Assunto l’impegno nei confronti del mio bambino e di quel percorso, mi sembrò di dover affrontare un grosso lavoro interiore: più di quello affrontato fino ad allora, forse più di quanto non ne avessi mai avuto bisogno. Da prima del concepimento tracciavo con i pastelli grandi mandala – figure circolari – del mio viaggio, dopo di che mi dedicai al body-work e al rebirthing. Durante la gravidanza assunsi pure delle erbe cinesi della Sunrider per alleviare le nausee, e presi la meravigliosa, e permanente, abitudine di sottopormi a massaggi regolari.
In quella gravidanza ero attirata dall’acqua, e andavo a nuotare, in parte come sostituto dello yoga che il mio chiropratico mi aveva consigliato di sospendere (anche se, seguendo un parere più qualificato, avrei potuto modificare gli esercizi per salvaguardare le mie deboli giunture sacroiliache). Iscrissi pure il nascituro ai corsi di nuoto e, con una certa trepidazione, abbandonai la sicurezza della mia attività di medico di famiglia. Acconsentii alla sostituzione da parte di un collega, un medico condotto che assisteva i parti in casa, impegnandomi a portare il bimbo, una volta nato, con me allo studio medico dai tre agli otto mesi dopo il parto.
Durante quell’esplorazione e quel mutamento, mi vidi (e mi rappresentai) come una farfalla luminosa che usciva dal bozzolo. Il mio bambino era sempre verde, pieno di vita, che è poi il significato del nome greco Zoe. Tracciavo disegni molto elaborati della sua placenta, che rappresentavano la consapevolezza e il rispetto crescenti verso tale organo, che decidemmo di onorare con la nascita lotus (lotus birth) cioè la scelta di non recidere il cordone ombelicale (per saperne di più sulla nascita lotus vai al racconto “La placenta di Jacob”, dove si narra come il cordone non sia stato né clampato, né tagliato).
Con un misto di arroganza e di ignoranza pensai che la mia uscita in forma di farfalla – la nascita del mio bambino – sarebbe stata agile e dolce, forse ancor più agile delle cinque ore di parto “dolce e oceanico” vissute per la mia primogenita (rileggi il racconto “La nascita di Emma” al capitolo precedente). Tuttavia, come mi avvertì il medico quando gli confidai la previsione secondo cui il mio vispo pupetto verde sarebbe venuto al mondo il primo giorno di Primavera, “Su certe cose bisogna restare umili”.
In quella gravidanza mi ero preparata ben prima della “data prevista” vista la precedente esperienza di anticipo di un mese. Gustai le ultime, pesanti, settimane perse con Emma, riposandomi, sottoponendomi a massaggi, passeggiando e ballando allegramente con la famiglia al tradizionale ballo del paese.
La settimana prima del travaglio ebbi diversi episodi di contrazioni notturne, che cessavano al mattino. Dopo alcune notti faticose, l’ostetrica mi suggerì di assumere un rimedio omeopatico a base di callophyllum per incoraggiare il “falso travaglio”. Mi chiesi quali profondità interiori mi avrebbe fatto toccare quel bambino.
Alle 7 del mattino della “data presunta” avvertii un’improvvisa contrazione mentre allattavo Emma. “Ecco com’è il vero travaglio”, ricordai, e a quel punto il travaglio ebbe inizio. Chiamai Chris, la mia ostetrica, e l’assistente al parto, Ginny, avvertendole che avrei potuto avere bisogno di loro in giornata. Chris giunse subito, pensando che il parto sarebbe stato rapido e senza intoppi.
Tuttavia non fu così. Le contrazioni si mantennero regolari e dolorose per tutta la mattinata, durante la quale ricevetti l’amore e il sostegno di Nicholas ed Emma che mi massaggiavano le spalle. Mi fu d’aiuto anche l’aromaterapia – con una miscela favolosa di olii di rosa e gelsomino – in alcuni momenti di difficoltà e di rallentamento. In tarda mattinata cercai riparo in camera mia, lontano dalla compagnia sempre più numerosa, per concentrarmi sul travaglio. Da quel momento, forse, il parto avrebbe potuto procedere più svelto, ma nel mio cuore non ero ancora pronta a incontrare mio figlio.
Una foto significativa mi ritrae distesa sulla schiena, l’unico istante del travaglio in cui abbia adottato quella posizione, mentre abbraccio Nicholas ed Emma, quasi fosse l’ultima immagine di “famigliola felice”. In quella posizione percepivo mio figlio muoversi; solo più tardi compresi che si era girata in posizione posteriore, rallentando le contrazioni. Sebbene tale cambiamento rese il travaglio più duro e doloroso, esso mi concesse anche il tempo necessario, e forse servì pure a Zoe, che, più tardi, mi rivelò che non voleva scendere.
Anche se, adesso, il piccolo era posteriore, non avvertii dolore alla schiena, e ci rendemmo conto della posizione solo allorquando, nel primo pomeriggio, l’avanzamento risultò lento e doloroso. Chris mi visitò, trovando il bimbo posteriore, con fornice vaginale – un “labbro anteriore” – che gli impediva di scendere. A quel punto trovai sollievo nell’acqua, trascorrendo del tempo sotto la doccia, aggrappandomi – ad ogni contrazione – alle pareti del box (che mio marito, preoccupato, sorreggeva dal lato opposto!).
Chris chiamò il mio dottore, Peter, che giunse intorno alle due del pomeriggio e che dovette togliere le scarpe per visitarmi dentro la doccia, con grande sollazzo di Emma. Peter propose di rompere le acque e io accettai. Uscita dalla doccia, gli lasciai aprire il labbro della cervice mentre io spingevo la testa del bambino attraverso il canale.
Durante quegli attimi tanto intensi il suono fu mio grande alleato: mi aiutò a esprimere le sensazioni del mio corpo e a trovare il giusto abbandono all’ignoto. Fui grata di trovarmi a casa mia, dove avevo la libertà di esprimere, forte e senza inibizioni, la mia libertà e dove ero assistita da persone che conoscevano bene il mio travaglio e non si offendevano neppure quando imprecavo contro di loro! Emma e Ginny, che si occupava di lei, restavano silenziose, specie durante le mie sonore manifestazioni al massimo delle contrazioni, ma fu bello averle vicino. Nicholas fu la mia roccia, appendendomi al suo collo mentre, mezza accucciata, partorivo quella bambina, proprio come avevo descritto nei miei disegni dei mesi precedenti.
Una volta attraversata la travagliata bocca uterina, il dolore s’acquietò e la bimba venne al mondo, a faccia in su (presentazione occipito posteriore, o P.O.P. [persistent occipito-posterior position]) con grande sollievo e solo qualche spinta. La mia ostetrica, Chris, la prese e me la porse attraverso le gambe, quindi crollai a terra. Provai una sorpresa, e un piacere, enormi, che si fusero in estasi, quando ebbi tra le braccia il calore e la morbidezza della mia piccina, bagnata e appena nata. Presto uscì pure la placenta, senza difficoltà e senza essere recisa, di forma perfetta per la borsina da me cucita. Il sesso della piccola fu una sorpresa per tutti (ma non per Emma, che aveva già previsto una femmina). La mia bambina, sul mio petto, percorse la mia pelle giungendo al seno, e lì ci immergemmo nella sua luminosa dolcezza.
Nelle primissime fotografie il mio viso non esprimeva il minimo dolore, mentre Nicholas aveva un aspetto tirato e sfinito, il che mi ricorda che anche il ruolo di assistente al parto è pesantissimo, senza però possibilità di sfogo dell’energia e della paura attraverso i suoni e i movimenti.
Per quanto la nascita di Zoe non aveva presentato complicazioni, e richiesto solo un minimo intervento medico, l’esperienza ebbe su di me un effetto devastante. Nei giorni, nelle settimane e nei mesi a seguire annegai in un mare di lacrime e di prostrazione, che trascinarono via buona parte dell’antica me.
La presenza terrena di Zoe mi dette profondo sollievo in quel momento. Era dotata di una energia fulgida e tranquillizzante, e lei stessa, più in là, mi rivelò di esser stata felice di essere un bebè. Anche nei mesi frenetici in cui ripresi l’attività di medico di famiglia e di assistenza ai parti in casa, la bambina si dimostrò felice ed equilibrata tra le mie braccia, o nella fascia, e al seno.
Guardando indietro mi accorgo degli enormi cambiamenti operati in me dalla nascita di Zoe. Prima di lei ero una creatura diversa, protetta da una scorza più dura, intessuta di pensieri e timori. La nascita di Zoe vi aprì uno squarcio, seppur con dolcezza e compassione. La sua nascita e costante presenza mi portarono i doni della mite resistenza; il cammino dell’abbandono e non della fatica; la capacità di accogliere punti di vista opposti; senza dimenticare la sensazione di volare, libera.
Stupisce forse che Zoe, che si sta facendo donna, mi confessi che la tecnica circense da lei preferita sia la “lira” (cerchio aereo) con la quale poter volare in alto con gioia, agilità e audacia?