CAPITOLO XIII

Mamme, bebè e la scienza
della condivisione del sonno

Nella nostra cultura il sonno è un tema prioritario per i neogenitori: come dormire di più, come far dormire di più i bambini, come garantire la sicurezza del sonno dei nostri figli? A queste domande vengono date risposte diverse, gran parte delle quali basate su presupposti più culturali che scientifici – o anche di mero buon senso. Questo capitolo affronta la scienza e il buon senso relativi a una materia tanto controversa ed emotivamente coinvolgente, fornendo informazioni utili affinché i genitori possano scegliere le abitudini del sonno più idonee alla propria famiglia.


Sonno e bambini. A volte può sembrare che l’uno escluda gli altri e che i problemi legati alla nanna si aggravino per via delle continue domande poste a tutte le neomamme: “È un bimbo bravo?”, e “Ti dorme tutta la notte?”.


Sebbene in buona fede, si tratta di domande che rischiano di spingerci a domandarci se noi o il nostro bambino, con il rifiuto di dormire tutta la notte, stiamo mostrando sintomi precoci di maleducazione, per non dire di devianza sociale. Potremmo temere di dare spazio a “cattive abitudini” a lungo termine o permanenti, prodotte dai continui risvegli, responsabili della sensazione di stanchezza e ossa rotte ogni mattina. Abbiamo paura che neppure noi riusciremo più a dormire tutta la notte.


Molto probabilmente, colti da queste inquietudini, e vittime delle dilaganti pressioni a conformarsi alle norme sociali sul sonno dei bambini, non confesseremo le nostre reali abitudini notturne: portare, ogni tanto, il bimbo nel lettone con noi perché è l’unica maniera per tornare a sentirci riposati. Di nuovo, forse temeremo di mettere a repentaglio il benessere del bambino – o addirittura la sua vita. Ci domandiamo se i neonati siano cambiati da una generazione all’altra, o se le nostre progenitrici, e le madri appartenenti a culture diverse, abbiano avuto a che fare con i medesimi dilemmi.


A volte, poi, quando è tutto buio e silenzioso, ci sarebbe di conforto l’immagine di madri e bambini di tutto il mondo che dormono e si svegliano nella notte: un vasto lenzuolo di accudimento notturno che si spiega al calar delle tenebre, per levarsi al sorgere del sole.


Forse la notte non è tanto male, dopo tutto.

Sonno e bambini

Uno dei problemi che la nostra cultura crea alle neomamme è la convinzione che il sonno infantile sia, o dovrebbe esser presto, uguale a quello adulto; ciò fa del “dormire tutta la notte” un traguardo fondamentale. Si tratta tuttavia di un principio basato su un equivoco riguardante il normale sonno dei bambini, fonte di grande disinformazione e persino di sofferenza per le madri, per i bimbi e per le famiglie.


Le madri si accorgeranno che i loro piccini non seguono gli schemi di comportamento degli adulti in vari ambiti, quali l’alimentazione, le competenze motorie e il sonno diurno, quindi risulta logico che anche gli schemi di sonno notturno siano unici e in evoluzione. Ciò è da imputare all’estrema immaturità del cervello e del sistema nervoso del piccolo d’uomo: alla nascita, il cervello misura solo un quarto di quello adulto, rispetto alla metà delle dimensioni adulte delle altre specie. Questo aspetto fa sì che i cuccioli siano i meno competenti e i più dipendenti dalle cure parentali tra tutte le specie.


Inoltre, come è stato scoperto dalla ricerca scientifica, l’enorme sviluppo cerebrale dei nostri bambini non si esplica automaticamente nel tempo, come si riteneva in passato, ma dipende in maniera cruciale dal contesto in cui essi si trovano e dalle cure ricevute. Come afferma Rima Shore nel rapporto del Families and Work Institute Rethinking the Brain1 “Le interazioni precoci non creano solo un contesto: esse influiscono direttamente sulle modalità con cui si connette il cervello”.


Tale combinazione di natura e di accudimento sarà favorita se noi seguiamo i segnali dei nostri figli, che ci comunicano i loro bisogni evolutivi ad ogni tappa del nostro percorso di genitori. Può essere rassicurante sapere che non abbiamo bisogno di lauree in sviluppo infantile per essere delle buone madri, ma soltanto la volontà di rispondere al nostro istinto e ai nostri bambini in un modo che porti pace, gioia e benessere a ogni età e in ogni fase.

Prospettive storiche e regolazione reciproca

Se capiamo che gli schemi di sonno di nostro figlio sono antichissimi e che per la gran parte della storia dell’uomo madri e figli hanno vissuto nella natura selvaggia, allora possiamo capire la logica del sonno infantile.


In tale contesto, condividere il sonno era una necessità per la sopravvivenza dei piccoli, che non solo assicurava loro protezione dai predatori, ma anche calore, facile accesso al seno materno, e sostegno al funzionamento e alla maturazione dei processi fisici in evoluzione attraverso la regolazione reciproca.


Quest’ultima fa riferimento alla reciproca influenza che madre e figlio hanno sulla rispettiva fisiologia e sui reciproci comportamenti, contribuendo a far loro raggiungere la piena funzionalità. Un esempio è la regolazione termica: quando un neonato viene posto a contatto di pelle con la madre, si verifica un aumento della temperatura senza che lei ne abbia consapevolezza, per cui il neonato si scalderà più di un bambino avvolto in una coperta e posto in culla2. Il contatto pelle a pelle tra madre e figlio, a volte definito “marsupio terapia” aiuta anche a stabilizzare il battito cardiaco e la respirazione del bambino3.


Studi sul sonno condotti in laboratorio su madri e figli mostrano effetti simili: bambini che condividono la stessa superficie del sonno (condivisione del letto) hanno una temperatura corporea maggiore4 e battito cardiaco accelerato5 rispetto a quelli che dormono da soli. I piccoli che dormono nel letto con la madre si muovono anche di più, il che contribuirebbe agli effetti sulla temperatura corporea e sul battito cardiaco, oltre a riflettere la maggiore ricchezza dell’ambiente sensoriale e la maggior stimolazione olfattiva, gustativa e uditiva derivante dalla stretta vicinanza alla madre.


È stato dimostrato come i piccoli che dormono nella stessa stanza dei genitori (una delle forme di condivisione del sonno) abbiano un rischio fino a cinque volte inferiore di essere colpiti della sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS), rispetto ai neonati messi a dormire in un’altra stanza6. È probabile che ciò sia indice della regolazione reciproca, per cui la presenza dei genitori e del loro respiro regolare contribuisce a regolare la respirazione del neonato (per saperne di più sulla regolazione reciproca si veda al capitolo XI).

Separazione e stress

In termini psicologici la vicinanza alla madre, diurna e notturna, fornisce anche protezione e sicurezza ed è quanto si aspettano tutti i cuccioli di mammifero. Se allontanati, essi emettono un richiamo di disagio da separazione che mette la madre in allerta, spingendola a recuperare il piccolo. Si è osservato lo stesso fenomeno anche tra i neonati umani7.


È stato dimostrato, grazie a studi condotti su animali, che il significativo stress a cui sono sottoposti i cuccioli di mammifero separati fisicamente dalla madre, persino per brevi lassi di tempo, ha ripercussioni negative in età adulta e aumenta la vulnerabilità allo stress per il resto della vita8.


In maniera analoga quando un neonato umano viene lasciato da solo (ossia privo di contatto sensoriale con la madre o con una figura di accudimento) il suo sistema nervoso darà segnale di pericolo di vita; il bambino è programmato per protestare attraverso il pianto, che di solito rappresenta un segnale assai efficace a esortare accudimento e riavvicinamento. Ciò spiega perché i piccoli piangano quando, di giorno o di notte, si tenta di “metterli giù”, oltre al loro bisogno strutturato e continuo di tutela e di rassicurazione attraverso il contatto fisico.


È possibile che nei cuccioli d’uomo, così come delle altre specie, si producano effetti collaterali in seguito alla separazione dalla madre, specie nelle prime settimane; se la separazione si protrae e/o se il piccolo mostra gravi sintomi di stress. Un grave stato di stress è evidente qualora, dopo un lungo accesso di pianto di disagio e solitudine segua il silenzio, con chiusura fisica ed emotiva. La risposta di “disperazione-dissociazione” dei mammiferi è stata concepita per circostanze estreme in cui il pianto non riesce a ristabilire il contatto con la madre e si rende più sicuro chiudersi fingendo la morte. Tale risposta si accompagna a livelli particolarmente elevati di cortisolo, ormone dello stress. Ciò rischia di produrre modifiche permanenti nelle strutture cerebrali, tra cui l’amigdala e l’ippocampo, coinvolte nella costruzione della memoria e particolarmente vulnerabili allo stress9 (per saperne di più sulla risposta di “disperazione-dissociazione” vai al capitolo XI).


Questi dati dovrebbero renderci assai cauti sul sottoporre i nostri neonati e bambini piccoli a metodi quali il “pianto controllato” e “a oltranza”, concepiti per farli dormire più a lungo. Si tratta di sistemi che quasi di sicuro provocano la risposta di protesta-disperazione ed elevati livelli di cortisolo nel bambino, e probabilmente anche in noi se sentiamo i nostri figli piangere per molti minuti.


Questi sistemi in genere sono l’ultima spiaggia dei genitori disperati per il sonno, come a volte capita a tutti. Tuttavia si tratta di sistemi che non soltanto rischiano di provocare danni, ma di solito non sortiscono neppure risultati duraturi e devono essere ripetuti a intervalli regolari. Nessuna meraviglia se consideriamo che con questi sistemi tentiamo di modificare schemi cerebrali strutturati che hanno assicurato accudimento e sopravvivenza ottimali ai bambini per millenni.


L’alternativa a questi metodi consiste nel lavorare sulla nostra biologia e sul nostro istinto, prendendo in considerazione l’eventualità di donare ai nostri figli la sicurezza e la felicità di cui hanno bisogno, giorno e notte. Le necessità notturne dei nostri piccoli possono essere soddisfatte con maggior facilità, così come è avvenuto per millenni, grazie a varie modalità di condivisione del sonno10.

Varie modalità di condivisione del sonno

È sottinteso che la condivisione del sonno non preveda un’unica modalità di sonno tra madre e figlio, bensì una varietà di scelte applicabili a bambini, famiglie e culture diversi.


Da un punto di vista tecnico il termine cosleeping si riferisce a qualsiasi modalità di sonno in cui la madre (o la figura di accudimento) e il bambino dormano vicini, ma non necessariamente sulla medesima superficie. Le pratiche di condivisione del sonno possono comprendere l’utilizzo di una cesta, di una culla o di un “side car” posti sopra o accanto al letto; una cesta – nella quale viene posto il bimbo – appesa al soffitto, al di sopra del letto; culla o lettino del neonato posti nella stessa stanza dei genitori (ed eventualmente di altri fratelli); bimbo nel letto con la madre e/o il padre; bimbo nel letto con i nonni.


Il termine bed sharing si limita a indicare pratiche in cui la madre (o un altro adulto responsabile) e il bambino dormano sulla stessa superficie, sebbene siano possibili diverse varianti. In alcune culture il piccolo può avere un giaciglio separato o esser posto, come in Cina, su un cuscino speciale.


McKenna e McDade ci suggeriscono di definire una sicura condivisione del sonno tra madre e bambino come “una serie di modalità di sonno in cui almeno un adulto (la madre o altri), responsabile e che abbia nozioni di sicurezza, dorma abbastanza vicino da monitorare (e/o allattare al seno) il bambino ricorrendo ad almeno due modalità sensoriali contemporaneamente, ossia tatto e vista, o vista e udito, o ancora udito e tatto”11.

Moderne modalità di sonno

Sebbene in molte culture occidentali sia diventato la norma, persino un obbligo, il sonno infantile solitario rappresenta, in realtà, un fenomeno recentissimo e unico. Nelle culture occidentali la condivisione del letto tra neonato e madre che allatta (in genere fino ai due anni) era la pratica standard fino ad all’incirca 150 anni fa. I bambini più grandicelli dormivano con i fratelli, con un membro della famiglia allargata oppure, nelle classi altolocate, con una domestica o una bambinaia12.


Nell’Ottocento si assistette alla nascita dell’esperto in puericultura, in genere maschio, che sottolineava l’importanza dell’indipendenza sin dalla tenera età, con regole ferree riguardo l’allattamento, il divezzamento dal pannolino e il sonno. Ci si aspettava che i neonati dormissero con la madre per poi essere spostati in una stanza non condivisa prima dell’anno di età13.


Con la Rivoluzione Industriale di fine Ottocento e il declino della famiglia allargata, la maggioranza delle madri non appartenenti alle classi abbienti e privilegiate divenne l’unica responsabile della casa e dei figli, il che si rendeva più semplice se ogni figlio mostrava meno necessità di disporre direttamente della madre. Il sonno solitario ebbe un ulteriore incentivo con la scoperta che patologie come la tubercolosi si diffondevano per inalazione, per cui la popolazione era stata allertata a non respirare l’aria altrui14.


Con l’avanzare del XX secolo le famiglie meno numerose e più abbienti presero a costruire case con stanze da letto separate in modo che ogni figlio potesse dormire da solo. Nacque il mito per cui la “morte in culla” fosse causata dalle madri che schiacciavano o soffocavano il figlio; un malinteso che allontanò ulteriormente le mamme dal sonno condiviso con i bambini15. Le recenti raccomandazioni in materia di Sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS) e di condivisione del sonno16 hanno mantenuto la propensione culturale verso il sonno solitario.


Tuttavia il passaggio a tale pratica non è stato un fenomeno mondiale: la condivisione del sonno tra madre e figlio nel mondo resta ampiamente diffusa17,18. Da un’indagine antropologica condotta, nel 1971, su 186 culture risultò che, in ognuna di esse, i bambini dormivano in prossimità sensoriale con una persona e che, per i due terzi, madri e figli condividevano il letto19. Studi più recenti mostrano che la condivisione del sonno è tutt’ora una pratica assai diffusa: circa i tre quarti delle madri di Singapore, ad esempio, dormono nel letto insieme ai figli20, mentre in Svezia la condivisione del letto fino all’età scolare è considerata una “normale attività familiare”21.


Un’indagine internazionale del 2001 mostra le percentuali di condivisione del letto maggiori in Cina, Svezia, Cile e Danimarca (rispettivamente 88, 65, 64 e 39 per cento) e le più basse in Turchia, Ucraina, Argentina e Ungheria (rispettivamente 2, 9, 15 e 16 per cento). Nello studio il tasso di condivisione del sonno a Manitoba, Canada, era del 23 per cento, contro il 21 per cento della Scozia e il 25 per cento dell’Irlanda22.


Un’indagine statunitense rilevò che, nel 2000, il 47,3 per cento dei genitori affermava di dormire saltuariamente con i propri figli, con un 13 per cento circa di bambini che aveva l’abitudine di condividere il letto con gli adulti durante la notte23.


Si noti la possibilità che la condivisione del sonno e del letto vengano enormemente sottostimati, dal momento che molti dei genitori che portano saltuariamente il proprio bambino a dormire con sé nel letto forse non ritengono di praticare la condivisione del letto24. Da uno studio britannico in cui venivano poste domande più particolareggiate risultò che il 70 per cento dei genitori, di quando in quando, aveva condiviso il letto con i figli nei primi tre mesi25.

La scienza della condivisione del letto

I primi scienziati ad aver svolto ricerche sul sonno infantile prendevano i bambini che dormivano da soli come la norma. Si conosceva poco dei processi biologici in gioco durante la condivisione del sonno o del letto prima che il professor James McKenna, docente di antropologia, e colleghi invitassero le mamme e i bebè nel proprio laboratorio del sonno per monitorarne la fisiologia.


Gli stessi ricercatori hanno poi condotto molti studi in cui osservavano gli schemi di sonno notturni di madri e figli che dormivano insieme o in stanze separate. Essi non solo rilevarono che le coppie che condividono il letto presentano gli stessi cicli di sonno, ma anche che i bimbi che dormono nel letto con la madre hanno risvegli più frequenti provocati dai movimenti materni, oltre a presentare fasi di sonno profondo più brevi26.


In qualità di ricercatore sulla SIDS il professor McKenna ritiene che questi leggeri risvegli, che di fatto non destano nessuno dei due soggetti, allenano il neonato a svegliarsi, riducendone l’esposizione ad alcune forme di SIDS, che si ritiene si verifichino quando il bambino non riesce a destarsi dal sonno profondo per ripristinare gli schemi respiratori. McKenna pensa che i nostri piccoli non siano preparati dal punto di vista evolutivo a dormire tutta la notte da soli in un letto, il che comporterebbe lunghi periodi di sonno profondo che non rappresentano il normale schema dei lattanti.


I filmati girati nel corso degli studi mostrano come le madri che condividono il letto, seppure profondamente addormentate, siano chiaramente consapevoli della posizione del proprio bambino, spostandosi, laddove necessario, per evitare di schiacciarlo. In nessun momento, durante gli studi, è accaduto che le madri impedissero la respirazione dei figli, i quali presentavano livelli di ossigeno medi maggiori di quelli dei bambini che dormivano da soli27.


Le conclusioni di McKenna – la condivisione del letto e altre forme di condivisione del sonno proteggerebbero di fatto dalla SIDS – sono avvalorate dagli studi demoscopici condotti in luoghi in cui questa è della pratica prevalente. Paesi quali la Cina28 e Hong Kong29 detengono uno dei tassi più bassi di SIDS al mondo, seguito da percentuali elevate di condivisione del sonno.


La condivisione del letto e altre forme di condivisione del sonno, specie se associate all’allattamento al seno, aumentano i livelli cerebrali di beta-endorfine, ormone del piacere rilasciato durante l’allattamento e altre piacevoli interazioni fisiche e sociali tra genitori e figli. Si ritiene che le beta-endorfine migliorino la crescita di aree del cervello che regolano gli stati emotivi30, dato che sottolinea l’importanza, per i piccoli, del piacere e della piacevolezza delle interazioni.

Condivisione del letto e sicurezza

Nel mondo sviluppato la SIDS è la causa di morte più diffusa tra i bambini di età compresa fra un mese e un anno, con un picco tra il secondo e il quarto mese. Negli ultimi decenni i ricercatori hanno indagato su numerosi fattori che determinerebbero l’aumento o la riduzione dei rischi legati alla SIDS, tra cui le pratiche di sonno infantile; determinante l’individuazione del sonno in posizione prona (pancia in giù) quale principale fattore di rischio. Le campagne informative mondiali sul sonno in posizione supina hanno ridotto in maniera drastica l’incidenza della sindrome della morte in culla, specie nei Paesi occidentalizzati dove essa risultava elevata. Studi più recenti, che fra poco esamineremo in dettaglio, hanno osservato le relazioni tra SIDS e condivisione del letto e, sebbene le conclusioni restino controverse, è stata fatta qualche luce sul problema.


Gran parte dei ricercatori impegnati sulla SIDS ricorrono a tecniche di caso-controllo, per cui i fattori ricollegabili alla sindrome vengono confrontati con i morti di SIDS (caso) e un numero maggiore di bambini sani (controllo). Se, per esempio, il 90 per cento dei casi di sindrome di morte in culla venisse trovato in posizione prona, ma soltanto il 10 per cento dei controlli, concluderemmo che la posizione prona potrebbe costituire fattore di rischio. Si ricorre quindi ad analisi più sofisticate (multivariate) per individuare influenze diverse e stimare i rischi numerici dei fattori individuali.


Ricerche che si limitino a descrivere il numero di casi escludendo i gruppi di controllo non sono né utili, né precise al fine della stima dei rischi. Tra queste gli studi di alto profilo che hanno utilizzato i dati della Consumer Product Safety Commission e di organismi analoghi (in cui si fa un elenco dei bambini morti nel letto degli adulti senza alcuna cifra comparativa) per sconsigliare la condivisione del letto31,32.


Altri studi hanno utilizzato, in maniera imprecisa, valori ridotti di condivisione del letto nei gruppi di confronto, determinando una forte sovrastima dei rischi. Per esempio uno studio statunitense fondò le proprie conclusioni estreme sui rischi di soffocamento infantile nel letto degli adulti su una percentuale di condivisione del letto del 9 per cento33, mentre le indagini citate in precedenza rilevarono che quasi metà dei piccoli americani dorme saltuariamente nel lettone34 (dato aumentato del 40 per cento circa nei primi anni Novanta35 e che potrebbe essere, come già riferito, sottostimato)36.


Ampi studi caso-controllo di eccellenza hanno preso in considerazione il rapporto tra condivisione del letto e SIDS, prendendo in esame molti altri fattori, noti per essere coinvolti nei rischi della sindrome. In un vasto e approfondito studio britannico Blair e colleghi riscontrarono che la condivisione del letto non costituiva fattore di rischio SIDS, alla luce di considerazioni statistiche riguardo il consumo materno di alcol, il fumo, l’utilizzo di coperte pesanti (piumoni, trapunte), estrema stanchezza dei genitori, casa sovraffollata. Si tratta di elementi di particolare rilevanza per i bambini sotto le quattordici settimane di vita37. In modo analogo un ampio studio neozelandese rilevò che la condivisione del letto costituiva fattore di rischio SIDS solo nel caso in cui la madre fosse fumatrice o avesse fumato in gravidanza38. Uno studio condotto nella città di Chicago non riscontrò rischi maggiori per i bambini che condividevano il letto con i soli genitori (non fumatori)39.


Diversi studi hanno suggerito che condividere il letto sarebbe rischioso per i bambini più piccoli, ma non per i grandicelli. Due ricerche mostrarono un lieve rischio aggiuntivo di SIDS per i bimbi che dormivano nel lettone, di età inferiore alle otto40 e quattordici41 settimane, sebbene nel secondo studio, quando veniva preso in considerazione il fumo materno, il rischio non risultava significativo42. Un recente studio scozzese è l’unico ad aver individuato un considerevole aumento del rischio SIDS nei bambini di qualsiasi età (in questo caso, solo bimbi di età inferiore alle undici settimane) che condividevano il letto con madri non fumatrici43.


Ulteriori limiti degli studi su SIDS e condivisione del letto consistono nell’assenza di distinzione tra condivisione del letto abituale e reattiva44. Per esempio un bimbo portato nel letto dei genitori perché malato o turbato sarà già a maggior rischio di SIDS poiché una lieve indisposizione è un fattore di rischio. In questo modo la condivisione del letto verrebbe erroneamente associata a un maggior rischio di SIDS. L’unico studio ad aver preso in esame la condivisione del letto abituale/reattiva non riscontrò legami tra tale pratica e la sindrome della morte in culla45.


Altri ricercatori hanno notato che la condivisione del letto nei casi di SIDS pare coincidere con altri fattori di rischio quali maternità in adolescenza, povertà, essere di razza nera, posizione prona durante il sonno, pericoli presenti sulla superficie adibita al sonno – guanciali che rischiano di coprire il bimbo o altri bambini presenti nel letto –, dormire sul divano o su altre superfici poco sicure46. Gli studi caso-controllo che hanno rivelato un aumentato rischio di SIDS nei bambini che dormivano nel lettone in genere non hanno tenuto conto di tutti questi elementi, specie i pericoli presenti sulla superficie adibita al sonno.


Uno studio, limitato ma approfondito, condotto in Alaska dove, negli ultimi anni, la sindrome della morte in culla ha registrato un calo con un aumento della condivisione del letto47, scoprì che solo uno su quaranta bambini morti di SIDS che dormivano nel lettone era deceduto in assenza di fattori di rischio quali il sonno in posizione prona, i genitori sotto gli effetti dell’alcol, oppure il dormire su materassi ad acqua o sul divano48.


C’è altresì la probabilità, come vedremo, che le pratiche di condivisione del letto unite all’allattamento al seno risultino diverse, e forse più sicure, rispetto a quelle che si accompagnano all’alimentazione con latte formulato. Si tratta di un aspetto poco indagato: in molti studi di ampio raggio non viene menzionato il tipo di alimentazione.


Nonostante le controversie e la grave mancanza di dati attendibili, l’Accademia Americana di Pediatria (AAP), nel 2005, pubblicò una dichiarazione in cui si raccomandava di non praticare la condivisione del letto49. Una politica che rischia di produrre più danni che benefici, visto il forte legame tra condivisione del letto e allattamento al seno, e i ben noti vantaggi di quest’ultimo. Condivisione del letto e altre forme di sonno condiviso stanno, per di più, acquisendo popolarità, il che rende ancor più necessario informare i genitori su come farlo in maniera sicura. Un approccio sostenuto da organizzazioni quali l’UNICEF50, l’Academy of Breastfeeding Medicine51, e il Royal Australasian College of Physician and Surgeons, Pediatrics and Child Health Division52.

Sicurezza in prospettiva

Per sintetizzare gli studi “la condivisione del letto non rappresenterebbe un rischio di per sé, ma un ambiente in cui potrebbero essere presenti particolari fattori di rischio”53. Tale affermazione sottolinea l’importanza di ridurre i rischi e i pericoli evidenti nell’ambiente del sonno condiviso (vai ai “dieci consigli per dormire al sicuro” al termine del capitolo). È probabile che l’allattamento sia un elemento determinante, e forse protettivo, contro la SIDS, specie in contesti di condivisione del letto. McKenna commenta: “Non esiste ad oggi studio epidemiologico che annoveri un numero di coppie madre-figlio in cui si allatti esclusivamente, non si fumi e si condivida il letto, sufficiente a sapere se tale modalità possa risultare, come ipotizzato, protettiva”54.


È altresì importante essere consapevoli delle effettive dimensioni della questione. Sebbene la SIDS resti la principale causa di morte infantile oltre il periodo neonatale, la sua incidenza totale rimane contenuta. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito circa un bambino su 2.000 muore di SIDS, con il tasso maggiore tra i Paesi avanzati (Nuova Zelanda) che resta inferiore a un bambino su 1.00055.

Condivisione del letto e allattamento

La combinazione di allattamento al seno e condivisione del letto (o altre forme di sonno condiviso) è l’ideale per madre e bambino. Gli studi dimostrano che le madri che dormono accanto al figlio allattano di più durante la notte, e i lattanti che condividono il letto con la mamma poppano due o tre volte più a lungo rispetto a quando dormono da soli56,57. Ciò garantisce la nutrizione ottimale del bambino, oltre a favorire la produzione di latte materno.


La condivisione del letto rafforza l’allattamento al seno poiché risulta più semplice, per una madre che dorme accanto (o nei pressi) del proprio bambino, assecondare le poppate più frequenti richieste da un bimbo allattato al seno, per via dell’elevata digeribilità del latte materno e delle dimensioni ridotte dello stomaco dei lattanti58.


Come affermano McKenna e McDade “da un punto di vista biologico il sonno condiviso tra madre e bambino rappresenta la modalità di sonno più idonea, antica e presente ovunque, poiché diversamente l’allattamento al seno non è possibile, o non è altrettanto agevole”59.


I ricercatori britannici hanno integrato i dati raccolti da McKenna in laboratorio del sonno, osservando madri e bambini che condividevano il letto nelle loro case, e rilevando alcune differenze sostanziali tra la pratica di condivisione del letto associata all’allattamento materno e quella associata all’alimentazione con latte formulato.


Le riprese notturne hanno dimostrato che i piccoli allattati dormono quasi sempre con il viso rivolto al corpo della madre, a livello del seno. Le madri che allattano son solite cullare i figli tenendo un braccio ad arco sul loro capo per evitare che si spostino verso l’alto, e una gamba raccolta che impedisce loro di scendere. Durante le ricerche le madri che allattavano i loro figli trascorrevano tre quarti del tempo toccandosi reciprocamente60.


Di più, le madri che condividevano il letto e allattavano controllavano di frequente i propri bebè durante la notte, attraverso la vista e il tatto, facendo in modo di scoprire loro il capo, se necessario61. I ricercatori ritengono che eventuali impedimenti dovuti all’alcol o all’estrema stanchezza, compromettendo questo (o altri) aspetti della reattività materna, aumenterebbero il rischi di SIDS62.


Per contro, i bambini alimentati artificialmente tendevano a essere posti più in alto, a livello degli occhi della madre, a volte in cima al guanciale, il che risulta pericoloso in quanto il bebè rischia di spostarsi verso il basso e di essere coperto dal cuscino. Le coppie madre-figlio che adottavano il biberon trascorrevano meno tempo l’una di fronte all’altro, con le madri che avevano meno risvegli, supervisionando la sicurezza del figlio per un tempo inferiore.


I piccoli allattati artificialmente si trovavano più spesso in posizione supina, mentre quelli nutriti al seno trascorrevano oltre metà del tempo su un fianco63. Sebbene per le attuali conoscenze essa non costituisca la posizione ideale, e nonostante si sia scoperto che in genere tale posizione aumenti il rischio di SIDS, dormire su un fianco in un contesto di allattamento al seno e di condivisione del letto risulterebbe meno, o per nulla, rischioso. I ricercatori osservarono che pochissimi bebè allattati si giravano nella pericolosa posizione prona poiché lo impediva la vicinanza della madre64.


In un ulteriore studio condotto dal medesimo gruppo, 253 coppie madrebambino furono seguite nel tempo con interviste e diari del sonno. I ricercatori rilevarono che la maggioranza delle madri che non condividevano il letto abbandonava l’allattamento nelle prime settimane. Helen Ball, coordinatrice dell’indagine, commenta: “Quando le madri non sono preparate ad alzarsi periodicamente di notte per allattare, in genere possono scegliere tra tre possibilità: 1) passare al latte artificiale; 2) intraprendere un programma di “educazione al sonno”… oppure 3) dormire accanto al bambino”65.


Tali studi sottolineano la complessa relazione tra condivisione del letto e alimentazione infantile oltre alla necessità di ricerche più approfondite per acquisire maggiori conoscenze. Tuttavia le informazioni a nostra disposizione sono a sostegno della teoria secondo cui allattamento al seno e condivisione del letto fanno parte di un sistema evolutivo vantaggioso sia per la madre, sia per il figlio, che produce enormi benefici (specie quelli, che si esplicano lungo l’intero arco della vita, legati alla riuscita e alla lunga durata dell’allattamento al seno) che controbilanciano eventuali rischi, non ancora chiariti dalla ricerca66.


Questo studio ci dice anche che le madri che condividono il letto con i figli alimentandoli artificialmente dovrebbero usare ulteriori precauzioni, specie rispetto a come posizionare il bebè in modo sicuro.

Sonno senza difficoltà con figli stanchi

La condivisione del letto è una pratica diffusa dal momento che i genitori sono gente sostanzialmente pratica. Tale abitudine contribuisce all’accudimento notturno poiché, permettendoci di trascorrere più tempo sdraiati, ci aiuta a sentirci più riposati pure dopo notti convulse. Inoltre ci consente di stare meno in piedi, per allattare e consolare i nostri piccoli, come, altrimenti, potrebbe accaderci per buona parte della nottata. Le mamme che allattano e dormono nello stesso letto con i propri figli possono – e in genere è quel che avviene – addormentarsi mentre nutrono il figlio, grazie all’effetto calmante degli ormoni dell’allattamento.


Il sonno condiviso nel medesimo letto non è la panacea di ogni genitore, per quanto pratica sicura ed evolutiva. Quindi potrebbe non essere l’ideale per tutte le coppie madre-figlio. Molte famiglie (comprese quelle appartenenti ad altre culture) hanno adattato altre forme di condivisione del sonno alle proprie esigenze.


Se i genitori, ad esempio, necessitano di maggior spazio durante la notte di quanto non offra loro la condivisione del letto, possono pensare di porre una culla, o un lettino, o ancora un side car accanto al letto o nella medesima stanza (alla luce dei dati illustrati consiglierei sempre ai genitori di tenere i figli almeno in camera con sé). McKenna e McDade suggeriscono che il sonno condiviso in maniera sicura consente di tenere sotto controllo il bambino attraverso almeno due sensi: grazie a tale disposizione il piccolo può esser visto e udito. I genitori dovrebbero sempre fare in modo che la superficie adibita al sonno non presenti vuoti di dimensione superiore a 2,5 cm (circa due dita), come raccomandano i “Dieci consigli per dormire al sicuro” al termine del capitolo.


I lattanti e i bambini in genere si addormentano più in fretta se non sono da soli e se si sentono al sicuro. Quelli allattati, al pari delle loro madri, godono altresì dei vantaggi derivanti dal rilascio di ormoni distensivi quali ossitocina e beta-endorfine, che compongono il miglior sonnifero di Madre Natura per chi allatta. In più molte madri, me compresa, trovano semplice e gradevole allattare i figli più grandicelli per addormentarli, persino oltre i due anni e soprattutto per i sonnellini diurni.


Nella mia esperienza, le supposte terribili conseguenze dell’abitudine di allattare i miei piccoli per farli dormire non si sono materializzate: i miei figli hanno sviluppato, tutti, sane abitudini del sonno. La nostra famiglia gradisce serate tranquille, per cui ci siamo impegnati a garantire ai figli più grandi e svezzati la compagnia degli adulti (e magari una ninnananna) per aiutarli ad addormentarsi. Abbiamo quindi incoraggiato i fratelli maggiori a condividere il sonno, il che pare facilitare le relazioni diurne. Sebbene poi i miei figli siano abituati alla compagnia notturna, ciò non ha impedito loro di “passare la notte” da amici e conoscenti, anche se ancora allattati.

Condividere il sonno a lungo

Due dei principali problemi dei genitori sono: “Una volta adottata, saremo in grado di interrompere la condivisione del sonno con nostro figlio?” e “Il sonno condiviso alla lunga ostacolerà l’indipendenza di mio figlio?”.


Come abbiamo visto in precedenza, è importante ricordare che la condivisione del sonno, e il bisogno di sicurezza durante la notte, sono programmati nel cervello di ogni bambino come istinto di sopravvivenza. Ciò spiega la forte ostinazione incontrata, e i limiti estremi che siamo costretti a toccare, se pretendiamo che i nostri lattanti e i nostri bambini dormano da soli durante la notte. La condivisione del sonno è dura da interrompere semplicemente perché i piccoli imparano che la compagnia notturna allevierà le loro paure, facendoli dormire con più facilità.


Da un punto di vista fisiologico e di sicurezza nella natura selvaggia potremmo considerare che i nostri figli sono programmati per dormire a proprio agio da soli solo una volta in grado di riuscire quantomeno a difendersi da sé dai predatori notturni; il che è anche il motivo per cui gran parte di noi preferisce la compagnia durante la notte, compresa la maggior parte dei genitori.


Tuttavia è più facile negoziare sul sonno e sul letto condiviso con i figli più grandi, quando è quasi sempre possibile trovare una soluzione valida per tutti. I bambini che dormono da soli potrebbero aver bisogno di compagnia per addormentarsi, come accade ai miei figli, e gradire, se necessario, la pronta disponibilità di adulti che li consolino nelle ore notturne, sia nel loro letto (per ovvie ragioni il letto a due piazze sarà perfetto) sia in quello di mamma e papà. Per alcune famiglie andrà bene il lettone, mentre un letto matrimoniale king-size (uno dei migliori investimenti per il sonno familiare) può esser messo di traverso per ospitare comodamente fino a tre-quattro persone.


I genitori possono star sicuri che la condivisione del sonno produrrà, molto probabilmente, più bene che male dal punto di vista dello sviluppo psicologico dei figli. Diversi studi hanno tenuto sotto osservazione soggetti che condividevano il sonno dall’infanzia all’età adulta, non riscontrando alcun effetto negativo, ma diversi effetti positivi. Uno studio, ad esempio, rilevò una maggior autostima tra gli universitari che avevano condiviso il letto durante l’infanzia, accompagnata da minore ansia e meno sensi di colpa67. Da un altro studio risultò un maggior coinvolgimento in attività sociali, e voti più alti assegnati dagli insegnanti, tra i figli di militari che avevano dormito insieme ai genitori, oltre a una minor probabilità di dover ricorrere a cure psichiatriche68. Un’indagine statunitense condotta su 1.400 adulti appartenenti a etnie diverse rilevò migliori esiti, quali una maggior soddisfazione rispetto alla propria vita, tra gli adulti che avevano condiviso il letto durante l’infanzia69. Un secondo studio ad ampio raggio condotto negli Stati Uniti, in cui furono seguiti alcuni bambini fino all’età di diciott’anni, non denotò benefici, né danni, negli individui che avevano dormito nel lettone durante l’infanzia70. Questi studi sono ben analizzati nell’ottima revisione di McKenna e McDade.


L’intimità tra i genitori rischia di destare ulteriori preoccupazioni, ma anche in questo caso creatività, flessibilità nella scelta dei tempi, e un letto a due piazze posizionato in un luogo diverso possono essere d’aiuto. I più piccoli paiono avere un radar capta-intimità che spesso li sveglia nei momenti meno opportuni, anche se dormono in un’altra stanza.

Sonno senza difficoltà per genitori stanchi

Forse però tutto il trambusto che si scatena sul sonno dei bambini non nasce proprio dalla capacità dei nostri piccoli di dormire tutta la notte, quanto invece dalla percezione del nostro bisogno di dormire tutta la notte. Ricerche e aneddoti di culture diverse dalla nostra mostrano che non si tratta di un’aspettativa universale71 e che, nel mondo, la maggioranza delle neomamme non direbbe che il proprio bimbo ha un problema di sonno perché di notte si sveglia spesso72.


Tuttavia le aspettative e le attività della società occidentale sono diverse. Per esempio la maggior parte delle neomamme ha la necessità di “muovere macchinari pesanti” (cioè, ad esempio, guidare l’auto) ogni giorno, attività che richiede un alto grado di concentrazione, specie se paragonata ai compiti più immediati che le donne, per tradizione, hanno svolto insieme ai doveri del primo periodo della maternità. Molte, durante il primo anno del bambino, lavorano mezza giornata o a tempo pieno fuori casa, il che richiede un livello di impegno intellettivo più difficile da raggiungere se le notti sono turbolente.


Se tuttavia riusciamo a concentrarci di più sul nostro bisogno di riposo possiamo trovare alcune semplici soluzioni. Io, ad esempio, a tutte le mamme di bimbi piccoli consiglio un pisolino diurno: l’ideale sarebbe almeno un’ora sdraiate mentre il piccolo dorme, che spesso può coincidere con il riposo o il sonno degli altri figli; anche solo un quarto d’ora può esser d’aiuto. In genere risulta essere un investimento per la salute di tutta la famiglia migliore che non dedicarsi alle faccende domestiche o ad altre incombenze mentre il bebè dorme. È importante ricordare (e ricordarlo agli altri) che il bisogno di riposo extra diminuirà con la crescita dei nostri figli.


Altra soluzione ideale è quella di dividere le responsabilità genitoriali con il coniuge o con un altro adulto: molti papà sono bravissimi a dare il cambio, la mattina o la sera, con i figli o con altri bambini, e mostrano di gradirlo. Di nuovo, consiglio di lasciar correre altre incombenze o aspettative, durante questo periodo, per concentrarsi sul riposo e il recupero, o su altre attività rigeneranti. Quando le notti con i miei figli, da neonati e più grandicelli, erano pesanti, la mia regoletta era di restare a letto dodici ore – ad esempio dalle otto di sera alle otto del mattino.


Risulterà più difficile per le mamme che lavorano tutto il giorno fuori casa, tuttavia potranno approfittare dell’intimità e del contatto extra garantiti dal sonno condiviso, ricorrendo a quello che Alison Barrett, ostetrica canadese nonché madre di quattro figli, definisce “maternità a ciclo invertito”73.

Per finire con un po’ di riposo…

Occuparsi di un bimbo piccolo è un compito gravoso, diurno e notturno, per il quale necessitiamo di quanto più aiuto, e riposo, possibili.


Il vignettista australiano Michael Leunig mi ha dato l’ispirazione a ritagliarmi tante parentesi di riposo nel corso degli anni impegnativi delle mie maternità. Il mitico botta e risposta tra i due eroi dei fumetti Mr. Curly e Vasco Pyjama sull’argomento “che cosa valga la pena fare e che cosa valga la pena avere”74 si conclude così:

Gentilmente, Vasco, ti esorto a fare come è nostro uso a Casa Curly: impara a riposare – rannicchiato – prestando ascolto alla nobiltà della tua stanchezza, impara e falle generosamente spazio nella tua vita, che di certo ne trarrai giovamento. Ripeto: non val la pena far nulla, solo riposare.

DIECI CONSIGLI PER DORMIRE AL SICURO

Che vostro figlio dorma in una culla, su un materassino, in un lettino o side car accanto al vostro letto o stia con voi nel lettone, esistono alcuni princìpi generali che lo faranno dormire il più possibile al sicuro. Questi princìpi valgono per tutti i bambini entro l’anno di vita.

  1. Ponete il bambino a dormire sulla schiena

    I bambini sono a maggior rischio di sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS) se dormono in posizione prona, ossia a pancia in giù. Il piccolo che si trova in posizione prona non è in grado di eliminare il calore corporeo in maniera altrettanto efficace, né di liberarsi delle coperte in eccesso. Entrambi gli elementi possono contribuire al surriscaldamento, fattore di rischio della SIDS. La campagna “Back to sleep” promossa in molti Paesi ha ridotto fino al 70 per cento il numero di lattanti morti di SIDS.


    Se allatti al seno e condividi il letto con tuo figlio, il bambino trascorrerà del tempo su un fianco durante e dopo la poppata. Sebbene si tratti di una posizione riconosciuta a rischio SIDS, non sappiamo se ciò valga anche nel caso di bambini allattati che condividano il letto con i genitori, i quali hanno una probabilità molto ridotta di girarsi in posizione prona (vedi il paragrafo “sicurezza in prospettiva”). Potrebbe essere più sicuro mettere il bambino sulla schiena.

  2. Assicuratevi che, durante il sonno, la testa del bambino resti scoperta

    I bambini saranno più al sicuro senza coperte e accessori troppo soffici: guanciali (i bambini entro i 12 mesi non necessitano di cuscino), trapunte o piumini (una coperta risulterà più sicura), paraurti (sconsigliati) e giocattoli morbidi, tutti elementi che possono coprire la testa del bambino. I lenzuoli devono essere ben rimboccati e aderenti così da non potersi allentare. Le coperte mal rimboccate rischiano di coprire il bambino, soffocandolo.


    I neonati che dormano in culla o nel lettino saranno più al sicuro con coperte e lenzuola rimboccate strette e con i piedini in fondo. È necessario evitare anche che i bambini che condividono il letto scivolino sotto le coperte.


    Materassi ad acqua e beanbag [poltrone soffici simili a puff, N.d.T.] non sono soluzioni sicure per il sonno dei neonati, che rischiano di scivolare in una piega lasca del letto. Sono sempre raccomandabili materassi rigidi per qualsiasi tipo di letto. Se uno dei genitori ha un peso elevato è bene ricorrere a un materasso rigido per evitare che il bambino finisca in una depressione del materasso. Quando si condivide il letto con il proprio bambino e con un altro adulto, forse è più raccomandabile far dormire il lattante dal lato esterno, piuttosto che fra i due adulti.

  3. Evitate il rischio di intrappolamento

    Un neonato rischia di restare intrappolato in una piccola fessura, soffocando. Ecco un elenco delle fessure pericolose:


    - tra il materasso e la sponda della culla (o del lettino): la maggioranza degli standard consentono uno spazio che non superi i 2,5 cm (o due dita);


    - tra il materasso del lettone e la parete o i mobili accanto;


    - tra il materasso e la testiera, la pediera e le sbarre;


    - tra il materasso e una sponda di protezione applicata al letto (queste sponde non sono consigliate ai bambini sotto l’anno, tuttavia io raccomando vivamente, come strumento salva vita, il semplice “Humanity Family Bed cosleeper” [materassino protettivo applicabile al letto matrimoniale, N.d.T.]).


    Un materasso per adulti da utilizzare per la condivisione del letto è più sicuro se posto sul pavimento, lontano dalle pareti. Tuttavia è sempre bene assicurarsi che, in caso di cadute, il bebè non rischi di restare intrappolato o di farsi male.

  4. Evitate il rischio di strangolamento

    Controllare che nell’ambiente adibito al sonno del bambino non vi siano corde o lacci. Lo stesso dicasi per gli oggetti appesi alla culla (lettino). È consigliabile, al fine di evitare grovigli e strangolamenti, di legare i capelli di lunghezza oltre la vita se l’adulto condivide il letto con un bambino.

  5. Vestite il bambino secondo la temperatura della stanza

    È importante evitare sia il surriscaldamento che il raffreddamento. In inverno il bambino non ha bisogno né di abiti, né di coperte troppo pesanti. Un bimbo che dorma da solo può indossare una tutina o essere coperto da biancheria da letto idonea alla stagione e ben rimboccata.


    Un bambino che dorme nel letto con la madre si scalderà grazie al contatto fisico, senza bisogno di essere coperto da più strati di abbigliamento. In genere è sufficiente una canottiera di cotone o una maglietta, a maniche lunghe o corte a seconda del clima, e un pannolino. Si consiglia abbigliamento e biancheria da letto in fibre naturali (cotone, lana, canapa, seta).


    Assicurarsi poi che la stanza non sia né troppo fredda, né surriscaldata, chiedendosi se il riscaldamento, le coperte e l’abbigliamento contribuiscano alla giusta temperatura per il vostro sonno.

  6. Non fumate e non assumete sostanze stupefacenti

    Questo significa non fumare in gravidanza e neppure dopo il parto. Gli studi dimostrano che i bambini nati da madri che abbiano fumato durante l’attesa hanno un maggior rischio di SIDS. In questo caso si raccomanda di non condividere il letto con i propri figli.


    Dopo la nascita, tenere il fumo di sigaretta sempre lontano dai bambini. Per coloro che incontrano difficoltà a smettere, ridurre il consumo di sigarette contribuisce, in una certa misura, a ridurre il rischio. In genere i bambini risultano meno esposti alla SIDS se il padre non fuma, mentre condividere il letto con un padre tabagista aumenterebbe il rischio. Nel caso in cui fumino entrambi i genitori, essi potranno comunque lasciar dormire il proprio bambino al sicuro accanto a sé ma su una superficie separata.


    È fondamentale che i genitori che condividono il letto non siano sotto l’effetto di alcol o droga. Tali sostanze rischiano di farli dormire tanto profondamente da non riuscire a vegliare sulla sicurezza notturna dei figli.

  7. Non lasciate che il bambino dorma solo nel letto degli adulti

    I letti per adulti presentano rischi di intrappolamento, come già osservato, oltre a quello di soffocamento dovuto all’eccessiva morbidezza della biancheria da letto. Sarà più sicuro far dormire il bambino da solo nel proprio lettino (culla) o su una superficie che presenti meno pericoli, quale un materasso sul pavimento, lontano da animali. Oltre a ciò, è rischioso lasciar dormire il bebè accanto a un fratello o a un bambino piccolo, che potrebbero, muovendosi, schiacciarlo.


    Nelle culture a basso tasso di SIDS il sonno infantile si integra alla vita familiare: durante il sonnellino, ad esempio, i bambini dormono in soggiorno e non isolati (il che aumenterebbe l’esposizione alla SIDS). La maggioranza dei piccoli dormirà felice in mezzo a un gran baccano e a intense attività (si pensi al rumore e all’attività nel pancione!).

  8. Assicuratevi che i bambini più grandicelli non si arrampichino e non cadano dal lettino (culla)

    Non appena il bambino è in grado di stare seduto, se è possibile si abbassi il materasso. Appena sarà capace di mettersi in piedi, porre il materasso al livello minimo, assicurandosi che non vi siano appigli per uscire – ossia elementi ai quali aggrapparsi per alzarsi e calarsi fuori dal lettino (culla). Un bambino di altezza superiore ai 90 centimetri è troppo grande per dormire nel lettino (o nella culla).

  9. Non lasciate dormire il bambino su poltrone o divani

    Non solo risulta pericoloso dal punto di vista delle cadute, ma il bambino potrebbe restare intrappolato negli interstizi della poltrona o del divano, assai più pericolosi di quelli presenti in letti, lettini e culle.


    Controllate pure carrozzine e passeggini, evitando di lasciarvi il piccolo addormentato senza la vostra supervisione. C’è il rischio che resti intrappolato o soffocato: si tratta di strumenti non progettati per il sonno incustodito.

  10. Allattate al seno

    Da alcuni studi è risultato che l’allattamento al seno garantisce ulteriore protezione contro la SIDS, che sarebbe tanto maggiore quanto più si allatta con frequenza. I piccoli allattati si destano più velocemente dal sonno profondo, il che contribuisce a proteggerli dalla sindrome della morte in culla.


    Allattamento e condivisione del letto costituiscono un binomio ideale in quanto i piccoli allattati nel letto accanto alla madre poppano più spesso ma con minore sforzo da parte della madre stessa. Le poppate extra garantiscono più nutrimento al bebè e alcuni vantaggi alla mamma, quali la ripresa ritardata della fertilità, che agisce da sistema naturale di controllo delle nascite.


    Se si allatta artificialmente la condivisione del letto rischia di essere meno sicura: sarebbe preferibile far dormire il bambino su una superficie separata ma accanto al letto della madre.

Partorire e accudire con dolcezza
Partorire e accudire con dolcezza
Sarah J. Buckley
La gravidanza, il parto e i primi mesi con tuo figlio, secondo natura.Un manuale rivoluzionario per le future mamme e i futuri papà che desiderano vivere gravidanza, parto e primi mesi di vita del bambino in modo naturale. Partorire e accudire con dolcezza è un manuale rivoluzionario, nel quale Sarah J. Buckley, esperta di gravidanza e parto apprezzata in tutto il mondo, fa luce sull’evento della nascita e sui primi mesi da genitori, mettendo a disposizione delle future mamme e papà conoscenze attinte sia dalla saggezza antica che dalla medicina moderna.Il libro presenta approfondimenti sulla fisiologia del parto naturale (o, come lo definisce l’autrice, “nascita indisturbata”) che mostrano quanto vada perso quando tale esperienza viene vissuta meramente come evento medico.Nella prima parte, alla scrupolosa descrizione di gravidanza e parto medicalizzati (che prevedono il ricorso a ultrasuoni, epidurale, induzione e cesareo) e delle scelte più naturali (parto in casa, rifiuto dell’epidurale o di farmaci durante la fase espulsiva) si intreccia il racconto dell’attesa e della nascita dei quattro figli dell’autrice, tutti dati alla luce tra le mura domestiche. La seconda parte prende invece in esame gli studi scientifici su attaccamento, allattamento materno e sonno infantile, ed esorta i neogenitori a operare scelte attente e amorevoli durante i primi mesi con il proprio bambino. Conosci l’autore Sara J. Buckley è medico di famiglia e autorità di fama internazionale in materia di gravidanza, parto e genitorialità. Vive a Brisbane, in Australia, con il marito e i quattro figli. Sarah Buckley è preziosa perché bilingue: sa parlare il linguaggio di una madre che ha dato alla luce i suoi quattro figli in casa, e sa parlare dadottore. Attraverso la fusione del linguaggio del cuore con quello della scienza essa impartisce alla storia del parto una direzione nuova, rivoluzionaria e illuminante.Michel Odent, medico chirurgo, autore e pioniere del parto naturale