Il parto in acqua di jacob: tempismo perfetto
La mia terza gravidanza fu inattesa e mi insegnò fiducia e tempismo, sviluppando la mia capacità di abbandono. Il parto in casa e nell’acqua di Jacob fu un’esperienza dolcissima, sebbene non priva di asperità, che donò alla nostra famiglia un inizio pieno di beatitudine come nucleo a cinque.
Lo ricordo come fosse ieri. Eravamo in macchina sulla Hoddle Street, a Melbourne, per andare a prendere il traghetto che ci avrebbe portato a sud, in Tasmania, per trascorrere il Natale in famiglia. Legate ai seggiolini posteriori Emma, che aveva appena compiuto quattro anni, e Zoe, quattordici mesi.
Mi voltai verso Nicholas e gli dissi: “Beh, fin’ora non ho voluto altri figli, ma adesso sento che sarebbe bello se succedesse”.
“Sì”, convenne, e da medico aggiunse: “Sarei proprio felice se tu avessi un altro figlio prima di superare i trentacinque anni”.
A ripensarci riesco quasi a percepire una scintilla nell’aria, una sorta di materializzazione dello spirito di quello che sarebbe diventato nostro figlio Jacob, che in quel momento aveva trovato l’infinitesimo spiraglio di una porta fino ad allora chiusa, precipitandosi sulla terra - da noi, la sua nuova famiglia - alla velocità della luce.
Fui davvero stupita, in realtà piuttosto spaventata, quando lo concepii. Mi ci vollero diverse settimane per rendermi conto di essere incinta e diversi mesi per aver fiducia nel tempismo di Jacob. In particolare temevo i due anni di differenza con Zoe, l’esatta differenza di età tra me e la mia sorella minore.
Il mio fisico, tuttavia, era in ottima forma e mi mantenni attiva e in salute per l’intera gravidanza. Scegliemmo di nuovo di partorire in casa con la squadra composta da ostetrica e medico di famiglia che ci aveva sostenuto in maniera superba per la nascita di Emma e di Zoe.
Durante questa gravidanza avvertii un impellente desiderio d’acqua, quindi trascorsi molto tempo a nuotare. Tutti insieme ci godemmo le lezioni di nuoto settimanali di gruppo tenute da Cookie Harkin, l’insegnante di acquaticità di Zoe. Io seguii pure gli incontri preparto da lei tenuti, durante i quali galleggiavamo a pancia in giù in piscina, con boccaglio e braccioli, luci soffuse e musica rilassante. Condividere l’esperienza del mio bambino, dolcemente sospeso nel tepore dell’acqua tra suoni rassicuranti, mi infuse un senso di pace.
Più avanti nella gravidanza presi a utilizzare una monopinna, una pinna più grossa che comprende ambedue i piedi, consentendo di nuotare a delfino sott’acqua. Così facendo riuscivo a percepire l’entusiasmo del mio bambino, insieme al mio, e mi domandai, ripensandoci, se mio figlio avesse scelto di restare nel mio ventre qualche settimana in più per saziarsi di tanto piacere.
Per quel travaglio decisi di affidarmi a una vasca per il parto, con la possibilità di partorire in acqua. Immaginavo che l’acqua mi avrebbe donato spazio e riservatezza in quella che sarebbe stata una casa affollata: Emma e Zoe, una buona amica ad occuparsi di loro, il mio medico, la mia ostetrica e Nicholas. Ero anche curiosa di sperimentare il parto in acqua, di cui alcune amiche mi avevano parlato con entusiasmo.
La vasca che avevo affittato dalla mia ostetrica era stata appositamente realizzata con tubi metallici cavi (per l’esattezza tubi di scappamento) assemblati, e un rivestimento fissato al telaio. Era veloce da montare e non troppo alta, così da permettermi di entrare senza difficoltà. Facemmo una prova per valutare quante taniche d’acqua calda ci volessero a riempirla e quanto ci avremmo impiegato, compreso il tempo necessario a scaldare di nuovo l’acqua (tre taniche e circa quattro ore). Durante il collaudo riuscii a bruciare la stufetta per il materasso ad acqua, che manteneva al caldo la vasca su un pezzo di gommapiuma, quindi dovetti comprare una stufa nuova!
La vasca, montata e pronta a essere riempita, vegliava sul retro mentre io andavo oltre il termine originariamente previsto di una, due, tre settimane. Avevo la fortuna di contare su professionisti felici di rivedere queste date (piuttosto incerte), così riuscii a godermi l’attesa senza inutili pressioni. La mia unica preoccupazione era far corrispondere il termine con le date dei miei genitori: sarebbero arrivati per darmi una mano dopo il parto, quindi dovettero riprenotare il volo dalla Nuova Zelanda diverse volte.
Il mio travaglio prese avvio all’una di notte, quindi svegliai Nicholas per riempire la vasca intorno alle due e mezzo. Fu un travaglio molto lento e dolce sin dal principio, durante il quale trascorsi il tempo sia dentro che fuori dall’acqua. Mi accorsi che riuscivo a oscillare il bacino anche in vasca - non senza produrre, come minimo, mareggiate - ma di certo trassi giovamento dall’acqua durante il riposo tra una contrazione e l’altra. Zoe, che si era svegliata prima dell’alba ed era già nuda da prima, trascorse gran parte delle prime fasi del travaglio a cercare di entrare con me, accontentandosi, quindi, di far galleggiare le sue bambole in acqua.
Sistemammo la vasca in soggiorno, e Nicholas aveva avuto la saggia idea di piantare, nel giardino contiguo, alcune splendide cinerarie, che io potevo ammirare dalla finestra. Il mio compito durante questo travaglio era rallentare e mantenere quel ritmo dolce. Uscire e camminare non mi accelerò il travaglio, come accade a molte donne dopo qualche ora in vasca.
Quando, in mattinata, le contrazioni si fecero più dure trovai sollievo e sostegno nell’acqua. Avevo la sensazione che questo bambino sarebbe nato in acqua, ma mi sembrava importante non fissarmi su quell’idea. Ricordai quanto fosse stato decisivo tenere i piedi aderenti a terra per permettere alla gravità di aiutarmi a dare alla luce la mia secondogenita Zoe, nata posteriore (a faccia in su).
Nel momento di transizione, prima di avvertire un forte desiderio di spingere, sentii la realtà di questo bambino, che presto avrei tenuto tra le braccia. Fui attraversata da un’ondata di paura, seguita da una forte connessione e determinazione. E mentre la testa di mio figlio scendeva, vidi una massa bianca nell’acqua: la soffice vernice caseosa che gli copriva la pelle si diffondeva a ogni spinta.
In ginocchio, poggiata a una sponda della vasca, diedi alla luce mio figlio. Jacob, 3 chili e 75 grammi, era il più grosso dei miei bambini, e mentre usciva ero riuscita a sentire le ossa del mio bacino aprirsi. Chris, la mia ostetrica, lo prese dall’acqua per passarmelo. A differenza di alcuni bambini nati in acqua, lui pianse subito e con vigore. Nell’entusiasmo del momento non pensammo a controllare di che sesso fosse, quindi provammo un nuovo impeto di gioia nello scoprire, alcuni minuti dopo, che era un maschio.
Mi misi in piedi fuori dall’acqua per espellere la placenta di Jacob, e scegliemmo di non tagliare il cordone (per conoscere meglio la pratica detta “nascita lotus” leggi il racconto “La placenta di Jacob” al capitolo IX). Il mio medico raccolse un piccolo campione del sangue cordonale del bambino (per identificarne il fattore Rh e il gruppo sanguigno) quindi lasciammo galleggiare la placenta in una scatola di gelato fintanto che non fui pronta ad uscire, circa un’ora dopo il parto. Prima di allora Emma e Zoe saltarono dentro per salutare il fratellino. Dopo la nascita versammo l’acqua in giardino, il che rese la pulizia assai veloce.
Il cordone ombelicale di Jacob si staccò il giorno prima dell’arrivo dei miei genitori: tempismo perfetto! Mio padre e mia madre ci diedero un enorme aiuto con le faccende di casa, permettendomi di riposare e di stabilizzarmi con la nuova maternità, oltre a essere nonni meravigliosi per le mie bimbe più grandi. La nostra casa emanava calma e perfezione, allietata dall’ennesima straordinaria Nascita, un albero di candide camelie in fiore alla finestra.
L’attesa e la nascita di Jacob mi insegnarono la fiducia nel tempismo dei miei figli, la fiducia nel sostegno che la vita ci offre, l’abbandono, e l’accettazione dell’amore e dell’aiuto esterno. La nascita di Jacob mi dette l’ispirazione a scrivere e a parlare pubblicamente del parto, a condividere le mie esperienze e conoscenze per dare aiuto agli altri, affinché le madri, i bambini, i padri e le famiglie possano vivere un avvio perfetto.