Prefazione all'edizione italiana

di Mariangela Porta

Ho terminato di leggere Partorire e accudire con dolcezza di Sarah Buckley poco dopo che una mamma, all’inizio della sua prima gravidanza, mi aveva detto: “Spero che mio figlio rimanga podalico, così potrò partorire col cesareo”. Per lei l’idea del parto richiamava solo quella di un dolore senza senso e al di sopra delle sue capacità di gestione. E un’altra, alla seconda gravidanza: “Perché partorire e sprecare tutto il progresso degli ultimi decenni?”. Potrei citarne altre, tutte in buona salute e con gravidanze fisiologiche.


Tali affermazioni riflettono un fenomeno che recentemente è stato messo in rilievo anche dalla cronaca per la decisione del Ministro della Salute di affidare ai Carabinieri dei NAS controlli a campione nelle strutture sanitarie pubbliche e private con l’obiettivo di accertare un eventuale utilizzo non appropriato del cesareo. In Italia la percentuale di parti chirurgici è andata progressivamente aumentando fino ad arrivare nel 2010 al 38%, sia pure con differenze notevoli fra Regioni – dal 23% in Friuli al 62% in Campania – e fra strutture – dal 36% negli ospedali al 44,7% nei punti nascita con meno di 500 parti/anno, fino al 50,5% nelle cliniche private – a fronte del 15% come percentuale massima ammessa dall’OMS. Non sempre quindi la decisione di eseguire un taglio cesareo è presa per tutelare la salute della madre e del suo bambino.


E nei parti spontanei, quanto è rimasto di spontaneo?


Le linee guida dell’OMS pubblicate a gennaio 2012 mettono al primo punto l’indicazione a procedere all’induzione del travaglio di parto solo in caso di accertata necessità. Oggi nei Paesi economicamente avanzati essa viene invece attuata in circa il 25% delle gravidanze.


È in crescita la richiesta di analgesia epidurale durante il travaglio, arrivando fino al 90% nelle strutture ospedaliere che offrono questo servizio.


Superato quello del sesso, la nostra società si trova a fronteggiare un nuovo tabù, quello del dolore, oggi considerato solo nella sua negatività e non anche come valore, sottovalutando le risorse fornite dalla natura per affontarlo e le possibilità di vivere la gravidanza e il parto utilizzando metodiche meno invasive. È provato, ad esempio, che i tagli cesarei sono meno numerosi nelle donne che hanno frequentato corsi di accompagnamento alla nascita.


La gravidanza è il tempo della creazione e del cambiamento, il trionfo dell’interiorità in senso prepotentemente fisico, ma anche mentale e spirituale. Può essere il tempo della meditazione, della significazione, della pacificazione. Il regalo più bello che può fare ad una madre chi si trova a percorrere con lei i primi metri del suo viaggio è non solo controllare la regolarità dei processi biologici ma anche aiutare a recuperare spazio, silenzio e attenzione, favorendo non una semplice regressione ma un’immersione nelle profondità della natura e dell’umanità.


È spontanea allora la domanda: “Dov’è finito il parto? Chi se ne è appropriato, se è sfuggito alle donne? E ancora prima, dov’è finita la gravidanza come periodo di vera preparazione al cambiamento radicale che sta per avvenire, come accoglienza della vita in tutta la sacralità e il mistero che, nonostante la tecnologia più avanzata, permangono? E poi, dove sta andando l’accudimento del cucciolo umano come viatico per il resto della sua esistenza?”. Difficile rispondere senza semplificare e vari e sfaccettati sono gli aspetti da prendere in considerazione.


La scena sociale è cambiata: dal 1980 ad oggi il livello di istruzione delle madri è aumentato passando dal 19% al 55% per le diplomate e dal 4% al 16% per le laureate e parallelamente si è verificato un incremento della loro partecipazione al mercato del lavoro dal 45% al 63%. Ne sono conseguiti innalzamento dell’età materna al primo figlio e riduzione del numero di figli. Essere madri e lavoratrici ha posto le donne di fronte a problemi nuovi per la necessità di conciliare famiglia e occupazione, scarsamente supportate da una adeguata politica sociale. In un tale contesto la maternità rischia di essere percepita non come un evento esistenziale centrale ma uno dei tanti impegni; non un dono ma un problema.


Vi sono però ragioni culturali più ampie. Il progresso della scienza ha generato nella società contemporanea un delirio di onnipotenza che ha portato da un lato alla fiducia talvolta eccessiva nella tecnologia, e dall’altro all’adesione a un riduzionismo biologico che fa perdere di vista la globalità, la complessità, l’unicità della persona. Il sapere antico della maternità di cui da sempre sono depositarie le donne è stato gradualmente oscurato e si è così arrivati a sconfinare nella delega ad altri della gestione della gravidanza, del parto, dell’allevamento dei piccoli. In un documento della Società Italiana di Statistica si legge: “In Italia la medicalizzazione della gravidanza e del parto è fortissima, con abuso delle cure prenatali che si traduce in un eccesso di visite e di ecografie in gravidanza, e in una percentuale esagerata ed inspiegabile di tagli cesarei. Questi sono fenomeni in costante crescita. Un’analisi basata sui dati ha mostrato la fortissima importanza del contesto, e quindi del medico e dell’ambiente. Ciò mostra la prevalenza di una ginecologia basata sulle opinioni personali o sugli interessi economici, piuttosto che sull’adesione a protocolli ufficiali… Questa situazione conferma l’idea di uno scarso controllo della gravidanza da parte delle donne e dell’esistenza di una forte dipendenza dagli operatori sanitari e dalle opinioni e dalle pratiche consolidate nel contesto di cura e/o di residenza”. La maggior parte delle donne infatti affida la propria gravidanza a un medico specialista, istituzionalmente curatore della patologia, e appena lo 0,8% a un’ostetrica, tradizionalmente custode della fisiologia. In Italia ogni anno nascono in casa non più di 1.500 bambini, lo 0,2-0,3% del totale, mentre in altri Paesi, come l’Olanda, si arriva fino al 30%. Attualmente l’assistenza al parto domiciliare a carico del SSN è attiva in pochi territori virtuosi: Piemonte, Marche, Emilia Romagna, Lazio e Provincia Autonoma di Trento. Se venisse estesa a tutta la realtà nazionale sicuramente il numero di donne che sceglierebbero di partorire in intimità e sicurezza nel proprio ambiente domestico aumenterebbe.


L’idea della gravidanza come malattia viene rinforzata anche dalla esecuzione impropria di accertamenti clinici, spesso non supportata da evidenze scientifiche e persino iatrogena. Valga per tutti l’esempio dell’ecografia. Nel corso degli ultimi decenni si è fatto sempre più ricorso ad essa come elemento coreografico più che come mezzo diagnostico, fino a superare il limite suggerito dalle linee guida della SIEOG (Società Italiana di Ecografia Ostetrico Ginecologica) per la gravidanza fisiologica nel 70% dei casi, ignorando inoltre le raccomandazioni delle società scientifiche che invitano alla prudenza nell’uso degli ultrasuoni per il loro effetto biologico sui tessuti in formazione.


Pare dunque che si sia instaurato un dualismo fra antiche competenze e moderne conoscenze.


Come medico non posso esimermi dal riconoscere la corresponsabilità dei professionisti sanitari in questa contrapposizione. Una congiunzione fra questi due saperi è tuttavia possibile, superando l’apparente dicotomia fra natura e progresso. Riascoltare la voce della natura, ridare il senso originario e autentico alla maternità non esclude la letteratura scientifica, la tecnologia e la farmacologia più recenti, purché la lettura della prima sia critica e l’utilizzo delle seconde sia appropriato.


Il testo di Sarah Buckley ci guida attraverso il panorama della maternità di oggi nei Paesi economicamente avanzati facendone un’analisi attenta e documentata, e fornendo strumenti di valutazione e orientamento al suo interno. La sua lettura sarà utile a tutti per stimolare a conoscere la maternità in tutta la sua estensione e complessità e a volere un cambiamento culturale, con le inevitabili ripercussioni sociali e politiche, nei suoi confronti. Saranno però soprattutto le donne, madri effettive o potenziali, a trarne vantaggio potendo fare scelte più consapevoli e libere nel tempo dell’endo- ed esogestazione.


Perché da tutto questo dipende il futuro della comunità umana in termini di salute e di pace.


Perché la nascita deve essere prima di tutto una festa della creazione.


Mariangela Porta

Ginecologa

Partorire e accudire con dolcezza
Partorire e accudire con dolcezza
Sarah J. Buckley
La gravidanza, il parto e i primi mesi con tuo figlio, secondo natura.Un manuale rivoluzionario per le future mamme e i futuri papà che desiderano vivere gravidanza, parto e primi mesi di vita del bambino in modo naturale. Partorire e accudire con dolcezza è un manuale rivoluzionario, nel quale Sarah J. Buckley, esperta di gravidanza e parto apprezzata in tutto il mondo, fa luce sull’evento della nascita e sui primi mesi da genitori, mettendo a disposizione delle future mamme e papà conoscenze attinte sia dalla saggezza antica che dalla medicina moderna.Il libro presenta approfondimenti sulla fisiologia del parto naturale (o, come lo definisce l’autrice, “nascita indisturbata”) che mostrano quanto vada perso quando tale esperienza viene vissuta meramente come evento medico.Nella prima parte, alla scrupolosa descrizione di gravidanza e parto medicalizzati (che prevedono il ricorso a ultrasuoni, epidurale, induzione e cesareo) e delle scelte più naturali (parto in casa, rifiuto dell’epidurale o di farmaci durante la fase espulsiva) si intreccia il racconto dell’attesa e della nascita dei quattro figli dell’autrice, tutti dati alla luce tra le mura domestiche. La seconda parte prende invece in esame gli studi scientifici su attaccamento, allattamento materno e sonno infantile, ed esorta i neogenitori a operare scelte attente e amorevoli durante i primi mesi con il proprio bambino. Conosci l’autore Sara J. Buckley è medico di famiglia e autorità di fama internazionale in materia di gravidanza, parto e genitorialità. Vive a Brisbane, in Australia, con il marito e i quattro figli. Sarah Buckley è preziosa perché bilingue: sa parlare il linguaggio di una madre che ha dato alla luce i suoi quattro figli in casa, e sa parlare dadottore. Attraverso la fusione del linguaggio del cuore con quello della scienza essa impartisce alla storia del parto una direzione nuova, rivoluzionaria e illuminante.Michel Odent, medico chirurgo, autore e pioniere del parto naturale