ambiente che non conosceva e niente era come glielo avevo raccontato. Buttava fuori la sua rabbia con il solo strumento che possedeva: il pianto. Con il passare dei mesi Tobia di giorno era un bambino molto attivo e vivace ma le crisi si concentravano di notte e nel corso del tempo ebbero modalità diverse. Nei primi sei-sette mesi Tobia sembrava non fidarsi dell’ambiente fuori di casa nostra o dei miei genitori, in spazi diversi stava tranquillo solo avvolto dalla fascia lunga o attaccato al mio seno. Di notte dormiva (e dorme) con noi, si svegliava circa ogni ora, riusciva a dormire solo con il seno in bocca o raramente appoggiato sopra la mia pancia. Spesso io e mio marito ce lo fasciavamo addosso di notte per riuscire a riposare tutti un paio d’ore ma poi la magia finiva. Quando iniziava a piangere niente riusciva a calmarlo, doveva sfogare tutto, riuscivamo a svegliarlo solo aprendo l’acqua poi pian piano, mettendolo in fascia o dandogli il seno si calmava, a volte per qualche ora a volte per meno. È stato molto difficile vedere il nostro bambino così disperato e poter solo rimanergli vicino ma mi sollevava il pensiero che almeno stava buttando tutto fuori, che tutta quella rabbia e quell’angoscia venivano espresse. Mi capitava di piangere: ero stanca, avevo bisogno di riposare, Tobia rimaneva molte ore consecutive attaccato al seno, spesso tutta notte.


I rimedi omeopatici miglioravano gradualmente le cose ma appena smetteva di prenderli ripiombava nell’angoscia perché non aveva ancora superato i traumi.


Il primo anno, soprattutto, è stato molto critico: io e mio marito eravamo esausti e la mancanza di riposo, unita alle preoccupazioni, portava tensione tra di noi. Tobia ed io eravamo in simbiosi, tutte le mie energie erano indirizzate a far star bene mio figlio, non ne possedevo altre né per i miei bisogni né per quelli di mio marito. Ero sicura che la strada fosse quella giusta anche se il percorso era lento mentre Loris ogni tanto aveva dubbi; Tobia ed io marciavamo insieme, lui ci seguiva, a volte non capendo e a volte sentendosi escluso. Solo dopo il primo anno, quando le cose cominciarono a riequilibrarsi trovammo il tempo per confrontarci profondamente, per comunicarci quello che avevamo sentito, per dirci che comunque non avevamo ceduto ed avevamo affrontato tutto insieme.


Nel secondo anno Tobia dormiva di notte due o tre ore di seguito ma comunque il suo sonno era agitato, si svegliava piangendo e solo abbracciandolo forte e dandogli il seno riusciva a calmarsi.


Ho incisa nella memoria in particolare una notte in cui fummo svegliati dal suo pianto angosciato, Tobia era seduto sul letto tra noi con gli occhi sbarrati. Ricordo di averlo stretto molto, molto forte e di aver avuto l’immagine di lui nel mio utero durante le spinte mentre urlava di non voler uscire. Rimanemmo abbracciati molto forte per tutta la notte, lui era letteralmente aggrappato a me e pian piano si calmò attaccandosi al seno. Al mattino ringraziai il Signore che la cosa fosse successa di notte, quando la confusione dovuta al sonno e il buio mi hanno protetta da una situazione così metafisica.


Tobia, a due anni, ha terminato il suo difficile recupero, di notte ha iniziato a dormire tre-quattro ore consecutive e al risveglio si riaddormentava abbastanza facilmente con il seno ed a volte anche da solo.


Penso al bambino che rimaneva attaccato al seno in ogni situazione o molte ore nella fascia ed adesso lo vedo così curioso, sempre operoso, un grande osservatore ed esploratore mai fermo ma soprattutto un bambino dalla risata coinvolgente e con due grandi occhi neri che rivelano serenità. È un bambino che coglie le molteplici sfumature. Rimane in lui una forte sensibilità che lo porta anche adesso a vivere intensamente ogni situazione, nel bene e nel male. È un bambino che sfoga di notte le preoccupazioni e le giornate troppo piene di stimoli ma questa è la sua natura. È tuttora un grande amante delle sue tettone e le ciuccia ancora spesso e volentieri nei posti più disparati e curiosi. Mi fa tenerezza quando guarda le sue tettone con gli occhi che gli brillano; mi fa un sorrisone e si tuffa.


Circa sei mesi fa siamo stati ricoverati in ospedale per una presunta broncopolmonite, ho chiesto un letto dove stare entrambi e lì ci siamo trasferiti. Grazie al seno ho potuto tenerlo occupato durante le flebo che duravano 30 minuti e consolarlo durante le iniezioni. La broncopolmonite è stata combattuta in tempo record: tre giorni. Una sera si sentiva in lontananza un bambino che piangeva mentre io e Tobia stavamo giocando insieme nella nostra camera. Tobia mi guardava preoccupato, poi gli si sono illuminati gli occhi e mi ha suggerito di portare il mio seno al bambino per farlo star meglio. L’ha trovata la soluzione più naturale del mondo. Mi sono commossa profondamente, mi ha confermato quanto vive positivamente l’allattamento e i molteplici significati racchiusi in esso.


La sua amata fascia e le sue tettone sono state le nostre alleate più fidate da subito, due magici doni che mi facevano sentire meno impotente, due risposte sicure ed immediate che pian piano davano il risultato sperato.


Io rimango una mamma con molti dubbi che si trova a piangere per i propri sbagli e le proprie debolezze ma so che rispondendo immediatamente al suo pianto ho insegnato al mio cucciolo che può fidarsi di me e che la sua mamma e il suo papà sono aperti ad ascoltarlo ed aiutarlo. So che offrendogli il seno a richiesta gli ho insegnato a chiedere e cercare il conforto. So che rispettando il suo volere di essere ancora allattato lo sto aiutando a crescere, ad affrontare le difficoltà e ad imparare a chiedere amore ed attenzioni.


Ho trovato dentro di me una forza che non credevo di possedere e questo percorso, con le sue incomprensioni, le liti, i confronti e i chiarimenti ha rafforzato il rapporto con il mio amato marito e ci ha aiutato a diventare una nuova famiglia. Le difficoltà ci sono ogni giorno ma mi piace pensare che stiamo crescendo, tutti e tre.


Adesso il mio piccolo terremoto ha due anni e mezzo, non è certo diventato un dormiglione ma è sereno. È molto vivace e non sa stare fermo un attimo tranne quando si concede una seduta della sua tettona che rimane ancora una sua grande passione. A gennaio gli arriverà un fratellino o una sorellina e chissà quante nuove emozioni ci regaleranno, forse verranno allattati in tandem e sicuramente ci sarà un’ennesima accelerata al nostro percorso di crescita familiare.


Margherita

Un legame che non ha bisogno di parole

Il mio approccio con l’allattamento è stato così difficile che mai avrei pensato di diventare una mamma profondamente convinta della bontà e dell’utilità dell’allattamento prolungato.


Riccardo, il mio primo figlio, adesso ha 6 anni e si è attaccato al seno per 2 anni e 4 mesi. Mi pento di aver deciso allora di “svezzarlo” definitivamente perché in procinto di iniziare l’asilo. Quel distacco, apparentemente innocuo, ha in realtà avuto subdole ripercussioni su di lui e su di me… tanto che adesso, che sto allattando il mio secondo figlio, 2 anni e 2 mesi, sono convinta di continuare fino ad almeno 3 anni, o magari fino a quando non sarà lui a decidere (e a farmi capire) che è giunta l’ora di “separarsi”.


Sì, perché nel mio caso allattare significa mantenere – seppur debitamente ridimensionato – quel legame simbiotico tra la madre e il suo bambino, senza bisogno di parole, gesti, mediazioni e “razionalizzazioni”. È il meraviglioso dono esclusivo che la natura regala alle madri, un incanto che prima o poi è necessario svanisca, e che quindi io ho deciso di preservare il più a lungo possibile, nonostante le facili ironie, i commenti, le indubbie implicazioni narcisistiche che vi riconosco, che comprendo e che accetto come mie!


Allattare i miei piccoli mi ha salvato da tanti momenti di angoscioso tormento interiore, dai sensi di colpa, e son certa ha regalato loro l’ennesima conferma del mio amore, nonostante gli errori, nonostante le difficoltà e le frustrazioni. Proprio perché quell’abbraccio e quel contatto basta a se stesso, e non necessita d’altro.


Beatrice

A questa famiglia piace l’allattamento

Tutto ha avuto inizio quando, nell’estate 2004, sono rimasta incinta di Daniele. Da lì il desiderio di allattare è subito emerso così come le incomprensioni con mia madre che… “di quattro figli non vi ho allattato nessuno”… “se allatti sei fortunata”… “se assomigli a tua nonna, allatti”… “allattare è un fattore ereditario” e via dicendo. Il buon Dio mi ha messa a conoscenza di un corso per l’allattamento e da lì ho capito e imparato molte cose, ho capito anche mia madre.


Il 13 gennaio 2005 è nato Daniele, tanti maestri intorno a me: tutti mi bersagliavano di consigli ma nessun aiuto pratico, tranne mio marito. Non a caso, subito uscita dall’ospedale, mi sono venute le ragadi. L’aiuto determinante è giunto da una consulente in allattamento, e dal sostegno costante di Fabio, mio marito. Tutt’oggi posso dire che è grazie al suo sostegno che ho continuato l’allattamento, a dir la verità molte volte volevo smettere per prendere quella che sembrava la via più facile: il latte artificiale.


Estate 2006: sono rimasta incinta di Gemma. Durante tutta la gravidanza, Daniele, imperterrito, ha continuato a poppare. Anche se in alcuni momenti ero combattuta e stanca, sono stata contenta di godermelo così “da vicino” e ora che è passato così tanto tempo sono proprio felice.


È nata Gemma (27 marzo 2007): rispetto alle insicurezze e titubanze che avevo con Daniele l’allattamento è partito a gonfie vele, anche se si può dire che non è smesso!

Con Gemma ero più tranquilla e sicura; qualche titubanza l’ho avuta rispetto a Daniele: continuo ad allattarlo? A due anni, pensavo, ha poppato a sufficienza. La stanchezza, in alcuni momenti, prendeva il sopravvento. Ma Daniele, con tenacia, tornava sempre lì, dove si sentiva sicuro e protetto, al caldo della “poppa” della mamma, al nido.


La stanchezza ha lasciato il posto alla consapevolezza che Daniele, quel bimbo, sì, è vero, di due anni, aveva ancora bisogno di quella sicurezza e di quel calore che solo il seno poteva dargli, soprattutto in quel momento particolare della nascita di Gemma.


Oltre ai benefici che il latte materno apporta, c’è anche un discorso di rapporti, di amore, di tenerezza: da qui è partito l’allattamento in tandem che tuttora continua.


Tutto a gonfie vele fino ad ora tranne un episodio accaduto lo scorso autunno: Gemma a 18 mesi è caduta rompendosi i denti davanti. D’istinto l’ho portata verso il seno per consolarla, ma poppando ha sentito male. Da lì di corsa dal dentista e poi all’ospedale pediatrico. Gemma, per paura di sentire male, non voleva più poppare: tuttavia aveva desiderio, voglia di quella consolazione, di quell’amore che non è solo nutrimento, e che solo il seno poteva dargli. La vedevo che soffriva di una “smania” verso quei seni: li toccava, li abbracciava, li baciava, ma troppa era la paura di sentire male.


Io ero combattuta tra insistere sull’allattamento e cogliere l’occasione per smettere, data l’età della bambina. Però vedendo come si comportava, mi sembrava uno svezzamento forzato e “doloroso”. Dopo una settimana dalla caduta, con un intervento chirurgico sono stati tolti i due denti rotti e otturati due denti vicini. Dopo un’altra settimana, Gemma, di notte, si è riavvicinata e ha incominciato a poppare, nel dormiveglia e poi anche di giorno, riacquistando sicurezza e riacquistando il suo seno, il suo nido.


Durante queste due settimane mi ero tirata il latte, in attesa che Gemma riacquistasse fiducia, facendoglielo bere con una siringa; due settimane combattute fra il desiderio di riprendere ad allattare Gemma e l’idea di approfittare della situazione per farla smettere.


Daniele con i suoi 4 anni e mezzo e Gemma con i suoi due non rinunciano al loro nido: la poppa.


Grazie al sostegno di Fabio, sempre vicino in tutte le situazioni tristi e liete, grazie alla presenza, anche se lontana, della mia consulente di fiducia, mi sento tranquilla e sicura anche ora che sono grandi e continuo ad allattarli, nonostante questo vada oltre la tendenza comune di parenti ed amici (che hanno sempre da dire la loro opinione, soprattutto sull’allattamento).


Comunemente, una mamma che allatta a lungo viene considerata fragile e succube dei figli, incapace di farsi rispettare. La nostra è una famiglia, e a questa famiglia piace l’allattamento.


Silvia

Bisogno di conferme

Mi chiamo Chiara e sono la mamma di due bambini. Daniele 11 anni che si è nutrito al seno per 5 anni e mezzo e che ha continuato ad attaccarsi fino a 7 e Giorgio 3 anni attualmente allattato.


Rispetto all’allattamento di Daniele, mi vengono in mente i momenti difficili che ho vissuto, non tanto quelli legati alla pratica, piuttosto quelli legati alle mie insicurezze ed al mio stato d’animo.


Cerco di spiegare: i commenti negativi o solo stupiti, le abitudini delle altre mamme, i dubbi sul far bene o male, sul nuocere o meno a mio figlio, se renderlo irrimediabilmente dipendente a me e tutto quello che ogni mamma che allatta un bambino grandicello si è sentita dire direttamente o meno facevano sì che le richieste del seno da parte di Daniele a volte mi infastidissero o mi stancassero. Avevo bisogno di consenso e di conferme ed il non trovarli mi rendeva molto insicura.

Oggi, forte dell’esempio del primogenito, che dimostra affidabilità alla famiglia ed ai coetanei (alla composizione in classe: “Descrivi un tuo compagno” è stato il soggetto più gettonato, ne hanno parlato 7 bambini su 27, e l’aggettivo che tutti hanno usato è stato proprio “affidabile”), equilibrio, capacità di espressione e di manifestazione dei sentimenti e, cosa che nessuno avrebbe mai detto, grande indipendenza, con Giorgio neanche mi accorgo di quante volte, di come quando e perché poppa e questo lo rende “normale” e assolutamente non faticoso anche per i molteplici risvegli notturni.

Non faccio grandi previsioni o progetti, vedremo con il tempo cosa Giorgio gradirà e se questo rispecchierà le mie esigenze.


Nel frattempo chi mi conosce si è arreso e non commenta e chi invece ci vede senza conoscerci e si lascia andare a commenti non trova alcun posto in me, né nella sfera emotiva, né in quella pratica, tanto meno nella memoria.


Chiara

Il latte fino a mille anni

Elisa ha 5 anni e mezzo e prende ancora il latte, la sera per addormentarsi e la mattina appena sveglia. Quando le chiedo: fino a quando lo prenderai? Fino a 1000 anni, mi risponde! Io credo che oltre al fatto che lo trovi buono, lo prenda volentieri perché insieme riceve centinaia di baci; è una modalità di comunicare con la mamma in esclusiva per lei. E non vuole rinunciare, né io le chiedo di farlo. Anche per me è così, attraverso questo semplice gesto io sono lì con lei e per lei, e non esiste altro al mondo. È un grande privilegio per entrambe ma non credo comunque che arriveremo a 1000 anni!


Anita

Sapore di mamma
Sapore di mamma
Paola Negri
Allattare dopo i primi mesi.Perché è importante allattare ben oltre i primi sei mesi canonici. La meravigliosa esperienza di proseguire per molti mesi, come consiglia anche l’OMS. Sapore di mamma parla di allattamento prolungato, una pratica che si sta diffondendo grazie a iniziative e interventi per la sua promozione. Sono infatti sempre di più le donne che allattano secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero fino e anche oltre ai due anni di vita del bambino. C’è una bella differenza però fra allattare un neonato e allattare un bambino di uno, due o più anni, e non sempre le mamme riescono a trovare informazioni specifiche, coerenti e aggiornate su questo argomento.Come se non bastasse, le donne che decidono di continuare ad allattare il bambino dopo il primo anno si sentono spesso isolate e non trovano occasioni in cui scambiare opinioni ed esperienze con altre mamme. Anzi, spesso si scontrano con l’ignoranza e la disapprovazione del prossimo (il compagno, i parenti, il proprio ginecologo o il proprio pediatra), intrisa di luoghi comuni. Chi ha il diritto di decidere sulla sua durata?Su quali basi può deciderlo?Cosa vuol dire, oggi, allattare fino all’anno e oltre?Cosa comporta questo per la madre, il padre e il bambino?È vero che l’allattamento prolungato rende le madri succubi dei figli, e questi ultimi viziati, dipendenti e mammoni?Ma soprattutto, perché molte persone si sentono in diritto di dire alla madre quello che deve fare riguardo all’allattamento, in tante situazioni così diverse l’una dall’altra e senza che venga richiesta la loro opinione in merito? In questo libro, Paola Negri, consulente professionale IBCLC ed educatrice perinatale, offre tutte le informazioni affinché ogni madre trovi le proprie personali risposte a queste domande, ragionando sul valore dell’allattamento come forma normale di accudimento anche quando i bambini non sono più neonati, unitamente a spunti di riflessione sui vari aspetti di questa pratica, che vanno ben oltre quello puramente nutritivo.Gli operatori sanitari e le figure che si trovano a lavorare con mamme e bambini piccoli troveranno una chiave per entrare con maggiore rispetto nel delicato mondo della coppia madre-bambino, comprendendone meglio vissuti, bisogni e sentimenti, in modo da offrire un’assistenza più rispettosa, mirata, consapevole ed efficace. Il libro è inoltre arricchito da numerose testimonianze di mamme che hanno scelto di continuare a nutrire al seno il proprio bambino per consolarlo nei momenti difficili e addormentarlo con dolcezza. Conosci l’autore Paola Negri si occupa di allattamento da oltre 15 anni; è stata consulente volontaria per La Leche League Italia e successivamente è diventata consulente professionale IBCLC ed Educatrice Perinatale, lavorando con donne in attesa e madri, e nella formazione specifica a gruppi di auto-aiuto e operatori sanitari. Opera da anni in associazioni come MAMI e IBFAN Italia (di cui è presidente) in attività di sostegno, promozione e protezione dell’allattamento.Si occupa inoltre di decrescita e di alimentazione, per cui ha scritto diverse pubblicazioni.