prima parte - capitolo ii

Cosa succede nel corpo della donna

Quando la scintilla della vita si spegne nel grembo materno, l’organismo della donna può reagire in modi differenti.


Come abbiamo accennato in precedenza, parlando dei sintomi che possono accompagnare l’interruzione della gravidanza nelle prime settimane dell’attesa, l’aborto può manifestarsi con dei segnali espliciti (perdite di sangue, dolori), oppure restare nascosto ed essere scoperto casualmente in occasione di un controllo ecografico.


Ma cosa succede nel corpo materno in questa situazione? Quando l’aborto si risolve spontaneamente e quando invece è necessario un intervento medico per tutelare la salute della donna?


Quando lo sviluppo dell’embrione si interrompe possono trascorrere da pochi giorni ad alcune settimane prima che l’utero cominci a contrarsi e si manifestino delle perdite.

Se si esegue un controllo ecografico mentre l’aborto è in atto, ovvero mentre sono presenti perdite ed eventualmente dolori al basso ventre o alla zona lombo-sacrale, si può vedere l’utero che si contrae1.


Se l’espulsione avviene in modo completo, l’utero si svuota spontaneamente e al suo interno non resta traccia della gravidanza che purtroppo si è interrotta.


In questo caso, una volta verificato tramite ecografia che la cavità uterina sia completamente vuota, se le perdite di sangue si riducono fino a cessare del tutto, non sono necessari interventi medici o terapie.


In genere si ritiene opportuno eseguire un ulteriore controllo ecografico e/o un dosaggio del beta-HCG a distanza di qualche settimana, per accertare che non vi siano state complicanze.


Se invece l’aborto è incompleto e l’utero, contraendosi, non riesce a liberarsi del tutto, può essere necessario un trattamento medico per svuotare la cavità uterina e far cessare le perdite ematiche. In questo caso l’ecografia rivela un’immagine disomogenea e disorganizzata: nella maggior parte dei casi non è più evidenziabile l’embrione ma solo il tessuto coriale o placentare.


Quando l’aborto è asintomatico il piccino non è più vitale, ma l’utero non si contrae e non ci sono segnali del fatto che la gravidanza si è fermata. L’embrione rimane nella sua culla e la cervice uterina è perfettamente chiusa. È l’ecografia a rivelare quanto è accaduto perché non c’è battito e perché le dimensioni del bimbo sono inferiori rispetto a quelle previste per quell’epoca dell’attesa.


Dal momento in cui il bimbo si spegne a quello in cui l’utero comincia a contrarsi e si verificano delle perdite possono trascorrere da pochi giorni ad alcune settimane.


In media si calcola che, in genere, l’embrione viene espulso spontaneamente entro 14 giorni2.

Le opzioni terapeutiche

Ormai è sicuro. L’attesa si è interrotta. Al grande dolore causato da questa notizia che, nella maggior parte dei casi, giunge improvvisa e inaspettata, si sommano i timori e le incertezze per quello che accadrà. Quali passi sono necessari se non si è verificato un aborto spontaneo completo?


Le opzioni terapeutiche in caso di aborto incompleto o aborto ritenuto sono tre3.

  • Terapia chirurgica, che consiste nello svuotamento strumentale della cavità uterina, tramite raschiamento o isterosuzione.

  • Atteggiamento di attesa, fino all’espulsione spontanea e completa del materiale ovulare.

  • Terapia medica, ovvero somministrazione di farmaci per stimolare lo svuotamento della cavità uterina.

Terapia chirurgica

A partire dagli anni Trenta del secolo scorso, con l’obiettivo di ridurre il rischio di sepsi ed emorragie che mettevano a rischio la salute e la vita stessa della donna, è stato privilegiato un approccio terapeutico di tipo chirurgico con la revisione (pulizia) strumentale della cavità uterina, eventualmente preceduta da dilatazione cervicale (definita dalla letteratura anglosassone ).


Oggi, però, con l’avvento dell’ecografia (transvaginale e addominale) e grazie al dosaggio del beta-HCG è possibile effettuare la diagnosi di aborto spontaneo in epoche piuttosto precoci della gestazione, quando una discreta percentuale di situazioni potrebbe ancora risolversi spontaneamente. Diversi lavori pubblicati su riviste scientifiche, nazionali e non, sostengono quindi sia legittimo pensare che una quota delle revisioni della cavità uterina effettuate in queste circostanze sia probabilmente inutile, poiché nell’arco di alcuni giorni la situazione avrebbe potuto risolversi spontaneamente4.

Per questo motivo, attualmente, la terapia più accreditata è l’attesa sotto controllo medico. Terapia che, in paesi come l’Olanda, il Canada e il Regno Unito, è la strategia più applicata.


In quei casi in cui però l’intervento chirurgico si rende indispensabile – perché l’aborto incompleto causa emorragie importanti, o perché in caso di aborto ritenuto, nonostante l’attesa, la situazione non si sblocca – si procede con lo svuotamento strumentale della cavità uterina effettuata di regola in anestesia totale (o con anestesia locale e leggera sedazione).


L’approccio chirurgico è indispensabile anche in presenza di sintomi quali febbre, dolore, instabilità emodinamica; complicazioni che si verificano, però, solo nel 10% dei casi.


Le metodiche chirurgiche sono due:

  • il raschiamento che viene eseguito utilizzando uno strumento simile a un cucchiaio (curette) per ripulire i tessuti della cavità uterina;

  • l’isterosuzione che prevede l’utilizzo di uno strumento che aspira il materiale presente nell’utero.


Spesso, nel corso dell’operazione, che dura in genere 15-20 minuti e avviene in regime di day-hospital, vengono eseguite entrambe le procedure.


L’ultimo passo è l’esame istologico (effettuato in laboratorio sul materiale ovulare asportato), destinato a escludere la presenza di eventuali patologie.

Attesa sotto controllo medico

Quando l’attesa si interrompe nel primo trimestre, nella maggior parte dei casi, la natura fa il suo corso e la situazione si risolve senza necessità di interventi esterni, con lo svuotamento spontaneo della cavità uterina.


Per questo, a oggi, in alcuni ospedali italiani (ma non in tutti) si tende a privilegiare una condotta di attesa sotto controllo medico, evitando così un intervento chirurgico che potrebbe non essere necessario.

Questo tipo di approccio, oltre a permettere di studiare l’evoluzione della situazione in modo più completo, evita il rischio di eventuali complicanze5 connesse con uno svuotamento strumentale della cavità uterina nonché i disagi di un’anestesia e dell’esperienza di ospedalizzazione. Lo stretto controllo medico (mediante controlli ecografici settimanali) permette di evidenziare tempestivamente i sintomi di eventuali complicanze – emorragie o infezioni – che renderebbero indispensabile un approccio di tipo chirurgico.


In caso di aborto incompleto, l’attesa è ovviamente la scelta preferibile, poiché nella maggior parte dei casi la situazione si risolve spontaneamente.


Anche in caso di aborto interno la situazione si può sbloccare e risolvere spontaneamente, e se ciò non accade entro un paio di settimane6 si interviene chirurgicamente.

Non tutte le coppie, però, sono al corrente di questa possibilità e la tendenza comune è quella di considerare indispensabile il raschiamento. In realtà ogni donna, in assenza di segni clinici che rendano necessario intervenire immediatamente, dovrebbe ricevere le informazioni relative ai pro e ai contro di entrambe le opzioni per poter fare una scelta consapevole.


In alcuni casi la donna ha bisogno di tempo per ‘rendersi conto’ di quanto è accaduto, e un intervento chirurgico frettoloso viene vissuto come uno ‘strappo’, una dolorosa imposizione. Se la sua esigenza è quella di elaborare la situazione e prepararsi a questa separazione, la scelta di attendere può essere la soluzione migliore.


In altri casi, invece, una volta saputo che la gravidanza si è interrotta, la donna non si sente a suo agio e desidera concludere questa fase il più velocemente possibile.


Ogni persona reagisce in modo differente di fronte a un evento tanto delicato, e l’ideale credo sia garantire alla donna la possibilità di riflettere, lasciandole il tempo necessario per decidere, e poi accogliere le sue scelte.

Terapia farmacologica

La terza opzione terapeutica consiste nella somministrazione di farmaci analoghi alle prostaglandine e agli anti-progestinici, destinati a favorire lo svuotamento spontaneo della cavità uterina. Questa alternativa è la meno utilizzata poiché non sembra offrire vantaggi sostanziali rispetto alla semplice attesa e i farmaci impiegati possono provocare fastidiosi effetti collaterali (diarrea, nausea)7.


Secondo le Linee guida del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG), l’approccio farmacologico ha un maggior tasso di successo nei casi di aborto incompleto, ma determina un aumento del dolore e del sanguinamento che possono rendere poco accettabile questa opzione8.

Quando la gravidanza è extrauterina

Con il termine gravidanza extrauterina, o gravidanza ectopica, vengono indicate tutte quelle condizioni in cui l’embrione si annida al di fuori dell’utero, generalmente nella tuba, ma anche nelle ovaie, nel collo uterino e più raramente nella cavità addominale.


Si tratta di un evento che si verifica con una certa frequenza dato che, secondo le statistiche, riguarda fino al 2% delle gravidanze.

La forma più frequente di gravidanza extrauterina è quella tubarica. Non esiste una familiarità o una predisposizione nei riguardi di questa condizione, ma sono stati individuati alcuni fattori predisponenti: problemi di infertilità, endometriosi, infezioni pelviche (da malattie sessualmente trasmesse), l’utilizzo quale metodo contraccettivo della spirale9, pregressi interventi chirurgici ginecologici o intestinali. Infine, il rischio è più alto per le donne fumatrici.


I segni clinici di questa complicanza si manifestano in genere verso la settima-ottava settimana di gravidanza con dolore più o meno intenso e improvviso alla zona pelvica e perdite di sangue.


Quando la patologia non viene diagnosticata in tempo e l’embrione aumenta di volume si può verificare una rottura della tuba, seria complicanza che rende necessario un intervento chirurgico d’urgenza.


Se la diagnosi avviene precocemente10 si può invece ricorrere a una adeguata terapia medica (ovvero all’assunzione di un farmaco) che permette di risolvere la situazione senza dover ricorrere a un intervento chirurgico.


Mola vescicolare, una patologia della gravidanza

In alcuni casi11, l’aborto spontaneo è collegato a una mola vescicolare, ovvero una patologia della gravidanza caratterizzata da un’anomalia di sviluppo della placenta12.


La mola completa presenta un ingrossamento generalizzato della placenta (che ha l’aspetto di un grappolo d’uva composto da centinaia di vescicole di dimensioni variabili da una testa di spillo a una ciliegia) e non è presente il feto.


Se la mola è parziale, la placenta è ingrossata solo in alcune zone e spesso è presente il feto (ma i cromosomi sono in numero molto superiore al normale, 69 invece di 46).


I sintomi sono al principio simili a quelli della gravidanza, ma più accentuati, con nausea e vomito intensi, e verso la fine del primo trimestre-inizio secondo trimestre di solito compaiono perdite ematiche.


La diagnosi è ecografica ed è confermata dalle elevate concentrazioni di gonadotropina corionica (beta-HCG) nel sangue o nelle urine.


Il trattamento consiste nella revisione chirurgica della cavità uterina. Per escludere eventuali complicanze13, è previsto un prolungato follow-up con la misurazione periodica delle concentrazioni sieriche di beta-HCG.


Se la gravidanza si interrompe nel secondo trimestre

Ero alla sedicesima settimana di gravidanza, ma, probabilmente, era da un po’ che Clementina se n’era andata.

Elena

Al quinto mese cominciai a stare poco bene, in ospedale mi dissero che c’era un inizio di travaglio e che non si poteva fare nulla. Nacquero così in una sera d’estate,in un ospedale inospitale, le nostre due bimbe perfette ma troppo piccine…

Virginia


Le dinamiche di un’interruzione di gravidanza che si verifica nel secondo trimestre sono diverse rispetto a quelle di un aborto spontaneo avvenuto entro la 13a settimana.


Quando si verifica una dilatazione della cervice, e non si è più in tempo per intervenire con un cerchiaggio cervicale (o eventuali tentativi non riescono a bloccare la situazione), il bimbo, purtroppo, nasce (con un parto indolore), ma è troppo piccino per sopravvivere.


Se invece il bambino si spegne nel grembo materno, e si scopre che il suo cuore non batte più in occasione di una visita o di un controllo ecografico, in genere, non si attende una risoluzione spontanea (come avviene nel primo trimestre) e si interviene chirurgicamente.

Nei casi in cui le dimensioni dell’utero corrispondano a più di 14 settimane di gestazione una revisione della cavità uterina mediante isterosuzione potrebbe essere gravata da complicazioni, per cui si preferisce indurre il parto14.

La somministrazione per via vaginale di prostaglandine stimola le contrazioni e fa sì che si avvii il travaglio.
Comunque si verifichi un aborto tardivo – sia che si scopra la morte del proprio piccino, sia che il corpo ci ‘tradisca’ rivelandosi incapace di trattenerlo e custodirlo – la donna si trova a vivere un’esperienza traumatica e immensamente dolorosa, che la coglie del tutto impreparata dato che, in genere, dopo i primi tre mesi eventuali timori sul buon esito della gravidanza vengono superati.
L’ultimo saluto

Quando si perde un bimbo nel secondo trimestre, la coppia può decidere di vedere il proprio piccino e salutarlo. È importante che il personale sanitario parli di questa possibilità ai genitori, lasciando loro il tempo di riflettere con calma e decidere cosa fare. Numerosi studi hanno infatti evidenziato che, per quanto doloroso, poter vedere il proprio bimbo, dare un volto al bimbo immaginario, è di aiuto nell’elaborazione e accettazione della perdita, mentre la mancanza di un’immagine da ricordare può dar vita a fantasie dolorose (sull’aspetto del bambino) e complicare il processo del lutto15.

Cosa succede dopo un aborto spontaneo?

I tempi per la ripresa fisica dopo un aborto sono sicuramente più brevi, rispetto a quelli necessari per sanare le ferite della mente e del cuore.


Se la gravidanza si interrompe nel primo trimestre, nella maggior parte dei casi – sia che si verifichi un aborto spontaneo completo, sia che si renda necessario un intervento chirurgico – non si presentano complicazioni16 e l’organismo femminile torna alla normalità piuttosto rapidamente.


Nei giorni immediatamente successivi all’aborto, o alla revisione strumentale della cavità uterina, molte donne percepiscono dei crampi (simili ai dolori mestruali) che pian piano si riducono fino a cessare del tutto. Le perdite ematiche possono continuare per una o due settimane.


In questa fase sono necessari alcuni semplici accorgimenti, quali evitare rapporti sessuali, non praticare lavande vaginali, non utilizzare assorbenti interni.


A circa un mese di distanza dall’aborto spontaneo, il ciclo mestruale si ripresenta normalmente. Dal punto di vista fisico la donna sta bene.


Non è raro, però, che lo stress dovuto all’esperienza traumatica vissuta e la fatica emotiva del processo di accettazione della perdita interferiscano con il benessere fisico della donna provocando stanchezza, insonnia, perdita d’appetito17. Si tratta di reazioni normali destinate a risolversi pian piano, con il procedere dell’elaborazione del lutto stesso.


Alcuni medici suggeriscono, per favorire il recupero del benessere psico-fisico, di seguire una dieta varia e bilanciata che include proteine, vegetali, frutta, carboidrati e di iniziare un’attività fisica da praticare quotidianamente: anche una semplice passeggiata all’aria aperta può avere una funzione terapeutica18.


Da non trascurare, infine, il riposo: nelle settimane successive a un’interruzione di gravidanza, c’è bisogno di momenti di relax, di coccolarsi un po’, di dedicarsi a qualche attività particolarmente piacevole e rilassante.

L’esperienza dell’ospedalizzazione

Parte del mio dolore è legata al trattamento ricevuto in ospedale in occasione del raschiamento. Ho aspettato il mio turno nel reparto maternità. Ad un certo punto hanno portato i bimbi a tutte le mamme, ce n’era uno per tutte tranne che per me.

Anna


Scoprire che il nostro bambino non c’è più, che il suo cuoricino ha smesso di battere, che il suo piccolo corpo non crescerà più dentro di noi, è un’esperienza traumatica.


Spesso a questo momento difficile si aggiunge la necessità di un ricovero ospedaliero e di un intervento chirurgico (o di un parto indotto, in caso di aborto tardivo).


Quello che si prova, quando si entra in un reparto di maternità, non per stringere tra le braccia il proprio piccino, ma perché nostro figlio deve essere strappato da noi, separato dal nostro corpo, è qualcosa di molto difficile da descrivere. In alcuni ospedali le donne che devono subire un raschiamento o devono partorire un bimbo morto, vengono ricoverate in Ostetricia, dove le mamme cullano, allattano, accarezzano i propri neonati. Il pianto dei bimbi, i sorrisi delle neomadri, sembrano lì ad acuire il dolore della perdita, a ricordare alla donna quello che desiderava e che non potrà avere.


Molte donne che hanno vissuto questa esperienza ricordano con sofferenza queste situazioni, e descrivono come una beffa il fatto di aver subìto il raschiamento in un locale a ridosso delle sale parto.

L’importanza dell’assistenza
Non è possibile che gli operatori che si occupano di nascita non sappiano accogliere il dolore di una donna che ha perso un figlio. Nessuno, in ospedale, è stato capace di accompagnarci verso la separazione e la perdita.
Nessuno. Vergogna!

Simona


In ospedale ho trovato persone gentilissime, che mi hanno sostenuta in ogni momento.

Cristina


I medici, la loro inespressività, la loro bianca freddezza.

Daniela


Un’ostetrica mi ha tenuto la mano e rassicurato.
È stata molto importante per me.

Giorgia


Dai racconti delle donne emerge chiaramente l’importanza dell’assistenza ricevuta: la sensibilità e l’umanità dimostrate dagli operatori sanitari (medici e ostetriche) si rivelano tanto più preziose quanto più la donna è in difficoltà, così come, viceversa, un atteggiamento freddo e distaccato può rendere ancora più dolorosa questa esperienza.


È significativo il fatto che praticamente in tutte le testimonianze raccolte nella stesura di questo libro sono presenti dei riferimenti all’accoglienza ricevuta in ospedale.

A proposito del ruolo del personale sanitario, Claudia Ravaldi, psichiatra e psicoterapeuta, presidente dell’associazione CiaoLapo Onlus, scrive: (…) gli sguardi e le parole di chi in quel momento dovrebbe ‘prestare cura’ e le emozioni correlate a frasi o atti spiacevoli durante il momento della perdita si fissano nella memoria e possono incidere come rinforzi positivi o negativi sulla personale capacità di coping [adattamento e superamento delle situazioni spiacevoli] dei genitori.19

E a proposito di accoglienza, molte donne hanno segnalato l’assenza di un supporto psicologico, dichiarando che sarebbe stato loro d’aiuto poter incontrare una psicologa in reparto.


Anch’io sono convinta che un servizio di questo tipo sarebbe davvero utile. Troppo spesso l’aborto spontaneo e il raschiamento vengono liquidati con poche parole frettolose e un referto dalla terminologia fredda e ‘disumana’. Ricordo bene la sensazione provata nel lasciare il reparto di Ostetricia, dopo aver subito il raschiamento. Le altre mamme tornavano a casa con i loro bellissimi bimbi, io il mio bimbo non l’avevo più: tutto quello che mi restava era il foglio delle dimissioni con scritto solo “Aborto ritenuto alla 11a settimana”.

Se lo desiderate, può avere sepoltura

C’è una legge in Italia che da più di vent’anni stabilisce, secondo precise normative, il diritto alla sepoltura di tutti i bimbi morti nel grembo materno a qualsiasi età gestazionale, anche se piccolissimi20.


Personalmente non immaginavo proprio esistesse questa possibilità e credo che molti genitori non ne siano a conoscenza. Quando si scopre di aspettare un bambino ci si informa in merito a tanti aspetti della gravidanza, della nascita, del post-parto, ma non si è certo preparati per gestire un post-aborto.


Informare i genitori del fatto che il loro piccino, anche se minuscolo, può ricevere sepoltura e avere un luogo dove riposare è quindi competenza del personale sanitario, ma l’impressione è che questa legge sia poco conosciuta (o considerata) anche in ambito ospedaliero.


Il Consiglio Regionale della Lombardia ha sancito il diritto dei genitori di essere informati della possibilità di richiedere sepoltura anche per i piccini al di sotto delle venti settimane di gestazione già nel 2004, come si legge nel Regolamento regionale (del 9 novembre 2004, n. 6) in materia di attività funebri e cimiteriali, e nel 2007 con le modifiche al già citato regolamento, si ribadisce che l’incarico di informare i genitori viene affidato alle direzioni sanitarie e si stabilisce che, in ogni caso, i resti mortali di questi piccolissimi saranno soggetti a sepoltura21.


Perché a ogni coppia vengano offerte le informazioni necessarie per compiere una scelta consapevole e perché non sia negato il loro diritto ad avere un ‘luogo fisico’ dove piangere il loro bambino e da cui iniziare il percorso di rielaborazione del lutto, le associazioni CiaoLapo Onlus e La Quercia Millenaria Onlus con la collaborazione dell’associazione Come-Te, nel 2009, hanno elaborato un documento per il Ministro della Salute e promosso una raccolta firme a cui hanno aderito circa duemila genitori in poche settimane.


Nel documento sono stati sottolineati lo smarrimento, il dolore, il senso di vuoto e di incompiuto dei genitori che, privati a tempo debito di una semplice informazione in merito alla legge Italiana, si trovano senza il loro bambino e anche senza un luogo fisico dal quale iniziare il percorso di lutto, ed è stato chiesto di rendere nota a tutti i punti nascita l’esistenza di una legge in tema di sepoltura dei feti, perché possano offrire questa preziosa informazione e le indicazioni relative all’iter da seguire, alle coppie che perdono un figlio nell’attesa.


La legislazione internazionale si sta muovendo a questo proposito, e pare vi sia una maggior consapevolezza delle esigenze e dei diritti delle coppie che vivono un’esperienza di perdita prenatale.


In Francia, ad esempio, una legge del 200822 sancisce il diritto della donna di dare un nome e registrare all’anagrafe il proprio figlio, indipendentemente dalla settimana di gestazione in cui è avvenuta la perdita23. E, sempre dal 2008, i genitori di bimbi che si sono spenti nel grembo materno a partire dalla ventiduesima settimana di gravidanza possono usufruire del congedo di maternità.

Tra le più recenti iniziative riservate alle famiglie che hanno perso un bimbo prima della nascita, ricordiamo la creazione di un’area di sepoltura per quei piccini che non hanno visto la luce, nel cimitero austriaco di Oberberg a Eisenstadt. Progettato dall’artista Franz Gyolcs, per iniziativa dei Fatebenefratelli, questo spazio dal forte valore simbolico è stato benedetto – nell’ambito di una cerimonia ecumenica – dal vescovo diocesano Paul Iby e dal sovraintendente Manfred Koch. Tre attività di pompe funebri della città di Eisenstadt si sono offerte di provvedere gratuitamente alla sepoltura, e i genitori vengono informati di questa possibilità direttamente in ospedale.

Quando l'attesa si interrompe
Quando l'attesa si interrompe
Giorgia Cozza
Riflessioni e testimonianze sulla perdita prenatale.La perdita di un bambino durante la gravidanza è sempre una tragedia, vissuta spesso da sole e senza l’adeguata vicinanza emotiva. Ma si può superare. Quando si perde un bambino non si può dimenticare lo smarrimento, la solitudine e l’angoscia che una donna prova. Un aborto spontaneo è un dolore grande, è una promessa di gioia senza fine che si infrange all’improvviso, lasciando nel cuore amarezza, delusione, incredulità. I dati clinici sono allarmanti: il 15-25% circa delle gravidanze si interrompe spontaneamente nel primo trimestre, e ogni anno in Italia circa 2 gravidanze su 100 si concludono con una morte perinatale. Perché mai è successo?Capiterà ancora?Ce la farò a diventare madre?Dovrei fare ulteriori controlli e accertamenti?Perché gli altri non capiscono questo dolore?E il futuro padre? Cosa prova un uomo che perde un figlio?Molte domande, poche risposte. Esistono centinaia di titoli su gravidanza, nascita, accudimento dei figli, ma mancava un libro che parlasse dell’aborto spontaneo, un’esperienza che, purtroppo, riguarda tante donne.Perché parlarne è un modo di riconoscerne l’importanza. Raccontare la propria storia, rivivere certi momenti per alcune donne è difficile e doloroso, mentre per altre è un’opportunità per comprendere meglio le proprie emozioni e riconciliarsi col passato. Quando l’attesa si interrompe si propone di offrire una risposta agli interrogativi più comuni quando si perde un bimbo nell’attesa o subito dopo la nascita. È difficile parlare di questo dolore, perché al dispiacere si aggiunge anche la devastante consapevolezza di non essere comprese. Uscire dal silenzio che molto spesso avvolge questi argomenti, rendendoli quasi dei tabù, può essere di grande aiuto non solo per la donna, ma anche per chi le sta accanto (partner, familiari, amici, operatori sanitari) e vorrebbe offrirle il proprio sostegno emotivo. Grazie ai contributi di numerosi esperti (ostetriche, psicologi, ginecologi, neonatologi) l’autrice Giorgia Cozza offre una chiave di lettura delle reazioni fisiche ed emotive della donna (e della coppia), riflettendo sulle tappe e sui tempi di elaborazione del lutto.Le testimonianze, intense e commoventi, di tanti genitori che hanno perso il proprio figlio vogliono essere una mano tesa verso ogni donna che sta soffrendo e ha bisogno di sapere che non è sola. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.